Text
Ho appena scoperto che in queste due immagini si vede lo stesso albero.
Due immagini che hanno contato così tanto per me. Il booklet di Adore degli Smashing Pumpkins e la scena finale dell'episodio 1 della quarta stagione di Six feet under.
Una scoperta stupenda.
0 notes
Text
New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto la esplorasse, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto. Perduto non solo nella città, ma anche dentro di sé. Ogni volta che camminava sentiva di lasciarsi alle spalle se stesso, e nel consegnarsi al movimento delle strade, riducendosi a un occhio che vede, eludeva l'obbligo di pensare; e questo, più di qualsiasi altra cosa, gli donava una scheggia di pace, un salutare vuoto interiore. Il mondo era fuori di lui, gli stava intorno e davanti, e la velocità del suo continuo cambiamento gli rendeva impossibile soffermarsi troppo su qualunque cosa. Il movimento era intrinseco all'atto di porre un piede davanti all'altro concedendosi di seguire la deriva del proprio corpo. Vagando senza meta, tutti i luoghi diventavano uguali e non contava più dove ci si trovava. Nelle camminate più riuscite giungeva a non sentirsi in nessun luogo. E alla fine era solo questo che chiedeva alle cose: di non essere in nessun luogo. New York era il nessun luogo che si era costruito attorno, ed era sicuro di non volerlo lasciare mai più.
Paul Aster, La città di vetro
0 notes
Text
"Ora mi metto a tambasiare" pensò appena arrivato a casa. Tambasiàre era un verbo che gli piaceva, significava mettersi a girellare di stanza in stanza senza uno scopo preciso, anzi occupandosi di cose futili. E così fece, dispose meglio i libri, mise in ordine la scrivania, raddrizzò un disegno alla parete, pulì i fornelli del gas. Tambasiàva. Non aveva appetito, non era andato al ristorante e non aveva manco aperto il frigorifero per vedere quello che Adelina gli aveva preparato.
Andrea Camilleri, La forma dell'acqua
0 notes
Text
Una volta Tanino aveva sentito citare una frase che lo aveva colpito. Una frase che con gli eventi delle ultime ore e i sentimenti contrastanti che prova, gli è tornata in mente: "Non mi preoccupa tanto il fascismo in sé, quanto il fascismo in me". Una frase che funziona bene anche sostituendo la parola "razzismo" a "fascismo". Già, forse nessuno è davvero immune.
Jadel Andreetto e Guglielmo Pispisa, La parola amore uccide
0 notes
Text
I pregiudizi ci invadono senza che ce ne accorgiamo, non c'è mica bisogno di eventi traumatici. Basta distrarsi un attimo.
Jadel Andreetto e Guglielmo Pispisa, La parola amore uccide
0 notes
Text
Si allontanò, sempre ridendo, muovendosi con agilità e con grazia, come se non fosse tutto rotto come me e non avesse le vesciche ai piedi come me e non fosse pieno di bolle e di morsi di zanzare e di calabroni e di tafani come me. Come se non avesse il minimo pensiero al mondo, come se se ne stesse andando in un gran bel posto invece che solo a casa, in una casa (una baracca, sarebbe più vicino alla verità) di tre stanze senza servizi e con le finestre rotte coperte di plastica e un fratello che probabilmente lo stava aspettando nel cortile davanti. Anche se avessi saputo la cosa giusta da dire, probabilmente non avrei potuto dirla. I discorsi distruggono le funzioni dell'amore, credo - è un bel casino per uno scrittore dire una cosa del genere, penso, ma sono sicuro che è così. Se parlate per dire a una cerbiatta che non avete nessuna intenzione di farle del male, quella svanisce in un batter di coda. La parola è danno. L'amore non è quello che quei poeti del cazzo come McKuen vogliono farvi credere. L'amore ha i denti; i denti mordono; i morsi non guariscono mai. Nessuna parola, nessuna combinazione di parole, può chiudere quelle ferite d'amore. È tutto il contrario, questo è il bello. Se quelle ferite si asciugano, le parole muoiono con loro. Credetemi pure. Io mi sono fatto una vita con le parole, e so che è così.
Stephen King, Il corpo (Stand by me) in Stagioni diverse
0 notes
Text
La sorpresa finale di quest'ultima virata funghesca dell'anno.
Hedgehog Mushroom, Hydnum repandum
6 notes
·
View notes
Text
Ancora e sempre sorprendersi leggendo.
Leggendo il vorticoso Tutta quella brava gente di Marco Felder, pseudonimo adottato dal duo siculo-altoatesino Pispisa-Andreetto, mi è capitato di storcere il naso a più riprese per l'utilizzo di maschili per dei mestieri compiuti da personaggi femminili. Senonché a ben due riprese quest'utilizzo mi è parso volontario, col fine di metterci di fronte alle nostre rappresentazioni più radicate e sorprenderci.
La prima volta può apparire un caso, anche se la sorpresa viene sottolineata nella reazione del protagonista, Gaetano Barcellona, giovane poliziotto appena arrivato a Bolzano da Roma, che nella scena fa il suo ingresso nel nuovo commissariato.
Un tipo smilzo, sui quaranta, movimenti rapidi e sorriso facile, lo inquadra ancora prima che abbia fatto tre passi nella stanza o chiesto di parlare col dott. Guidi, il capo della Mobile, a Bolzano. Mai visto né sentito, ma i colleghi di Roma gli hanno detto che "ha le palle", però lo hanno detto con un'espressione che lasciava intendere altro. Tanino ha concluso che il dott. Guidi dev'essere un rompicoglioni. [...] Nella stanza del primo dirigente Guidi si apre un'ampia vetrata sulla pista ciclabile e il torrente che costeggia il retro dell'edificio. [...] Guidi congeda con un gesto Pavan e a Tanino fa cenno di accomodarsi sulla sedia di fronte alla scrivania, mentre rimane in piedi davanti alla finestra. Controluce, Barcellona può apprezzarne la figura alta, elegante e davvero troppo sottile, ma i lineamenti rimangono in ombra. Guidi di certo lo sa e va bene così. «Non mi perdo in giri di parole, Barcellona, se ne accorgerà. Ma posso dirle che questa squadra funziona come un orologio perché ognuno dà il meglio e sta al suo posto. E la seconda sezione alla quale lei ha avuto la fortuna di essere assegnato vanta alcuni fra i nostri migliori poliziotti. Mi dicono che è un elemento valido, dunque ci sono le premesse perché si trovi bene con noi e noi con lei». La voce è inequivocabile e quando Angelica Guidi si muove ed esce dal cono d'ombra, Tanino finge di non essere sorpreso. «La ringrazio, dottoressa».
Il famigerato dott. Guidi era dunque una dottoressa, una poliziotta, una capa, una prima dirigente. L'espressione utilizzata dai colleghi romani di Barcellona non può che guadagnarne in ironia. E l'espediente della voce crea un ulteriore scarto tra il personaggio e il lettore, che scopre la verità dopo di lui, ritrovandosi in una posizione di subordinazione non solo rispetto al narratore ma anche rispetto al personaggio.
La seconda occorenza mi è parsa attestare definitivamente una volontà degli autori di puntare il dito sugli stereotipi che si creano leggendo, non solo per la semplice ripetizione del meccanismo ma perché, di nuovo, la sorpresa ci arriva attraverso la forte reazione di Barcellona e soprattutto il personaggio la scopre prima di noi attraverso la voce del notaio Achmüller.
Il curatore testamentario di Karin Nusser è lo studio notarile Achmüller. Vengono fatti accomodare in una sala d'attesa con vista sulle guglie, le torrette, i tetti e i bovindi di via Talvera. Tanino non fa in tempo a finire l'articolo di fondo del giornale locale sulla trasformazione della città [...] che la segretaria li richiama: il notaio può riceverli. Il notaio Achmüller gira intorno alla scrivania di noce intarsiato e avanza per stringere loro la mano. «Piacere. Prego, accomodatevi.» Indossa un paio di scarpe con tacco vertiginoso su cui si muove bene, ma non a suo agio, e un tailleur bianco con gonna sotto il ginocchio che non le rende giustizia. Quando parla, la voce roca è di lana di roccia, si chiama Barbara, ha i capelli biondi raccolti in uno chignon, gli occhi di un curioso colore mielato con screziature verdi e Tanino, ancor prima di sedere su una delle due poltrone chester rosso ciliega, si è già innamorato.
Persino la direzione dello sguardo (dalle scarpe al viso) sembra indicare questa volontà: da un lato i tacchi possono dapprima essere interpretati come un vezzo del notaio, che il lettore pensa ancora essere un uomo, prima di cominciare a capire la realtà attraverso il tailleur e la gonna, dall'altro il movimento dal basso verso l'alto richiama il procedimento cinematografico sovente utilizzato per tradurre uno sguardo maschile su una donna, quel famoso male gaze teorizzato da Laura Mulvey negli anni Settanta, come a rimarcare che l'humus comune ai lettori è il patriarcato nel quale sono cresciuti e che la parola, la letteratura possono essere uno strumento, un'arma di presa di coscienza degli stereotipi che, volente o nolente, ognuno di noi ha introiettato.
0 notes
Text
Da qualche tempo però il castagneto preoccupava. Il vento e le nevicate dell'inverno avevano indebolito molte vecchie piante. Qualcuna era morta e si era schiantata su un letto di foglie, altre si erano crepate come muri dopo un terremoto. Il sindaco aveva chiamato gli esperti dell'università di Firenze, che dopo alcuni mesi avevano dato un parere: per salvare gli alberi monumentali bisognava abbattere gli esemplari più giovani, almeno un centinaio, che crescevano a scapito dei patriarchi. Proprio per decidere quali tagliare il tecnico del Comune, insieme a Gheppio, era salito a Collerado di buon'ora. Il forestale però non riusciva a convinversi. Che senso aveva eliminare piante giovani e robuste per lasciar spazio a quelle ormai decrepite? Il tecnico passeggiava avanti e indietro, toccando i tronchi, quasi quel contatto dovesse confermargli ciò che sosteneva. - Gornara, lei lo sa bene che i castagni secolari sono importanti. Sono parte del patrimonio storico e paesaggistico. - E un bosco di castagni sani, - insistette Gheppio - non è anche quello un patrimonio? - Non allo stesso modo, - fu la risposta non troppo convinta. [...] Più che un botanico sembrava un ragioniere, pensò Gheppio. - Quando ho fatto la segnalazione in Comune non pensavo che ve ne sareste usciti con questa bella trovata, - disse. - Il castagneto è un gran bel posto. Ma se le vecchie piante non si reggono più dritte, non è giusto sacrificare le giovani per farle sopravvivere. C'è qualcosa di storto, nel ragionamento... di sbagliato, non le pare?
Wu Ming, Ufo '78
0 notes
Text
Leggendo UFO 78 dei Wu Ming con i Popol Vuh in sottofondo ci si sorprende a rendersi conto che siamo nel 2024. Quella fine anni Settanta pare così viva e palpitante che tutto sembra arancione come nella magnifica copertina di In der gärten pharaos o come i divanetti design di Arancia meccanica.
youtube
0 notes
Text
In the meantime, take care of yourself.
THE SUBSTANCE 2024, dir. Coralie Fargeat
4K notes
·
View notes
Text
It's the most wonderful time of the yeaaaaar!
I finferli sono tornati, puntuali come sempre, nel loro posto di sempre!
Cantharellus cibarius
245 notes
·
View notes
Text
" Il 1° marzo 1896 un corpo di spedizione di diecimila soldati guidati dal generale Baratieri attaccò ad Adua un esercito di centoventimila etiopi guidati da Menelik. L’Italia subì una pesantissima sconfitta, lasciando sul terreno quasi cinquemila morti. Questa vittoria permise all'Etiopia di rimanere indipendente e insegnò ai popoli africani che gli invasori potevano essere sconfitti. L’Italia cercò allora di mettere le mani sulla Libia, con un corpo di spedizione italiano che sbarcò a Tripoli il 5 ottobre 1911. Ma l’invasione della Tripolitania e della Cirenaica da parte di un corpo militare di oltre centomila soldati italiani fece scattare la rivolta araba. Ne seguì una feroce repressione da parte italiana: migliaia di libici furono impiccati, fucilati, deportati. La resistenza, però, non si piegò e durò oltre vent’anni, nonostante la brutalità della repressione, soprattutto sotto la dittatura di Mussolini. Nel 1930, per ordine del Duce, per isolare i partigiani, vennero deportati dalla Cirenaica e rinchiusi in quindici campi di concentramento almeno centomila libici, in gran parte poi fucilati o impiccati. Fu impiegata anche l’aeronautica, su ordine di Mussolini, per sterminare le popolazioni ribelli, utilizzando le armi chimiche (gas asfissianti e bombe all'iprite). Nel 1931 il leader della ribellione, Omar al-Mukhtar (il “Leone del deserto”), fu individuato e catturato e, dopo un processo sommario, impiccato davanti a ventimila libici. È stata una delle più feroci repressioni coloniali, che costò la vita a oltre centomila persone. Fu allora che Mussolini, dopo aver sottomesso la Libia, decise nel 1934 di conquistare l’Etiopia. Si trattò della più grande spedizione coloniale con cinquecentomila uomini, trecentocinquanta aerei e duecentocinquanta carri armati. Più che una guerra di conquista coloniale, fu una guerra di distruzione del popolo etiope. "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
21 notes
·
View notes
Text
Dipinto di artista etiope che rappresenta la vittoria sull'esercito invasore italiano nel 1896 a Adua.
Viva l'Etiopia libera! Viva la resistenza anticolonialista!
1 note
·
View note
Text
I cieli magnifici di The Texas chainsaw massacre
6 notes
·
View notes