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ㅤㅤSuccede circa una volta al mese, nel giorno in cui è più fertile. Byunghun la fa stendere sul letto, cuscino sotto al ventre, le schiaccia la faccia contro il materasso e se lo mena fino a quando non raggiunge la consistenza adatta per adempiere ai doveri coniugali.
ㅤㅤ“Si è ammosciato. Vaffanculo.”
ㅤㅤTristemente, come un buon ciambellone che si sgonfia nel forno cinque minuti prima di tirarlo fuori, anche stavolta Byunghun si stropiccia gli occhi con una mano per non lasciar frignare il suo moccioso interiore, ora ritto davanti al letto. Sempre tristemente, con quell’ombra pesante del patetismo che gli piomba sui lineamenti severi, si inforca la sigaretta tra i denti e tenta, mosso da un impaccio familiare, di dissimulare la delusione.
ㅤㅤ“Non sarebbe comunque servito a niente,” le gambe di Innessa si accavallano tra le lenzuola intatte, sembra che non ci abbia scopato nessuno, lì sopra. I capelli le vestono la schiena, ma più di un abbraccio necessiterebbe di un antidolorifico. “Continui a volerlo infilare nel buco sbagliato.”
ㅤㅤ“Provo a ritardare l’inevitabile,” dice lui, con gli occhi la accusa di non essere l’oggetto del suo desiderio. “Ci stiamo provando da troppo tempo e tu stai invecchiando.”
ㅤㅤSe non fosse suo marito e Innessa non pendesse dalla lucentezza delle sue carte di credito, gli ricorderebbe che non è lei che sta sfiorando l’andropausa. “Possiamo provare a invitare Yongjun. Voi due fate le vostre cose e io mi godo le gambe della nuova cameriera per evitare di pensare a quali mostruosità stiano succedendo dietro di me.”
ㅤㅤ“No.”
ㅤㅤ“Essere eccitata mi faciliterebbe le cose.”
ㅤㅤDopo quattro anni di obbligata convivenza Byunghun non sa ancora apprezzare il suo genio. Lei un po’ prova ad addolcire quell’ammasso di risentimento che si lascia strizzare l’indice dal proprio nome, adesso oscilla in avanti col busto per afferrargli la mano, gli ruba una sigaretta e lo guarda dal basso, andiamo, sono diventati complici per l’ennesima volta, perché smette di essere intelligente quando si parla di sesso?
ㅤㅤ“Non riesco a restare duro con una donna, secondo te ci riesco con addirittura due che fanno cose davanti a me? E comunque Yongjun non accetterebbe mai di aiutarmi a concepire mio figlio.”
ㅤㅤNonostante i cinquant’anni, Byunghun ha ancora il pudore di censurarsi. Le piace questo lato innocente, pensa, l’imbronciarsi impercettibile della bocca quando osserva quella scena dall’alto, e per natura o per pregiudizio la rifiuta. Le labbra di Innessa sono impegnate a baciare il filtro della sigaretta, l’unica conquista che oggi porta a casa, impercettibilmente sorride.
ㅤㅤ “Proviamo con un uomo?”
ㅤㅤ “Cosa?”
ㅤㅤ Nel tempo ha imparato a percorrere, sulla punta dei piedi, la sottile linea di demarcazione tra quello che le è consentito vedere e quello che dovrebbe far finta di non capire. Lui è come il Laocoonte, con le ossa frantumate dal mostro dell’orgoglio e da quello del rimorso, di notte si sveglia urlando e lentamente sprofonda oltre la superficie dell’acqua. Per questa ragione sono poche le volte in cui dice la cosa sbagliata, ma dall’ombra che si abbatte sugli occhi di Byunghun, stavolta Innessa è scivolata.
ㅤㅤ Vorrebbe sospirare ma farebbe troppo rumore.
ㅤㅤ “Sei pur sempre mia moglie, Cristo.”
ㅤㅤ Si sta irritando. Oh, no. Innessa si gode un po’ di nicotina, rilassata sul materasso, pronta ad assistere all’ennesima scena inutile che non apporterà niente di nuovo al loro rapporto.
ㅤㅤ Quanto sono brutti gli uomini troppo orgogliosi.
ㅤㅤ “Che cazzo! Un conto è saperlo, un conto è vederlo.” Si sfila la sigaretta consumata dalla bocca e la butta a terra, ha chi pulisce al posto suo. “Come puoi chiedermi una cosa del genere?” I pantaloni tornano a stringergli il bacino, premendo sulle cosce definite. Le parole si inseguono rapidamente, le narici si allargano, oh, è chiaro quanto il cielo che sia irritato; peccato che sia anche curioso, forse disperato, perché continua a bloccarla sul letto con lo sguardo, lasciando riempire di silenzio la stanza.
ㅤㅤ “Chi chiameresti, poi?” Punto a Innessa, che inghiotte un mugolio soddisfatto. “Non guardarmi così—Non mi piacciono gli effemminati con cui giri, Innessa. Quasi preferisco vederti farlo con una femmina che con un maschio truccato.”
ㅤㅤ “Effemminati e donne sono l’ottanta percento delle persone con cui scopo.” Il novantacinque. “Ma posso trovare un uomo che ti piaccia.” Inginocchiata sul letto è alta quanto suo marito e, muovendosi, il vestito è tornato ad abbracciarle le cosce. Ora che l’intimità della nudità è stata eliminata, Innessa sa che Byunghun può smettere di sentirsi vulnerabile. “Un ragazzo atletico come piace a te. Giovane, forte, alto. Gli facciamo firmare un patto di riservatezza. Yongjun non deve saperlo, sai che tengo la bocca chiusa.” Quando gli afferra la mano, le falangi di lui si tendono nell’implicito desiderio di ritrarsi. “Sarà come farlo con lui, senza guardare me, come se io non ci fossi.”
ㅤㅤ Non ha mai visto suo marito abbassare lo sguardo e, in questo momento, le inchioda gli occhi addosso. La sta ascoltando. Per quanto gli piaccia pensare di essere in controllo, e per quanto ci riesca benissimo, si lascia quasi sempre sconfiggere dalla sua sfacciataggine. Lui non la odia: questo è sufficiente.
ㅤㅤ “E se lo facciamo tra due mesi, nascerà a gennaio come hai sempre detto di desiderare,” si preme le loro mani contro il ventre, “Tuo figlio.”
ㅤㅤ Le dita di Byunghun si rilassano tra le sue, quasi le carezzano la pancia, subito scappano. Quanto sono belli gli uomini spaventati.
ㅤㅤ Le rivolge le spalle e questo significa solo che la conversazione è chiusa. “Tu e le tue idee del cazzo.”
ㅤㅤ Innessa si chiede se lo abbia convinto, perché un figlio è l’ultimo e l’unico requisito mancante per assicurarle un’eternità nel lusso, e ne ha bisogno.
ㅤㅤ “Trova qualcuno di mio gradimento.”
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ㅤㅤLa linea morbida del polpaccio culmina nell’apice del ginocchio piegato, che torna a declinarsi nella consistenza tornita della coscia, il confine si delinea solo grazie all’elastico nero del costume da bagno. L’altra gamba è distesa, esibisce una linearità completamente rilassata, da quella posizione Seojin riesce a individuare lo spazio che si forma tra l’inguine e la stoffa. È una linea impercettibile, l’ombra nasconde qualsiasi dettaglio ravvisabile, ma è abbastanza per fargli desiderare di infilarci il naso. Le unghie affilate di lei danzano contro il gonfiabile, scavano nell’aria, se si impegnasse riuscirebbe a bucarlo e Innessa cadrebbe nell’acqua con un gemito acuto che le scomporrebbe quel muso da cagna russa che sembra far diventare duri tutti i cazzi su cui poggia le zampe.
ㅤㅤSe una persona gli si accostasse vicino, arrampicandosi sul suo lettino gonfiabile rosso, dalle Airpods capterebbe solo uno strimpellio lontano di chitarra. Se una persona, però, gli sfilasse almeno una cuffietta e la avvicinasse all’orecchio, si interfaccerebbe con la fragorosa brutalità dei Cannibal Corpse.
ㅤㅤLa canzone preferita di Seojin si chiama I cum blood. Tra le tante cose, parla di scopare il buco del culo marcio di un cadavere fino a sborrare sangue.
ㅤㅤAdesso Innessa solleva lievemente il busto per afferrare il cocktail che fluttua su un terzo gonfiabile, nel movimento flette l’addome e fa sparire quella sottile linea di vuoto che rappresentava l’unico modo per riuscire a farsi apprezzare da lui. In compenso si ritrova stringere le spalle, facendo sembrare quelle tette da troia ancora più grosse. Dal riflesso degli occhiali scuri, Seojin ravvisa una delle tante chat che la distraggono anche quando sono costretti a stare insieme. Come se lui non stesse assistendo a quel teatrino osceno, sua zia chiude le labbra attorno alla cannuccia, incava le guance, inghiotte il suo rum e cola con un rumore probabilmente fastidioso. Una volta finito, Innessa torna a sdraiarsi; ora, però, allunga anche l’altro ginocchio. Le pupille di Seojin, da dietro gli occhiali da sole, si fissano sulla forma delicata del delta di Venere.
ㅤㅤVuole ficcarci i denti e strapparle la fica a morsi.
ㅤㅤC’è quest’altra canzone, sempre dei Cannibal Corpse, che parla di sezionare con un coltello la fica fino al buco del culo e rigenerarsi col sangue che ne zampilla fuori. Di sicuro, il sangue di quella troia di sua zia è veleno.
ㅤㅤLei si sistema gli occhiali con la sola punta delle unghie, rilassa i muscoli dell’addome, torna a piegare il ginocchio. Seojin si volta verso i due uomini a bordo piscina, Byunghun e suo padre; il primo guarda verso l’alto, il secondo punta gli occhi su Innessa, le sta togliendo il pezzo sopra del bikini con la fantasia, glielo si legge in faccia.
ㅤㅤSeojin la odia. Vorrebbe solo che lei morisse, così tutti gli uomini che lo circondano smettano di pensare a quanto sarebbe bello scoparsela. Come se fosse difficile, poi, visto che di una puttana si sta parlando: bastano poche banconote per aprirle le gambe. Suo zio Byunghun non merita un’arrampicatrice straniera che va in giro agitando il culo in attesa che qualche pezzo di merda glielo deflori.
ㅤㅤInnessa si volta a guardarlo, muove le labbra per dirgli qualcosa. Sul volto austero di Seojin non si forma nulla, l’unico movimento che fa è quello meccanico di pigiare sulla cuffia e interrompere la musica. Allora, l’accento russo della puttana torna a disturbare la sua quiete.
ㅤㅤ“Что ты слушаешь?”
ㅤㅤ“Cosa?”
ㅤㅤI capelli di Innessa si perdono tra le pieghe del lettino gonfiabile su cui è sdraiata da trenta minuti. Lo guarda come si guardano i mocciosi irritanti, beffardamente. “Se seguissi le mie lezioni di russo sapresti rispondermi.”
ㅤㅤ“Mi sposerai quando lo zio morirà?”
ㅤㅤLei ha gli occhi indecifrabili e la bocca distesa in una linea retta, si muove sul confine di un’insolenza che non le ha concesso. Quasi sembra normale amministrazione che le venga posta quella domanda. Oltretutto, non lo sta prendendo sul serio, infatti non ci pensa due volte prima di rispondergli che “Quando Byunghun morirà, io sarò brutta e raggrinzita.”
ㅤㅤ“E se morisse adesso?”
ㅤㅤSeojin non capisce come una persona così piena di sé e insulsa possa riscuotere successo solo grazie a delle belle tette e un atteggiamento docile da escort dell’Est. Pensa di essere intelligente, di saper fare qualcosa, di avere il mondo tra le mani, addirittura di possedere una personalità che eluda l’essere una manipolatrice poco capace, quando invece è solo la bambola che suo zio Byunghun ha creato per darla in pasto a uomini come suo padre.
ㅤㅤ Senza Byunghun lei non esisterebbe. È una bolla di vacuità che ha avuto la fortuna di possedere belle gambe. Vorrebbe vederla morta solo per riesumare il suo cadavere e pisciarci sopra.
ㅤㅤ“Se desideri la donna degli altri a diciassette anni, mi chiedo cosa farai quando ne avrai quaranta.”
ㅤㅤ
ㅤㅤ
ㅤㅤ(A qualche metro di distanza, coi piedi ammollo nella piscina riscaldata, negli occhi di Byunghun opera un moto di tenerezza che si modella sull’immagine di sua moglie Innessa a contatto con suo nipote. È l’anticipazione della scena familiare di cui si vedrà protagonista molto presto. Accanto a lui, suo fratello Kangae, sfigurando con la postura scomposta e un volto paffuto, sghignazza sommessamente.
ㅤㅤ“Tu ti sei trovato la donna perfetta. Guardala, riesce persino ad andare d’accordo con il piccolo Seojin. Lui le vuole proprio bene.”
ㅤㅤInnessa non è affatto perfetta, ma con le loro imperfezioni insieme creano la combinazione vincente.
ㅤㅤ La sincerità si accoccola sulle parole con la leggerezza di una farfalla. “Sono un uomo fortunato.”
ㅤㅤ“Tuttavia,” E Kangae smette di essere gentile, “prima o poi dovrai subentrare tu come guida di Seojin: per ora è lui l’erede della famiglia e Innessa, per quanto formidabile, è pur sempre una una donna. Cosa può insegnargli?”
ㅤㅤ“Gli sta insegnando il russo, come maneggiare dignitosamente una pistola, l’equitazione, la caccia. Quel ragazzino sarebbe un cazzo di automa senza la guida di mia moglie.” Dopo quarantasei anni trascorsi l’uno al fianco dell’altro, Byunghun non capisce quali incastri genetici abbiano sfornato due fratelli tanto diversi. Sorridendo, Kangae scopre i canini placcati d’oro. È una delle forme più infime di essere umano che la Terra sia mai riuscita a vomitare, insieme a quel fantoccio inutile di suo figlio.
ㅤㅤ“Innessa dovrebbe insegnargli a maneggiare un altro tipo di pistola, eh?”
ㅤㅤ“Kangae,” Byunghun non lo guarda, è concentrato sulle colline mulibri del corpo rilassato di sua moglie. Il cipiglio altezzoso con cui lei lascia scorrere il dito sullo schermo del telefono, agli occhi suoi, è già racchiuso nella cornice materna con cui lui la percepisce. “Io e te siamo fratelli, ma non abbiamo scelto di essere amici.” È, prima di essere sua moglie, la futura madre di suo figlio. Assapora quelle due parole tra le labbra, le ricalca mentalmente, cucendole sul nome con cui si è intrappolato il dito indice nella promessa dell’eternità. “Questo significa che se dovessi fare un’altra osservazione del genere su Innessa, farò in modo che il tuo culo flaccido e quello minorenne di tuo figlio vengano scopati a forza con quell’altro tipo di pistola che ti stava facendo tanto divertire.”)
ㅤㅤSeojin presta una cuffietta a Innessa e le dedica la sua canzone preferita del suo gruppo preferito, i Joy Division.
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Varvara ha gli occhi più belli del quartiere. Hanno la forma affilata dell’Asia, ma il colore screziato del cielo, e ciglia così lunghe e folte da ripararle gli zigomi in caso di pioggia. Sua sorella inizia ad assomigliarle a quattordici anni: se ne accorge dallo schiocco di lingua contro il palato che sa di contrito, al supermercato sotto casa, in cassa sta rovistando tra gli smalti in offerta e non trova quello nero. Lega i capelli altissimi come lei, ha la postura dritta e col bacino leggermente inclinato in avanti come lei, a quattordici anni è già alta quanto lei, ma a differenza sua già rifiuta di indossare il reggiseno e si lascia guardare il petto dal figlio carino del proprietario dell’alimentari. Varvara ha sedici anni e nasconde la paghetta mensile tra il materasso e la rete del letto, compra solo le sigarette e le lamette per depilarsi.
“Ti serve davvero tutta quella roba?”
Smalto, lamette, crema per il corpo, un paio di mutandine nuove in cotone, colluttorio. Le sigarette finirà per rubarle a lei. I soldi della paghetta sono già andati. Innessa è così certa dei suoi acquisti che la scaccia via con la mano come se ronzasse una mosca fastidiosa, poi usa quella stessa mano per salutare il figlio del proprietario, che le regala metà delle cose.
“È che oggi Jackie dorme da noi.”
Lo stereotipo che descrive i secondi figli come degli svitati è vero. Innessa è un gran casino. Varvara è costretta a ficcare la testa sotto al cuscino per non ascoltare i gemiti di sua sorella quattordicenne mentre perde la verginità con la figlia dei vicini, che si è rasata tutti i capelli e pretende di essere trattata come un maschio. Jackie è un nome del cazzo. Se sua madre e Pavel non fossero troppo impegnati a giocarsi gli ultimi spicci ai grattavinci ora non starebbe a lei dirle che scopare con una ragazza non le fa buona pubblicità in giro, e che forse è l’occasione adatta per non crearsi una pessima reputazione come quella che hanno tutte le donne della famiglia.
“Ma Jackie non è una femmina,” Innessa lo dice accendendosi una sigaretta con quell’atteggiamento da mocciosa che pensa di essere già grande, “E comunque sono sempre figlia di nostra madre. Prenditela con lei se sono una troia.”
Le cinque dita stampate sulla guancia la fanno piangere per due ore sull’altalena nel parchetto desolato del quartiere. Varvara le compra un accendino coi fiori rosa per farsi perdonare, ma quando Innessa rientra in casa non è sola, accanto a lei c’è il figlio del proprietario del supermercato. Ha ventidue anni e gli manca un dente nell’arcata inferiore. Improvvisamente le dà il voltastomaco.
“Che ci fa lui qui?”
“Vieni a guardarci già che ci sei, no?”
Non ha bisogno di infilare la testa sotto al cuscino, stavolta gli unici gemiti che rimbombano oltre la parete hanno timbro maschile e durano due minuti. I sensi di colpa le fanno vomitare la solita brodaglia di patate e barbabietole che Innessa le infila sotto al muso pensando di aver preparato il piatto del secolo. Non ne parlano mai, due giorni dopo tornano a litigare sul marciapiede sotto casa su chi deve rubare le sigarette a Pavel perché hanno finito i soldi. Perde Innessa. Pavel ronfa talmente tanto, rincoglionito dal suo stesso tanfo di alcol scadente, che nell’operazione riesce pure a sfilargli cinquecento rubli.
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“Di cosa ti vergogni? Sono tua sorella, ti ho vista nuda più volte di quante non avrei voluto. Mi incurisisce. Dai, Vara. Dai. Dai. Dai. Smettila di essere così timida. Dai. Vara.”
Ha incontrato Natalya all’università. Sono bastate un paio di settimane per diventare amiche e far scoprire a Varvara il mucchio di soldi che si guadagnano allo strip club. Altrettante settimane sono bastate per imparare le basi della pole dance e arrampicarsi su un palo l’ha aiutata a spostare i suoi risparmi in un conto bancario, più sicuro delle molle del letto. Innessa ha diciassette anni e vuole vederla all’opera, ché non ci crede che una perfettina come sua sorella maggiore possa spogliarsi davanti a fior di uomini allupati. Non smette di vivere la vita come se fosse un gioco. Al liceo i suoi voti sono disastrosi, è stata sospesa perché ha picchiato la ragazza di un tipo con cui è andata a letto (“è stata lei a minacciarmi per prima”), continua a spendere i soldi in sigarette, smalti ed è passata alle strisce depilatorie. Più volte Varvara ha provato a convincerla dell’importanza della scuola e del risparmio, ma in tutta risposta s’è beccata un bacio sulla guancia, “Lo so, ti voglio bene, ma sono stupida”. Quando Natalya apre la porta del suo monolocale minuscolo, in cui l’unico dettaglio sfavillante che troneggia è il palo da pole dance nel bel mezzo del salotto, Varvara si pente di essersi fatta convincere dallo sguardo stranamente dolce di Innessa, che trascorre la prima mezzora con gli occhi spalancati sul culo della sua amica. Un santo invisibile la trattiene dal fare una scenata quando la vede balzare in piedi e chiede di poter provare anche lei, almeno il Fire man, “sembra divertente, andiamo, Nat.”
Varvara detesta la facilità con cui si appropria dello spazio. Al tempo stesso, quando Innessa non s’impegna per metterla in imbarazzo, sa essere anche carina. Anche se non vorrebbe, vedendola frignare perché non capisce dove mettere le mani, un po’ si diverte. E non appena riesce ad arrampicarsi fino a su, cogliendo il gioco alternato dei piedi senza far eccessivamente leva sulle braccia, scatta ritta per applaudirne il traguardo. Eccelle sempre negli sport, difatti ora ha il sorriso trionfante della conquista, si destreggia sul palo come se lo facesse da tutta la vita, Natalya l’adora, urla al prodigio.
“Perché non provi a farti una serata da noi?”
“Io?”
Questi sono i momenti in cui Varvara ama essere la sorella maggiore, perché Innessa cerca nel suo sguardo il consenso di accettare.
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Nella prima serata, Varvara guarda sua sorella minorenne intascare più mance di chiunque altro abbia mai solcato lo squallido palco del Carrousel. La sera stessa, entrambe ubriache, corrono a tatuarsi la follia di quel venerdì sulla pelle. Il lunedì Innessa molla la scuola, dice che ha trovato la sua strada. Strada? Spogliarti sarebbe la tua strada? No, i soldi lo sono, sono la strada di tutti, pure la tua, anche se fai finta di essere migliore di chiunque altro. Le cinque dita che Varvara le stampa sulla guancia non la esiliano in lacrime nel parchetto, bensì a casa di Natalya, da cui verrà trascinata via per i capelli tre giorni dopo. Innessa, mamma mia che imbarazzo.
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“Mi devi sostituire al locale, devo finire la tesi.”
“Non ti interessa dei miei impegni?”
“Andare al luna park con Ivan non è così importante.”
Sebbene ormai abbia ventidue anni, Varvara ancora non si fida del tono ragionevole con cui Innessa maschera le sue intenzioni. E il fatto che abbia sparato l’unico nome maschile di cui avesse memoria e lei non abbia detto nulla, con tutta la probabilità che abbia errato, la fa insospettire circa la serietà dei suoi impegni. Innessa non ha mai vissuto una vita di responsabilità, Varvara sbaglia a fare affidamento sui suoi occhi spenti.
“E per quanto dovrei fare gli straordinari?”
“Una settimana. Per favore?”
In quella settimana un paio di coreani dall’aria abbottonata diventano abituali del Carousel. Uno in particolare incarna il gossip principale delle ragazze per la sua richiesta insolita di avere quella più alta negli spettacoli privati. Varvara non c’è, tocca a Innessa. Gliene parla come un bell’uomo che non mastica bene il russo, ma il secondo giorno torna a casa con un mazzo di rose, il terzo con una collana di rubini ed è già diventato l’uomo più incantevole del mondo, il quarto sostituisce la pelliccia di visone della nonna che si litigano per le occasioni speciali con una nuova di zecca, “Puoi prenderti quella quando vuoi.”
“Non ti dovresti fidare di uno sconosciuto che ti regala tutte queste cose e nemmeno ti scopa.”
“Sei solo invidiosa. Se ci fossi stata tu non avresti fatto troppe storie.”
Varvara guarda con preoccupazione la vanità di sua sorella, accecata dallo sfavillio delle pietre che le pendono dal collo. Il decimo giorno, uno smeraldo è avvinghiato all’indice, precede la voce eccitata di Innessa, “Mi ha chiesto di sposarmi!”
“Cosa?”
“Hai sentito bene. Mi sposo!”
È impossibile prendere sul serio una come sua sorella, ma col passare dei giorni l’armadio si riempie di vestiti, aumenta il tempo che Innessa trascorre nella sola, pura contemplazione di se stessa, persino il modo con cui pronuncia alcune parole è cambiato, misurando la gestualità esagerata, sciogliendo più spesso i capelli, indossa le scarpe col tacco anche al di fuori del Carousel.
“Quel portafogli costa più dell’affitto.”
“Lo so!”
“Ma hai sempre detto che spendere troppo per un portafogli è un controsenso.”
“E tu hai sempre detto che si tratta di un ragionamento stupido, quindi qual è il problema, Vara?”
ㅤㅤㅤㅤ
ㅤㅤ
Varvara ha gli occhi più belli del quartiere, ma per la prima volta accarezzano la figura ingombrante di Innessa sporcati dall’invidia, si addensano definitivamente di rabbia mentre afferra la mano a Byunghun, l’uomo dei sogni nel suo completo Armani e la colonia che promette il paradiso. Si stringe Innessa al petto come se incarnasse la donna ideale e finalmente lui l’avesse trovata in una bettola a San Pietroburgo, guarda te la casualità del destino, e lei gli carezza il polso come se non stesse tastando quei quarantamila dollari di Rolex che tanto le fanno gola. È una scena patetica. E si sente patetica Varvara che fa sfoggio della sua intelligenza per ammaliare l’uomo di sua sorella, gli mostra i successi universitari, tira in fuori il petto, parla di filosofia, ma tace quando Innessa, con un’unica sferzata velenosa, la ammonisce: “Smettila di fare la troia.” Persino il cameriere, le sta versando da bere, per un momento trattiene il fiato. Varvara, in quel momento, vede Byunghun innamorarsi di Innessa. Pensa che solo un uomo cattivo può innamorarsi di una donna che calpesterebbe sua sorella per i soldi. Di una donna stupida, insignificante, cattiva come lui, che prende la vita poco sul serio. Deve essere un uomo cattivo, un uomo che non ha rispetto per il genere femminile, probabilmente un uomo pericoloso. Innessa farà una brutta fine. Se lo ripete sulle labbra fino a quando non ne deforma il suono, ma non ci crede nemmeno lei: la verità è che Innessa ha preso il suo posto, quando Varvara impegnava il suo tempo per uno scopo più dignitoso del rotolarsi tra le lenzuola con qualche sconosciuto di merda. E ha intenzione di stare da Natalya tutto il tempo che occorre, ha già in mente di tirar fuori il borsone e ficcarci la vecchia pelliccia di montone di sua nonna, ma quando entra nella loro stanza è Innessa quella che sta preparando i bagagli.
“Cosa stai facendo?”
Innessa non la guarda, è veloce nei movimenti, infila collane d’oro nel fondo della borsa come se fossero calzini. “Stasera parto per Seoul.”
Quello che Varvara non capisce è come Byunghun possa essere cieco alla brama che infuoca gli occhi di sua sorella. È accecato dalla sua bellezza? Ma se così fosse, lei non è forse più bella? “Non dirai sul serio.” Innessa non risponde. “Non stai dicendo sul serio.” Si porta via persino la lattina di birra vuota che hanno rubato per il design carino del birreficio. “Innessa, mi guardi?” È il turno del CD di Alla Pugacheva. “Non puoi andare dall’altra parte del mondo con uno sconosciuto, cazzo! Innessa! E se fosse un trafficante di organi o di ragazze?” I polpastrelli di Varvara scottano quando si avvinghiano alle braccia di sua sorella, ma in tutta risposta si vede respingere dall’oblio degli occhi vitrei di Innessa. Ha labbra così ostili che a vederle adesso sembra non abbiano le abbiano mai dedicato un sorriso, e pugni talmente serrati che rischia di ferirsi i palmi delle mani. La voce di Varvara trema, ha paura di sfidare un silenzio che sembra più confortante della risposta incagliata tra le ciglia di sua sorella. “Mi vuoi lasciare qui?”
Innessa non distoglie lo sguardo quando chiude la zip del borsone. È fluida, come se avesse ripassato quella scena mille volte prima di renderla reale. “Goditi i risultati di cui ti sei vantata tanto col mio uomo. Perché vuoi venire con una sciocca come me, se Byunghun è così pericoloso?”
“Non mi puoi lasciare con mamma e Pavel.”
“Indovina? Posso.” Innessa inforca il borsone sulla spalla, “E lo sto facendo.”
Quello è il primo pianto di tutta la sua vita. Varvara singhiozza come una ragazzina, i suoi ventiquattro anni sembrano una bugia, prova ad afferrarle un braccio ma viene rifiutata. “Ti prego.” Adesso è questa la parola che perde di significato, tante sono le volte che la ripete. “Innessa, non mi puoi lasciare qui.” La segue per il corridoio, di nuovo sua sorella si districa dalla sua presa, non la guarda in faccia. “Perché fai così? Perché adesso mi odi? Innessa!”
“Smettila di seguirmi!” Innessa punta i piedi sul ciglio della porta, la mano appoggiata allo stipite, la voce alta riecheggia nel piccolo salotto dell’appartamento. “Mi hai sempre vista come una troia buonanulla e adesso vuoi prenderti i frutti dell’unica cosa che ho sempre saputo fare bene, Vara? Non ti porto con me perché non te lo meriti. Rimarresti in Russia con o senza di me. E io non posso rischiare di essere privata della mia fortuna perché tu sei una stronza che ha sempre avuto troppa dignità per vivere come ho vissuto io.”
Varvara non riconosce Innessa, e non perché lei sia sempre stata buona, ma perché con lei non è mai stata cattiva. “Io mi spoglio proprio come fai tu.”
“Già, tu ti spogli.” Innessa le spinge il dito contro al petto. “Ma lo fai come se la tua fica valesse più della mia e di quella delle altre ragazze. Beh, come vedi non vale un cazzo, perché Byunghun vuole solo me a Seoul, e io non sprecherò la mia opportunità per te.”
Varvara si stringe la sua stessa mano contro il cuore, le guance sono zuppe. Innessa non può abbandonarla nella miseria. Semplicemente, non può farlo. “Sono tua sorella. Ti voglio bene. Avevamo—”
“Io sono più importante di qualsiasi altra cosa, anche del bene che ti voglio.” Innessa le schiaffeggia via le dita. “Mi metterò sempre al primo posto.”
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Il primo momento più bello della vita di Varvara è quando vince la borsa di studio per la facoltà di veterinaria a San Pietroburgo. Il suo secondo momento più bello è quando sua sorella Innessa spende la paghetta di un mese per un boquet di tulipani da regalarle e le dice Congratulazioni, almeno ce ne andremo via insieme.
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ㅤㅤDohyun giustifica il suo insuccesso con le donne con tre motivi: il corpo gracile che sembra non abbia ancora sviluppato, nonostante i suoi trentacinque anni; il suo stacanovismo; la ragione dietro al suo stacanovismo, vale a dire la moglie straniera del padrone di casa.
ㅤㅤSarebbe errato dire sia caduto vittima dell’espressione deliziata della signora Innessa quando assaggia uno dei suoi piatti, o delle dita morbide che gli pizzicano l’avambraccio nell’attirare la sua attenzione per domandargli se si prepari così un Moscow Mule. È solo fisiologico che ogni uomo eterosessuale, prima o poi, a furia di vedersi sfilare d’innanzi gli occhi quelle gambe chilometriche, si interroghi sulla sensazione dell’averle strette attorno ai fianchi. È solo naturale, ancora, che ogni uomo romantico come lui, prima o poi, a furia di imbattersi nei suoi occhi vuoti, fantastichi su tutti i modi possibili per renderla felice fino all’ultimo dei giorni spesi insieme.
ㅤㅤ“Innessa dovrà essere stesa a terra. Dietro di lei voglio che ci sia un leone. Io sarò qui, in piedi, e dovrai lasciare uno spazio vuoto a quest’altezza in modo tale da riempierlo quando nascerà nostro figlio. Voglio che il messaggio sia chiaro: le donne come pilastro della famiglia, pertanto in basso, con l’uomo che abbraccia la novità e benedice il futuro tenendo in braccio l’erede. Il leone sottolinea il ruggito della nostra dinastia, ma vorrei che al mio fianco apparisse quieto, domato. Chiaramente.”
ㅤㅤIl signor Byunghun, per cui lavora da due anni, gli ha fatto firmare un patto di riservatezza prima di assumerlo: peggio della bancarotta che rovinerebbe lui e la sua famiglia nella mancata adempienza, ci sono solo tutte le occasioni in cui lo ha visto sfilarsi gli onnipresenti guanti neri e sporcarsi le mani. Lo fanno sembrare un maestro d’orchestra mentre gestisce la scenografia per l’ennesimo ritratto che li vede come protagonisti: sostituirà quello appeso nella sala principale. Anche il pittore è sempre lo stesso, un uomo dai capelli brizzolati e l’aspetto da bohemien francese. Sono amanti: li ha visti unirsi nella piscina al suo terzo giorno di lavoro, dalle porte scorrevoli di vetro della cucina; gli erano tremate le labbra al punto che, all’arrivo di Innessa, quasi sembrava essere stato lui ad averla tradita. Non era nemmeno riuscito a salutarla nel suo balbettare confuso. Ma lei aveva lanciato loro un’occhiata, riempito un bicchiere di succo all’ananas e, augurandogli una buona giornata, si era lasciata rapire nuovamente dal piano di sopra.
ㅤㅤLa cucina è il punto di comando della mansione: garantisce un’ottima visuale sulla piscina, che declina nell’entrata esterna del seminterrato, e regala un ampio scorcio sulla sala principale, dove ora il signor Yongjun abbozza su tela l’imperscrutabilità di entrambi i volti.
ㅤㅤ“Byunghun, tesoro, allora… Hai parlato a Yongjun di Sharm El Sheikh?”
ㅤㅤNonostante l’abbia vista saltellare nuda per casa infinite volte, e altrettante infinite volte a malapena coperta dal bikini, la scollatura vertiginosa del tubino rosso fa girare la testa a Dohyun, che non capisce come possa lasciare impassibile il signor Byunghun. Ma lui è impassibile sempre, anche quando sceglie di usare il tavolo della sala da pranzo come nido d’amore con uno dei suoi innumerevoli amanti.
ㅤㅤ“Sharm El Sheikh?”
ㅤㅤ“Innessa vuole andare in Egitto.”
ㅤㅤ“Con me?”
ㅤㅤ“Con noi.”
ㅤㅤÈ intollerabile la fermezza con cui il signor Byunghun riveste di idiozia ogni idea di Innessa. Dohyun lavorerebbe in altre dieci case pur di accontentare ogni capriccio di quella donna, ma il suo sguardo acquista di senso solo quando afferra quello fuggevole del marito e, solo in quell’istante, la sua infinita coda di cavallo smette di agitarsi come quella dei gatti quando sono infastiditi.
ㅤㅤ“Ho voglia di prendere il sole con i due uomini più importanti della mia vita. Ho immaginato questa scena in cui io mi abbronzo nuda, Yongjun mi dipinge con le piramidi in lontananza e Byunghun recita ad alta voce le poesie di…”
ㅤㅤ“Ci vuole con lei solo perché non può lasciare il paese senza il mio permesso.”
ㅤㅤIl pittore è spettatore quanto lo è Dohyun, ed entrambi assistono al volto di Innessa trasfigurarsi. È talmente veloce a sollevarsi che quasi non sembra stia in equilibrio su tacchi spropositati, e a discapito della rabbia che le persevera addosso, l’accento dell’Est si rende protagonista sibilando basso, un’anomala lentezza incide le parole: “Non è vero. Smettila di mettere in dubbio ogni cosa che faccio. È così difficile da credere che io voglia stare con voi?”
ㅤㅤ“Siediti.” Innessa rimane ferma dov’è. “Non farmi ripetere.”
ㅤㅤDohyun non ha mai visto Innessa disobbedire al signor Byunghun, ma si è reso spesso spettatore delle unghie affilate che sventrano i suoi stessi palmi. L’immagine è sempre la stessa, e sempre gli stessi sono il vermiglio del vestito di lei, il velluto nero dei guanti di lui, l’argento della barba del pittore.
ㅤㅤ“Ti sto chiedendo una cosa. Altrimenti mandami da sola. O con Yongjun, io e—”
ㅤㅤ“Non ti darò l’occasione di fare la puttana in Egitto: te ne rimane ancora qualcuno da scoparti qui a Seoul. Pochi, ma ce ne sono. Devi restare dove posso controllarti. Ora siediti.”
ㅤㅤSe non fosse inetto al punto da ritornare con gli occhi sulla carne da disossare ad ogni tuono della voce del signore, Dohyun lascerebbe la cucina e gli direbbe che Innessa si intrattiene con altre persone solo perché quell’uomo non le dà le attenzioni che merita. Se lei stesse con lui, per esempio, non avrebbe bisogno di guardare altri. Le iridi gli tremano quando torna a spiare la scena.
ㅤㅤ“Quando ti comporti da marito geloso io non ti capisco.”
ㅤㅤ“Quindi sei sciocca al punto da pensarti degna della mia gelosia.”
ㅤㅤÈ quasi disarmante la sfrontatezza con cui lei gli poggia il ventre sulla punta del pugnale e avanzi per sentirla sprofondare nella carne: “Perché no?”
ㅤㅤByunghun non distoglie lo sguardo da quello del pittore, e non perché cerchi in lui un qualche tipo di consenso, bensì per offrirgli il profilo migliore da immortalare: “Sarebbe difficile per chiunque essere geloso di una tossica borderline come te, mia cara Innessa.”
ㅤㅤGli occhi di Dohyun si incollano alla carne cruda ancor prima che il ticchettio frenetico prologhi l’avventarsi indiavolato di Innessa in cucina; non è coraggioso abbastanza da voltarsi e imbattersi nell’affannarsi feroce della sua bocca, un tirare su col naso che starà di certo scuotendo l’armonia della sua schiena, “Preparami qualcosa da bere,” la voce spezzata, qualcosa che striscia su una superficie, di sottofondo l’alternarsi furente del pittore e quello atono del signore.
ㅤㅤ“L’hai fatta piangere, spero tu ti senta realizzato.”
ㅤㅤ“Innessa non sa piangere. Vuole solo che tu vada da lei a consolarla e torni da me per convincermi a partire.”
ㅤㅤ“Perché devi trattarla sempre così, Byunghun?”
ㅤㅤ“Lei stessa avrebbe ucciso per ottenere quello che ha adesso. Tu sbagli a volerla trattare come se fosse nostra figlia. Non è Duna, mettitelo in testa.”
ㅤㅤDohyun si sente un po’ meno codardo quando si volta per recuperare la bottiglia di rum nello scaffale sopra il frigorifero, tuttavia si sente meschino per lo sfrontato desiderio di imbattersi nelle lacrime di Innessa, che nessuno ha mai visto segnarle le guance. Ha giusto il tempo di vederla sfregarsi il naso, la carta di credito abbandonata vicino al telefono con lo schermo rivolto l’alto, che lei scivola in veranda e si fa inghiottire dall’oscurità del seminterrato. Per alcuni minuti, tutto tace. Il pittore non dice nulla, Byunghun nemmeno, di Innessa nessuna traccia. È una quiete strana, l’atmosfera si addensa e sulla pelle diventa viscosità appiccicosa. La melodia delle sue scarpe appuntite la annuncia nuovamente, seguitata da uno sparo e l’infrangersi di un vetro. Dal cielo cadono lame appuntite come fossero pioggia. Dohyun si afferra il polso con la mancina mentre cerca di centrare il fondo del bicchiere, il corpo aggredito da una paura familiare.
ㅤㅤ“Ma che cazzo, Innessa!” Il grido del pittore non ha nessun effetto sulla furia russa dall’infinita chioma corvina, che chiude un occhio, fucile inforcato sotto al braccio, e si sfoga sulle finestre del secondo piano. “Byunghun, dille qualcosa! Cazzo! Potrebbe colpire qualcuno!”
Deglutire è difficile, Dohyun pecca di salivazione. Il cartone del succo all’ananas è instabile tra le sue dita.
ㅤㅤ“Lascia pure che si sfoghi, Yongjun. Le fa bene. A non farle bene sarebbe cedere al suo intento solito di attirare l'attenzione. In ogni caso, il mondo non si stravolgerebbe se venisse a mancare uno dei nostri domestici.”
ㅤㅤMentre altri due colpi risuonano secchi nell’aria, Dohyun strizza gli occhi e aspetta che tutto questo finisca. Non è la prima volta che capita. Ha il suo epilogo sempre dopo un paio di minuti, qualche urlo, l’indifferenza imperiosa del marito e la fuga di sua moglie. Quando Innessa lancia il fucile davanti alle ampie vetrate della cucina, non può fare a meno di accostarla ad un gatto che regala al padrone il cadavere di una lucertola sullo zerbino. C’è ancora silenzio. E sebbene si senta uno smidollato mentre shakera la Piña Colada più buona che abbia mai preparato, il culmine dell’idiozia risiede nella genuinità del suo sorriso che si forma raggiungendo la sua signora nell’altra sponda della piscina. Sembra abbia messo distanza di sicurezza tra lei e la cattiveria di Byunghun. La trova in equilibrio sui talloni, le dita immerse nell’acqua, i capelli come una cascata corvina sulla schiena.
ㅤㅤ“S-Signora, il vostro…”
ㅤㅤ“Oh, tesoro. Grazie.”
ㅤㅤLei si alza, lo supera di una ventina di centimetri, ha le pupille dilatate e un sorriso rosso che gli fa incendiare il bassoventre. Non l’ha mai guardato come… Non l’ha mai guardato e basta, Innessa, ché una come lei non si preoccuperebbe nemmeno di ricordarsi come si chiama anche dopo dieci volte averle ripetuto il proprio nome. Dohyun deglutisce, è solenne mentre le porge il bicchiere, che lei afferra e distrugge lanciandolo distrattamente verso le carcasse delle finestre. Lo inchioda sul posto il suo ancheggiare felino, il profilo delle unghie aguzze rischia di graffiargli uno zigomo quando gli piombano in volto, le labbra cremisi di lei lo distraggono dall’incavo dei seni, è un patetico farfugliare l’unica difesa che innalza.
ㅤㅤ“Signora, cosa…”
ㅤㅤ“Scommetto che te lo sei menato innumerevoli volte immaginando a come sarebbe scoparsi la moglie di Jung Byunghun.”
ㅤㅤDohyun non può rispondere. Il suo corpo non reagisce, è rigido, il sangue affluisce dappertutto come se gli organi stessero per implodergli da un momento all’altro. Prova a raffazzonare una risposta, recupera lettere a caso che non costruiscono nessuna proposizione funzionale, solo gli occhi scattano e si assicurano che nessuno li stia osservando dalla cucina, non muove nemmeno il collo.
ㅤㅤ“Ti sarai chiesto quanto bene lo possa succhiare una puttana russa per arrivare fino a qui. O mi sbaglio, tesoro?”
ㅤㅤSi sbaglia—Non si sbaglia, se l’è chiesto così tante volte da aver dimenticato la prima volta in cui l’ha pensato, eppure prova a scuotere la testa, ci prova davvero, ma la mano di Innessa gli striscia tra le cosce e Dohyun si lascia andare allo squittio più ridicolo che abbia mai sentito. Non è in grado nemmeno di imbarazzarsi. Innessa arcua un sopracciglio e gli sorride, “Immagino sia arrivato il momento di risponderti,” e prima che possa fare qualsiasi cosa, dire di no (dire di no?), lei si inginocchia, gli sbottona i pantaloni, è tutto un dita che si inerpicano sotto la stoffa e labbra che schioccano contro la pelle. Le mani di Dohyun restano contratte nell’aria come se toccarla significasse far scomparire in una nuvola di fumo l’illusione, e sembra che quei venti secondi di estasi durino venti minuti, con lei che lo guarda dal basso e se lo porta sulla lingua. Ma i suoi occhi smettono di cercare i propri, Dohyun segue la direzione del suo sguardo non prima di aver colto il capriccio di un ghigno insidiarsi sulla mascella affilata. Il momento in cui il calore della bocca di Innessa lo travolge coincide con l’orgasmo schifosamente rapido che gli inarca la schiena, ma anche col sollevarsi del dito medio di Innessa verso la veranda, infine col raccogliere da terra il fucile di un Byunghun apparentemente lontano, che lo inforca sotto all’ascella e strizza un occhio per centrargli il volto.
Finalmente, le dita di Dohyun trovano conforto nella lunga coda di Innessa.
ㅤㅤ
ㅤㅤ
ㅤㅤ(“Innessa, cosa diavolo stai facendo?”
ㅤㅤByunghun solleva lo sguardo dal proprio libro per osservare l’interazione tra sua moglie e l’uomo che ama. Innessa ha la bocca spalancata e conta la quantità da versarsi sulla lingua alzando dito dopo dito, il contagocce dello Xanax pende sul viso come la lama di un boia.
ㅤㅤ“Tesoro, ma secondo te riesco a resistere diciassette ore di viaggio con voi due? Io dormo, voi potete anche scoparvi a vicenda tutto il tempo.”
ㅤㅤL’intimità del jet privato si lascia colmare da una lontana melodia jazz, che accompagna Byunghun inginocchiato davanti al sedile di Innessa. Le appoggia gli avambracci sulle cosce, lei lo guarda col sorriso da mocciosa che lo ha fatto infatuare quel dì a San Pietroburgo.
ㅤㅤ“Sei contenta, mia cara?”
ㅤㅤ“Sarà una delle settimane più belle della mia vita.”
ㅤㅤRecupera dalle dita affusolate di sua moglie la bottiglietta di Xanax, vi infila il contagocce, lo ricarica. Yongjun sta trovando certamente tenero il modo in cui lei gli accarezza i capelli. “Apri la bocca: quelle che hai preso non bastano per diciassette ore.”)
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ㅤㅤNove centimetri di tacco, suola in vitello, comprimono il piede in un arco squisito che raggiunge il suo massimo al centro della pianta, prima di declinare dolcemente nell’agio restituito alle dita, staccando l’ago del compasso solo ad un quarto di diametro tracciato. A glassarle le unghie, un verde smeraldo cattura la luce che spezza l’uniformità del colore trasversalmente, come uno schizzo di pittura bianca alla Pollock. Le diramazioni delle dita sono solo ombre leggere sotto il derma, attraversano il delta del piede fino al raggiungimento caviglia sottile, imprigionata da un cinturino in capretto luminescente. Ad eccezione delle dita e della pianta, a qualche centimetro di stacco dal ginocchio, mettendo coraggiosamente in ombra i muscoli guizzanti dei polpacci, la cascata di sottilissimi filamenti dorati conquistano lo spazio dal basso, la spinta gravitazionale li fa pendere dalla pelle come colate di miele che ne deliziano la tonalità ambrata. Lei si regge su due torri di marmo regolari, precisamente parallele tra di loro, le separa la distanza di tre solchi all’altezza dei polpacci, fra le cosce e quell’incavo perfetto che precede il sesso è regolamentato solo dalla dimensione universale di un palmo. A Seojin pare di vederlo oltre la stoffa color carne del vestito, così aderente alla carnagione tostata di Innessa che, se non fosse per la lucentezza dell’olio di cocco, non se ne distinguerebbero i confini. La lunghezza delle braccia si dipana intervallata solo al culmine del dito indice, mano sinistra, laddove giace il diamante sette carati che sfavilla più del lampadario in cristallo di cui si è fatto conquistatore il soffitto; le ossa dei polsi bucano la pelle al punto da ritenerli fragili abbastanza per spezzarli con le mani. Gli archi di violino si accaniscono sulle corde accompagnando l’inquadratura che sale: nel mirino spunta la rotondità delle spalle toniche, i rilievi delle clavicole vengono occultati dal collo alto del vestito, è stretto attorno alla giugulare come segno d’appartenenza. Seojin non ha ancora il coraggio di spostare il mirino sul volto; esita ancora qualche secondo sulle curve dei seni che si intravedono a causa della linea lateralmente trasversale del vestito – torna ad unirsi sotto le fossette di Venere –, la stoffa non li nasconde ma ne sottolinea la presenza lasciando che si colmino di ombre i solchi formati dal dislivello della carne all’addentrarsi sul petto, il palcoscenico ideale per il dispetto appuntito dei capezzoli. Gli unici gioielli indossati da sua zia Innessa sono quelle zanne d’avorio che inumidisce di veleno ad ogni riflesso muscolare della lingua. Byunghun l’ha denudata senza svestirla affinché possa omaggiare i suoi interlocutori col corpo di sua moglie, un atto di carità per l’evento di beneficienza del sabato. Le rimane accanto, il busto ruotato abbastanza da sfiorarle la scapola col gomito, non la tocca. Non necessita del guinzaglio per individuare la posizione della sua bestia; Innessa è lì, i capelli legati in un intricato chignon basso, e guarda l’azionista su cui suo marito ha poggiato gli occhi come se stesse per scoparselo da un momento all’altro. Il suo punto forte non è l’equitazione, la capacità di centrare il bersaglio, la scioltezza nel ballo; il talento di Innessa è far credere a chiunque abbia davanti che sia la creatura più irresistibile del mondo. Seojin ne girerebbe un documentario, non troppo lontano dai disordini sessuali dei bonobo.
ㅤㅤ
ㅤㅤTiene spesso il calice vicino alla bocca, appena sotto al labbro superiore, permettendo che il vetro dilati otticamente quello inferiore. Seojin crede voglia simulare una timidezza che, in fin dei conti, non le riesce poi così bene, vista la natura di troia sfacciata. Quando il suo interlocutore parla, di solito un uomo facilmente dimenticabile, gli angoli della bocca spingono verso l’alto poco poco, le increspature di pelle raggiungono solo una delle estremità originando uno dei suoi ghigni impercettibili, durano l’istante adatto per domandarsi se quell’espressione di desiderio non fosse solo un’illusione della propria mente annebbiata dall’alcol costoso. Il braccio con cui tiene lo stelo del calice è piegato, perciò nell’incavo interno riposa l’altra mano. Quando ride, invece, abbandona la testa all’indietro ed espone i piaceri del collo, la dentatura bianca fa capolino dagli spicchi rossi della bocca e calano i sipari delle palpebre come se il divertimento si riverberasse in ogni parte del colpo; scioglie l’incrocio delle braccia, persino, toccando con la punta delle unghie la spalla o il gomito del suo interlocutore. Infine, appena la voce torna a giocare con l’orlo del bicchiere, Innessa inclina il volto in avanti, affinché le ciglia vertiginose bacino l’orbita oculare per distogliere, ma non totalmente, l’attenzione dal sorriso che si affievolisce senza spirare mai.
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ㅤㅤIl suo trucchetto di magia preferito è sforzare l’accento russo al limite e fingere di compiacersi quando cinquantenni schifosi si segano sull’illusione di starle avvicinando alle labbra l’insegnamento di una nuova parola, giustamente sconosciuta alla troia straniera che preferisce l’accerchiamento maschile ai circoli pericolosi delle loro consorti, a ridosso delle pareti. Seojin, da spettatore, si tiene a distanza di sicurezza, sempre vicino alle tartine di caviale. Le sente parlare, le mogli dei politici e degli imprenditori. Ogni volta istituiscono un simposio su di lei di almeno venti minuti, disquisendo sul modo in cui si veste, ostentano una new wave femminista puntando il dito contro Byunghun che fa apertamente di sua moglie un trofeo, addirittura le sceglie le scarpe e i vestiti. Ha una risata da puttanella volgare, dicono, e le ginocchia da povera, perché è l’unica cosa che non può passare sotto i ferri del chirurgo. Si vocifera che ci abbia provato con metà dei senatori e che tutti l’abbiano rifiutata. Seojin, non fosse un adolescente psicopatico antisociale, si prenderebbe gioco di loro senza trovarle semplicemente patetiche.
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ㅤㅤIl suo sport preferito è seguire tutto ciò che fa. Il piede che scivola dietro la caviglia opposta, un’alzata di spalle, la mano davanti la bocca per celare la smorfia disgustata quando un altro segaiolo le avvicina un calice di vino rosso. Innessa è cordiale, dunque non potrebbe mai rifiutarsi di abbandonargli tra le mani quello vuoto e riappropriarsi di un nuovo carburante. Innessa è molto cordiale, dunque solleva il dito per fingere che l’attenzione non sia già su di sé e indica l’uscita dal salottino imperiale in cui s’è tenuta l’asta di beneficienza, si intravede il giardino dall’ampia cornice della porta spalancata.
ㅤㅤ
ㅤㅤAspetta che lei esca, prima di seguirla. Innessa ancheggia con naturalezza lungo tutto il percorso in cemento che costeggia il labirinto alto delle siepi, vi si infila stabile sulle scarpe aperte, si lasciano una scia dorata al loro passaggio. Seojin le aleggia attorno con la pazienza silente di un fotografo naturalistico, ma a quanto pare non è il solo: lo precede uno dei senatori, accenna una corsa patetica che gli rende pesanti sulle spalle i suoi sei decenni di vita. Ringrazia, ancora una volta, di essere solo un diciassettenne anonimo: tempismo biologico perfetto per passare inosservato mentre si nasconde dietro una delle siepi di quell’immenso disegno botanico che vede il suo nucleo in una pomposa fontana circolare.
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ㅤㅤIl vecchio le porge un secondo calice di vino, le dice qualcosa, lei sorride a labbra chiuse e si limita ad annuire. Alla fine le mette una mano sul culo, Innessa ricambia con una tra le gambe ed è questione di secondi prima che gli stringa le palle al punto da far riecheggiare un sempreverde “Troia!” che sibilla via assieme all’orgoglio di uomo ferito. Rimasta sola, la prima cosa che fa è svuotare entrambi i calici e abbandonarli a terra. La seconda è, chiaramente, accendersi una sigaretta. Apre un pacchetto nuovo e sospira. La terza mossa non può non essere portare il telefono all’orecchio: “Ci sei, dopo? No, sto bene, non ti preoccupare. Volevo solo sapere se ci fossi dopo essermi liberata da qui, ma non è un problema se non ci sei… Va bene, salutamela… Ciao.” Appoggiata la pochette sul bordo della fontana e spenta la cicca nel bicchiere, tira fuori uno di quei pettinini sottili e dai denti strettissimi, si scioglie l’acconciatura da ballerina e, come indiavolata, sforza i bicipiti per raccogliere quel delirio corvino in un’unica coda, alta sulla testa. I gomiti puntano il cielo per un paio di minuti, i muscoli tesi e le dita mai state più rapide di così. Ad opera scolpita, ripone elastici e pettine, ripercorre la lunghezza dei capelli con una mano, si riappropria il telefono. Parla in russo, stavolta. Seojin capisce quasi tutto.
ㅤㅤ
ㅤㅤ“Natalya? Sono Innessa. Come stai? Qui va tutto bene. Tuo marito, il lavoro? Il piccolo Arkemy? Ah, sì, la prima parola è sempre quella, i papà dovrebbero arrendersi… Sì, sì, non ti invidio proprio… Qui fa abbastanza caldo, sto per dire addio alle pellicce, sai quanto mi dispiace… Mhm… Sì, è vero… Senti, ho notato che anche questo mese Varvara non ha ritirato l’assegno. Che succede?” Ha preso a toccarsi l’estremità della coda nervosamente, il ginocchio poggiato sul bordo della fontana. Il russo le indurisce i lineamenti; Seojin può solo ammirarle la schiena nuda, ma non fatica ad immaginarsi la sua espressione, perfettamente coerente alla stizza che vibra nella voce. “Non me ne frega un cazzo se si è stabilizzata. Qualche soldo in più fa sempre comodo, Nat. Convincila a prenderli. No, niente Innessa. Altrimenti prenditeli tu per il disturbo, a me non servono… Ah, certo. Ora siete diventati tutti talmente ricchi e potenti da potervi permettere di rifiutare l’aiuto che io vi offro. Guarda te, il mondo sta iniziando a girare al contrario—Non sto delirando!” Quei venti secondi di silenzio sono troppi anche per Innessa, infatti sbotta in uno sciorinamento furioso di parole pronunciate in quella sua lingua demoniaca. “Non vengo proprio da nessuna parte, Natalya. Forse non hai capito che San Pietroburgo non mi vedrà mai più, e con lei né te né quella stronza di Varvara. A me quasi dispiace che tu scambi per sensi di colpa la carità che vi faccio. Sai oggi dove mi trovo? Ad un cazzo di gala di beneficienza, in cui gente come noi dà soldi a gente come voi. Non c’è giorno che io non ringrazi Dio per avermi benedetta con tutta questa fortuna… Certo, certo. Io sarei invidiosa. Se convincerti che io sia sola e infelice migliora la tua vita di merda, accomodati pure. Altra beneficienza da parte mia.” Ed altri dieci secondi di silenzio, prima che le tremino le spalle e scoppi a ridere, la stessa risata che le ha fatto esporre il collo a quei vecchi alligatori. “No, sta’ zitta, non mi interessa quello che dici. Vedi di riscuotere gli assegni, apri un fondo per tuo figlio, magari con i quei soldi andrà all’università e non finirà a fare la puttana a pagamento tra uno spogliarello e l’altro come sua madre. Ti meriti la sorella fallita delle due, non quella che ce l’ha fatta. Vaffanculo a te, Nat.”
ㅤㅤ
ㅤㅤA magniloquio concluso, sua zia Innessa lancia il telefono a terra e, nella furia del calpestamento, anche i due calici che riposavano indisturbati diventano vittime dei suoi tacchi. È affascinante quanto l’incapacità espressiva sia direttamente proporzionale a tutto quel suo masochismo emotivo: dallo spazio disteso della fronte a quello incorruttibile della bocca, no, non emerge niente. Ci sono solo i pugni stretti, il guizzo della mascella, le vene gonfie dei polsi e del collo, il mutilamento che ha fine solo col sanguinamento dei piedi. Se non è sembrata una ragazzina viziata adesso, lo fa quando si piega sui talloni e infila la faccia nell’intreccio delle braccia per piangere. Seojin sa che lo sta facendo, lo avverte dai sussulti che le pervadono la schiena e dal tirare su con il naso ripetuto.
ㅤㅤ
ㅤㅤSarebbe l’occasione ideale per afferrarle la coda di cavallo e affogarle quel brutto muso da meticcia nella fontana. Si beerebbe qualche attimo delle sue lacrime, anziché farlo subito, tenendole ferma la testa per guardarla dall’alto. Seojin è indeciso se immaginarsela come la donna più bella del mondo o quella più brutta, quando piange. La versione coi lineamenti deformati dal dolore, come se fossero esternazione del sudiciume interiore, glielo fa venire duro. Le lacrime di Innessa non sono nient’altro che gli effetti collaterali del patto col demonio quando ha scelto di sposare suo zio. La solitudine, l’infelicità, il senso di inadeguatezza, lui che si fa una sega mentre lei frigna come una patetica stronza in un posto in cui tutti la detestano un momento prima di dimenticarsi della sua esistenza. Le era stato premessa e promessa ogni cosa. Vorrebbe solo che si concedesse se non altro un singhiozzo, un lamento basso, un suono della gola; arriverebbe più in fretta all’orgasmo. Invece deve accontentarsi di Innessa accovacciata a terra e del sangue sulle sue scarpe. Ma Seojin è comunque vicino, gli sfarfallano le ciglia. Se le domandasse di lasciarsi andare almeno in un suono, non ha dubbi: lei sarebbe felice di accogliere quella richiesta. Alla fine della giornata, Innessa non ha altro ruolo all’infuori di quello: solo le donne orribili saziano la fame di uomini altrettanto orribili.
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ㅤVent’anni trascorsi ad essere la figlia di Timor Kuznetsov e i venticinque successivi a primeggiare tra le file del suo esercito della droga hanno riempito Vasha di tutta quell’esperienza umana che non la fa stupire più di niente. Un parlamentare sudcoreano avvolto dalla criminalità e questa sua moglie bambina, che non a caso è anche sua connazionale, difatti non destano nei suoi occhi verdi alcuna sorpresa.
ㅤQuando si presentano, la stretta di Jung Byunghun è solida ed educata: permette ai palmi di incastrarsi nonostante la barriera dei guanti, si avvinghiano alle mani da gigante come un rivestimento serpentino e accompagnano lo scioglimento della morsa con l’impercettibile suono appiccicoso che fa la pelle quando viene tastata con forza. La donna, che afferma di chiamarsi solo Innessa, edulcora la maleducazione di una stretta prepotente con la lascivia dell’accarezzamento del dorso mosso gentilmente dal pollice, l’estremità affilata dell’unghia ne segue il vezzeggiamento lasciandosi dietro solo un fremito. ㅤ
ㅤLa poltrona ospita la postura rilassata di Byunghun: le spalle ampie affossate nello schienale, una mano guida mollemente il sigaro verso la bocca e l’altro braccio cinge, scivolando su un fianco, la vita della moglie, accoccolata su uno dei braccioli come un morboso animale da compagnia. Il completo sartoriale di lui cozza con l’abbigliamento da casa chiusa di lei, e non serve essere una cultrice del mondo sudcoreano per immaginare che quello non sia lo stile che si confarebbe alla consorte di un politico.
ㅤLo scopo di questo scenico idillio romantico non è rappresentare un amore ideale che si tiene la mano persino nei duelli intercontinentali; la presenza di Innessa è infatti giustificata dai movimenti esagerati delle labbra che sono tipici dell’accento di San Pietroburgo. Per Vasha Kuznetsova, che ha fatto erigere la fabbrica di stupefacenti a Kaluga pur di gravitare attorno alla sua Mosca, è sempre motivo di irritazione ascoltare un russo che non reputa autentico; tuttavia Jung Byunghun ha scelto di parlare attraverso la quella sua bocca appiccicosa di lucida labbra e per la buona riuscita del lavoro c’è bisogno di spirito di adattamento.
ㅤ“Ho visto nella caduta di Vitaly una rinascita per i miei affari; rivolgermi a te è solo la naturale prosecuzione degli eventi. Sapevo che, prima o poi, avrei dovuto fare i conti con l’Imperatrice.”
ㅤVasha ride, di quelle risate secche e brevi. Nonostante sia la voce della moglie a tradurre i concetti, le sue pupille annegano unicamente in quelle di Jung Byunghun. “Con me non hanno presa le lusinghe, Jung. Non dopo averti visto contrattare con quella feccia di Vitaly.”
ㅤ“Le nostre famiglie hanno avuto una lunga storia di cooperazione. Vitaly è capitolo chiuso e io sono pronto a stravolgere il passato con una nuova alleanza.”
ㅤHa sentito parlare di Jung Byunghun. Un parlamentare di alto profilo, detestato nel suo Paese dai movimenti moderni e inneggiato dai tradizionalisti. Affascinante, carismatico, sicuramente bello e col timbro così caldo da far evaporare la condensa che cola dalle ampie vetrate della suite del Four Season. È chiaro, anche solo osservando la donna che ha sposato, quanto ami sconvolgere le masse. La notizia del suo primo e attuale matrimonio ha sconquassato la serenità conformista della Corea del Sud, e l’immagine che ne davano i tabloid era quella di un’eccentrica superstar particolarmente incurante dell'ennesimo scandalo. Dopo un albero genealogico puro e una storia famigliare in apparenza poco conflittuale, l’ambizione di Jung Byunghun lo ha condotto tra i titoli di giornale e seduto ai tavoli delle più prolifere aziende nazionali, sempre nelle vesti di maggiore azionista. Ora, come se non bastassero tutti i tesori che ha accumulato, le sta stringendo la mano. Con la stessa educazione di prima, con la stessa linea imperscrutabile delle labbra tese e lo stesso sguardo incorruttibile, anche quando gli fa dono della sua merce più preziosa e lui la fa sparire nel taschino interno della giacca. Come una calamita, la presa della mano torna a sedere sulla schiena della moglie, il cui avanzare esagerato verso di lei le fa sconfinare il limite del proprio spazio personale. Vasha non protende il braccio per ricambiare il saluto, ma si diletta in quei sorrisi poco pronunciati che Innessa deve conoscere bene, perché retaggio di una Russia spesso fredda e ineducata alla gentilezza.
ㅤ“Con te vorrei scambiare un paio di parole. Da donna a donna.”
ㅤNessuna esagerazione lambisce né i lineamenti affilati di Innessa né quelli di Jung Byunghun, che accoglie la traduzione di quella richiesta con un lieve restringimento dello sguardo, ci spende interminabili secondi a studiare Vasha prima di accostare la bocca all’orecchio di lei e sussurrarle qualcosa in quella loro lingua incomprensibile. Basta che tutti gli uomini della sala rivolgano loro le spalle in direzione della porta per permetterle di notare, finalmente, la lucentezza delle clavicole che spuntano fuori dalla seta color crema del vestito o dalle perle che strangolano la coda di cavallo, grandi e luminose come quelle che pendono dai lobi o dal collo da cigno.
ㅤInnessa la osserva in silenzio, la bocca luccicante dei colori di Seoul che si riversano su di lei dall’esterno, le braccia nude lungo i fianchi ne descrivono la tonicità pur rilassandosi nel vuoto. Vasha punta l’attenzione proprio sulla spalla, nel punto di massima curvatura attira la luce che si disperse in un tenue bagliore sulla pelle caramellata.
ㅤ“Cosa significa quel tatuaggio? L’ho notato prima. Mi piace, ne ho anche io diversi.” ㅤ
ㅤLo domanda mentre afferra il pacchetto di sigarette dimenticato tra il cuscino e il bracciolo della poltrona, Parliament, le stesse che fumava suo padre. Come se attendesse di riavere su di sé la sua attenzione, Innessa si accerta che torni a infilarle le pupille nelle proprie prima di parlare.
ㅤ“Cosa potrà mai significare una bambola con la bocca cucita?”
ㅤVasha vorrebbe dirsi indispettita dal tono freddo che non si premura di nascondere una sfumatura sardonica, eppure incastra il filtro tra le labbra e le allunga amichevolmente il pacchetto. Una smorfia di disappunto sboccia nel notare le lunghe unghie appuntite, che si infilano tra i filtri degli stiletti per estrarre quello prediletto. “Allora avevo ragione a reputarlo didascalico e vittimistico. Degno di una russa che sposa uno straniero.”
ㅤStanno giocando sugli stessi ingranaggi, tant’è che ora è Innessa a farsi travolgere dall’inarcamento obliquo della bocca, si chiude attorno alla sigaretta come le foglie affamate di una pianta carnivora. “Penso anche io abbia acquisito un significato patetico, ma almeno ne ha uno, adesso. Mi sembra di aver predetto il futuro quando, a diciassette anni, ho deciso di martoriarmi la pelle così.” Afferra l’accendino che le allunga; la fiamma sostituisce le pupille con un’unica lingua di fuoco, le divide l’iride nera a metà. Fissandola con quell’inclinazione verso il basso del volto, Innessa sembra stia ripassando sulla lingua un maleficio diabolico, pur restando furba e sfacciata. “Almeno piace a te, Vasha.”
ㅤÈ la seconda risata della serata, ugualmente secca e ugualmente breve. “A quarantacinque anni suonati ho imparato a conoscere le donne come te. O meglio: le ragazze, come te.”
ㅤIl volto di Innessa sparisce in una nube di fumo che si dissipa rapidamente, quasi avesse timore di privare la sua interlocutrice del piacere della vista. Ha il sopracciglio sottile inarcato. “Spero perché siano il tuo hobby preferito.”
ㅤSe avesse i capelli lunghi come quelli di Innessa ora starebbero seguendo il dinego del volto, invece il caschetto scuro è incollato alla mandibola. Vasha si appoggia alla poltrona dietro di sé, le gambe lattiginose distese e in equilibrio sulle décolleté blu. “Perché ne ho viste tante riempire il letto di mio padre. È stato forse l’unico motivo che mi ha spinta a non scegliere la via più semplice dei matrimoni per affari.”
ㅤ“Non vedo perché avresti dovuto, se non ne avevi bisogno.”
ㅤNon si domanda se Innessa si senta giudicata; ad ascoltare la tranquillità con cui parla, la noncuranza con cui si attacca al filtro e ne espira il veleno, sembra godersi quell’improvvisa conversazione privata. Da donna a donna, come aveva specificato. E non potrebbe essere altrimenti, non quando lei inclina il volto, i capelli che pendono dietro la testa come il corpo molle di un impiccato, e osserva lo stirarsi delle sue gambe, ripercorrendo a ritroso ogni dettaglio fino alla bocca.
ㅤ“Nonostante questo, tu guardi tuo marito come se fossi davvero sua moglie. Non un accessorio, non un trofeo, non lo guardi nemmeno come lo guarderebbe una donna. Lo guardi come farebbe solamente una moglie. Lo trovo quasi commovente.”
ㅤ“Tra me e Byunghun c’è un equilibrio che è assimilabile solo alla promessa del matrimonio.” Le dita di Innessa fanno divorziare il filtro dalla bocca in modo tale che strisci appena lungo la guancia, verso lo zigomo alto. “Nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, finché morte non ci separi.”
ㅤVasha sfrutta l’occasione di tornare ritta per privarsi del tabacco, che abbandona nel posacenere di cristallo. Il sorriso le strizza appena lo sguardo di smeraldo, è una partita di ping pong tra il colore ammaliante degli occhi e quello vermiglio delle labbra. Innessa invece è come se avesse rivoli di miele a colarle sulle guance, lungo le braccia, due uniche gocce rilucenti nell’interno dell’occhio.
ㅤ“Quindi avevo capito bene, da quello che mi dici: il vincolo della fedeltà coniugale non è contemplato.” Le offre, come ultimo omaggio, lo stesso posacenere che tiene tra le dita. La sua interlocutrice è immobile, quasi lo resta per un istante che pare interminabile, fino a quando la cenere non le sporca il palmo ed è costretta a liberarsene. In silenzio, ghiaccio e offesa sugli occhi che si sono fatti sottili, tradita solo dalla dilatazione leggera delle narici. “E come potrebbe, quando a tuo marito non piacciono le donne.” Deve ammettere di trovare affascinante il modo in cui tace. Vasha assaggia la vittoria contro il palato. “Non lo giudico, anche a me piacciono moltissimo. Ma mi chiedo se i coreani continuerebbero ad osservarlo con gli stessi occhi di sempre, se lo sapessero gay.”
ㅤLa risposta arriva subito, l’attesa è solo il soffio silenzioso che sfila tra i denti e precede le parole. “Questa è una conversazione necessaria, Vasha?”
ㅤL’accento di San Pietroburgo rende decisamente delizioso il suo nome, è costretta ad ammetterlo. O forse è lo sguardo iracondo di lei, che sta sognando di torturarle ogni parte del corpo con quegli artigli da strega. Vasha ride, ed è la terza volta. “Vitaly era un cerebroleso; io no. Non c’è cosa che io non sappia sul vostro conto, Innessa, perciò prendilo solo come un avvertimento. Vasha Kuznetsova non scende a compromessi.”
ㅤSi riempie i polmoni con una forza che le fa sicuramente bruciare le cavità del naso. Innessa inclina il volto di lato nell’aspirare in quel modo, dal collo trapela la sonorità di una deglutizione forzata. Ipnotizzata, Vasha ne segue il movimento della gola, eppure la spettacolarità siede nella metamorfosi dello sguardo, che si rannuvola e si rischiarisce come se un turbinio le avesse infestato i pensieri e ora il riverbero negli occhi non sapesse come assestarsi. Trova il suo equilibrio nelle palpebre che cadono sugli occhi in pesanti tende di velluto, occludono la vista per far concentrare l’attenzione sulla tensione delle labbra. Sorride, col volto inclinato verso una spalla, quasi a ridere del fatto che non abbia ci capito nulla.
ㅤ“Rovinare un momento del genere è proprio costume russo, Vasha. Non capisco come facciano gli altri a pensarci noiosi, quando invece abbiamo il melodramma che ci scorre nelle vene.” ㅤ
ㅤLa confusione si piega sulla fronte di Vasha, la vede divorare la distanza che le separa con sole due falcate. Non ha paura della vicinanza; lei potrà guardarla dall’alto con gli occhi abissali e un sorriso meschino che ne sfigura la bellezza, ma sa che non può superarla nello scontro fisico. Nemmeno quando Innessa tasta la consistenza del fianco snello con il palmo della mano e le scosta i capelli dall’orecchio per schiaffarci il suo respiro bollente.
ㅤ“Avresti dovuto goderti l’omaggio di benvenuto senza fare troppe storie.”
ㅤL’omaggio sono le dita di Innessa che si inerpicano sotto le spalline sottili del vestito color crema che indossa per farle scivolare lungo le braccia. Cade a terra, lo calcia via con la punta diabolica delle décolleté. È menade indifesa quando si inginocchia e festeggia il baccanale della sera tra le cosce. E lo fa chiedendole il permesso, le unghie affilate come minaccia costante nella piega del ginocchio che accompagna sulla spalla, le narici che si riempiono ferocemente del suo odore, la punta del naso affondata nella voluttà già umida del suo sesso.
ㅤ“Tuo marito ti regala a tutte le persone con cui stringe affari?”
ㅤVasha si aggrappa alla poltrona dietro di sé; Innessa risponde spostandole gli slip direttamente con la lingua, che viene intrappolata tra la carne e la stoffa. Poi scuote la testa, le strizza le cosce tra le mani, le caccia la biancheria dai fianchi, le solleva il tubino affinché mostri almeno il ventre, i seni. Sulla pelle brulica l’incandescenza primordiale dell’affanno con cui la prende, pur deridendone le reazioni naturali dal basso attraverso quegli occhi da vampira amorale. Infine quel suo sporco accento di San Pietroburgo le impartisce di spogliarsi; Vasha obbedisce senza pensarci, ma se ne rende conto quando all’oscenità dei suoni incalza la vibrazione graduale di una risata demoniaca, che fa dell’incavo più intimo delle sue gambe il megafono da cui urlare la propria vittoria.
ㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
(ㅤ“Avresti dovuto avvertirmi fosse una donna. Vasha è un nome agender.”
La portiera si chiude con quel click impercettibile delle macchine moderne. Byunghun solleva lo sguardo dallo smartphone. Sua moglie ha i capelli scombinati e un segno sul petto, gli fa storcere il naso senza alterare la placidità della sua espressione. ㅤ
ㅤ“Che differenza fa?”ㅤ ㅤ
ㅤC’è addirittura uno sbuffo adirato che fa chiudere gli occhi a Innessa, la vede rilassarsi con la fronte premuta contro il finestrino e le dita a massaggiare la tempia libera, nel solito melodramma inutile che gli propina incessantemente da quando lo conosce.
ㅤ“Mi sarei tagliata le unghie, tesoro.”
ㅤByunghun riveste la severità della sua espressione con il leggero sospirare dell’esasperazione. Non riesce a smettere di fissare lo sfregio sulla pelle di lei, l’incrinatura che rovina la sua opera d’arte preferita, nello spazio che connette il collo alla spalla. Se n’è accorta? Lo ha fatto di proposito? Innessa è tranquilla, non si preoccupa di nasconderlo, quasi fosse certa che nessuna screziatura la sporchi. Eppure non può ricacciare indietro il ribrezzo che sente accartocciargli le viscere, frusta le parole senza nessuna remora. “La tua perversione non ha mai fine.”
ㅤNon reagisce, Innessa. Nemmeno un inarcamento impercettibile del sopracciglio, una smorfia beffarda, la chiusura del discorso con un gesto disinteressato della mano.
ㅤ“Gran bel modo di ringraziarmi. Se non fosse per la mia perversione, ora tutta Seoul saprebbe che a uno dei due piacciono le donne e quello non sei tu.” Vorrebbe, con tutto se stesso, cogliere nella voce di sua moglie una sfumatura quanto più simile al dispiacere. Non c’è niente. È atona, anche se il calore che sprigiona opacizza il vetro contro cui le labbra si muovono in un mugugno scomposto. “Non è carino insultarmi quando lo faccio per te.”
ㅤCi sono alcuni momenti in cui la odia. Quando la vede stravaccata sui sedili posteriori, sgraziata come una bestia, o quando gli rifila quelle parole piccate che le impastano la bocca già lesa dall’accento russo che massacra violentemente la bellezza dell’involucro. È fastidioso il ticchettio delle unghie contro il vetro, lo schermo del telefono che si illumina e si spegne, il laccio che lega i capelli più lento del solito. Ha solo voglia di fermare la macchina e buttarla via come si fa con i mozziconi di sigarette. Quel rossore sul collo gli ricorda che si lascia corrompere anche lei, umana e volubile come chiunque. Gli fa schifo. Sì, la schifa al punto da recuperare la bustina infilata nel taschino interno per lanciargliela contro.
ㅤ“Il tuo premio per oggi.”
ㅤSi lascia rimbalzare su una spalla la droga offerta da Vasha. Lo ignora. Vede il suo braccio strisciare nella sua direzione, i polpastrelli morbidi gli sfiorano il dorso della mano; Byunghun la scaraventa via con una prepotenza che non l’ha mai fatta sussultare, perché lei è sempre stata più violenta di lui. Innessa sospira e schiaccia completamente la fronte contro il finestrino, il profilo del volto nascosto dai capelli.
ㅤ“Diventi brutto quando mi odi, amore mio.”)
ㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
ㅤ“Sei mai stata a Mosca?”
ㅤVasha la guarda intrecciare i lacci laterali del vestito di satin. Sembra impaziente di andarsene, Innessa. Ha sfruttato il suo bagno per lavarsi i denti e rinfrescarsi, ma non per aggiustarsi i capelli o ripassarsi il gloss sulle labbra.
ㅤ“Ho sempre vissuto a San Pietroburgo, poi sono arrivata qui. Non so se potrebbe piacermi Mosca, sembra caotica e io tendo a perdermi facilmente.”
ㅤÈ comunque cordiale quando le risponde, la tratta da persona qualunque. “Potresti venirci con me, un giorno. Ho l’impressione che a tuo marito non dispiacerebbe e, se anche fosse, non credo potrebbe tirarsi indietro dall’accettare.”
ㅤVasha fuma, Innessa ha rifiutato la sua seconda gentile offerta, ma ride comunque come se ci fossero un paio di caffè a separarle e le avesse rifilato la barzelletta più divertente che avesse mai sentito. “Voglio credere tu sia rimasta ammaliata dalle mie incredibili capacità sessuali e che tu non me lo stia chiedendo perché ti faccio pena.”
ㅤ“Solidarietà femminile.”
ㅤInfila una scarpa, in perfetto equilibrio su una gamba. Di nuovo, non si mostra turbata dalla sua schiettezza, anzi, è sfacciata quando le rivolge un sorriso brillante, le scopre i denti. “Donne, uomini, procioni, stercorari. Non esiste genere che possa rendere compassionevole una creatura di potere.” Infila anche l’altra, statuaria nella sua altezza ultraterrena. “Sarebbe lo stesso, Vasha. Con l’unica differenza che ancora più delle donne, mi piace portare le unghie sempre lunghissime. Tu sei magnifica, ma è un sacrificio che il mio egoismo mi impedisce di fare.”
ㅤAnche Vasha vorrebbe dirsi offesa, ma non ci riesce. Non quando Innessa scrolla le spalle e ride, sembra completamente distaccata dalla realtà. “Mi stai dicendo che non ne valgo la pena.”
ㅤIl cigolio della porta è l’addio che non si sussurrano a fior di labbra. Innessa le fa dono dell’immagine della sua schiena, la prospettiva taglia a metà quel sorriso furbo da adolescente. È l’ultima cosa che vedrà di lei per settimane. “Sono io a non valerne la pena.”
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“ You fell in love with a boy?” “Yes, i did. Very much so.” “That’s silly”
Little Miss Sunshine directed by Jonathan Dayton and Valerie Faris, 2006
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