Collettivo semi-intellettuale. Scrivono: AICFMM1, AICFMM2 e AICFMM3.
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Silver moon e invisible ink: il ritorno di Lorde
Siamo ad agosto e i nostri feed social sono invasi da video e clip di concerti, festival e perfomance che si sono susseguite nelle ultime settimane: da Glastonbury al Sziget, da Travis Scott al Circo Massimo alle Boygenius a Londra possiamo tirare un sospiro di sollievo: i concerti sono tornati.
Nonostante sia l’estate più calda o meglio, l’estate più calda finora, non abbiamo esitato a immolarci sotto i 40 gradi per vedere gli artisti che, comunque, non ci hanno mai lasciato soli nei periodi di reclusione a cui siamo stati sottoposti durante la pandemia.
Forse, proprio per uscire dalla dimensione dell’online, dominata dall’hype, dalla spasmodica anticipazione e costruzione dell’esperienza musicale, artisti come appunto Travis Scott e Lana Del Rey hanno optato per la strategia “a cazzo di cane” annunciando i propri concerti a poca distanza temporale e in location inedite.
Inedite sono state anche le due canzoni che Lorde ha portato sul palco nelle ultime settimane: Invisible ink e Silver Moon.
Lorde è un’artista giovanissima, che ha debuttato a soli 16 anni, con Pure Heroine. Un album melanconico ma allo stesso tempo energico, in grado di racchiudere le contraddizioni dello spirito adolescenziale: il terrore romantico che si prova quando ti rendi conto di avere tutta la vita davanti.
Ha proseguito con Melodrama, pubblicato a distanza di 4 anni dal suo debutto. Sullo sfondo la fine di una relazione, nell’album canzoni sugli stati emotivi della cantante che si susseguono nel ripercorrere ciò che è stato: una storia romantica dove alla fine, quello che l’artista cerca di fare è ricostruire i pezzi di sé stessa.
Sempre dopo 4 anni, in piena pandemia, arriva Solar power. Un album discusso, per molti versi diverso rispetto ai primi due. Lorde parla del suo soggiorno americano, la fama e la cultura dello show business di Los Angeles. Un album che prende in giro la spasmodica ricerca del benessere interiore della cultura occidentale, l’incapacità di trovarlo a fronte di una società eccessivamente sovrastimolata e ossessionata dalla ricerca del piacere a tutti costi. Solar power è l’equivalente di un sospiro di sollievo: Lorde si lascia alle spalle l’America per tornare in Nuova Zelanda, cancellare i piani e per un po’, smettere di pensare.
Proprio come la luna spunta ogni sera, a distanza di quasi 4 anni, Lorde torna sulla scena con brani inediti.
Se Invisible ink è effettivamente più una demo che un brano fatto e finito (siamo a malapena ai due minuti) Silver Moon è un testo maturo, in grado di comunicare la direzione artistica che la cantante potrebbe prendere in quello che a questo punto sarà il suo prossimo album.
La cantate torna alla vitalità di Pure Heroine, alternandola con la malinconia e l’indagine emotiva di Melodrama, ma con una sicurezza in sé stessa inedita.
La scena che ci si prospetta di fronte è quella del ritorno di un amante, probabilmente conosciuto quando Lorde era ancora adolescente o appena ventenne.
Allow me to set the scene
When I met you I’d never done ecstasy
Just a girl with a dream
Remember?
Back then I still had my wisdom teeth
In my head, just a girl in the night
In the bed I would still fake a scream of pleasure
But can you see now?
La ragazza è ora una donna, con demoni e fantasmi che si porta dietro ma che alla fine, vuole ancora divertirsi.
That girl is a woman so call a stretch limousine
For her desires and demons, you don't know what she's seen
There are ghosts that she hides
But you know all she wants is to get down
Ciò che la rende tale è l’accettazione della caducità della vita, della natura trasformativa dell’essere umano, condizione di sopravvivenza, che implica una ricerca e un’indagine profonda della propria persona. Lorde chiede al suo amante se lui è in grado di cambiare, come lei ha fatto e farà, di accettare il suo desiderio per qualche cosa di profondo, che lasci spazio al vissuto di entrambi.
Every night, the silver moon, it changes
Can you say the same? Do you stay the same?
Can you change with me? Can I be honest?
Can I press where it hurts, my baby?
I wanna ride with you
La percezione è di una difficoltà; quando Lorde pressa dove fa male, l’amante si spezza.
Feels like the AC is broken
I said something that touched a nerve
You blow up and I go dark
The way my mother does
The angels cry for us
Con la delicatezza che la contraddistingue e che la distanzia dalle retoriche girlboss che dominano il mondo del pop, Lorde afferma la propria persona: le sue condizione sono queste, l’intimità che cerca, il cuore aperto del suo amante è ciò che la farà restare.
Baby, when the moon is gleamin'
With your heart open, breathe in
I would never dream of leavin'
Se in un album come Melodrama, pensiamo a Liability, Lorde comunicava una certa insofferenza rispetto alla sua emotività e alla sua identità; con Silver moon, Lorde rivendica il suo vissuto, insieme alla necessità di una connessione emotiva, mescolata all’accettazione che non necessariamente essa debba durare per sempre, proprio perché forse è transitoria tanto quanto le fasi della luna, a cui la canzone è dedicata.
In Solar power Lorde ci aveva guidato in paesaggi estivi, in un distacco propedeutico all’auto preservazione. Forse, in questa nuova fase, ci vuole suggerire che l’unico modo per sopravvivere a noi stessi è accettare che l’essere umano non è fatto per seguire percorsi predefiniti, ma che ci alterniamo, transitiamo tra uno stato e l’altro e, le nostre emozioni, anche quelle più dolorose, ad un certo punto passeranno, se impariamo a accettarle.
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La 90, la 91 e il pregiudizio
di AICFMM 2
Quando mi sono trasferitə a Milano, la pandemia imperversava e non passavo la mia quotidianità in una grande città da parecchi mesi. Inutile dire che avessi l’ansia, soprattutto perché il luogo in cui mi ero trasferitə non era in un quartiere particolarmente sicuro, né tantomeno ben collegato col centro di Milano.
Avevo fatto tante domande a motori di ricerca e a chi si era trasferitə prima di me: sul se o meno fosse vero che la gente era antipatica e fighetta, sul se si potesse camminare tranquillɜ la notte, sulle linee della metropolitana, sul fantomatico passante, su quali quartieri fossero buoni per trovare casa, sull’acqua del rubinetto, su dove fossero supermercati, farmacie, cinema, banche, uffici postali, discount.
Alle mie domande sui mezzi pubblici, le risposte sono state spesso: “Puoi prendere tutti i mezzi pubblici, ma non prendere mai, in nessun caso, CASCHI IL MONDO, fosse l’unico mezzo possibile, la 90 o la 91.”
“Ma perché?”, chiesi, chiedendomi tra me e me perché dovessi chiamarle al femminile, io abituata a nominare i nomi dei bus al maschile (l’1, l’8, il 5…). Inutile dire che a distanza di mesi dall’inizio del mio processo di milanesizzazione, ora lo trovo quasi più logico.*
La 90 e la 91 sono due linee degli autobus di Milano, gestiti dalla magica ATM, la stessa azienda di trasporti delle metropolitane, che lɜ milanesi tanto schifano ma che letteralmente gestisce il sistema di trasporti di Copenaghen e fa da prova su scala per i sistemi di trasporti di mezza Europa, e che controlla tutto a Milano, pure i semafori.
La 90 e la 91 sono le due circolari della circonvallazione esterna di Milano, quella che lɜ milanesi intravedendo un qualsivoglia risparmio di tempo chiamano “la circonvalla”, quella con le porte (porta Romana, porta Venezia…), con viali come viale Jenner, il ponte della Ghisolfa...
“Perché c’è gentaglia. Se ci sali, anche in pieno giorno, non ti ritroverai più il portafogli o il telefono! E poi è talmente pieno...”.
Queste esclamazioni di terrore, dettemi da più di una persona e pure dall’internet, non mi misero molta sicurezza, tant’è che per settimane non osai neanche avvicinarmi alle fermate. Se non si fosse già notato, sono una persona particolarmente paranoica in fatto di camminare per strada e in luoghi pubblici.
Se non che, vicino alla casa mia di allora, per arrivare al lavoro o banalmente per fare una passeggiata in centro, la 90 era l’unica possibilità all’andata e la 91 al ritorno. Altrimenti avrei dovuto fare tre cambi, una giravolta, una corsa verso il passante e una penitenza alla madre metro.
Ed ecco che il telefono in tasca chiusa con la zip e senza le cuffiette addosso (non si sa mai che seguono il percorso del filo e mi aprono la tasca), la borsa di Shakespeare and Company (mica una borsetta, meglio non attirare l’attenzione) tutta davanti e stretta addosso e il mio bagaglio d’ansia sulle spalle e le chiavi in mano, cammino verso la fermata del bus di sera con l’estrema tentazione di estrarre il telefono e guardare le notifiche.
Mi avvicino alla fermata: "90…….....2 min". Ovviamente i 2 min più brevi delle mie esperienze di attesa dei mezzi pubblici. Il bus accosta, si ferma, un bus come tutti gli altri, ma fiero del suo numero infernale.
Si aprono le porte, è pieno ma non pienissimo. Entro in fretta e mi piazzo in piedi nell’unico angolo che il sistema-di-ricerca-automatica-posti-sicuri-sui-mezzi integrato nel mio cervello e alimentato a paranoia** ritiene all’altezza. Ho molta ansia. Dopodiché mi guardo attorno.
È pieno di gente attorno che si fa i cazzi propri, ed è anche abbastanza evidente a cosa pensi. Pensa ai propri problemi di salute che ha paura di non riuscire a risolvere, pensa a come è andato oggi a scuola il figlio in terza media, pensa alla cantonata che ha preso la mattina al lavoro e spera di riuscire a tenerlo, si maledice di aver accettato di aiutare per la pesca miracolosa in chiesa, pensa all’enorme fila alle poste che dovrà fare il giorno dopo per essere insultatə dall’impiegatə di turno.
Passata l’ansia, mi accorgo che sì il bus è pieno, ci saranno un’ottantina di persone. Ma allora perché me ne avevano parlato così male? Guardo meglio e faccio 2+2. La questione non è la tratta in sé, millantata come pericolosa e piena di gente losca. La questione è che sono una delle due persone bianche a bordo.
Sentire qualcunə parlare della 90 è diventato per me la cartina al tornasole del razzismo: se mi fai discorsi simili a quelli di cui io sono statə succube, o sei razzista o sei una vittima di quella narrazione che non ha ancora aperto gli occhi (letteralmente prendendo la 90 o la 91). E la narrazione non si ferma alle dicerie milanesi: è nei siti di blogging su Milano e in quelli che consigliano dove vivere, cosa mangiare, cosa fare, dove comprare, a noi. Allɜ studentɜ, allɜ young professional, alla gioventù nuova e tarda.
La 90 e la 91, infatti, passano nelle strade più trafficate di Milano, quelle dove non vuole vivere nessuno per via del rumore del traffico. Abbondano i pizza e kebab, i bar trasandati, le borse e le bici con la pedalata assistita dei rider, a volte case un po’ diroccate. Non si sente una parola in italiano per strada.
È stata una delle prime volte in cui mi sono resa conto, nella mia bolla di persona bianca e con cittadinanza italiana, di come si configura la società italiana della city dove si fattura, di che cos’è effettivamente questa immigrazione che la mia dieta mediatica e il mio vivere insulare mi avevano presentato solo sotto forma di porti e barche.
Da quel giorno sono stata anche molto più tranquilla a prendere i mezzi a Milano (prima di due giorni fa, quando il mio algoritmo di Instagram Reels ha sentito odore d’ansia fresca e ha cominciato a propormi video di borseggi in metro) e che quando qualcuno dice “società razzializzata” ho il perfetto esempio in testa: penso alla 90.
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*nota a piè di pagina: potrei tornare a scrivere sul gendering dei mezzi pubblici milanesi, magari buttandola in caciara con un’analisi tecnofemminista. I bus sono femmine, i tram maschi. Le metro femmine ma con nomi di colori.
**chissà se è un combustibile fossile, mi sa che tecnicamente sì.
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Funerale preventivo
di AICFMM 2
"Oh, ma certo ho capito: tu pensi che questo non abbia niente a che vedere con te. Tu apri il tuo fondo d'investimento e scegli, non lo so, quell'uccellino azzurro tramortito per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di come funzionano davvero i media, ma quello che non sai è che quell'uccellino non è semplicemente un social network, non è una piazza, non è una cloaca, è effettivamente un mezzo di comunicazione di massa. E sei anche allegramente inconsapevole del fatto che nel 2006 Jack Dorsey ha realizzato questo sito per gli "SMS di internet" e poi è stata la morte di Michael Jackson se non sbaglio a far crashare i suoi server per la prima volta. E poi l'uccellino è rapidamente comparso nei processi democratici di cinque diversi continenti. Dopodiché è arrivato a poco a poco nel suprematismo bianco dei tech bros e alla fine si è infiltrato in qualche tragico angolo trumpiano, dove tu evidentemente l'hai pescato nel cesto degli affari destinati a fallire. Tuttavia quell'uccellino rappresenta milioni di utenti e innumerevoli lamentele e speranze, e siamo al limite del comico quando penso che tu sia convinto di aver fatto una scelta fuori dalle proposte dei media quindi in effetti amministri un medium che è stato selezionato per te dagli utenti qui presenti, in mezzo a una pila di... siti web."
"Twitter è morto! Twitter resta morto! E noi l'abbiamo ucciso! Come potremmo sentirci a posto, noi assassini di tutti gli uccellini? Nulla esisteva di più urlato e serioso in tutto il mondo, ed ora è sanguinante sotto le nostre ginocchia: chi ci ripulirà dal sangue? Che caratteri useremo per sfogarci? Che festività di autocelebrazione, che sacro gioco dovremo inventarci? Non è forse la grandezza di questa morte troppo grande per noi? Non dovremmo forse diventare un social network semplicemente per esserne degni?"
"Tu credi che questo sia semplicemente un social network? Questo non è semplicemente un social network, questo è un luminoso faro di speranze per... non lo so, diciamo una ragazzina che cresce in Italia con sei fratelli che finge di essere eterosessuale mentre invece legge fan-fiction e scrive su Twitter sotto le coperte, di notte, con una torcia!
"Ho visto La gente della mia età andare via Lungo i Mastodon che non portano mai a niente Scrivere il breve testo che conduce alla pazzia Nella ricerca di un hashtag che non trovano Nel mondo che hanno già dentro alle notti che dal delirio son bagnate Dentro alle stanze dai media trasformate Lungo ai cloud in fumo del mondo fatto di reti Essere contro ad ingoiare quei ricconi dei magnati È un Twitter che è morto Ai bordi delle strade Twitter è morto Nelle spunte prese a rate Twitter è morto Nei meme dell'estate Twitter è morto
Mi han detto Che questa mia generazione non dà credito In ciò che spesso han mascherato con il merito Nei meme eterni di pepe o dell'Elòn Perché è venuto ormai il momento di negare
Tutto ciò che è falsità, capitalismo e stortura Una politica che è solo far carriera Il trollaggio interessato, la dignità fatta di vuoto L' ipocrisia di chi sta sempre lì neutrale e mai nel torto
Twitter è morto Nel suprematismo bianco Twitter è morto Con gli ad sponsorizzati Twitter è morto Con i tweet di partito Twitter è morto
Ma penso Che questa mia generazione è preparata A un mondo nuovo e a una speranza appena nata Ad un futuro che ha già in mano A un social senza danni Perché noi tutti ormai sappiamo Che se Twitter muore è per tre giorni e poi risorge
In ciò che noi crediamo Twitter è risorto In ciò che noi vogliamo Twitter è risorto Nel mondo che faremo Twitter è risorto Twitter è risorto Twitter è risorto"
"Il punto è che dobbiamo seriamente pensare a dove piazzare Elon perché non parla praticamente più con nessuno."
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I giovani non esistono
AICFMM 3
Uno spettro si aggira per l’Italia: è lo spettro dei giovani.
I giovani occupano uno spazio preponderante in discorsi, programmi e articoli: come un fantasma appunto, infestano le pagine di giornali. Come santi, quando parliamo di giovani belli e di talento, che sembrano interpretare un’immagine idealizzata, una nuova forma di essere umano, moderno che ha magicamente superato una serie di conflittualità sociali e culturali che sono, al contrario, tutt’altro che superate; oppure come peccatori, come nel caso delle “devianze giovanili”.
Chi invoca questa categoria sembra cadere nell’inganno che in qualche modo l’età sia un fattore determinante rispetto alle scelte politiche, sociali e culturali di un essere umano.
Innanzitutto, l’età è un dato anagrafico è non è strettamente collegata a dei valori sociali, culturali o politici.
Non confondiamo la contemporaneità, la sensibilità verso temi urgenti o questioni che nella nostra epoca vengono articolate in modo sempre più strutturato, con la giovinezza, inteso, essere nati nella suddetta epoca.
Sul tema di una disparità economica che esiste fra generazioni più anziane e più giovani, possiamo dire che, banalmente, c’è una situazione economica che si sta aggravando di per sé progressivamente.
Si può parlare del fatto che, alla luce di una condizione peggiorata, è diventato evidente come questo sia un paese che non è in grado di gestire o porsi il problema dell’autonomia economica dei suoi cittadin*: non esistono prestiti statali o supporti per far studiare le persone o per incentivarli ad uscire di casa ed andare a vivere da soli.
In secondo luogo, esistono persone, non categorie. La convenzione che vuole i giovani più progressisti e “aperti” è appunto una convenzione, come si è dimostrato alle ultime elezione, dove, una percentuale considerevole di "giovani" ha votato per destra ed estrema destra.
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Inoltre, il fatto che i diritti civili e annessi vengono circoscritti come “temi cari ai giovani” porta ad una semplificazione dei suddetti temi, riducendoli ad una questione generazionale quando non lo sono.
L’ambiente non è un tema caro ai giovani, è un’emergenza.
Infatti, non si può fare a meno di notare che tendenzialmente, il giovane nei media più mainstream è spesso un personaggio astratto, distaccato da qualsiasi questione sociale, culturale ed economica in relazione alla contemporaneità.
Dall’altra faccia della medaglia, abbiamo la tendenza negativa; una rappresentazione del giovane come un essere problematico, da riportare all’ordine, ribelle, da educare, da trattare non come un essere umano ma come un ricevitore di nozioni privo di autonomia di pensiero.
La sensazione è che l'opzione sia tra il rappresentare un modello asettico e "neutrale", privo di caratterizzazione politica, economica o culturale da tirare fuori a scopo retorico; e tra l'essere condannati perchè si esce da questi binari.
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