Tumgik
alichesbrb-diary · 3 years
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My sun made another turnaround.
My sun made another turnaround.
A full moon is coming soon.
Yesterday I cried three times, two of these because I was moved. In a certain way I like it, I manage to find a hint of pleasure in crying, because two out of three times it comes from an happy declination of my emotionality. Speaking of which, I’ve felt ‘moved’ since yesterday. Moved? Could we put it like this? Sometimes my emotionality as much powerful as wet, rough, obstructing. When it feels like that, sometimes I can get angry, but just due to a lack of self-expression. Usually I just have to draw a scheme on my diary, a way to externalize my bother followed by a retreat back into my precarious loneliness (which I am not so used to experience, my life usually doesn’t flow like that).
I don’t like being angry. Some people like it, I don’t. It’s not a matter of weakness, or at least not only; it’s more of a way to handle my time in a functional way.
I prefer dancing. I’m working on it. We will call this expression of my emotionality ‘wet state’; maybe that’s not the most proper way to call it (suggestions are welcome), but it’s a useful way to distinguish it from the other expression of my emotionality, which we will call ‘state of opalescence’.
I can feel an outset of sweet curiosity, everything around me becomes softer. Memories, faces, conversations. I often end up being moved, and the way I communicate witnesses this tender feeling of amazement that I percieve.  
State of opalescence. Two out of three times. It makes me feel comfortable, I would say that’s my natural state. Maybe that’s the reason why I can’t surrender to my ‘wet’ state. It feel frustrating, annoying.
I wanted to tell you all this in a different way, but then I got distracted.
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alichesbrb-diary · 3 years
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Notte prima di avere 23 anni
S dice che chi si permette di scappar lontano è perché gode di una grande sicurezza di affetti.
Dissento.
Per me volar via è significato più volte esasperazione, fuggire da una parte di me che, oltre spaventarmi, non voglio nemmeno viver e di cui leggo spiccata la sua futilità. Il desiderio è quello di un cane vecchio che va nel bosco a sperar di morire; rintanarsi dove occhi non possono usufruire di tal visione arricchito dalla ricerca di ordine, fare spazio a un processo emotivo che tanto/troppo/ avrà da ingombrare. Mi sono spesso accusata di codardia per questo, o forse ho solo tenuto molto a rendere legittimo il parere di chi soffriva della mia tendenza indipendentista.
Ciò però non combacia con la mia pedante analisi introspettiva, acuta e rigorosa; con la mia necessità di limpido equilibrio ed è opposta alla mia costante necessità comunicativa. La risposta che ad ora mi sono data è che è in parte predisposizione caratteriale /spoglia di qualsiasi macchiavellico meccanismo/ e in parte conseguenza di sofferta mal gestione emotiva,  scaturita però dalla voglia di migliorare una situazione che altrimenti non avrei le capacità di aggiustare, non di evitarla. Distrarmi per ingannare il tempo della mia crescita. In un ottica quasi vittimista il pensiero si elabora scandendo un inizio di “fastidio”/non perfezione armonica/ che se occupa troppa superficie del mio impressionabile corpo verrà elaborato dallo stesso come matrice di necessario lavoro emotivo al fine scioglierlo. Dove poggia il vittimismo direte voi. Il vittimismo si avvinghia all’idea di avere a prescindere questo carico sulle spalle, dando per scontato che o io, o nessun altro, sarebbe mai disposto (o in grado se invece volessimo alternarlo alla presunzione) di fare lo stesso lavoro.
A breve partirò, forse, di nuovo, chissà. Ancora non riesco ad identificare pienamente la natura di questa mia partenza. La consapevolezza di un’ appagante esperienza è alta quanto l’incertezza che questo sia un mio reale desiderio, mentre se riesco ad immedesimarmi in una me arrabbiato sento la spinta più grande. La sola capacità di provar fastidi con, come sopra esposto, la convinzione di doverli risolvere e doverlo fare da sola basta a farmi desiderare di essere altrove.
Una sorta di imposizione di onore, un obbligo di fedeltà morale. Non mi perdonerò mai per non essere perfetta. Spero un giorno di crescere abbastanza per farlo.
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