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LA SICILIA SECONDO VINCENT VAN GOGH
Nel febbraio del 1888, Vincent van Gogh lascia Parigi e si trasferisce in un piccolo paesino chiamato Arles nella solare Provenza. Se fino a qualche anno prima aveva dipinto meno di un centinaio di opere, al sole di Arles, Vincent trova la gioia della sua arte, producendo in meno di un anno più di trecento opere. Definisce il suo stile originale e sostituisce i colori oscuri e tenebrosi delle sue prime opere, con una luce accesa e pura. Se il calore mediterraneo di Arles fece questo effetto su Vincent, cosa sarebbe successo alla sua anima tormentata se fosse venuto a contatto con l’abbagliante luminosità siciliana? E ancor di più, come avrebbe reagito la sua ricerca fallita di Dio, il suo difficile cammino nella società del nord Europa alla filosofia siciliana dove “Tutto scorre e nulla resta” per cui non dobbiamo chiederci “Chi siamo e dove andiamo?” ma “Quando si mangia e che cosa c’è da mangiare?”. Forse i suoi tormenti umani ed artistici si sarebbero sciolti di fronte ad una granita al caffè, ad un bicchiere di birra Messina, o ad un tramonto alle Eolie. Seduto su una lunga spiaggia solitaria per dipingere le lunghe onde del mare, sarebbe stato raggiunto dal solito cinico siciliano che senza farsi i cazzi suoi gli avrebbe chiesto se Gauguin se la stesse spassando alla Martinica. Oppure, con la saccenteria degli ignoranti, avrebbe chiesto se nel dipingere avesse copiato i colori densi e pastosi di Monticelli, o se quelle pennellate dense ed intense le facesse così a come venivano, tanto per babbiare (prendere in giro) i critici. Alla fine, in quest’isola dove è l’arte stessa che si intreccia con la natura crea il paesaggio, dove la follia è una ordinaria condizione di uno, nessuno, centomila, alla fine forse la sua anima infelice avrebbe trovato la sua quiete e avrebbe accettato la sua cristiana inquietudine in quanto elogio dell’essere. Infine, invece che piccoli caffè o cieli inquietanti pieni di oscuri uccelli, qui in Sicilia avrebbe incominciato a dipingere le meraviglie luminose dell’isola, affinando quella sua tecnica in cui rinchiudeva le sue angosce e tristezze dentro a dense intense pennellate. Qui, in quest’isola dove la follia è di casa, sulla tela avrebbe raccontato di campi infiniti e dorati, di chiese accese da sole, di piccoli dammusi affacciati sul mare e immacolati sotto un cielo di un azzurro felice e saturo di luce. Avrebbe finalmente toccato e dipinto quella luce che cercava, quella che non aveva trovato né nelle sue infinite letture della bibbia, né tra le cosce delle prostitute che amava o delle donne borghesi che lo avevano rifiutato. Avrebbe capito che solo la natura è reale, ed è il palcoscenico su cui gli uomini, come i pupi dal corpo di legno, recitano passioni ed amori che solo per pochi atti sono eterni e che questa provvisorietà è l’unica certezza che questi pupi hanno, tanto che con essa riempiono la loro arte per viverla all’infinito.
SICILY ACCORDING VINCENT VAN GOGH
In February 1888, Vincent van Gogh left Paris and moved to a small village called Arles in sunny Provence. If until a few years earlier he had painted less than a hundred works, in the sun of Arles, Vincent found the joy of his art, producing more than three hundred works in less than a year. He defined his original style and replaced the dark and shadowy colors of his early works with a bright and pure light. If the Mediterranean heat of Arles had this effect on Vincent, what would have happened to his tormented soul if he had come into contact with the dazzling Sicilian brightness? And even more, how would his failed search for God, his difficult path in northern European society, react to the Sicilian philosophy where "Everything flows and nothing remains" so we should not ask ourselves "Who are we and where are we going?" but "When do we eat and what is there to eat?". Perhaps his human and artistic torments would have melted away in front of a coffee granita, a glass of Messina beer, or a sunset in the Aeolian Islands. Sitting on a long, solitary beach to paint the long waves of the sea, he would have been joined by the usual Sicilian cynic who, without minding his own business, would have asked him if Gauguin was having fun in Martinique. Or, with the know-it-all attitude of the ignorant, he would have asked if in painting he had copied the dense and mellow colors of Monticelli, or if he did those dense and intense brushstrokes as they came, just to mock (mock) the critics. In the end, on this island where art itself intertwines with nature to create the landscape, where madness is an ordinary condition of one, no one, a hundred thousand, in the end perhaps his unhappy soul would have found its peace and accepted its Christian restlessness as a praise of being. Finally, instead of small cafes or disturbing skies filled with dark birds, here in Sicily he would have begun to paint the luminous wonders of the island, refining his technique in which he enclosed his anguish and sadness within dense intense brush strokes. Here, on this island where madness is at home, on canvas he would have told of infinite and golden fields, of churches lit by themselves, of small dammusi overlooking the sea and immaculate under a sky of a happy blue and saturated with light. He would have finally touched and painted that light he was looking for, the one he had not found in his infinite readings of the Bible, nor between the thighs of the prostitutes he loved or of the bourgeois women who had rejected him. He would have understood that only nature is real, and it is the stage on which men, like puppets with wooden bodies, act out passions and loves that are eternal only for a few acts and that this temporariness is the only certainty that these puppets have, so much so that they fill their art with it to live it infinitely.
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"Old Man's Treasure" (Das Kätzchen), painted in 1876 by the German artist Karl Gussow (1843-1907).
That sure is treasure. 😍
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In the Valley of the Rhône.
Samuel John Barnes - 1884-1886.
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