Ripenserò a questo, un giorno. Nonostante le ferite, le mancanze, le assenze.
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Ho firmato il contratto per un nuovo affitto. Sarà una casa nuova (ci vuole coraggio a chiamarla casa), un piccolo angolo di mondo solo mio. Un punto da cui ripartire, un modo per provare a lasciare alle spalle ciò che in questi mesi sono stato bravo solo a trattenere e a conservare. Ieri sera ho pianto. Ho pensato a quanto sia difficile lasciare la mia casa attuale; ho pensato a quante cose ci ho fatto qua dentro, a quante promesse, a quanto amore, a quanta vita sia passata tra queste mura. Vita che all'epoca pareva la quotidianità mentre ora ripensare a quei momenti mi sembra che tutto fosse oro. Lucente. Perfetto. Il tempo modifica la prospettiva delle cose, temo. Però com'è difficile cambiare adesso casa, sapendo che nessuna nuova casa sarà comparabile alla precedente. E non si parla di affitti, non si parla di grandezza, metri quadri o bellezza. Si parla di cuore. Ed un pezzo del mio cuore (chissà quale e chissà quanto importante) rimarrà per sempre tra queste mura. Spero che il mio cuore abbia capacità di staminalità e possa rigenerare le parti mancanti. Ora mi sento solo a pezzi. Chissà cosa diresti tu se vedessi adesso questa nuova casa. Ti piacerebbe il letto? Hai visto che ora ho pure il condizionatore? Ma sono parole ed anche le parole a volte non bastano a riportare indietro il tempo. Vorrei solo avere il coraggio per andare avanti.
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Scrivo qui questa cosa per ricordarmela poi anche in futuro. Come fosse un promemoria, una luce sempre accesa, un'insegna luminosa per quando perdo la via. Ieri sera, mentre tornavo a casa dal lavoro, ho incrociato per strada una mia paziente. Che non è proprio paziente mia mia, nel senso che non appartiene a me, ma io e lei abbiamo condiviso assieme un percorso di cura travagliato: una prima linea di terapia, poi la recidiva, il ricovero per un trapianto durato un mese ed ora una nuova linea di terapia. L'ennesima. Probabilmente nemmeno l'ultima. Abbiamo condiviso un percorso che prima pensavo riguardasse solo lei ed ora ho capito riguardare anche me. Accanto al suo letto le chiedevo come stai?, e pure lei chiedeva a me come stai?. Con lei ho rivalutato lo stare male. Ho rivalutato le priorità. Ho rivalutato il sentire. E fuori dalle mura dell'ospedale non mi ero mai immaginato nessun paziente. Per me loro esistevano solo lì dentro. Poi però ieri sera ho incrociato questa ragazza nel centro di Padova e mi si è fermato il cuore. Qualcosa dentro me dev'essersi incrinato, qualcosa dev'essersi dislocato perchè da ieri non faccio che pensare ad altro. Ho pensato a quello che lei è indipendentemente dalla malattia. A tutto ciò che la rende lei. La sera fuori con gli amici, riempire un album di dipinti, ascoltare la Pausini o Ultimo ("Dottore, secondo lei posso andare al concerto di Ultimo?"), il ragazzo che l'ha ferita e poi quello che l'ha salvata. La vita è ciò che ti accade mentre eri intento a fare altri piani. I suoi, i miei, le cose che pensavo mi definissero ed invece erano solo vocaboli ai margini. Prima pensavo che la vita fosse tutto ciò che sta all'interno di un cerchio che da soli disegniamo; ciò che stava fuori era per me un qualcosa di lontano, di diverso, di profondamente sbagliato. Ora quel cerchio si è aperto da un pò, e com'è bella la vita fuori.
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Lenti a contatto, giorno 1.
I termini con cui poter definire i miei primi tentativi di posizionamento delle lenti a contatto potrebbero essere qualcosa come guerra-guerriglia-odio-kamikaze-cieco-mai più-non riuscirò più a metterle- non riuscirò più a toglierle. Ho visto un tutorial su youtube ed una ragazza diceva che, per riuscire a mettere la sua prima lente a contatto, ci ha impiegato più o meno quaranta minuti. Per andare al lavoro al mattino si sveglia almeno tre ore prima. Io sono riuscito a mettere la mia prima lente dopo trenta tentativi andati a vuoto. Ottimo!
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Di solito scrivo utilizzando la tastiera del pc. La trovo più immediata e rapida, più al passo con i miei pensieri che percorrono traiettorie alla velocità della luce. Ora però me ne sto seduto in Prato della Valle, poggiato ad un albero. Ne approfitto per scrivere col telefono qualcosa di getto e liberatorio. Che cosa poi? Forse non ho nulla da dire o forse quello che devo dire è dentro di me ancora una materia informe. Scrivere sarebbe precoce. Come stai Marco? A volte penso bene, a volte penso male. A volte al lavoro, mentre sono preso da tutt'altro, capita che F. mi torni in mente o che semplicemente io torni a pensare a qualcosa di quel che F. era per me. Anche solo ad un dettaglio, ad una virgola, ad un atomo insignificante. E allora la mia giornata precipita in un buco nero che attira e risucchia tutto. Nulla riesce a tirarmi fuori da lì. Ma prima o poi fuori mi ci ritrovo senza sapere come. Credo sia la mia condanna ormai. Dopo di te non sono più lo stesso. Dopo di te non sono più me. Qui in Prato della Valle la gente cammina veloce, sembrano avere tutti una direzione ed uno scopo. Ma dove vanno tutti? Come fanno ad essere così sicuri? Li osservo muoversi mentre me ne sto qui seduto e penso a cosa c'è di sbagliato in me. Cosa di diverso. A volte penso che quei buchi neri semplicemente mi portino ogni volta in un universo diverso dove io, spettatore, non posso far altro che vedere la gente andare avanti senza poterci interagire. Le nostre lingue sono diverse. La mia è da sempre stata quella della malinconia.
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Praticamente dieci anni fa ero allo stesso punto di adesso. Retrocedo invece di avanzare.
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Oggi M. mi ha detto che, in mezzo alla gente, io sono una persona magnetica. Chissà se attraggo o se respingo.
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Ho pensato a quanto le cose che consideravo di me speciali lo fossero poi davvero, o quanto invece fossero per me solamente una suggestione, qualcosa di soggettivo e interiore, di non reale. Pensavo "Questo mio sentire è un sentire diverso da tutti gli altri", e l'intensità con cui percepisco la vita è sempre stata per me un pò condanna ed un pò vanto. Pensavo fosse speciale la mia attitudine alla scrittura, le poesie che scrivo in piena notte, le canzoni che canto tutto il giorno, i balletti che faccio girando nudo per casa. Pensavo fossero dettagli che mi rendevano non dico unico, ma quantomeno speciale. Pensavo che qualcuno da fuori avrebbe amato queste mie particolarità, gli spigoli delle mie forme, la diversità che mi contraddistingue. Ora non lo so cosa penso. Qualcuno queste cose di me non le ha sapute comprendere. Così a volte vorrei sentirmi uguale agli altri, parlare di cravatte e bollette, uscire in disco la sera, ridere quando c'è da ridere, chiedere "Hai una sigaretta da offrirmi?" e non sentire, non avere intensità, non investire il cuore, non interrogarmi mai. Come sarebbe leggera la vita. Invece il mio cuore è mercurio che si addensa in profondità recondite, e mi condanna a vivere nell'ombra. Solo chi ha occhi abituati al buio potrà trovarmi.
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La strada che porta al mio lavoro, e che sempre percorro in bici, è una strada che costeggia la basilica principale, con i sanpietrini come asfalto, e che sempre tira diritta fino all'ospedale. Mai si incurva, mai devia. Così ci sono giornate in cui stanco mi dico "Che noia questa strada sempre uguale", e mi dico che forse potrei provare a imboccarne un'altra, magari quella parallela poco più in là, magari quella che sì è più lunga ma almeno mi darebbe in bici un brivido di novità. Forse mi stancherei uguale o forse no. Ma oggi penso di essere stato per te quella strada che porta al mio lavoro, quella che conoscevi a memoria, quella che ti ha sempre accompagnato e cullato; stanco, parlando di me, avrai pensato "Che noia questa strada sempre uguale". E poi la strada - che altri non era che io - hai preferito cambiarla. Che peccato, però, perchè com'è bella la mia strada che faccio ogni giorno quando in primavera si colora degli alberi in fiore!
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Mi sto sforzando di capire ma non sempre capire mi riesce facile. Spero che, in questo, il Cammino di Santiago mi venga in aiuto e che inserisca in me delle considerazioni nuove. Qualcosa che ha a che fare con l'idea che ho io della vita, della stabilità delle cose e del loro fluire, dei rapporti umani che a volte avvicinano e a volte allontanano. Prima ero fisso all'idea di qualcosa che dovesse essere perfetto, che dovesse durare nel tempo e se non durava nel tempo allora non era vero, allora non era reale, allora non era amore. Ora mi chiedo dove stia la verità. Mi ripeto che non siamo automi e che la nostra vita non percorre per forza una direzione lineare e diritta; mi convinco che a volte la vita ci mette davanti a degli incontri umani di cui dovremmo essere grati per il solo fatto di averli sperimentati. Per il solo fatto di averli vissuti. Per l'esserci lasciati trasportare, cambiare e crescere. Ho capito che l'eternità, se proprio esiste, è qualcosa che esiste all'interno di me, non fuori.
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Facebook mi ha ricordato che, nel 2014, scrivevo questo.
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Giorno 30 senza te.
Scrivo quest'ultimo diario senza sapere bene che dire. O come fare. Senza sapere bene cosa sarò da domani in poi. Come ci si lascia, per due come noi? Quali parole fanno adesso meno male, o quali sono adesso le più giuste? Vorrei saperlo ma dopo un mese come quello passato non ho più parole. Le ho spese tutte nei 29 giorni che hanno preceduto questo. Ora mi abbasso a raccogliere le mie cose, prendo zaino e valigie, mi guardo attorno per l'ultima volta e spegnendo la luce di questa stanza buia dico "Addio". Vorrei dire "A presto", vorrei dire "Arrivederci", ma l'addio sembra adesso l'unica strada percorribile. L'hai deciso tu. C'è però una cosa che tu qualche settimana fa mi hai detto e che ora sono io a dire a te, ed è questa: non credo di essere ancora pronto a lasciarti andare. Forse lo sarò domani, chi lo sa, ma adesso fa ancora troppo male. Mi sarei battuto per te fino all'inverosimile, ti avrei aspettato anche se aspettare significa soffrire e annullarmi. Non so se tu da me tornerai mai. Probabilmente tornerai dopo che avrai fatto l'amore con altri; probabilmente invece non tornerai mai. A letto la notte penso a tutte le cose che in questi anni abbiamo fatto assieme, a quanto siamo cresciuti, a quanto ci siamo mischiati e fusi; ai concerti dentro ai palazzetti, alle vacanze in montagna, alle pizze che tua nonna cucinava il Martedì e a quella volta che a tua nonna ho detto "Guardi che il 21 Febbraio, che sarà il mio compleanno, voglio che lei prepari una grande pizza solo per me"; penso a chi ti capirà adesso e a chi ti sopporterà; penso a chi siederà sul sedile del passeggero nella tua macchina che in autostrada sfreccia sempre troppo veloce; penso alle camminate in montagna, al piatto con uova-speck-patate, alla nottata in montagna passata a vomitare, al sushi che per non pagarlo lo nascondevamo dentro alle salviette, al nostro primo Natale passato assieme. Penso a tutto il bene che ti ho voluto e alla vita futura che avevo immaginato per noi: la tua casa nuova, quattro bassotti ognuno con il suo letto, tu la sera cucini ed io lavo i piatti. Mi sono chiesto a lungo, in queste settimane, cosa succederebbe se tu dovessi tornare; se tu mi aspettassi sotto casa e dicessi "Riproviamoci". La decisione sarebbe a quel punto la mia. So solo che domani sarà il mio compleanno e questo mi spaventa. Mi scriverai? Mi farai gli auguri ed io penserò "Ecco, mi fai gli auguri come fossero un contentino, così, giusto per dire di aver fatto la tua parte come due vecchi amici"; magari gli auguri non me li farai ed io penserò "Che stronzo". Non so quale sia il male minore, se riceverli o meno i tuoi auguri: so che mi arrabbierò uguale. Oramai non so più niente. So solo dove batte il mio cuore; dove batte il tuo non lo so più da un pò. Per cui a presto bocciolo. Arrivederci. O forse addio.
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Questo specchio praticamente riflette come sono io da un mese a questa parte: diviso, a metà, fatto a pezzi.
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Giorno 29 senza te.
Questa sarà la penultima cosa che scriverò pensando a te. Come un calendario dell'avvento siamo arrivati quasi alla fine di questo percorso. Ho deciso che prenderò tutte le cose che ho scritto in questo mese e le pubblicherò altrove (non qui dove nessuno mi conosce o mi segue); lo farò un pò per essere da stimolo per chi starà passando momenti come i miei, ma anche lo farò per C. o per M. o per S., quando mi faranno gli auguri di compleanno e chiederanno "Come stai? Come sei stato in questo mese?" ed io a loro non dirò niente. Non parlerò più. Esausto mostrerò quello che ho scritto in questo mese e dirò "Ecco, così è come sono stato in questo mese". Mi chiedo se lo leggerai anche tu: magari distrattamente, magari sotto al post del Fantacalcio su Facebook, magari scorrendo su Instagram uno di quei video di gattini che sempre guardavamo assieme prima di addormentarci la notte. Ma so che, se mai dovessi leggere tutte le cose che ho scritto in questo mese, capirai tante cose. Capirai quanto male sono stato, quanto ho provato a reagire e a sentirmi forte, a ricominciare, a trovare una motivazione diversa che non fosse quella di piangere o disperarmi o pensare a te; capirai che in questo mese non ti ho mai scritto ma di te ho scritto comunque ovunque; capirai che ti ho lasciato i tuoi spazi, che non ho insistito, che non ho voluto invadere; che ho ascoltato quella volta in cui mi hai detto "Credo che mi aiuterebbe stare qualche giorno senza vederci/sentirci" e sono stato bravo, ti ho preso in parola; capirai la solitudine estrema che mi hai lasciato addosso, il burrone in cui mi hai lanciato; ma anche il bene che ancora sento dentro. Credo che se in questo mese non mi hai mai scritto (nemmeno una virgola, nemmeno un "Ciao", nemmeno un "Mi manchi") significa che hai già qualcun altro. Spero sia completamente diverso da me. Pensarti con altri mi distrugge. A volte mi armo di coraggio e apro le nostre conversazioni di Whatsapp; riguardo le foto che ci siamo mandati, tutti i buongiorno e le buonanotti, le frasi dolci e le videochiamate; i messaggi audio non li ho più aperti tanto la tua voce la sento ancora ovunque. E poi per riascoltare quelli dovranno passare anni: ora come ora il coraggio che indosso non è abbastanza. Oggi andando in palestra ho incrociato una macchina tale e quale alla tua (lo stesso modello, lo stesso colore grigio metalizzato); ho pensato "Sei tu" ma poi non eri tu. Fortuna o sfortuna non lo so. Anche camminando in giro per la città alzo le spalle e mi guardo attorno, mi faccio trovare bello, mi sistemo i capelli alzando il ciuffo. Tutto inutile, perchè tu non ci sei.
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Giorno 28 senza te.
Oggi sarebbe stato il compleanno di mio papà, ma da sei mesi mio papà non c'è più. La mia vita degli ultimi mesi è costellata di strappi netti, di mancanze, di solitudini profonde. Qualche giorno fa con la mamma ci chiedevamo cos'avrebbe detto mio papà di te che te ne sei andato. A lui piacevi molto. Chiedeva sempre di te, delle tue giornate, di come stavi, "Ma quando viene a trovarci?", voleva organizzare con te ogni volta delle cene in compagnia. Cos'avrebbe detto adesso che tu non ci sei più? Stanotte ti ho sognato ben due volte. In un primo momento, nel sogno, c'ero io che ero venuto a trovarti a casa, ma a casa tua trovavo tuo fratello, tua cognata e tua nipote (una volta mi correggevi e dicevi sempre "Nostra nipote, non dimenticarlo"), mentre tu te ne stavi sempre in camera e a salutarmi non sei venuto mai; in un secondo momento ho sognato che tua mamma chiamava al telefono la mia per sapere come stava, e le diceva "Eh sì, ha lasciato Marco perchè adesso sta assieme ad un altro che si chiama Alessandro". Neanche a dirlo l'umore nero che mi trascino dietro oggi. Però sono 28 giorni senza te e tra tre giorni compirò trent'anni. Ho deciso che in quella data smetterò di scrivere di te. Basta così. Così penso che ho ancora tre giorni per dire quello che vorrei dire, o quantomeno quello che ho bisogno di ricordarmi per non incorrere nel bisogno di te. Mi hai detto "Ho iniziato ad avere dei dubbi su di te ad Agosto", ed io non faccio altro che pensare che ad Agosto mio papà è venuto a mancare. Abbandonarmi in quel momento di bisogno penso sia stato un gesto di egoismo e di cattiveria. Così adesso esco dal lavoro, mi vedo con una collega, vado in quella disco in centro, a giorni alterni frequento la palestra e incontro gente. Tu come passi le giornate? Davvero non pensi a me nemmeno un pò?
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