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LA CENSURA AI TEMPI DEI REGIMI DEMOCRATICI
Di Ivan Surace
In perfetto stile orwelliano la neolingua ha coniato un nuovo termine per la censura tanto di moda nei secoli passati: standard della community.
Suona bene vero?
Un termine inc(u)l(o)sivo, comunitario, che ci fa sentire tutti membri dello stesso gregge in maniera allegra e positiva, contro un non meglio precisato nemico che non rispetta gli standard.
D’altronde un secolo di studi e applicazioni di public relations alla Bernays ha portato i suoi frutti, soprattutto da parte di chi ha capito come funziona la massa e che quindi, senza troppi scrupoli, utilizza tutti i mezzi che ha a disposizione per manipolarla a suo piacimento censurando, o meglio facendo scomparire, chiunque e qualunque cosa possa mettere In dubbio la propaganda di regime, la narrazione dominante.
Come ultimo esempio in questi giorni abbiamo la questione climatica.
Vi sarete resi conto di come la propaganda su questo argomento sia cresciuta in maniera esponenziale in questi ultimi anni, parallelamente alla cosiddetta transizione green, che porta con se il passaggio al “tutto elettrico” in ogni campo e alla sostituzione con l’IA, di gran parte della gestione sociale, politica economica e sanitaria della popolazione.
Stiamo assistendo alla conversione coatta della società in un grande allevamento intensivo di ultima generazione, in cui ogni singolo capo di bestiame, trasformato in un pezzo di carne senza personalità né anima, viene controllato in maniera totale e continuativa.
Comunque la si pensi, questo è il futuro che immaginano per l'umanità e che si sta progressivamente attuando in maniera totalitaria, a cominciare dai grandi centri urbani, trasmormati in vere e proprie aziende zootecniche per umani.
Ma torniamo alla questione climatica, l’intesificarsi della propaganda su questo argomento serve a giustificare e a far accettare all’opinione pubblica l’entrata in vigore di leggi e restrizioni normalmente inaccettabili in qualsiasi società democratica.
Quindi la questione climatica é il pretesto, lo storytelling, la fiction, su cui si basa la ricerca di consenso da parte del potere, per imporre il cambiamento antropologico necessario, per realizzare i loro piani di controllo totale della popolazione.
Affinché la fiction sia credibile e possa essere sostituita alla realtà, occorre eliminare tutte le eventuali prove, critiche, controversie, che contrastano, anche minimamente, con la narrazione dominante.
È in ossequio a questa logica che negli ultimi mesi su FB, in maniera discreta e disinvolta, con vera tecnica da desaparecidos, sono stati rimossi diverse pagine e profili che facevano informazione sul clima in maniera non allineata al pensiero unico e dove venivano condivisi studi, grafici e informazioni scientifiche di fondazioni come Clintel o di scienziati come Prestininzi, Scafetta, Prodi, Curry, Lindzen, Spencer, ecc.
La pagina 'Klima e scienza', solo per fare un esempio recente, é stata fatta evaporare non appena raggiunti i 10mila iscritti.
Stessa sorte a profili di privati cittadini e di gestori dei profili sopra menzionati, anch’essi fatti sparire da un giorno all’altro con estrema discrezione, al punto che se uno non ci fa caso, neanche se ne rende conto e tutto continua come se niente fosse accaduto.
La situazione é estremamente pericolosa perche da un lato si procede con le epurazioni senza sosta e dall’altro non vi è nessuna presa di coscienza di quanto stia succedendo.
Se e quando la massa si renderà conto di tutto ciò, sarà già troppo tardi.
Al limite avverrà quando l’identità digitale, il portafoglio digitale e tutte le restrizioni ad essi legate, saranno già legge e routine quotidiana e non penso si dovrà attendere molto.
Se non ci sarà un totale cambio di passo da parte della minoranza non allineata nel lottare contro questo regime, tra i più subdoli e raffinati della storia, la fine della società e dell’umanità per come l’abbiamo sempre vissuta percepita e immaginata sarà certa come la morte.
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mi piacciono le persone calme e riflessive, mi piace chi sceglie di raccontarsi con pochi, e chi lo fa emozionandosi anche un po’. mi piacciono coloro che apprezzano l’arte delle piccole cose, e la bellezza intrinseca dietro la semplicità e la banalità (che tanto spesso, banalità non è), mi piacciono gli introversi ed anche un po’ gli estroversi, perché vedo in ognuno tanta storia, forse è per questo che mi piace ascoltare.
mi piacciono le librerie, i musei e l'arte. chi discuterebbe per ore di quest'ultima, e chi l'apprezza in tutte le sue sfumature. mi piace la letteratura, la poesia e forse anche un pò le passioni altrui (o sentire l'appassionato che parla di una propria passione)
mi piace anche scrivere cose simili che non sono altro che un flusso di coscienza su un social come questo! e niente, pensavo a quante cose mi piacciono (e fra queste non c’è studiare per università, per esempio)
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Molti dei Millennial sono cresciuti sotto l’effetto di strategie fallimentari di educazione famigliare.
Per esempio, è sempre stato detto loro che erano speciali, che potevano avere tutto quello che volevano dalla vita solo perché lo volevano.
Quindi qualcuno ha avuto un posto nella squadra dei pulcini non perché fosse un talento, ma solo perché i genitori hanno insistito con l’allenatore.
Oppure sono entrati in classi avanzate non perché se lo meritassero ma perché i genitori si erano lamentati con la scuola, per non parlare di coloro che hanno passato gli esami non perché se lo meritassero ma perché gli insegnanti erano stanchi di avere rogne dai genitori.
Ad alcuni hanno dato medaglie di partecipazione per essere arrivati ultimi, una bella medaglia affinché nessuno si dispiaccia.
La scienza comportamentale non ha dubbi: è una svalutazione della medaglia e dei riconoscimenti di chi lavora duramente per ottenere un buon risultato, inoltre fa sentire anche in imbarazzo chi arriva ultimo perché, se ha un minimo di dignità, sa che non se l’è davvero meritata quella medaglia.
Così queste persone sono cresciute con l’illusione che, anche senza sforzarsi troppo, è possibile farcela in qualunque settore.
Allora finiscono l’università, magari a pieni voti e pretendono immediatamente che un tappeto rosso si srotoli sotto i loro piedi, invece sono gettati nel mondo reale e in un istante scoprono che non sono per niente speciali voto o non voto, che i genitori non gli possono fare avere un buon posto di lavoro e figuriamoci una promozione, che se arrivi ultimo non ti danno niente, anzi rischi il licenziamento e, guarda un po’, non ottieni qualcosa solo perché semplicemente lo vuoi.
Non voglio fare ironia, credetemi, né tanto meno sorridere, la faccenda è davvero delicata poiché quando questa persona prende coscienza reale dalla situazione in cui si trova è un momento cruciale perché in un attimo, nell’istante preciso in cui concepisce la verità, l’idea che ha di se stessa va letteralmente in frantumi.
È questo anche il momento in cui si attacca alla sua fonte primaria di dopamina: i social network.
Ciò ci porta ad un altro problema : la tecnologia.
I Millennial sono cresciuti in un mondo fatto di Tik Tok, di Instagram ed altri social, dove siamo bravi a mettere filtri alle cose.
In cui siamo un po’ tutti fuoriclasse a mostrare alla gente che la nostra vita è magnifica: tutti in viaggio ad Ibiza, tutti al ristorante stellato, tutti felici e pimpanti anche se invece siamo tristi e depressi.
Ho letto un’interessante ricerca scientifica, che in sintesi dice che ogni qual volta che riceviamo una notifica sullo smartphone, un messaggio o quant’altro, nel nostro cervello viene rilasciata una bella scarica di dopamina (una sostanza che dà piacere).
Ecco perché quando riceviamo un messaggio è una bella sensazione oppure se da qualche ora non si illumina il cellulare, alcuna notifica, né un messaggio, iniziamo a vedere se per caso non è accaduto qualcosa di catastrofico.
Allo stesso modo andiamo tutti in stress se sentiamo il suono di una notifica e passano più di tre minuti senza che riusciamo a vedere di cosa si tratta.
È successo a tutti, ti senti un po’ giù, un po’ solo, e allora mandi messaggi a gente che forse nemmeno sapevi di avere in rubrica.
Perché è una bella sensazione quando ti rispondono, vero?
È per questo che amiamo così tanto i like, i fan, i follower.
Ho conosciuto un ragazzo che aveva sui 15 anni che mi spiegava quanto tra loro si discriminassero le persone in base ai follower su Instagram!
Così se il tuo Instagram cresce poco vai nel panico e ti chiedi: “Cosa è successo, ho fatto qualcosa di sbagliato?
Non piaccio più?”
Pensa che trauma per questi ragazzi quando qualcuno gli toglie l’amicizia o smette di seguirli!
La verità, e questa cosa riguarda tutti noi, è che quando arriva un messaggio/notifica riceviamo una bella botta di dopamina.
Ecco perché, come dicono le statistiche, ognuno di noi consulta più di 200 volte al giorno il proprio cellulare.
La dopamina è la stessa identica sostanza che ci fa stare bene e crea dipendenza quando si fuma, quando si beve o quando si scommette.
Il paradosso è che abbiamo veri limiti di età per fumare, per scommettere e per bere alcolici, ma niente limiti di età per i cellulari che regaliamo a ragazzini di pochi anni di età (già a 7 o 8 anni se non a meno).
È come aprire lo scaffale dei liquori e dire ai nostri figli adolescenti: “Ehi, se ti senti giù per questo tuo essere adolescente, fatti un bel sorso di vodka!
In sostanza, se ci pensate, è proprio questo che succede: un’intera generazione che ha accesso, durante un periodo di alto stress come l’adolescenza, ad un intorpidimento che crea dipendenza da sostanze chimiche attraverso i cellulari.
I cellulari, da cosa utile, diventano facilmente, con i social network, una vera e propria dipendenza, così forte che non riguarda solo i Millennials ma ormai tutti noi.
Quando si è molto giovani l’unica approvazione che serve è quella dei genitori, ma durante l’adolescenza passiamo ad aver bisogno dell’approvazione dei nostri pari.
Molto frustrante per i nostri genitori, molto importante per noi, perché ci permette di acculturarci fuori dal circolo famigliare e in un contesto più ampio.
È un periodo molto stressante e ansioso e dovremmo imparare a fidarci dei nostri amici.
È proprio in questo delicato periodo che alcuni scoprono l’alcol o il fumo o peggio le droghe, e sono queste botte di dopamina che li aiutano ad affrontare lo stress e l’ansia dell’adolescenza.
Purtroppo questo crea un condizionamento nel loro cervello e per il resto della loro vita quando saranno sottoposti a stress, non si rivolgeranno ad una persona, ma alla bottiglia, alla sigaretta o peggio, alle droghe.
Ciò che sta succedendo è che lasciando ai ragazzi, anche più piccoli, accesso incontrollato a smartphone e social network, spacciatori tecnologici di dopamina, il loro cervello rimane condizionato, ed invecchiando troppi di essi non sanno come creare relazioni profonde e significative.
In diverse interviste questi ragazzi hanno apertamente dichiarato che molte delle loro amicizie sono solo superficiali, ammettendo di non fidarsi abbastanza dei loro amici.
Ci si divertono, ma sanno che i loro amici spariranno se arriva qualcosa di meglio.
Per questo non ci sono vere e proprie relazioni profonde poiché queste persone non allenano le capacità necessarie, e ancora peggio, non hanno i meccanismi di difesa dallo stress.
Questo è il problema più grave perché quando nelle loro vite sono sottoposti a stress non si rivolgono a delle persone ma ad un dispositivo.
Ora, attenzione, non voglio minimamente demonizzare né gli smartphone né tantomeno i social network, che ritengo essere una grande opportunità, ma queste cose vanno bilanciate.
D’altro canto un bicchiere di vino non fa male a nessuno, troppo alcol invece sì.
Anche scommettere è divertente, ma scommettere troppo è pericoloso.
Allo stesso modo non c’è niente di male nei social media e nei cellulari, il problema è sempre nello squilibrio.
Cosa vuol dire squilibrio?
Ecco un esempio: se sei a cena con i tuoi amici e stai inviando messaggi a qualcuno, stai controllando le notifiche Instagram, hai un problema, questo è un palese sintomo di una dipendenza, e come tutte le dipendenze col tempo può farti male peggiorare la tua vita.
Il problema è che lotti contro l’impazienza di sapere se là fuori è successo qualcosa e questa cosa ci porta inevitabilmente ad un altro problema.
Siamo cresciuti in un mondo di gratificazioni istantanee.
Vuoi comprare qualcosa?
Vai su Amazon e il giorno dopo arriva.
Vuoi vedere un film?
Ti logghi e lo guardi, non devi aspettare la sera o un giorno preciso.
Tutto ciò che vuoi lo puoi avere subito, ma di certo non puoi avere subito cose come le gratificazioni sul lavoro o la stabilità di una relazione, per queste non c’è una bella App, anche se alcune delle più gettonate te lo fanno pensare!
Sono invece processi lenti, a volte oscuri ed incasinati.
Anche io ho spesso a che fare con questi coetanei idealisti, volenterosi ed intelligenti, magari da poco laureati, sono al lavoro, mi avvicino e chiedo:
“Come va?”
e loro: “Credo che mi licenzierò!”
ed io: “E perché mai?”
e loro: “Non sto lasciando un segno…”
ed io: “Ma sei qui da soli otto mesi!”
È come se fossero ai piedi di una montagna, concentrati così tanto sulla cima da non vedere la montagna stessa!
Quello che questa generazione deve imparare è la pazienza, che le cose che sono davvero importanti come l’amore, la gratificazione sul lavoro, la felicità, le relazioni, la sicurezza in se stessi, per tutte queste cose ci vuole tempo, il percorso completo è arduo e lungo.
Qualche volta devi imparare a chiedere aiuto per poi imparare quelle abilità fondamentali affinché tu possa farcela, altrimenti inevitabilmente cadrai dalla montagna.
Per questo sempre più ragazzi lasciano la scuola o la abbandonano per depressione, oppure, come vedo spesso accadere, si accontenteranno di una mediocre sufficienza.
Come va il tuo lavoro? Abbastanza bene…
Come va con la ragazza? Abbastanza bene.
Ad aggravare tutto questo ci si mette anche l’ambiente, di cui tutti noi ne facciamo parte.
Prendiamo questo gruppo di giovani ragazzi i cui genitori, la tecnologia e l’impazienza li hanno illusi che la vita fosse banalmente semplice e di conseguenza gliel’hanno resa inutilmente difficile!
Prendiamoli e mettiamoli in un ambiente di lavoro nel quale si dà più importanza ai numeri che alle persone, alle performance invece che alle relazioni interpersonali.
Ambienti aziendali che non aiutano questi ragazzi a sviluppare e migliorare la fiducia in se stessi e la capacità di cooperazione, che non li aiuta a superare le sfide.
Un ambiente che non li aiuta neanche a superare il bisogno di gratificazione immediata poiché, spesso, sono proprio i datori di lavoro a volere risultati immediati da chi ha appena iniziato.
Nessuno insegna loro la gioia per la soddisfazione che ottieni quando lavori duramente e non per un mese o due, ma per un lungo periodo di tempo per raggiungere il tuo obiettivo.
Questi ragazzi hanno avuto sfortuna ad avere genitori troppo accondiscendenti, la sfortuna di non capire che c’è il tempo della semina e poi quello del raccolto.
Ragazzi che sono cresciuti con l’aberrazione delle gratificazioni immediate, e quando vanno all’università e si laureano continuano a pensare che tutto gli sia loro dovuto solo perché si sono laureati a pieni voti.
Cosicché quando entrano nel mondo del lavoro dopo poco dobbiamo raccoglierne i cocci.
In tutta questa storia, sono convinto che tutti abbiamo una colpa, ma che soprattutto tutti noi possiamo fare qualcosa di più impegnandoci a capire come aiutare queste persone a costruire oggi la loro sicurezza e le loro abilità sociali, la cui mancanza rende la vita di questi giovani inutilmente infelice e inutilmente complicata.
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La letteratura e la poesia riescono a farmi sentire umano, a eliminare quel senso di solitudine, a mettermi profondamente e significativamente in comunicazione con un’altra coscienza, in una maniera del tutto diversa da quanto riescano a fare altre forme d’arte.
David Forster Wallace
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Oggi è stato il giorno del lutto perinatale.
Cosa significa ?
E’ perdere un figlio in pancia, non sentire più il suo battito, espellerlo con una mestruazione, partorirlo morto.
Un lutto infinito, che accompagna una donna per molti anni, che non si può condividere con nessuno perché è un lutto interiore, nessun altro ha sentito quel battito e quella farfalla muoversi nel ventre.
Lutto spesso che porta ad isolamento e disperazione , perché mentre tu resti in ospedale spesso non compresa dagli obiettori di coscienza, da chi ti raccomanda di seguire il corso della natura anche se stai rischiando la tua vita e dopo , fuori , ti ritrovi con bavaglini , copertine e piccoli oggetti che hai comprato mentre aspettavi il tuo miracolo. Fuori sono nati e stanno nascendo tutti i bambini , tranne il tuo.
Sono molto vicina a queste donne, a quelle che si sentiranno dire ‘ ne farai un altro’ , a quelli che credono che la vita sia solo visibile.
Chiedetelo a loro, il dolore di non sentire più quel battito di ali dentro, la forza di buttare via un’ecografia che mostra i lineamenti di un viso che non vedranno mai, piedini che non correranno mai .
Sono vicina , fortemente vicina a queste mamme , a questo dolore . Sono una di voi .
Anche io ho provato quello strazio fisico e psicologico, ho affrontato un aborto terapeutico e il mio feto, anzi la mia bambina, aveva 5 settimane e ho dovuto partorirla mentre ascoltavo i vagiti di neonati , urla di donne che mettevano al mondo la vita e non la morte.
Sono una di voi.
La vita è andata avanti, ho avuto una meravigliosa figlia.
Ma quella bambina non è nata, e un frammento di me è andato via con lei .
Ho impiegato anni e anni, per elaborare il lutto.
La vicinanza psicologica è difficile, le persone hanno paura di affrontare il dolore.
Cercate aiuto e conforto nelle altre donne, sono tante, sono madri , nonne.
Buon cammino a tutte quelle piccole nostre anime , ai nostri bambini che non sono nati ma vivono in noi, nel nostro cuore che non dimentica mai.
Stavolta mi firmo.
Tatiana Andena
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Ascoltate i pensieri,
i presentimenti della notte,
perché, in quella pace,
come sommesso rumore lontano,
si fa la coscienza sentire.
- Niccolò Tommaseo
Anderart Decor
Buonanotte...🌙
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I drammi dell'ineluttabilità borghese, cioè dell'impossibilità di uscire dai propri panni non solo civili, ma anche dal proprio Sé, come dicono gli psicanalisti. Un istinto da rabdomante mi portò a leggere, finita la scuola, il Fu Mattia Pascal e La coscienza di Zeno (il terzo fu L'Ulisse di Joyce del quale sto ancora portando a termine la mia personale traduzione, sono attualmente impantanato nel IX episodio, Scilla e Cariddi). Pirandello mi piace ma è di un'amarezza che abbatte, Svevo invece si addice più alla mia personalità, al mio gusto tragicomico. In entrambi i casi si tratta della descrizione esatta di come la vita conduca il borghese moderno, così libero a parole, in direzione opposta rispetto alle sue risibili aspirazioni. Essendo io un uomo d'altri tempi trovo questi due libri più interessanti di un abbonamento a Netflix. Imparare a leggere quel che è stato scritto di buono sarebbe un buon esercizio per noi generazione di sfessati rimbecilliti dalla noia di vivere fino al cinismo. Memento vivere, diceva Nietzsche, poi trasformato in macchietta futurista in Memento audere dal nostro sommo vate sdentato con l'alito che puzzava d'uovo (così Savinio descrive Gabriele D'Annunzio, di cui tutte le mie insegnanti di letteratura alle medie erano innamorate).
Sentire le cose, ci spiega Nietzsche nella seconda inattuale, invece di limitarsi a "farsele imparare" a scuola, ma ciò comporta irrimediabilmente il rischio di vivere.
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PERCHE' NON SENTO AMORE?
(Da una mia ricerca interiore personale esperienziale)
Per risponderti devo partire dall’inizio, da quando eri ancora in fasce.
Ogni essere umano nasce con un corpo fisico e un’essenza, quello che è nel profondo.
L’ essenza è amore, coscienza, intelligenza, felicità e gioia.
Nella parte profonda, c’è l’anima, quel continuum energetico che passa di corpo in corpo e si chiama essenza o coscienza profonda.
Alla nascita, nel cervello in cui troviamo la personalità, non c’è scritto ancora quasi nulla.
Ci sono solo alcune informazioni in base a ciò che il bambino ha registrato nel liquido amniotico, quando era ancora nella pancia della mamma.
Noi siamo come dei semi che devono crescere, evolvere, cambiare. Abbiamo bisogno di svilupparci, insomma.
E come si permette a queste caratteristiche e qualità di essere sviluppate?
Con l’educazione della famiglia.
Ecco i problemi dell’uomo.
Ogni anima ha già una vocazione, una sua direzione che verrà compiuta grazie alle varie esperienze. E spesso le qualità che ci portiamo dietro ne fanno parte.
Per avere un’immagine più vivida del concetto di semi e crescita osserva che i bambini, crescendo, mostrano già delle tendenze.
Ad esempio, se nella vita precedente era un musicista si porterà dietro, in questo corpo, l’amore per la musica, la capacità di apprendere facilmente le note, l’attrazione per alcuni strumenti musicali.
Questi sono semi ed è necessario un buon terreno per farli crescere.
È chiaro che se nascerà da una famiglia di musicisti o da una famiglia che pur non essendo nella musica, non interferirà in questa tendenza del figlio, lui potrà sviluppare questo seme.
Il problema è che a volte i genitori interferiscono eccome…
E certi semi rimangono infossati. Non crescono.
Cosa vuol dire educare secondo te?
Educare vuol dire aiutare a tirar fuori le caratteristiche, far uscire ciò che è già all’interno.
Illuminare la propria strada.
Capisci anche tu che plasmare qualcuno in ciò che non è non è educare.
Con un’educazione sana, è difficile che il bambino si porti dietro dei buchi.
Svilupperà le sue capacità di comprendere e di sentire con naturalezza; imparerà a esprimersi a modo suo, ad amare a modo suo.
Nel secondo caso, quei semini infossati scatteranno.
Come?
Creando un buco.
I buchi rivelano un vuoto.
Sono parti di noi sviluppate poco o non sviluppate affatto.
Zone che non siamo in grado di scorgere, perché non ci arriva luce, cioè la nostra consapevolezza.
I buchi più profondi sono quelli dove la caratteristica non solo non si è sviluppata, ma è stata addirittura considerata sbagliata, da nascondere, qualcosa di cui vergognarsi.
È chiaro che quel semino si è nascosto molto sotto. È stato represso.
E lì, sotto il buco, si cela una ferita sanguinante.
Quei semini agiscono dall’inconscio.
Quel “Sento che mi manca qualcosa”, altro non è che il semino che attende il suo momento per emergere.
Noi non sentiamo il semino, non identifichiamo la ferita, percepiamo solo un bisogno che non trova mai sollievo.
E più profondo è il buco, più forte il bisogno ci torturerà.
Sono vuoti esistenziali.
Il che comporta che possiamo sbarazzarcene solo colmandoli dall’interno.
Solo portandoci consapevolezza ed entrando in contatto con quelle qualità essenziali.
Ovviamente non ne siamo a conoscenza ed è per questo che cerchiamo di buttarci dentro roba sperando di trovare il tappo giusto.
Ma tutto quello che finisce nel buco, come l’amore delle persone, viene risucchiato dentro e non lascia niente.
Sei come una voragine che vuole risucchiare tutto ciò che di bello trova attorno a sé.
Il vero guaio è che noi basiamo tutta la nostra vita su questi buchi neri.
E tutto ciò che attiriamo, spesso, serve solo a renderli sempre più affamati.
Mi chiederai cosa c’entra l’amore con tutto questo.
E io ti rispondo che l’amore fa parte delle qualità e delle potenzialità che abbiamo tutti come esseri umani e che quindi vanno sviluppate.
Se il seme dell’amore non germoglia, lascia spazio a uno dei buchi neri più famosi della storia: il buco d’amore.
ROBERTO POTOCNIAK
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Quello che faccio con te
Non avrei mai pensato di poter scendere così in basso. O in alto, dipende dai punti di vista, da come ti hanno cresciuta e dalle preferenze personali. Ci sono momenti in cui mi vergogno molto di me stessa: per la mia educazione e i miei valori. Infatti, tutto ciò che faccio con te è immorale, contrario alla mia etica, ai miei princìpi e soprattutto mi fa sentire fortemente colpevole. Perché lo sono; non ho scusanti.
Ho un marito d'oro, che mi ama e che non fa mancare nulla alla famiglia. Lavora sodo e abbiamo due figli piccoli. Stiamo costruendo una vita insieme, innamorati e complici. Ma poi, nascosta dietro al mio senso del peccato, ingombrante nella mia coscienza e pesante come un macigno, c'è questa relazione illecita, torbida e oscena che ho iniziato con te. Sei uscito fuori dal cilindro per caso e hai tirato fuori una versione di me che io stessa non conoscevo.
È iniziato tutto con dei semplici messaggi gentili; ci hai saputo fare. Hai iniziato a confessarti, lentamente. Solo per farmi aprire a mia volta. Gradatamente, dalle cose personali e passando per le semplici battutine umoristiche, sei passato ai complimenti via via più arditi e frequenti; che erano per me una vera delizia, confesso. Per poi trovarmi oggi col tuo cazzo ficcato profondamente nella bocca o nel culo alternativamente. Pompa adorata che mi sborra in gola libero e padrone.
O mi sfascia lo sfintere anale. Rompimi il culo, fa' si che mi escano le emorroidi e che soffra come la cagna che sono. E ne voglio ancora, sempre di più. Non farmelo mancare mai, bastardo uomo! Tutto mentre mio marito, uomo buono e ignaro, bada ai nostri bambini. Sono una vera porca, ingrata e bastarda. Si: scopami forte e non farmici pensare. Inculami brutalmente. Si, così! Ancora di più: spaccami l'ano, che me lo merito. E poi chiedimi di succhiarti l'uccello fino all'ultima goccia. Perché merito di essere trattata come una puttana. Anzi: peggio! Prima o poi ti chiederò di ingravidarmi, per legarti di più a me.
Ecco fino a che punto hai preso il controllo della mia persona! Comandi sul mio corpo e hai in pugno la mia psiche. In fatto di sesso, mi hai portata pian piano a fare cose che sino a qualche tempo fa avrei ritenuto semplicemente riprovevoli, disgustose. Ma che quando non siamo insieme non vedo l'ora di rifare con te. Solo con te. Le replico di continuo nella mia testa. Voglio solo te. Il tuo cazzo, la tua sborra col suo sapore, quell'odore e quella consistenza. Adoro quando me la spari in faccia o sul petto.
Amo ancor di più quando mi cola dal buco del culo, mentre frettolosamente torno a casa piena di complessi di colpa ma con un sorriso largo sul viso. Chiunque capirebbe che ho appena scopato. Perché sei diventato uno scomodo e amato chiodo fisso, nella mia mente di peccatrice incallita e senza alcuna speranza di redenzione. Dio mio: tradisco mio marito! Non l'avrei mai creduto neppure immaginabile, sino a un paio di mesi fa. C'è poco da fare: sono una vera troia. Come una di quelle di cui si parla tra noi donne quando parte il taglia e cuci; una di quelle che si salutano cordialmente in pubblico, salvo poi sparlarne alle spalle tra noi. Invidiandole un po’. Invidiandole molto.
Il giovedì pomeriggio mi faccio bella per uscire. Ufficialmente per fare un giro di compere, poi un gelato e un caffè con Laura, la mia amica intima. E mio marito è orgoglioso di me. Gli brillano gli occhi, quando mi vede tutta apparecchiata a dovere. Mi bacia sulla guancia e mi raccomanda: “divertiti, con la tua amica; non fate troppo tardi. Ti aspetto per cenare tutti insieme.” Lui è profondamente felice, orgoglioso di me e contento intimamente di lasciarmi qualche ora libera di innocente svago. Sapesse! E io allora mi sento un verme, perché sto per venire da te, a godere di noi. Ma com'è potuto succedere…
Sei l'esatto opposto di ciò che apprezzo, in un uomo; non abbiamo neppure le stesse idee politiche. Eppure non riesco a togliermi dalla testa il tuo maledetto sorriso e l'odore del tuo corpo. Vuoi ridere? Mi eccita da morire carezzare il tuo petto possente pieno di peli, per poi scendere a impugnare il tuo scettro. È una cosa che sogno anche di notte, stando a fianco all'uomo che mi adora. E quando scopo con lui, ho comunque in mente solo te. Sono una puttana: non c'è altro da dire. Amo il tuo cazzo.
Soprattutto quando lo indurisci guardandomi spoglia e pronta. Lo voglio: in bocca, in culo, in fregna. Come vuoi tu. Troia da bordello fatta e finita. Affamata di cazzo. Ma una puttana almeno lo fa perché deve guadagnarsi il pane da mettere a tavola. Io invece vengo con te perché sono ormai innamorata come una tossica, dipendente oramai da te e da questa storia nascosta, disonesta, sporca. Perché sono una persona debole e lurida dentro. Fammi male, ti prego. Coprimi di sborra la faccia. Puniscimi come merito. Perché non finisca mai questa assoluta vergogna della mia anima.
RDA
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" Io credo aver trovato il senso della vita generale. L'individuo non può esser felice per se stesso, perché in fondo a tutto ciò è la morte. Il segreto dunque della felicità anche per l'individuo mortale è di sentirsi immortale, di sentirsi cioè vivere dentro gli altri, dentro l'umanità, dentro l'Essere universale. La morte dunque non m'importa: ripugna a tutta la compagine che forma il mio essere, ripugna alla vaga coscienza che hanno tutte le mie molecole, tutte le unità elementari che formano di me una colonia; esse anzi mi faranno sentire tutta la loro forza coesiva al momento dell'atto: ma non ripugna alla mia coscienza superiore. Vivere è per me troppo doloroso: ogni sofferenza altrui si ripercuote ora in me con troppa violenza. Io potrei essere il più sfortunato dei miei simili e non soffrirei un millesimo di quello che soffro ora, che mi sento penetrato, inebriato da tutta la sofferenza degli uomini. Fuggire l'agglomeramento, la città, il contatto dei miei simili e rifugiarmi nei campi, isolarmi in mezzo alla natura sana e serena? Ma ora anche le lande, ove gli eremiti si seppellivano, sono proprietà d'alcuno e in nessuna parte tace l'eco della miseria… D'altronde è troppo tardi. "
Giovanni Cena, Gli ammonitori, a cura di Folco Portinari, Einaudi (collana Centopagine n° 43, Collezione di narratori diretta da Italo Calvino), 1976¹; pp. 186-187.
NOTA: l'unico romanzo del poeta di Montanaro Canavese fu pubblicato per la prima volta nell'estate del 1903 sulla prestigiosa rivista «Nuova Antologia», della quale Cena era redattore capo.
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UN QUARTO DELLE PERSONE CONSIDERATE INCOSCIENTI SONO COSCIENTI
Secondo il primo studio internazionale del suo tipo, almeno un quarto delle persone con gravi lesioni cerebrali e che non riescono a rispondere fisicamente ai comandi, sono in realtà coscienti.
La ricerca che ha coinvolto 353 persone con lesioni cerebrali causate da eventi quali traumi fisici, infarti o ictus, ha dimostrato la presenza di attività cerebrale in 112 di esse, quando è stato chiesto loro di immaginare di muoversi o di fare esercizi; circa il 25% ha mostrato attività cerebrale durante l’intero esame. “Questo è uno degli studi più importanti” nel campo del coma e di altri disturbi della coscienza, afferma Daniel Kondziella, neurologo del Rigshospitalet, l’ospedale universitario dell’Università di Copenaghen. I risultati indicano che un numero considerevole di persone con lesioni cerebrali che sembrano non rispondere, può sentire ciò che accade intorno a loro ed è potenzialmente in grado di utilizzare interfacce cervello-computer per comunicare, afferma il responsabile dello studio Nicholas Schiff, neurologo presso la Weill Cornell Medicine di New York.
Non è la prima volta che uno studio rileva una dissociazione cognitivo-motoria in persone con lesioni cerebrali che non rispondevano fisicamente. In un articolo del 2019, il 15% delle 104 persone sottoposte a test mostrava questo comportamento. Questo studio, pubblicato dalla rivista scientifica Nature, è tuttavia la prima indagine multicentrica del suo genere e con campione così ampio. I test sono stati eseguiti in sei strutture mediche in quattro paesi: Belgio, Francia, Regno Unito e Stati Uniti.
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Fonte: Nature; foto di RDNE Stock Project
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Gianluca Cicinelli
Il governo di Giorgia Meloni, fatto più grave che sia una donna a prendere questa decisione, sta introducendo politiche per permettere alle organizzazioni anti-aborto di accedere liberamente ai consultori, con finanziamenti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), riducendo di conseguenza le risorse disponibili per la sanità pubblica.
Una misura specifica è stata adottata attraverso un emendamento proposto dal deputato Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia, già passato in commissione Bilancio della Camera, che modifica l’articolo 44 del disegno di legge del Piano riguardante la sanità.
L’emendamento, come riportato dal Quotidiano Sanità, autorizza le regioni a destinare i fondi del Pnrr per la salute a sostenere i servizi nei consultori che possono includere, senza oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche, l’apporto di enti del terzo settore con esperienza nel supporto alla maternità.
Questo emendamento in realtà è superfluo, poiché la legge 194/78 già permette ai consultori di collaborare con volontari come assistenza per le maternità difficili, il suo scopo reale è quindi quello di fornire sostegni finanziari pubblici ad associazioni vicine al governo e palesemente contrarie all’aborto. Un attacco senza precedenti alla legge 194.
Organizzazioni come la “Pro vita e famiglia” promuovono proposte di legge come quella di costringere le donne a sentire il battito cardiaco e vedere un’ecografia del feto prima di un aborto. Le forze che sostengono il governo in alcune regioni hanno già dispiegato tutta la loro ideologia anti abortista. Per esempio in Piemonte, dove il “Movimento per la vita” ha ricevuto l’autorizzazione per gestire uno spazio di ascolto fetale negli ospedali.
I consultori offrono già supporto a chi sceglie di proseguire una gravidanza, semmai sono fortemente limitati nei fondi e nel personale. In Italia l’accesso all’aborto è tra i più bassi al mondo mentre l’obiezione di coscienza degli anti abortisti è altissima e diviene spesso un ostacolo al lavoro dei consultori.
Il becero cinismo del governo Meloni non fa che aggravare il dolore e lo stress psicologico delle donne che cercano aiuto nei consultori. Iniziative come quella di costringere una donna ad ascoltare il battito cardiaco del feto non servono a far cambiare idea alle donne ma a colpevolizzarle, manipolando il senso di colpa.
Le donne del centrodestra non hanno niente da dire sull’argomento? Quando in Italia l’aborto era reato le donne delle classi più agiate superavano l’ostacoio andando ad abortire in Svizzera o in strutture compiacenti. Erano le donne dei ceti medi e bassi a dover ricorrere a strumenti, come le “mammane”, che spesso provocavano la loro morte. Difficile credere che tutte le elettrici del centrodestra siano ricche e favorevoli a questa ulteriore restrizione dei diritti delle donne che riguarda anche loro.
Ormai non è più questione politica ma etica. Un’involuzione che non riguarda soltanto le scelte in economia o in politica estera, discutibili ma legittime. Quando un governo politico si assume la responsabilità di diventare “governo etico”, obbligando a un’unica morale i suoi cittadini e violando i diritti civili e umani, va verso la strada intrapresa decenni fa da altri governi, rappresentati senza vergogna dal simbolo della fiamma nel logo del partito che esprime il presidente del consiglio.
Il professor Luciano Canfora è stato querelato da Giorgia Meloni esattamente per aver posto in rilievo questa comunanza ideologica con un passato totalitario di governi “etici”, che, al di là della parola usata per descriverla, nella sostanza pone esattamente il problema etico che molti italiani e italiane iniziano ad avere con questo governo.
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Conoscete la storia del "tempo che passa", vero?
Già. L'avrete sentito dire a tantissime persone, anche voi l'avrete detto molte volte.
Il tempo passa, anzi scorre fra le nostre dita e spesso non ce ne accorgiamo. Impegnati a vivere gli attimi della vita che, se sommati, formano il tempo.
Vivere, già... bisogna avere anche una buona dose di fortuna per vivere; diversamente si sopravvive.
"Il tempo passa" e lo sappiamo tutti, ma arrivano dei momenti nella vita in cui effettivamente ce ne accorgiamo. Ci rendiamo conto che il tempo è passato, come se tutto d'un tratto ci svegliassimo da un torpore. Come se ci fossimo assopiti sul treno, durante un viaggio, svegliandoci di soprassalto al sentire un voce gracchiante da un altoparlante di una stazione.
In questi giorni intensi ho avuto delle concrete prese di coscienza del tempo che passa.
Figli. Questo mese di settembre sono riprese le scuole, ho visto i ragazzi per le vie della città con i loro zainetti e cartellette avviarsi in lunghe file verso le proprie scuole. Ho visto genitori accompagnare i bambini con i loro piccoli zainetti verso le scuole dell'infanzia o di primo grado.
Così mentre li osservavo ho pensato ai miei figli. All'autonomia che hanno i ragazzi universitari.
Non hanno più bisogno di me, dei passaggi o dei trasporti. Dei colloqui con i docenti e delle presenze nello studio.
Santo cielo, sono uomini che si organizzano e hanno appuntamenti di studio e corsi, e lezioni.
Di pranzi o cene con gli amici, di viaggi nel fine settimana e di discussioni e pensieri. Hanno sempre fretta, come se avessero un cronometro messo nel cervello.
Vorrei dire ogni tanto a ognuno di loro: "Riposati"; poi penso a quando li esortavo a studiare e non "perdere tempo".
Ma il tempo non si perde, esso scorre. Sta a noi decidere se viverlo appieno o lasciarlo scivolare inerti.
Madre. Che la tua ragione sta sfumando, non averne a male se ti ho portato in un posto dove ti aiuteranno. Spero di riportarti presto a casa, per vederti ancora tra i tuoi ricordi e le cose a te care. Sistemo casa tua e vedo le foto in bianco e nero o con quei colori anni ottanta. Quante volte le ho viste, ma con la tua presenza andavano in secondo piano. Ora nel silenzio dell'assenza pesano come pietre miliari, segnando la strada del tempo passato.
Il tempo passa. Venticinque anni sono passati dalla sepoltura di mio padre. In questi giorni è stato riesumato.
Mio padre, non ha mai mollato nella vita. Testa bassa e lavoro, fino allo stremo.
Solo un cancro lo ha sconfitto prematuramente.
Così ho assistito alla sua esumazione, pensavano di trovare ossa i necrofori. Ma lo avevano assicurato per la loro esperienza nel settore: "Deve sapere che dopo venticinque anni saranno solo ossa"; mi hanno detto.
Mio padre invece non si è consumato, ha resistito.
Ho avuto pietà per quei resti umani, ho avuto pietà per me che sono restato umano.
Ho sussurrato "Scusa", a quei resti. Perché di scuse ne avevo tante da porgere a mio padre, usando la mia bocca. Perché di scuse me ne doveva anche lui, con la sua bocca.
Così in questi giorni mi sono svegliato a una stazione, a bordo di un vagone, per via di una voce gracchiante dal profondo della mia anima. Sono risvegli duri, che ti lasciano un po' stordito, con quel malessere diffuso.
Il tempo passa e lo sa solo il cielo di quanto ne ho sprecato.
Mi domando se riuscirò, per quanto mi rimarrà di vivere, di sentirmi completato. Ma poi penso al fatto che, ognuno di noi, ha più tempo che vita.
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I draghi non sono creature mitiche, ma esseri antichi che un tempo vagavano per la Terra sia in forma fisica che energetica. Queste entità potenti e maestose sono intrecciate nel tessuto di innumerevoli culture e mitologie, riflettendo il loro profondo significato spirituale. I draghi esistevano in un'epoca in cui il velo tra il regno fisico e quello spirituale era più sottile, consentendo loro di manifestarsi più pienamente nel nostro mondo. Man mano che la coscienza dell’umanità cambiava e l’energia della Terra diventava più densa, i draghi si ritiravano in dimensioni più elevate, sebbene la loro presenza e influenza rimangano accessibili a coloro che sono in sintonia con la loro essenza spirituale.
I draghi possiedono immense proprietà spirituali, spesso simboleggiano forza, saggezza e trasformazione. Sono esseri elementali, che incarnano le forze primordiali della natura. In quanto guardiani dell'antica saggezza, i draghi custodiscono i segreti dell'universo e i misteri della creazione. In molte tradizioni spirituali, i draghi sono visti come protettori della conoscenza sacra e porte verso stati di coscienza più elevati. Rappresentano il potere di trascendere i limiti, innescare la trasformazione personale e sfruttare l'energia latente dentro di sé per la crescita spirituale.
Per coloro che risuonano con i draghi come animali totem, questa connessione riflette qualità come leadership, coraggio e una profonda conoscenza interiore. Un totem del drago suggerisce che l’individuo ha una forte energia trasformativa e un’innata capacità di affrontare le sfide della vita con resilienza e forza. Coloro che possiedono l'energia del drago spesso possiedono un'anima antica, che porta dentro di sé un profondo senso di scopo e autorità spirituale. Come totem, i draghi offrono una guida per abbracciare il proprio vero potere, proteggere il proprio percorso spirituale e raggiungere l'equilibrio tra il mondo fisico e quello spirituale.
I draghi fungono anche da potenti spiriti guardiani, spesso proteggendo non solo individui ma interi lignaggi o spazi sacri. Custodiscono i tesori, sia materiali che spirituali, assicurando che la conoscenza sacra rimanga nascosta finché non si è pronti a riceverla. I draghi sono i guardiani della saggezza, degli antichi misteri e del progetto divino della creazione. Assumono questo ruolo a causa della loro connessione con le forze elementali che sostengono la vita e della loro comprensione dell'ordine cosmico. Come guardiani, aiutano coloro che sono sotto la loro protezione ad affrontare le sfide spirituali, offrendo forza e intuizione durante i periodi di trasformazione e crescita.
Quando i draghi si propongono come spiriti guida o totem, spesso comunicano attraverso potenti simbolismi, come sogni ricorrenti, visioni di creature serpentine o sincronicità che coinvolgono fuoco o acqua. Coloro che sperimentano la presenza dell’energia del drago possono sentire un’intensa ondata di forza interiore o una chiamata ad abbracciare la trasformazione. I draghi vogliono che l’umanità si risvegli al suo vero potenziale, esortandoci a sfruttare il nostro potere interiore e a vivere in allineamento con le verità universali. La loro intenzione è guidarci verso la maestria spirituale, proteggendo la sacra fiamma della saggezza dentro ognuno di noi. Su una scala più ampia, i draghi svolgono un ruolo vitale nell’universo come protettori dell’equilibrio cosmico, mantenendo l’armonia tra creazione e distruzione e ricordandoci della nostra interconnessione con le forze della Natura e del Divino.
Condiviso da Milton Foster art by Razor Picz ***************************** Dragons are not mythical creatures, but ancient beings that once roamed the Earth in both physical and energetic form. These powerful and majestic entities are woven into the fabric of countless cultures and mythologies, reflecting their profound spiritual significance. Dragons existed at a time when the veil between the physical and spiritual realms was thinner, allowing them to manifest more fully in our world. As humanity's consciousness changed and the Earth's energy became denser, dragons retreated into higher dimensions, though their presence and influence remain accessible to those in tune with their spiritual essence.
Dragons possess immense spiritual properties, often symbolizing strength, wisdom, and transformation. They are elemental beings, embodying the primal forces of nature. As guardians of ancient wisdom, dragons guard the secrets of the universe and the mysteries of creation. In many spiritual traditions, dragons are seen as protectors of sacred knowledge and gateways to higher states of consciousness. They represent the power to transcend limitations, ignite personal transformation, and harness the latent energy within for spiritual growth.
For those who resonate with dragons as totems, this connection reflects qualities such as leadership, courage, and deep inner knowing. A dragon totem suggests that the individual has strong transformative energy and an innate ability to meet life’s challenges with resilience and strength. Those who possess dragon energy often possess an old soul, carrying within them a deep sense of purpose and spiritual authority. As totems, dragons offer guidance in embracing one’s true power, protecting one’s spiritual path, and achieving balance between the physical and spiritual worlds.
Dragons also serve as powerful guardian spirits, often protecting not just individuals but entire lineages or sacred spaces. They guard treasures, both material and spiritual, ensuring that sacred knowledge remains hidden until one is ready to receive it. Dragons are guardians of wisdom, ancient mysteries, and the divine design of creation. They take on this role because of their connection to the elemental forces that sustain life and their understanding of the cosmic order. As guardians, they help those under their care navigate spiritual challenges, offering strength and insight during times of transformation and growth.
When dragons act as spirit guides or totems, they often communicate through powerful symbolism, such as recurring dreams, visions of serpentine creatures, or synchronicities involving fire or water. Those who experience the presence of dragon energy may feel an intense surge of inner strength or a call to embrace transformation. Dragons want humanity to awaken to its true potential, urging us to harness our inner power and live in alignment with universal truths. Their intention is to guide us toward spiritual mastery, protecting the sacred flame of wisdom within each of us. On a larger scale, dragons play a vital role in the universe as protectors of cosmic balance, maintaining harmony between creation and destruction and reminding us of our interconnectedness with the forces of Nature and the Divine.
Shared by Milton Foster art by Razor Picz
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Ad Auschwitz superai la selezione per tre volte. Quando ci chiamavano sapevamo che era per decidere se eravamo ancora utili e potevamo andare avanti, o se eravamo vecchi pezzi irrecuperabili. Da buttare. Era un momento terribile.
Bastava un cenno ed eri salvo, un altro ti condannava. Dovevamo metterci in fila, nude, passare davanti a due SS e a un medico nazista. Ci aprivano la bocca, ci esaminavano in ogni angolo del corpo per vedere se potevamo ancora lavorare. Chi era troppo stanca o troppo magra, o ferita, veniva eliminata.
Bastavano pochi secondi agli aguzzini per capire se era meglio farci morire o farci vivere. Io vedevo le altre, orrendi scheletri impauriti, e sapevo di essere come loro. Gli ufficiali e i medici erano sempre eleganti, impeccabili e tirati a lucido, in pace con la loro coscienza.
Era sufficiente un cenno del capo degli aguzzini, che voleva dire “avanti”, ed eri salva. Io pensavo solo a questo quando ero lì, a quel cenno. Ero felice quando arrivava, perché avevo tredici anni, poi quattordici. Volevo vivere.
Ricordo la prima selezione. Dopo avermi analizzata il medico notò una cicatrice. «Forse mi manderà a morte per questa…» pensai e mi venne il panico. Lui mi chiese di dove fossi e io con un filo di voce ma, cercando di restare calma, risposi che ero italiana.
Trattenevo il respiro. Dopo aver riso, insieme agli altri, del medico italiano che mi aveva fatto quella orrenda cicatrice, il dottore nazista mi fece cenno di andare avanti. Significava che avevo passato la selezione! Ero viva, viva, viva! Ero così felice di poter tornare nel campo che tutto mi sembrava più facile.
Poi vidi Janine. Era una ragazza francese, erano mesi che lavoravamo una accanto all’altra nella fabbrica di munizioni. Janine era addetta alla macchina che tagliava l’acciaio. Qualche giorno prima quella maledetta macchina le aveva tranciato le prime falangi di due dita. Lei andò davanti agli aguzzini, nuda, cercando di nascondere la sua mutilazione. Ma quelli le videro subito le dita ferite e presero il suo numero tatuato sul corpo nudo. Voleva dire che la mandavano a morire.
Janine non sarebbe tornata nel campo. Janine non era un’estranea per me, la vedevo tutti i giorni, avevamo scambiato qualche frase, ci sorridevamo per salutarci. Eppure non le dissi niente. Non mi voltai quando la portarono via. Non le dissi addio. Avevo paura di uscire dall’invisibilità nella quale mi nascondevo, feci finta di niente e ricominciai a mettere una gamba dietro l’altra e camminare, pur di vivere.
Racconto sempre la storia di Janine. È un rimorso che mi porto dentro. Il rimorso di non aver avuto il coraggio di dirle addio. Di farle sentire, in quel momento che Janine stava andando a morire, che la sua vita era importante per me. Che noi non eravamo come gli aguzzini ma ci sentivamo, ancora e nonostante tutto, capaci di amare. Invece non lo feci.
Il rimorso non mi diede pace per tanto, tanto tempo. Sapevo che nel momento in cui non avevo avuto il coraggio di dire addio a Janine, avevano vinto loro, i nostri aguzzini, perché ci avevano privati della nostra umanità e della pietà verso un altro essere umano. Era questa la loro vittoria, era questo il loro obiettivo: annientare la nostra umanità...
- Liliana Segre - Fino a quando la mia stella brillerà
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Attore, ma d'istinto.
Nella sua testa era ben chiaro che essere attore era un privilegio assoluto, vivere mille volte, raccontando la propria storia, senza la pretesa di imporre, ma di poter guardare un nuovo punto di vista, una prospettiva focalizzate da arricchire, da adoperare. Nel suo cuore, conosceva l'amore consolidato per questo mestiere, la fedeltà da riservare, il sacrificio a cui non poter dare questo nome, perché chi fa il mestiere d'attore, del resto, non ha il "privilegio" di aver qualcosa da sacrificare veramente, e tuttavia non è proprio così, nonostante si continui a "giocare". Marcello attore instancabile, lasciava spazio alla più profonda intelligibilità emotiva, accoglieva il suo personaggio come si accoglierebbe un nuovo amico a cui raccontare una storia da vivere insieme. Portava vita, inevitabilmente. Ogni parola, ogni gesto in scena raccontavano il suo istinto, la sua emotività, elementi fragili e potentissimi. Ogni vita narrata, su pellicola, attraverso i suoi occhi, celava qualcosa di sé e vibrava di un sentire, vitale, reale, empatizzante, vissuto, compreso, così vicino da essere percepito. La sua istintività recitativa si manifestava in modo naturale e autentico, ogni parola pronunciata e ogni movimento erano sostenuti, guidati, dall'essenza stessa del personaggio che interpretava, a cui lui dava un nome, una nuova casa da abitare. Lui, attore volitivo, uomo dalla sensibilità acuta e intelligente, era capace di entrare con naturalezza, nelle profondità psicologiche dei suoi personaggi, ne abbracciava gioie, paure e desideri, portando in vita sfumature emotive e complessità umane. Senza artificiosi tecnicismi, incarnava il concetto stesso di versatilità, raccontando ogni colore di quelle vite vissute, attraverso la sua innata elasticità emotiva e coscienza attoriale permeate da una predominante d'istinto che non si imponeva, ma che lasciava solo vita a quel darsi, al concedersi, per meglio raccontarsi.
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