Università di Vicopisano – Professore dell’Instituto Caimões – Cátedra Luiz Pacheco
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«Ouro, esmeralda, púrpura»: magias literárias de Marco Aurélio
Além de óptimo príncipe e magistral cultor da ética estóica, Marco Aurélio demonstrou-se também um brilhante cinzelador da língua grega, em trechos do Tὰ εἰς ἑαυτόν que não desmerecem das melhores prosas poéticas de Baudelaire. Os exemplos disso serão talvez muitos mas valha por todos este, que é o melhor dos que conheço:
Ὅ τι ἄν τις ποιῇ ἢ λέγῃ, ἐμὲ δεῖ ἀγαθὸν εἶναι, ὡς ἂν εἰ ὁ χρυσὸς ἢ ὁ σμάραγδος ἢ ἡ πορφύρα τοῦτο ἀεὶ ἔλεγεν· ὅ τι ἄν τις ποιῇ ἢ λέγῃ, ἐμὲ δεῖ σμάραγδον εἶναι καὶ τὸ ἐμαυτοῦ χρῶμα ἔχειν. [Tὰ εἰς ἑαυτόν VII 15]
Tradução (minha):
Seja o que for que alguém faça ou diga, é meu dever continuar a ser bom. É como se o ouro, ou a esmeralda, ou a púrpura sempre estivessem dizendo: «Seja o que for que alguém faça ou diga, é meu dever continuar a ser esmeralda, e preservar aquela cor que é só minha».
Note-se a braquilogia daquele ἐμὲ δεῖ σμάραγδον εἶναι, que substitui o previsível ἐμὲ δεῖ σμάραγδον ἢ χρυσὸν ἢ πορφύραν εἶναι. O imperador usa aqui duma brevitas tão elegante e tão eficaz como em tantos outros exemplos da mesma que conhecemos do latim de Tácito; mas este limitar-se a mencionar explicitamente a esmeralda, no final do parágrafo, parece-me implicar uma complexa grinalda de significados, subentendidos mas não secundários, de entre os quais me apraz destacar os que seguem.
A Esmeralda, superior ao Ouro e à Púrpura?
Já que antes se tinha referido explicitamente ao ouro, à esmeralda e à púrpura, por esta ordem, por que é que Marco Aurélio terá seleccionado a esmeralda e não o ouro ou a púrpura, na braquilogia de que nos ocupámos no parágrafo precedente? Foi um mero acaso? Não creio: se a escolha entre os três elementos lhe fosse indiferente, ter-lhe-ia ocorrido mais facilmente “repescar” o primeiro termo do trinómio, o ouro; ou o último, a púrpura, que se encontrava mais próximo no fluir do discurso. Ir seleccionar a esmeralda, i. e., o termo que pusera “no meio”, entre os outros dois, parece-me cada vez mais uma escolha deliberada. Mas qual o critério, então, que teria presidido a essa escolha?
A resposta à pergunta tem que ver com a consciência, bem viva em Marco Aurélio, do facto de ele próprio ser imperador e ser filósofo.
Os três elementos enunciados são particularmente idóneos para exprimirem, a nível tradicional e simbólico, o conceito de uma incorruptível constância: o ouro não se oxida, a púrpura não desbota; e a esmeralda, além de melhorar a visão, simbolicamente associável à inteligência e à sabedoria, preserva e reforça a memória.
Além disso, o ouro e a púrpura são símbolos do poder supremo: económico, no caso do primeiro; social e político, no caso da segunda. Como imperador, a riqueza e a senhoria: o ouro e a púrpura. Como homem e como filósofo, reflexão e memória: a esmeralda. Qual elemento lhe é mais caro, de entre os três? A resposta é clara. De todos os bens que a divindade lhe põe à escolha, também Marco Aurélio opta, como Salomão (v. I Reis 3:12), por «um coração inteligente».
A.J.N.C. – 18/4/20
«Oro smeraldo porpora»: magie letterarie di Marco Aurelio
Oltre ad essere un ottimo principe e un magistrale cultore dell’etica stoica, Marco Aurelio si è pure dimostrato un brillante cesellatore della lingua greca, in passi del Tὰ εἰς ἑαυτόν non inferiori alle migliori prose poetiche di Baudelaire. Di esempi che lo comprovino ce ne sono forse tanti; ma questo, insuperabile, è quello che meglio conosco:
Ὅ τι ἄν τις ποιῇ ἢ λέγῃ, ἐμὲ δεῖ ἀγαθὸν εἶναι, ὡς ἂν εἰ ὁ χρυσὸς ἢ ὁ σμάραγδος ἢ ἡ πορφύρα τοῦτο ἀεὶ ἔλεγεν· ὅ τι ἄν τις ποιῇ ἢ λέγῃ, ἐμὲ δεῖ σμάραγδον εἶναι καὶ τὸ ἐμαυτοῦ χρῶμα ἔχειν. [Tὰ εἰς ἑαυτόν VII 15]
Traduzione (mia):
Qualunque cosa uno faccia o dica, è mio dovere continuare ad essere buono. È come se l’oro o lo smeraldo o la porpora sempre stessero dicendo: «Qualunque cosa uno faccia o dica, è mio dovere continuare ad essere smeraldo e preservare quel colore che è solo mio».
Si noti la brachilogia dell’ ἐμὲ δεῖ σμάραγδον εἶναι che sostituisce il prevedibile ἐμὲ δεῖ σμάραγδον ἢ χρυσὸν ἢ πορφύραν εἶναι. L’imperatore si esprime in questo caso con una brevitas elegante ed efficace quanto tanti esempi della medesima offertici dal latino di Tacito; ma questo suo limitarsi a menzionare esplicitamente lo smeraldo, alla fine del paragrafo, sembra implicare una complessa filigrana di significati, sottintesi ma non secondari:
Lo Smeraldo, superiore all’Oro e alla Porpora?
Giacché si era prima riferito esplicitamente all’oro, allo smeraldo e alla porpora, in quest’ordine, per quale motivo avrà Marco Aurelio selezionato lo smeraldo e non l’oro o la porpora, nella brachilogia di cui ci siamo occupati al paragrafo precedente? Per un mero caso? Non credo: se la scelta tra i tre elementi gli fosse stata indifferente, più facilmente avrebbe “ripescato” il primo termine del trinomio, l’oro; oppure l’ultimo, la porpora, più “vicina” dal punto di vista del flusso discorsivo. Il fatto che abbia prescelto proprio lo smeraldo, cioè il termine che aveva messo in mezzo agli altri due, mi sembra sempre più una scelta deliberata. Ma quale criterio, allora, lo avrebbe guidato?
La risposta a tale domanda ha a che vedere con la coscienza, ben viva in Marco Aurelio, del fatto di essere imperatore e filosofo.
Tutti e tre i simboli di eccellenza da lui evocati sono particolarmente atti ad esprimere il concetto de un’incorruttibile costanza: l’oro non si òssida, la porpora non stinge; e lo smeraldo, oltre ad acuire la vista, simbolicamente associabile all’intelligenza e alla saggezza, preserva e irrobustisce la memoria.
Inoltre, l’oro e la porpora sono simboli del sommo potere: economico, nel caso del primo; sociale e politico, nel caso del secondo. Come imperatore, la ricchezza e la signoria: l’oro e la porpora. Come uomo e come filosofo, riflessione e memoria: lo smeraldo. Quale dei tre elementi gli è il più caro? La risposta è indubbia. Se una divinità gli avesse dato la possibilità di scegliere un solo bene tra tutti quanti ci siano al mondo, come successe a Salomone (v. I Re 3:12), anche Marco Aurelio avrebbe preferito che gli venisse accordato «un cuore intelligente».
A.J.N.C. – 18/4/20
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Virus: una parola singolare
(e non solo perché rappresenta un caso di singularia tantum)
Dice un vecchio medico: «La salute è uno stato precario dell’uomo, che non promette niente di buono».
Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo
Il virus, in latino, in principio è la bava secretata da certi animali, o un’altra sostanza ugualmente viscida, non proprio rassicurante, da un punto di vista igienico e salutistico; insomma, qualcosa come lo slime dell’inglese, quella sorta di melma o poltiglia invadente che esce dalla TV, secondo la sigla del programma “Blob” di RAI 3[1], e che troviamo pure nella canzone “I’m the slime” dell’album Over-Nite Sensation (1973) di Frank Zappa & The Mothers of Invention («I’m the slime oozing out / from your TV set»).
Il virus, che in latino era dunque una secrezione ripugnante, acquisisce successivamente – sempre all’interno della lingua latina – il senso di ‘veleno’, che diventa addirittura il suo senso dominante: ‘veleno’, dunque, forse perché le streghe usavano le secrezioni di cui prima – la bava dei cani rabbiosi, le essudazioni della pelle di certi rospi ecc. – per fare incantesimi e, più propriamente, malefìci.
₪
Vediamo ora “dove si colloca” il termine virus, all’interno delle grammatiche della lingua latina:
«Pelagus, -i, "mare"; virus, -i, "veleno"[2]; vulgus, -i, "popolo", sono tre nomi neutri che presentano ai casi diretti (nominativo, accusativo e vocativo) l'uscita in -us anziché in -um; essi inoltre sono dei singularia tantum, non presentano cioè il plurale. Virus è sostituito nei casi obliqui (genitivo, dativo e ablativo) dal sinonimo venenum, -i[3] che è regolare.»
https://respublicaspqr.forumcommunity.net/?t=32653100 [emendato in due particolari: «i» sostituito con «ai», dove si trova l’evidenziazione4 con il giallo; e nel caso dell’accentazione graf. di anziché – e con qualche grassetto ed evidenziatura[4] in più, rispetto all’originale]
Dunque, in lat. virus è non solo un dei vari singularia tantum ma anche un nome difettivo. Curiosamente, ci sono pure in natura – parlando cioè in termini strettamente biologici – i virus difettivi:
«difettivo
« biologia
« Si dice di ceppi virali non capaci di replicarsi autonomamente; i virus difettivi riescono a riprodursi se infettano una cellula contemporaneamente a un altro virus (chiamato adiuvante o helper) in grado di supplire il loro deficit[5].»
http://www.treccani.it/enciclopedia/difettivo/
Arlindo J. N. Castanho – 5/3/20
[1] Basato sull’immagine di una poltiglia malefica – anche blob, in inglese – che mette a rischio la specie umana, in film quali The Blob (Fluido mortale – 1958), il suo sequel Beware! The Blob (1972) oppure il rifacimento del primo menzionato: sempre The Blob, in inglese (1988), e in italiano Blob – Il fluido che uccide.
[2] Vedi l’ @d litteram - manuale, p. 33 (in alto); oppure il Latino – gramm. descritiva di Tantucci/Roncoroni, p. 29 (in fondo alla pag.); o, infine, il Lezioni -1 del Nuovo latino a colori di Gian Biagio Conte et al., p. 72.
[3] venenum > venenu (apocope) > port. veneno
> it. veleno (con dissimilazione).
[4] Evidenziazione e evidenziatura sono neologismi abbastanza recenti: non li considerano né il mio D.-Oli (2014) né il mio Zingarelli (1997 ?); ma il Vocabolario Treccani on-line attesta già evidenziazione – <http://www.treccani.it/vocabolario/evidenziazione/>.
[5] Un esempio di virus difettivo è quello dell'epatite D (HDV): altamente aggressiva e senza una cura efficace, ma riscontrabile solo se si verifica la contemporanea infezione di HBV (il virus dell’Epatite B).
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“Humming”, FAZER SURDINA (?)
No dia 1 de Abril, nada como o “Pesce d’aprile” de Samuele Bersani (2010). Que tem, aliás, a particularidade de utilizar um recurso sonoro bem conhecido de todos os rapazes em idade escolar, o pôr-se a zumbir como as abelhas – com o ar que passa só pelo nariz, a boca fechada –, de maneira que o prof não pode saber quem é que está a fazer aquele barulho irritante... Em inglês a coisa chama-se “to hum”, “humming”. Em italiano, que eu saiba, não tem nome. E em português, se calhar também não. Eu tenho uma meia-ideia de que a essa coisa se chamava, pelo menos nos meus tempos de aluno da escola primária e do liceu, «fazer surdina». Mas não há dicionário nem Google que corroborem esta minha impressão, que até pode ser uma falsa reminiscência. No entanto, à falta de alternativas com patente registrada, proponho que lhe chamemos “fazer surdina”, pronto, mesmo que não haja outras atestações se não a minha. Voltando à temática musical, o “fazer surdina” também tem um papel fundamental na canção “MMM MMM MMM MMM” dos canadianos Crash Test Dummies (1993).
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Cara Anastasiya
Ciaoooo! Come va?
Ti ricordi di me, ti hai dato la tua e-mail, dispiace il ritardo di risposta. Speriamo di poter arrivare a conoscersi piu da vicino? Mi puoi raccontare qualcosa di te? Io sono Anastasiya. Ho persona molto solare, aperta, simpatica e la mia vita e gia ricca di tante bellissime cose, vorrei ancora di piu, quella che crede nelle favole e non se ne vergogna. Ho molte passioni tra cui l'arte e non sto mai ferma. Sono raffinata dolce e sensibile. Piace vestirmi bene e sono molto attenta ai dettagli. Mi piace indossare un abito e le scarpe tacco alto. Vorrei una bella persona dentro e fuori con la quale parlare della vita di tutti i giorni e starmi accanto... e magari avere la fortuna di incontrare un uomo intelligente, colto, col senso di umorismo, cui vivere i momenti belli della vita, e a cui piaccia viaggiare. Vorrei incontrare con voi, scrivimi, ti aspetto. Ho riposto alcune fotografie e ti vedi. Spero che ti risponderai.
Questa la mia mail [email protected]
Buona giornata!
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Cara Anastasiya,
come sei vestita? Anzi, scusami, sei vestita? Anzi, scusami scusami, come stai? (Sono un po’ timido e ogni tanto mi impappino.) Anch’io mi sento raffinato dolce e sensibile a più non posso e, se vuoi una bella persona dentro e fuori, puoi contare su di me (vedi in allegato il mio selfie di stamane, sotto la doccia). Come hai richiesto, ti parlo un po’ di me: faccio il vigile urbano a Lecco e con le percentuali sulle multe tiro avanti abbastanza bene, non mi manca nulla e, insomma, non mi posso lamentare. Mandami più foto tue, dai (non molto castigate, ti prego). Con affetto, Mariolino.
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Cara Anastasiya,
le tue nuove foto mi sono piaciute un sacco! Quella in cui porti le scarpe con il tacco 10, poi, è strepitosa! Mandami, ti prego, altre dello stesso genere ma senza le scarpe, vorrei potere ammirare per bene anche i tuoi piedi, soprattutto le unghie perché sono un po’ feticista, conosci la parola? Cioè, anch’io sono molto attento ai dettagli. Come vedi sono anche colto. Quanto all’umorismo, poi, figurati che riesco a far ridere pure gli automobilisti, mentre faccio loro le multe. Sempre con più affetto, Mariolino.
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Cara Anastasiya,
la tua idea di venirmi a trovare ad Annone di Brianza mi riempie il cuore di gioia, ma non ti mando i soldi per il passaggio aereo. Scusa se non mi fido, ma proprio ieri sera ho visto in Tv “Birthday Girl” – sai, quel film con la Kidman – e sono rimasto un tantino impressionato.
Senti che cosa ti propongo: vengo io da te, a Novosibirsk, e poi, se ci troviamo bene, ti porto via con me! Che ne dici?
Il tuo Mariolino.
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Cara Anastasiya,
non preoccuparti, fa niente. Anche se la Siberia per noi non è proprio dietro l’angolo, sono cose che capitano. È chiaro che mi son preso una bella botta quando non ti ho trovata ad aspettarmi all’aeroporto, e poi mi sono sentito anche peggio, quando nessuno ha saputo indicarmi la via in cui mi avevi detto di abitare. Nonostante tutto, ho avuto una fortuna sfacciata: grazie alle esplorazioni in lungo e in largo della città – bella, eh – che il tuo misterioso indirizzo mi ha fatto fare, già nella notte del primo giorno ho incontrato, al bar del Salone del Regno di Thèlema, una ragazza molto per bene e molto religiosa: si chiama Oksana ed è una missionaria della Chiesa Crowleyana del Settimo Giorno, figurati! E – re-figurati! – mi ha convertito!
Oksana, beato me, ha accondisceso a venire ad abitare con me, in questo modesto ma accogliente villino in riva al lago di Annone. Anche tu potrai venirci a trovare, quando vorrai: il lago e i dintorni sono incantevoli, e credo che ti piaceranno pure i princìpi della nostra fede, che sono molto alla buona.
Con Amore (che per noi è tutta la Legge), Mariolino.
P.s.: Ti salutano pure Oksana e tutti i Fratelli della nostra Prima Diocesi Lombarda, che non vedono l’ora di conoscerti.
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Reprodução, maior e mais clara, da ilustração que acabo de escolher para o meu conto “Aiutati che Dio ti aiuta”, reproduzido em seguida: Filippo Palizzi, Fanciulla sulla roccia a Sorrento (1871).
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Mezzanotte
In aereo la ragazza era seduta praticamente accanto a me: io al finestrino, lei sul corridoio, tra noi due il posto rimasto libero. Appena arrivati all’aeroporto ce l’ho messa tutta per prendere l’ultima corsa dell’autobus per la città, partenza tra due minuti, cioè a mezzanotte e due. Ci sono riuscito per un pelo, altrimenti avrei dovuto spendere una cifra con il taxi. Ce l’ha fatta anche lei, la ragazza dell’aereo. Sono sceso alla penultima fermata. Per arrivare a casa, basta girare l’angolo e fare un centinaio di metri. Scesa anche lei, mi ha sorpassato, scattante, le rotelle del trolley schiamazzando sul selciato. Io invece sono rimasto sempre più indietro, perché la cinghia della valigia – abbastanza pesante – che portavo a tracolla si era rotta nel frattempo, e ho dovuto tenerla per il manico, cambiando mano ogni tanto. Ho visto che stava entrando nel mio palazzo, e che anche lei aveva la chiave del portone. Quando ci sono arrivato, l’aveva già richiuso: ho aperto, ho salito le scale, sono arrivato al secondo piano, ho aperto. La luce era accesa in cucina, anche se abito da solo ed ero fuori da una quindicina di giorni. Ed eccola lì, in cucina, seduta al tavolo, bevendo il tè. Mi ha chiesto se ne volevo, ho risposto che preferivo un whisky, sono andato a prenderlo; poi siamo rimasti seduti l’uno accanto all’altra, ognuno sorseggiando dalla tazza o dal bicchiere e fumandosi l’ultima sigaretta della giornata. Poi siamo andati a letto. Si vede che era destino.
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ARUNDHATI ROY O maior escritor dos últimos anos é uma ESCRITORA, e só escreveu um romance!
Arundhati Roy publicou em 1997 “The God of Small Things”, logo nesse mesmo ano editado em Itália pela Guanda. Não vou expor aqui, agora, as razões por que o considero o melhor romance que li nestes últimos anos – mas é mesmo isso que penso, e acho, até, que só por esse romance merecia mais ela o Nobel do que o Fo e o Le Clézio (e se calhar, até, do que o Saramago)... Estou em crer, ainda, que dificilmente escreverá outra obra literária – pelo menos, outra obra literária de fôlego: é que “O Deus das Pequenas Coisas” é O LIVRO DE TODA UMA VIDA, depois de o ter escrito é difícil arranjar mais alguma coisa RELATIVAMENTE FICTÍCIA para contar que valha realmente a pena; até porque a Arundhati está muito mais preocupada com as injustiças e as violências do “establishment” social, não só na Índia como um pouco por toda a parte, e é disso mesmo que prefere ocupar-se, praticamente a tempo inteiro. É incómoda, a senhora: já a ameaçaram de morte várias vezes, já a prenderam e processaram, já lhe apedrejaram a casa com ela lá dentro... Mas ela continua, temerária, pela sua estrada. O último santinho-de-pau-carunchoso que sofreu a sua corrosiva – e justíssima – revisão crítica foi o “Mahatma” Gandhi, que nunca fez nada contra O SISTEMA DAS CASTAS; e, antes pelo contrário, defendia o imundo sistema... Muito mais justo e revolucionário do que o “santão da resistência passiva” era Bhimrao Ramji Ambdekar, um “dalit” obrigado a andar sempre com uma vassoura à cintura, «para apagar o rasto impuro» que ele – como todos os da sua casta – deixava atrás de si, segundo os betinhos-da-Índia como o Mohandas (ver o artigo da “minha heroína” “La vergogna dell’India”, publicado no «Internazionale» de 20 de Fevereiro, pp. 40-47, p. 44) ... Aliás, parece -me que o Mohandas é que deve ter inspirado a algum fascista lusitano o despectivo “gandim” (não, não vem em nenhum dicionário mas todos sabem o que é, em Portugal e até na Madeira :)). Em vez de disparar bojardas sobre «a força tranquila da paz», como o Gandulas Gandim, o Ambdekar escreveu antes – ���antes” como “piuttosto”, mas também como “prima”: neste caso, os dois sentidos do advérbio acumulam-se à perfeição – um corajosíssimo, bombástico “Annihilation of Caste”, em 1936 – que agora torna a sair a lume, graças à campanha de recuperação do importantíssimo “pamphlet” que está conduzindo Arundhati Roy; a qual assina uma longa, interessantíssima introdução a esta nova edição do ensaio-denúncia de Ambedkar. Imaginem a escandaleira que a denúncia do “espírito de casta” cultivado pelo Gandhi, e a afirmação da superioridade moral e intelectual do “dalit” Ambedkar, não está suscitando entre os bem-pensantes da Índia e de alhures... A Arundhati tem, pois, mais com que se entreter, agora, do que tentar alinhavar – ou acabar – eventuais “romances na gaveta” (de que vem falando há um ror de anos). E faz sempre bem recordar o que a tipinha disse a propósito dos pacifismos bacocos, dos “neo-gandhismos” que envenenam as nossas (já fracas) resistências civis, numa entrevista concedida, em 23/3/2010, a Amy Goodman: «So the first message I would have to peace activists is – I don't know what that means, anyway. What does "peace" mean? You know, we may not need peace in this unjust society, because that's a way of accepting injustice, you know? So what you need is people who are prepared to resist, but not just on a weekend, not peace but not just on the weekend.» Cheers!
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A diferença que pode fazer uma vírgula a mais ou a menos, segundo David Foster Wallace – e como um mentecapto italiota esfodaça as palavras do grande escritor americano
Um atrevido chamado Gabriele Pantucci, num artigo sobre as actividades pedagógicas de David Foster Wallace – o qual, além de grande escritor, também era um exigente professor universitário de Análise Literária –, fornece-nos um exemplo da importância que este atribuía à pontuação. O artiguelho do Pantucci intitula-se “Di giorno a scuola, di notte ‘Infinite Jest’”, e foi irresponsavelmente publicado por «La Repubblica» de 11 de Dezembro de 2011. Por que é que só agora falo disto? Porque guardei o artigo logo que saiu, mas só agora é que me pus a lê-lo com a devida atenção... Vamos, porém, ao que mais interessa. Sabe-se que a diferença duma vírgula a mais ou a menos pode comportar uma radical viragem no significado duma frase, e há dezenas de “exemplos didácticos” deste facto. Aquele que David Foster Wallace excogitou é só mais um entre tantos, pois; mas o que é chato é que, se o lemos na versão em italiano que dele nos dá o malfadado Gabriele Pantucci, o exemplo não tem pés nem cabeça: – «Osservate queste due frasi: 1) Rhonda non l’ha fatto perché lo amava. 2) Rhonda non l’ha fatto, perché lo amava. La frase 1, che grammaticalmente parlando è CORRETTA, in realtà dice che Rhonda NON ha assassinato Bob, ma che la ragione per la quale NON l’ha fatto non è l’amore. In altre parole, la ragione per la quale Rhonda ha assassinato Bob non è l’amore che provava per lui. La frase 2, invece, ci dice in realtà che Rhonda non ha assassinato Bob, e la ragione per la quale non l’ha fatto è che lo amava. Nel 99 per cento dei casi, ciò che qualcuno intende dire è quello che si legge nella frase 2. Pertanto, BENCHÉ IN TEORIA NON SIA CORRETTA, la frase 2 può essere semanticamente corretta, ovvero corretta nel contesto del significato.» Os versaletes dos dois primeiros “non”, de “corretta” e de “benché in teoria non sia corretta” são meus, para destacar os pontos mais problemáticos – ou mais estúpidos – da tradução. E, para não perder tempo com comentários que a tradução-aldrabação do Pantucci não merece, transcrevo-vos agora o passo original de Foster Wallace, que acabo de descarregar da URL http://www.hrc.utexas.edu/press/releases/2010/dfw/teaching – e é preciso começar de ANTES do ponto que escolheu o amaldiçoado Pantucci para começar a sua citação-(per)versão: – «Example: Say Bob’s been murdered, the question is whether Rhonda did it. Look at the following two sentences: «α “Rhonda didn’t do it because she loved him.” «β “Rhonda didn’t do it, because she loved him.” «Sentence α, which is grammatically standard, here really says that Rhonda DID kill Bob but that her reason for the murder wasn’t love, i. e., that the reason Rhonda killed Bob was not her love for him. Sentence β says that Rhonda did NOT kill Bob and that the reason she didn’t is that she loves him. In 99% of cases, what someone’ll be meaning to say is what β says. So, though nonstandard in the abstract, β can be SEMANTICALLY correct, correct in a meaning-based context.» (Usei os versaletes no lugar do itálico original, na citação, porque o FB e o Tumblr não admitem o recurso ao itálico). Pronto, traduzam agora vocês, se quiserem, para a língua que quiserem – e usem o exemplo do grande Wallace, se vos apetecer, que não é nada mau. CHEERS!
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João Magueijo – sobre os Fascismos (infelizmente, na versão italiana – até porque não conheço as edições inglesa e portuguesa, nem sei qual destas duas será a original):
... Questi regimi prosperano sulla natura gregaria della gente, unita al timore di compromettere il proprio benessere. E chi può lanciare la prima pietra? Ogni volta che vedo qualcuno nel nostro mondo democratico rifiutarsi di lottare per la giustizia, contro un capo tirannico o una grande impresa, per paura di perdere i propri agi, penso: «Tu non lo sai, ma in altre circostanze avresti accettato un posto di lavoro ad Auschwitz». Avendo conosciuto persone che hanno combattuto il fascismo in Portogallo a dispetto della costante minaccia della prigione e della tortura, non finisco mai di stupirmi di quanto possa essere «adattabile» e senza coglioni la gente «normale». Il fascismo vive di questo.
João Magueijo, La particella mancante, Rizzoli 2010, p. 267.
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A malfada caravela-portuguesa do meu artigo imediatamente precedente.
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Falsos Tugaleses 1 – A caravela-portuguesa
Com os laivos róseos e azulados do seu colorido ao mesmo tempo pouco marcado e perversamente cintilante, aparentemente artificial, a caravela-portuguesa (Physalia physalis) não parece saída do seio da mãe-natureza mas antes de um laboratório assombrado, dirigido por um cientista sádico. Esta perigosíssima, ferozmente urticante alimária marinha parece uma espécie mutante de medusa ou alforreca, mas não é. Se pouco tem de alforreca, então de portuguesa é que não tem mesmo nada. Certamente foram estrangeiros que lhe deram o nome de caravela-portuguesa [Ver Nota, abaixo]: está certo que a parte de cima da alimária parece uma vela; mas por que é que a vela devia ser duma caravela, e por que é que a caravela devia ser portuguesa? São associações mentais pouco brilhantes e algo forçadas, inventadas, talvez, só para chatearem a nossa imarcescível nação. O maldito bicho nem sequer é um bicho, mas um conjunto condominial, articulado, de quatro bestiagas diversas! Estando assim as coisas, custa-me um bocado a perceber como é que este despropósito biológico se reproduz. Mas reproduz-se, e é uma injustiça.
[Nota:] Designação que o Porto Editora monolíngue ainda não atesta – ou não atestava, pelomenos, até à sua 8.a edição, de 1999, que é a última ao meu dispor. Mas parece que ainda agora continua a ignorá-la, se a sua edição on-line – que acabo de consultar (24/2/15) através da URL www.infopedia.pt/dicionarios/lingua-portuguesa/caravelas – corresponde à sua mais recente edição normalmente impressa.
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