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Candy
Uno dei suoi ricordi più belli, nel miasma di memorie assenti che avrebbero scritto presto le loro giustificazioni nel sangue, risale alla sua permanenza in ospedale. Il famoso o famigerato Bethlem Royal Hospital, i cui echi lontani del tremendo e caotico Bedlam di un tempo non arrivavano alle sue orecchie otturate da orrori personali e dagli anodini psichici o chimici usati per renderli ancor meno assordanti. Un pomeriggio o forse una sera, il suo senso del tempo non era dei migliori all’epoca, la donna che gli portava le pillole lasciò, quasi furtivamente, sul vassoio di metallo con l’acqua nel suo bicchiere di sterile plastica, una gelatina avvolta nella stagnola argentata tipica di quella qualità di dolciumi. Una singola gelatina che era stato il primo regalo, il primo oggetto non legato alla sua pura sussistenza che entrava nella sua orbita da settimane. Solo pochi giorni prima il normale cibo dell’ospedale, che comprendeva dessert sotto forma di torta di mele stantìa o tremolanti panne cotte, aveva meritato da parte sua la grazia di lacrime di gratitudine ben diverse da quelle rabbiose e asciutte che piangeva di solito. La caramella, invece, era un extra. Un piccolo, dolce, elemento di caos nella forzatura dell’ordine istituzionalizzato. La conferma di quello che sapeva da ragazzino, ma che era stato dimenticato: il caos può essere dolce, brillante nel suo involucro argento e splendente di cristalli di zucchero. Un sapore di more intrappolate col loro sugo e le loro spine in una sterile fabbrica di caramelle per portare ai mortali un po’ del potere del bosco selvaggio. Pochi mesi dopo avrebbe atteso in un club quasi ogni notte, il sapore dolce dei cocktail che si mischiavano alla post-moderna amara caramella della MDMA, di farsi scartare come una gelatina di tremula, diafana e brillante carne da chiunque volesse il suo caotco zucchero.
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V.I.T.R.I.O.L
NIGREDO Il muro dinnanzi a lui è di piastrelle crema, così come quello a cui appoggia la schiena e come il pavimento su cui è semi-sdraiato, non potendo a causa delle catena che gli stringono i polsi esili. Eppure lui lo vede nero, i suoi occhi non essendosi ancora abituati all’oscurità della cantina. Quando solleva una mano, qualcosa che s’impone di continuare a fare per tutte le ore e i giorni che rimarrà la sotto non riesce a distinguere la sua sagoma nera dal resto dell’oscurità. Il sapore di metallo in bocca, il sangue che sente, ma non vede, richiama il metallo delle manette che lo avvincono a quel muro. Chiude gli occhi e in quell’altro Nero incubi indistinti danzano costringendolo a riaprirli per fissare di nuovo quelle, differenti, Tenebre. Il nero sfuma in grigio. I suoi capelli di corvo segnati da ciocche sempre più abbondanti di bianco, a causa dei ripetuti stress e della mancanza di nutrimento adeguato, sfumano in grigio. ALBEDO L’acqua a un passo da lui riluce argentata, la neve candida su cui è sdraiato è soffice e accogliente. Suo nonno gli ha raccontato di come ci si possa salvare dal congelamento scavando buche e caverne nei ghiacci e infilandocisi dentro. Un apparente paradosso, che in un elemento così freddo ci possa essere tanto calore. Allunga una mano pallida verso l’acqua, il fremito di quell’altro brivido scuote appena il suo corpo magro e pallido, infagottato in un maglione a trecce che non gli impedisce di tremare. Attende, il sonno se non la morte, per infinite ere di secondi, poi, come una luce contro la luce della luna, compare una ragazza. "Aleck, mi senti? Oh, ma quante ne hai prese di quelle?" la voce di lei sovrasta il gentile rollìo della boccetta di medicinali che dalla sua mano ricade nell’acqua, affidata come la bottiglia di un naufrago. CAUDA PAVONIS Il cielo sereno sopra di lui è iridescente, l’azzurro intenso soltanto uno dei molti colori che si svelano dietro nuvole tinteggiate di rubino. Cammina, rapido, scattante, veloce, stivali dalle stringhe scompagnate e cappotto patchwork che lo protegge dagli ultimissimi rigori dell’inverno. Alcuni fiori hanno già iniziato a schiudersi, fragili e forti sui loro steli come un’acrobata sul filo. Qualcuno, al suo passare, sembra riconoscerlo. Con simpatia, disprezzo, ammirazione, scherno, timore. Arlecchino. Un caleidoscopio di emozioni nella quale l’amore è solamente la più fuggevole e brillante delle sfumature. VIRIDITAS L’acqua del mare a pochi metri da lui ha riflessi verdi, di un verde più tenero di quello intenso degli alberi del bosco che ha alle spalle. Una primavera che esplode come fuochi d’artificio in un cielo multicolore. La rinascita di ogni sentimento, di ogni istinto, di ogni fragile felicità che raggiunge il suo massimo per poi appassire. L’intensità delle sfaccettature dello smeraldo è solamente una delle molte maschere dell’infinito fluire. Il vetro levigato della bottiglia che getta nelle acqua, ritornerà come ciotoli lavorati dalle mani salmastre del mare. CITRINITAS Un tramonto tranquillo è tutt’intorno a lui. Visi sconosciuti illuminati dal raggio arancione che li rende manifesto di tanti altri volti scomparsi che ha incontrato. Una tomba che non può visitare, una famiglia che non può rattoppare, che resiste alle sue dita bianche e forti di lavoratore a maglia instancabile. Resiste all’incantesimo rabberciato e colorato dell’Arlecchino. Socchiude gli occhi, lacrime a malapena sgorgate attraverso le quali conosce e riconosce una figura femminile che si staglia rosata contro l’arancio del cielo. RUBEDO La sua mano si stringe intorno al lungo coltello, una presa dolce e decisa come è dolce e deciso il movimento che traccia per incidere pelle, carne e vene del collo che stringe. La crudeltà così come la paura sono fantasmi che nerastri gli si avvinghiano agli stivali scarlatti e che fluiscono fuori dalla ferita aperta della sua vittima. Si disperdono, non hanno aderenza su chi sacrifica al piacere e alla giustizia. In equilibrio sul filo di una lama, riflessi argentei danzano fino a divenire d’oro.
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Aleck lo trovate anche qua https://www.rolenet.it/profilo.php?personaggio=Arleckino
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The Stars https://www.youtube.com/watch?v=NXX0jQazwhk
https://www.youtube.com/watch?v=NXX0jQazwhk L’abito che porta, la camicia bianca immacolata è la stessa che indossa per andare a scuola. Il medesimo completo giacca e pantaloni al ginocchio scuri, le calze di cotone bianco e le scarpette di vernice. Diversa la cravatta; niente simbolo dello istituto che frequenta su questa, ma solamente stoffa azzurra che fa sembrare i suoi occhioni grigio-azzurri, anche a causa della giornata assolata, di un celeste quasi abbagliante. Diversa, anche, la mano che tiene la sua nell’accompagnarlo lungo il vialetto costellato di villette a schiera. D’altronde non è scuola che sta andando; ma in visita. Non gli piace moltissimo andare a scuola, ma andare “in visita” è peggio. Innanzitutto zia Molly, al contrario della mamma che solitamente lo accompagna alle elementari, non fa altro che parlare, lo sommerge di complimenti e di rimproveri, di raccomandazioni e lodi, trascinandolo fino a sollevarlo praticamente da terra, le scarpette con il cinghietto che abbandonano la sicurezza del selciato. E’ forte, zia Molly, lanciatrice di cricket in una piccola squadra femminile, talvolta Aleck immagina che un giorno deciderà di lanciare lui a qualche miglia di distanza. Non che sia esattamente violenta. Non con lui almeno. Il cocco della zia, mica come quel lavativo del figlio Simon. Simon non obbedisce alla mamma, Simon non sa comportarsi bene, Simon non canta con voce da soprano inni al Regno delle Stelle, Simon non ha occhi color cielo variabile, ma i più prosaici occhi castani della stessa Molly e di Florence, la sorella di questa e madre del seienne Aleck. Non è Simon, dunque, che Molly Abernathy Floyd preferisce portare in visita alle dame di carità e alle altre signore timorate di Crocus. Talvolta Aleck vorrebbe somigliare un po’ di più al cugino, essere meno “speciale”, così lo lascerebbero tranquillo i pomeriggi festivi senza scuola. Trascinato dalla zia, non guarda nemmeno la scena di compagni di scuola che giocano per la strada in un vialetto dove poche vetture passano, sobborghi calmi in cui il tiro di un pallone o una sgommata in bicletta sono il massimo del caos. A Molly non piace che perda tempo a guardarsi in giro e lo trascina col doppio della forza. Lo assorda al doppio del volume. Quando si fermano, di fronte all’una o all’altra porta di legno laccato, però è peggio. China davanti a lui, la zia tira fuori da non sa dove un pettine e gli sistema la frangetta, gli stringe il nodo della cravatta che si è allentato, tira su una calza che si è arrotolata al polpaccio "Ma perché hai sempre una calza su e una giù, eh?" lo apostrofa. "Boh" risponde lui, il visino abbassato sulle scarpe di vernice. "Non rispondere sempre boh!" un dito ossuto e forte gli oscilla dinnanzi al naso un po’ appuntito. "E guarda le persone in faccia quando ti parlano!" Alza gli occhi, il piccolo Wendell, orlati da ciglia lunghe e nere, ma è solamente per un secondo che riesce a sostenere lo sguardo arcigno della parente. Poi, mentre è perduto in un mondo immaginario dove non esistono zie o visite, la porta si apre. "Buon pomeriggio! E questo è il piccolo Alex?" Una signora sovrappeso in un vestito rosa confetto e parecchio più anziana di sua madre o di zia Molly. "Mi chiamo Aleck" precisa con la voce appena stridula e rivolgendo lo sguardo in alto verso il volto dell’ospite come raccomandatogli. E�� costretto, tuttavia, ad abbassarlo subito e a infilare i pugnetti nelle tasche della giacca quando Molly quasi lo fulmina con i suoi occhi castani e aggiunge, quasi come se lui non fosse lì per sentire "Scusi mio nipote. Vive un po’ nel suo mondo" che, da quanto ha capito, è un modo per dire che lui è un po’ scemo. Le due si scambiano zuccherosi sorrisi ed ecco che si ritrova in un salotto simile a quello della zia, tutto ninnoli e immagini religiose con un divano verde e un tavolino su cui il servizio da té in ceramica e gli spuntini a base di tartine salate, scones e biscotti fanno mostra. "Ho sentito che questo bimbo va sempre in chiesa e canta anche nel coro, vero?" Non capisce se la donna, che Molly chiama Miss Everett, si stia rivolgendo a lui con una qualche perifrasi o se, ancora, le due stiano parlando come se lui non esistesse. "Rispondi!" si aspetta quasi che l’ordine perentorio della zia sia accompagnato da uno scappellotto, come usa fare con Simon, ma strascinamenti per la strada a parte, la zia non toccherebbe mai il suo prezioso e “speciale” nipotino. "Hmmm….la mamma mi porta in chiesa. Mi porta alle prove del coro, anche" Come a dire che non sono scelte sue, si limita ad adeguarsi. D’altronde a sei anni la maggior parte di ciò che fa non è per scelta sua. "Anche la zia" aggiunge. Molly sorride, Mrs Everett sorride, lui vorrebbe sorridere, ma ha perso di recente il suo primo dente da latte e nasconde la bocca dietro la manina arrossata per essere rimasta, chiusa a pugno, in tasca. "Gli dico sempre di non tenere le mani in tasca così! Sfonda tutte le fodere!" E’ venuto lì in visita o per sentire lodi e rimproveri come per tutta la strada? Ha adocchiato il té e i dolci e sa che per poterne mangiare senza essere maleducato, prima dovrà mostrare quanto è “speciale”. Questa signora, a differenza di altre, non possiede un pianoforte, quindi non ci sarà nessuno strumento ad accompagnare la sua pura, perfetta, celestiale voce di soprano nel canto. Al centro del salotto, una piccola macchia di bianco e nero, si erge tuttavia come se fosse più alto della zia stessa. Nel momento in cui il piccolo petto nella camicia candida si solleva per prendere fiato e dare vita alla prima nota, smette di sentirsi a disagio. La melodia è semplice, una vecchia canzoncina che anche la mamma gli cantava anni prima a mo’ di ninna-nanna, ma le due donne ora tacciono, ascoltando lui con la reverenza dovuta a un sacerdote. Si sente sollevato, sebbene rimanga con i piedini ben piantati per terra, si sente andare su in cielo con le stelle anche lui: un’ascesa lieve e priva di strattoni. La Galassia è un viale meno faticoso da percorrere di quello dove vive. Gli occhi sono chiusi e, quando la canzone finisce, li riapre su quel vecchio salotto pieno di ninnoli e immagini religiose, sulle due signore che ricominciano a lodarlo e si avvicinano per baciarlo e abbracciarlo. "Ma che bambino pieno di talento!" "Un dono del cielo, davvero!" Mrs. Everett gli sbava sulle guancia come un bulldog, al quale per altro somiglia parecchio, mentre Molly lo guarda con una fierezza che, in effetti, non ha mai visto negli occhi della mamma. Forse è per quello che sopporta di andare in visita. Oppure è per i brevi momenti di estasi infantile che prova mentre canta. Ora non ci sono più rimproveri, neppure da parte della zia, ma arruffamenti degli stessi capelli che poco prima era così fondamentale pettinare, moine e offerta di té e dolciumi. Si aggiusta la frangia colle dita ancora paffutelle, si liscia la giacca stroppicciata dagli abbracci "Ma che bimbo ordinato!" "Ha molte qualità, mio nipote, sì" Tronfia come e più che dopo una vittoria della squadra di cricket, la zia si erge davanti al tavolo con la tazzina in mano, bloccandogli l’accesso ad altre gustose leccornie. Approfittando di quei momenti in cui pare non possa far nulla di sbagliato, in virtù di una benedizione stellare che si è attirato grazie al suo canto, alza di nuovo la sua voce, stavolta non per un inno, ma per una prosaica richiesta: "Zia, posso prenderne ancora?" La zia si acciglia, ma la loro grassa ospite lo incoraggia a mangiare quanto vuole. "E te lo meriti!" poco ci manca che gli ficchi gli scones in bocca per forza. "E’ un bravo bimbo, ma un po’ piccolo per la sua età, no?" Le lodi ricominciano a cedere ai dubbi e ai velati rimproveri pronunciati come se lui non fosse presente. Ma non gli importa; la bocca piena di biscotti e di crema, assapora quella dolcezza mista con l’amarognolo del té fino a quando Molly sembra ricordarsi che il nipote che si sta ingozzando accanto a lei è assai più reale di quello probabilmente immaginario del quale sta tessendo, ancora, le lodi. "Basta ora. Ti sentirai male" "Mmm.Mmm" risponde, a bocca piena, sentendo in effetti un po’ di nausea. Ma ne vale la pena. Anche se escono dalla villetta di Mrs Everett in fretta e furia e gli strattoni di Molly rischiano di farlo vomitare per tutta la strada, l’unica cosa a cui pensa, l’unica cosa che vede sono le stelle, bianche come biscotti spruzzati di zucchero a velo, che splendono in cielo.
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CIGNI
Oggi è sereno, per quanto questa parola possa adattarsi al clima di Fiore. Il cielo di un azzurro a malapena intorbidito dal grigio di nuvoloni per ora passeggeri si riflette negli occhi d’identico colore dei tre membri della famiglia Wendell; in ordine di età: Stefan, Eigil e il piccolo Aleck, che l’anno prossimo compirà tre anni. E’ un pomeriggio di fine estate, settembre porta brezze leggere che sospingono le nubi come aquiloni e rendono l’aria frizzante e fresca quando il sole, come ora alle quattro del pomeriggio, non è più così splendente. La gita è quella consueta dei fine settimana dei Wendell, i maschi già nominati e la nuora, moglie e madre dei tre rispettivamente. Florence Abernathy appartiene alla famiglia soltanto in virtù del matrimonio celebrato qualche anno prima. Capelli neri come il figlio e il coniuge, non ha tuttavia i loro occhi grigi, e benché la carnagione sia abbastanza chiara, neppure il loro candore che si arrossa pericolosamente al sole. Tuttavia siamo in settembre e Florence ha lasciato libero il suo bimbo di contemplare il cielo steso sui prati col nasino all’insù, di seguire papà e nonno sulla battigia del lungo fiume senza scarpine e calze a impedire ai piedi di affondare nel limo e, infine, di nutrire i cigni con le briciole del pic-nic che la famigliola si è messa a mangiare nell’aria predisposta a pochi metri dalle maestose creature bianche. E’ il primo anno che Aleck gode di abbastanza autonomia da allontanarsi dagli adulti e distribuire agli uccelli parte del suo panino. Pane di Joya, più fragrante di quello locale, imbottito di formaggio . Un primo tentativo, il braccino destro semi-nudo, la manica della camicia arrotolata così come i calzoni per non bagnarsi i piedi, getta scaglie di cheddar come una pietruzza sulle acque. Maestosi i cigni nuotano intorno a quanto elargito dal piccolo, cibandosi con calma del tutto regale di quel prodotto del latte. "Preferiscono le briciole" la voce del papà, dolce e baritonale, dietro di lui, a una decina di metri. "Ci do’ le biciole, aloa" risponde, very matter-of-factly, il bimbo. Divide, con le dita ancora un po’ cicciottelle, il panino in varie parti. Non esattamente uguali, ma dopotutto i cigni "Pendono il pessie" e lui no. Lui ha solo la merenda preparata dalla mamma che ora, col resto della famiglia, guarda con l’ombra di un sorriso il bambino sminuzzare ciò che non intende mangiarsi per poi buttarlo nel fiume. O sulla riva dello stesso. Eigil aveva ragione: i cigni vogliono le briciole. Nuotando, svolazzando parecchi di loro si fanno da presso. Florence aguzza gli occhi castani, smorza e spegne il sorriso. "Aleck! Torna qui!" la voce fredda e severa, sebbene non vi sia rabbia nella sua voce, ma soltanto una quasi impercettibile paura. "Ma lascialo" alza le spalle Eigil, rotolandosi sul fianco sopra la coperta a scacchi su cui le formiche, anche loro come i cigni, banchettano. "CINIIII!" grida il bambino felice, le braccia bianche che si muovono su e giù come ali, brandendo ciò che ha riservato per sé del pasto condiviso con i volatili. Ma il cigno ha la maestà del re e del re la prepotenza. Uno dei maschi, un uccello dal collo sinuoso e dalle piume lucide, umide e nere, non fugge dopo la distribuzione dei pezzetti di pane e lo scoppio di vivacità del pargolo. Anzi. Si avvicina così tanto che potrebbe strappar di mano facilmente ciò che Aleck stringe nel pugnetto. "Ho detto: Aleck vieni qui!" ritorna la voce della mamma, ma prima che il piccolo Wendell possa eseguire l’ordine o in qualsivoglia modo obiettare ad esso, ecco che un becco forte e affilato gli strappa via buona parte del panino, sparendo giù per il gozzo del cigno nero. Immediatamente torna alla carica, ma questa volta il bambino tira dall’altro lato con tutta la sua forza. Il pane, già in parte elargito agli uccelli, si spezza fino a divenire soltanto un tozzo spolverato di formaggio nella manina che si leva in alto per impedirne un ulteriore saccheggio. I cigni, tuttavia, al contrario della maggior parte dei bimbi, volano e data la scarsa altezza del Nostro, al Pericolo Piumoso non serve neppure spiegare del tutto le ampie ali per sovrastarlo e beccare il beccabile. "Aleck!" la terza volta, ma la voce è all’unisono o quasi quella di entrambi i genitori. Il nonno, come sempre, pare perso nei suoi pensieri, in epoche e luoghi lontani e forse mai esistiti. Eppure è il Wendell Sr. il primo a muoversi in direzione della lotta che ora infuria sul lungofiume. Agile e scattante pur con la sua età macina i pochi metri tra la coperta e il nipote. "E’ MIOOO! LASSIA!" urla Aleck, si contorce più per tentare di impedire a quel poco rimasto della merenda di salvarsi che accusando i colpi di becco del cigno. Le lacrime che affiorano e poi scorrono dagli occhi identici a quelli di padre e nonno sono in gran parte di rabbia sebbene quando un attacco gli sfiora quello destro interrompendosi sulla guanciotta umida e rossa la paura e il dolore facciano la loro parte nel trasformare il visino in una maschera grottesca. "Via! Sciò!" le voci dei grandi si mescolano, lacrime e sangue che impediscono una visione perfetta di quanto accade. I cigni preferiscono le briciole, ma un sovrano desidera svariati piatti al suo banchetto e questo re non rinuncia a colpire con un poderoso colpo d’ali il braccio sinistro di Aleck. Ricade l’arto, con un rumore di legnetto spaccato per alimentare un fuocherello, cade lui dopo essere scivolato sull’umida battigia. Un piccolo guerriero non ancora del tutto sconfitto che continua, tuttora, a trattenere un pezzo di cheddar piccolo persino per la sua manina. A faccia in giù sente che gli adulti sono diventati muti come cigni anche loro. Il suono è solo quello di ali che continuano a sbattere e di legno e metallo che spostano l’aria intorno a lui. Papà, armato di bastone recuperato da un qualche albero, e nonno con lo scramasax con cui ha tagliato lo stesso formaggio che Aleck ha strenuamente difeso, combattono in una lotta un poco meno impari della sua contro l’animale. Florence, il cui viso roseo pare aver perso ogni colore, schiva la sposa del re venuto a dare man forte al suo signore. Prende con poca delicatezza, complice la fretta e la paura, il figlioletto in collo. Un gemito, quasi un urlo, esce dalle labbra quando gli tocca il braccio rotto. La ferita al viso poteva essere pericolosa, ma fa meno male come tutti gli altri lividi e graffi con il quale si ritrova. I vestiti sono strappati e pieni di fango e di piume nere. "COSA TI E’ VENUTO IN TESTA?" grida Florence e lo stringe, provocandone lacrime che, ora, sotto lo sguardo di Eigil e Stefan reduci dalla lotta col Pericolo Piumoso, tenta di trattenere. Il sovrano giace immobile tra acqua e terra, il piumaggio che gli assalti dei tre maschi Wendell hanno intaccato ben poco, la piccola testa quasi staccata dal collo sinuoso. Sangue rosso che imbratta la carcassa e gli abiti del nonno. "Non c’era bisogno di ucciderlo" obietta, leggermente triste nella voce, Eigil toccando con la punta del piede l’uccellesca spoglia. "Poteva cavargli un occhio!" Stefan ha perso la calma e il distacco sognanti che sembrava aver mantenuto persino nel pieno del combattimento. "Perché non sei scappato quando ti ha beccato?" è una domanda che, in svariati toni dal curioso al rimproverante rivolgeranno ad Aleck nelle ore seguenti di medicazioni e raccomandazioni. "Pecché no è giusto. Era mio. Pecché no è giusto" Stefan, tuttavia, intento ancora a ripulire sangue di cigno dalla lama del coltello, sarà l’unico ad annuire. #bebehaleck #FairyTailAU
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Bebeh Aleck Adventures
ovvero le avventure del Nostro prima dei tredici anni...
soon to come
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INFO
Generale
Aleck Wendell è un OC che, pur avendo avuto la maggior parte del suo sviluppo in circa 3 anni passati in un AU di Fairy Tail, può adattarsi, previ cambiamenti sia ad altre fandom che alla fiction originale nella quale ha avuto il suo esordio. Insomma, è mio e con lui faccio ciò che voglio (!). Sperando sempre comunque di mantenere la caratterizzazione e la coerenza ON a seconda dei multiversi per cui lo spedisco.
INFO BASE- per TUTTE le Fandom e L’Original Fiction
Nome: Aleck Stefan
Cognome: Wendell
Altezza: 176 cm
Peso: 68 KG
Capelli: Grigi (Neri in tutte le narrazioni ambientate prima dei 18 anni)
Occhi: Grigio-azzurri
Carnagione: Pallida
Nato il: 28 Gennaio
PV: 1)Gaku Yaotome (IDOLISH7) 2)Akira (Togainu No Chi) 3)In Real: Lucky Blue Smith
NOTE:
1) In ogni possibile adattamento Aleck è sempre affetto da svariate forme di Stress Post-Traumatico, passando dal DPTS, al C-DPTS al Disturbo Acuto da Stress. Fanno eccezione gli eventuali post ambientati prima del compire 17 anni.
2) Aleck sarà *sempre* abile o perlomeno interessato al mestiere di fabbro: che sia come armaiolo o locksmith e a quello d’ingegnere soprattutto navale.
3) Aleck avrà sempre a che fare coi demoni e la demonologia. In alcuni universi più realistici potrebbe essere semplicemente *convinto* di avere contatti con essi, mentre in altri (come nell’AU di FT) sarà in grado di sfruttare a piacere la loro magia.
4) Avrà sempre origini inglesi e nordiche. Qualora presenti le sue origini vichinghe avranno una spruzzata pesante di Slavo (i.e: Kiev) e/o Sami. Perché sì (!)
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