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Visioni pomeridiane
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"Nuoto in cartella 2024": L'iniziativa di Casale Monferrato per avvicinare i bambini allo sport
Dal 14 ottobre 2024 al 31 gennaio 2025, gli alunni di seconda elementare di Casale Monferrato potranno partecipare a lezioni gratuite di nuoto presso la piscina comunale.
Dal 14 ottobre 2024 al 31 gennaio 2025, gli alunni di seconda elementare di Casale Monferrato potranno partecipare a lezioni gratuite di nuoto presso la piscina comunale. Casale Monferrato rinnova l’impegno verso i più piccoli e le loro famiglie con l’edizione 2024 di “Nuoto in cartella”, un’iniziativa rivolta agli alunni di seconda elementare. Il progetto, pensato per promuovere uno stile di…
#attività extrascolastiche.#Attività Fisica#attività fisica per bambini#attività pomeridiane bambini#attività sociali Casale Monferrato#attività sportiva Casale Monferrato#Casale Monferrato#eventi sportivi Casale Monferrato#impegno sociale#iniziative sportive Casale Monferrato#lezioni di nuoto#lezioni gratuite#Monferrato Active#nuoto bambini#nuoto Casale Monferrato#Nuoto in cartella#nuoto in Piemonte#piscina comunale Casale Monferrato#piscina comunale via Giovanni Paolo II#progetto educativo#progetto scolastico#promozione dello sport#promozione sportiva#salute bambini#seconda elementare#sport e benessere#sport e famiglie#sport e salute#sport per bambini#supporto famiglie
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Le notizie del giorno | 28 luglio - Pomeridiane
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E già qualcuno fra i parenti ha osato chiedermi del concorso. Ma come, non partecipi? Vedo già le mie zie insegnanti partir gagliarde con le solite domande cui non saprò cosa rispondere. La verità porterebbe a una bruta discussione, meglio tentar la via della cieca ignoranza o, peggio ancora, della menzogna compiacente. Ogni volta resto muto e interdetto, incapace di soffrirne a voce, perché ho un lavoro, cristo, un lavoro creatomi dal nulla, MI SONO DATO un lavoro e per loro non è abbastanza, perché non è un posto pubblico. Forse chi ha visto Quo vado? ma vive al nord non ha ben chiaro quanto quel film ritragga fedelmente la gretta mentalità della mia terra, ma è davvero così e non fa ridere per niente. Ricordo ancora benissimo i mesi precedenti l’apertura, il silenzio dei parenti, il vuoto intorno, le risatine di mia nonna: “Ma verrà qualcuno?” e l’insistenza di mia zia: “Hai mandato le Mad? Dovresti provare col sostegno, da lì è più facile entrare” (e di questa immonda realtà parleremo un’altra volta). Ci litigai, speravo d’aver chiarito una volta per tutte le mie intenzioni, ma puntualmente dopo qualche mese tornò a chiedermi: “Allora, hai mandato le Mad? Nessuna supplenza?” “Eh, no” mentii “purtroppo nulla”. Ci rinuncio, perché quella dei nostri genitori ormai è una generazione totalmente slegata dalla realtà, convinta di vivere ancora gli anni ‘90, dove tutto era possibile, dove entravi dove volevi con l’aiuto di zio Cosimino, dove il politichino di turno sistemava gli amici di amici, dove una laurea e un concorso significavano qualcosa. Oggi la mia dipendente, povera crista che quando non lavora passa le giornate a studiare, mi ha rivelato che per la sua classe di concorso i posti messi a bando per la Puglia saranno 3. Come dovrei non incazzarmi? Come si può restare calmi di fronte a tanto schifo? Capite perché ho mandato tutti al diavolo, aprendo la MIA scuola? Non possiamo star qui a invecchiare all’ombra di mamma e papà, in attesa che lo stato ci permetta di fare ciò che abbiamo sudato e studiato decenni per fare. In famiglia nessuno sa che ad aprile ho rinunciato all'orale. Non li ritengo stupidi, è probabile che qualcuno abbia capito (forse mia madre?), dall’Usr dell’Emilia Romagna si sono fatti vivi dopo un anno (un anno!) dal superamento dello scritto, questo sì, ma è poco plausibile che venga indetto un nuovo concorso senza aver posto fine al precedente. Almeno il dubbio deve averli sfiorati. Ma non ho il coraggio di dirglielo, lascerò che lo capiscano da sé, se vogliono, non sopporterei la cenere di quegli sguardi delusi, il ricordo di mio padre che dopo lo scritto esulta al telefono: “Volesse Iddio che ti sistemi”, la segretaria dell’Usr che alla rinuncia insiste incredula al telefono ed io che le rispondo: “Non posso, ho cambiato vita”. No, la verità li ammazzerebbe, non so manco perché poi. E la cosa che mi fa più ridere è che proprio loro, le mie care zie insegnanti, gente del mestiere, non capiscono che non potrei affiancarlo in nessun modo a ciò che già faccio, perché è già un lavoro a tempo pieno. Come potrei mai dedicarmi il pomeriggio al doposcuola e preparare al tempo stesso le lezioni del giorno dopo? Partecipare ai consigli, collegi vari, attività pomeridiane ed essere ubiquamente al mio locale? Gestisco un’attività, cazzo, non è mica il lavoretto dell’estate. Ma non lo capiranno mai tanto, meglio che m’abitui sin da ora a ripetere: “Oh, sì, eccome se ho sentito! Non vedo l’ora di tentar la sorte anch’io alla lotteria!”
#so che molte/i di voi lo tenteranno#non lasciatevi abbattere dai numeri contrari#se è quel che volete davvero nella vita credeteci#io non ci ho creduto#ma non faccio testo#ricordatevi solo che non dobbiamo sopportare per forza tutto questo#se non vi lasciano fare il vostro lavoro mandateli al diavolo e fatelo per conto vostro#spero che ciò che ho fatto serva almeno da esempio#che possa essere utile in qualcosa almeno
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ragionavo su un mio aspetto caratteriale oggi, durante le ore pomeridiane. non comprendo come la mia empatia delle volte prevalga sul mio orgoglio, e sulla mia dignità. per me chiudere i rapporti equivale a porre una linea divisiva fra me e quella persona, e difficilmente rivaluto le mie decisioni progresse. quando scelgo di chiudere con una persona è solo perché sono arrivata al limite emotivo, proprio per la mia tendenza a perdonare generalmente tutto
tuttavia rimango sempre in trappola, qualsiasi sia la situazione, che io venga ferita o che non, assumo sempre l'iniziativa di cercare un dialogo, risolvere la situazione e offrire rassicurazioni. e niente porca puttana non so se sono empatica o semplicemente deficiente
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Oggi in ufficio ho trovato per terra questo bombo già morto, chissà che gli è successo durante il weekend, quanto resistono i bombi senza bere e mangiare? È tutto intero, credo: le zampe sono piegate e non ho voluto provare ad aprirle per paura di spezzarle e anche perché non so bene come funziona il pungiglione una volta morti. Ho pensato di portarlo alle mie nipotine per farglielo vedere da vicino, forse potremmo anche usare il microscopio della più grande se si ricorda dove l'ha messo, altrimenti potrei recuperare il mio microscoski... in queste occasioni vorrei quello che abbiamo regalato a mio nipote, che fa fare anche le foto con il cellulare *_*
Poi potremmo seppellirlo sotto qualche piantina nel balcone (dovrei trapiantare dei ciclamini in effetti) e far fare alla natura il suo corso (chissà che succede in assenza di lombrichi e vermetti vari? Quanto resisterebbe il corpo di un bombo sotto a dei ciclamini? Forse più dei ciclamini stessi, che di solito faticano ad arrivare all'estate successiva nel mio balcone?)
Ho provato a chiedere alla mia amica G. se potesse tornarle utile per qualcuno dei suoi bimbi delle lezioni pomeridiane, ma ha detto che, anche se è morto, un bombo lo può vedere in foto, ma è meglio tenerglielo lontano kilometri >_<
@girasoliasonagli tu che ne dici, te lo conservo per una lezione? ^_^
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Ho in mente di andare a stare da mia nonna per qualche giorno, e capisco di star invecchiando dal fatto che i miei programmi sono fatti di sveglie presto, cucinare i miei piatti preferiti con lei, letture pomeridiane e passeggiate, invece di bere fino alle 3 con gli amici d'infanzia. Altro indice di vecchiaia è il fatto che stavolta sarò sommersa di libri su legislazione antimafia, trattamento penitenziario ed ergastolo ostativo :')
#diario#sto proprio invecchiando#ma ci piace così#farò la vita da vecchietta e non vedo l'ora#dannata tesi però#:')#ma non mi posso lamentare troppo#pensieri in italiano
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Sono giorni che mi viene in mente la mia amica Ale. Ci siamo conosciute sei mesi prima della laurea, lei è subentrata nel mio corso e, non so nemmeno dire se c'è stato un giorno senza che ci sentissimo amiche da anni, credo di no. Abbiamo preparato le tesi insieme e anche dopo abbiamo continuato a fare concorsi insieme, avevamo proprio un cordone che collegava le nostre teste. Io le raccontavo i miei tormenti con uomini impossibili e la costringevo a venire alle loro partite di rugby o alle serate di musica elettronica a ballare all'Init, lei mi attanagliava con i suoi, mi costringeva ad andare alle pomeridiane di Niccolò Contessa quando ancora non erano famosi i Cani e a cercare scuse per parlargli ad ogni pausa che facevamo insieme a fumare drummini e bere, mi portava a frequentare un mondo così radicalchic che duepalle proprio mi annoiava, ma per lei ok. Poi lei è andata a Berlino e ci siamo perse un po'. Forse. Ma perse non è il vocabolo giuste, ci siamo messe in pausa? Forse sì, perché quando ci vediamo o ci sentiamo è esattamente come quei 12 anni fa.
Lei fa parte di quelle donne della mia vita che amo e che ringrazio di aver avuto un vicino. Quelle donne con cui provo un'alchimia e un feeling mentale/lavorativo/emotivo perfetto, come la mia ex collega che mi manca come l'aria e che amerei poter assumere io oggi nel mio negozio.
Ale, adesso ti scrito una delle nostre frasi cretine e riannullo la messa in pausa per un po' :)
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Ovunque
Lunedì era il 2 gennaio, pioveva di quella pioggia fine e persistente che qui chiamano scarnebbia e l’aria intorno era grigia e umida, ovviamente. Io avevo intenzione di uscire, ho messo su i leggnings termici, i pantaloncini felpati, il top, la canottiera, la maglia termica, la felpa e il kway, guanti, cappello, cuffie e sono uscita a correre. Ho sudato come un lottatore di sumo perché ero overdressed and not in the good way. Non fa freddo, è umido, non mi sono regolata., mi sto adattando al clima di queste zone, dopo otto anni sarebbe anche l’ora.
La me di dieci anni fa, che avrebbe vissuto a Roma ancora per poco, non avrebbe nemmeno mai pensato di uscire a correre, figurarsi con questo tempo. Neanche la me di 9 anni fa, che viveva al mare.
Dici come ti trovi al nord che non c’è mai il sole? È vero, da che se ne possa dire, la quantità di sole che vediamo qui in pianura è decisamente una parte infima e disperata di quella che si gode in qualsiasi altra parte d’Italia e forse del mondo. Siamo al 5 di gennaio e dal 20 di dicembre ricordo solo un giorno di sole e non è il periodo peggiore di cui ho memoria. Come mi trovo? Mi trovo che boh, mi sono adattata a vivere anziché sopravvivere, esco a correre con la pioggia, fai tu, e l’altro giorno mentre correvo pensavo che forse queste condizioni meteo avverse alla mia psiche sono addirittura la marcia in più che mi distoglie dalla pigrizia che il sole mi induce, dalla vena contemplativa che il bel tempo mi attiva, dalla voglia di stendermi su una spiaggia o al sole su un prato al parco degli acquedotti, dalla stanchezza della canicola che il caldo comporta, le dormite pomeridiane dei pomeriggi assolati qui non sono cultura. Non è un merito, non è una colpa, la crescita del pil ha una correlazione negativa con il clima mite così come ce l’ha con la corruzione. Quello che ho notato qui è che alla gente va di fare le cose a prescindere dal tempo e se è bello ancora meglio, ma cambia poco, cambiano giusto le cose da fare, il tempo non è mai un deterrente, almeno nella mia cerchia non ho mai sentito dire da nessuno “non vengo perché piove e non mi va”, sinceramente piuttosto ti entrano in casa zuppi, infreddoliti, ma mai mai mi è successo di sentirmi dire “no, c’è nebbia”. Mi piace vivere al nord? A volte sì, a volte no, ci sono i pro e i contro. In pianura per esempio ci si sposta bene, puoi andare ovunque in bici, che è sempre stata una mia fissa e passione, un mio amico mi diceva sempre che a Roma ci sono più parchi e verde, è vero, ma a Milano se c’è traffico e non t va, parcheggi la macchina e a piedi in 2h sei ovunque, a Roma piuttosto muori. Qui ci sono i fiumi, i laghi, le montagne e tante città abbastanza vicine tra di loro, la vita col van o col camper è più semplice, due ore e sei in terra straniera e prendere i mezzi non è la condanna infinita di un girone infernale. Il meteo in pianura è quello che è e l’inquinamento, dove vivo io, è una piaga, così come le zanzare, la vita è più costosa, gli stipendi in media sono più alti, ma forse non abbastanza. La gente mi piace. Vivere a Roma mi piaceva? Fino ad un certo punto sì, poi non più. È bella, bellissima, meravigliosa. Se vivi in centro, certo, le periferie, invece, sono tutte uguali, qualcuna è più brutta. Il periodo in cui ero studentessa scendevo dai miei in Calabria anche per mesi interi e quando tornavo a Roma era come se avessi lì una seconda vita a cui riadattarmi, mi sentivo dispersa e confusa, senza meta, allora prendevo i mezzi e andavo in centro, mi piaceva castel sant’angelo, mi piaceva il celio, mi piaceva il cimitero inglese, mi piaceva piazza cavour, arrivarci coi mezzi mi piaceva meno e più passava il tempo meno mi era utile la bellezza più mi serviva praticità, dopo il 2010 vivere era diventato costosissmo, impossibile quasi per chi non aveva casa o un lavoro pagato bene e la vita era diventata sopravvivenza, abitare a Roma non mi piaceva più. Tredici anni della mai vita, forse i più belli, c’ho messo un po’ a farmene una ragione e a capire che venivo prima io dei bei ricordi. Mi piaceva vivere al mare dai miei? A volte sì, a volte no. La Calabria è terra abbandonata, difficile e mancante, anche per colpa mia che me ne sono andata e non ho mai dato nulla in cambio di quello che invece i miei padri e le mie madri mi hanno sempre offerto. Bella, bellissima, selvaggia, imprendibile, l’amore della mia vita. I miei abitano al mare, sulla costa tirrenica di fronte ad uno dei panorami più belli del mondo, d’inverno si vede fino l’etna, fino stromboli e panarea, i colori sono infiniti e le nuvole disegnano oltre l’immaginazione, è terra ricca e che non chiede niente, solo il tuo sacrificio. Ci ho vissuto in tutto, in due tranche, per dieci anni. Sono calabrese nelle vene, ma non lo sono nella volontà, i miei mi hanno aperto mondi a cui non sono ancora, nonostante tutto, pronta a rinunciare e la mia terra mi sta stretta, non sono pronta a dare, sto ancora nell’immaturità di ricevere e se non riesci a dare la Calabria non perdona. Ogni volta che sono tornata l’ho fatto per curarmi e ogni volta mi ha curato, ogni volta mi ha rivelato qualcosa di me, il ciclo non è finito, son sicura che è lì che voglio tornare, ma mi piace vivere l��? Ancora no.
Ho vissuto anche dieci anni negli Stati Uniti, ma ero troppo piccola e già volevo andarmene via, NY mi puzzava di pesce marcio e la gente non era italiana. Sensazioni difficili da descrivere, non ho mai avuto velleità di tornare, almeno fino adesso, in cui mi ritrovo a volte a pensare come sarebbe tornare a vivere nella grande mela o addirittura a Los Angeles, aprirmi a quel tipo di mondi e cultura così diversa e dicotomica, non mi verrebbe mai in mente di desiderare l’Arizona ecco o l’Oklahoma, questo no, però una grande città che non mi posso permettere un po’ nello stomaco la fame mi viene.
Son tutti uguali i posti del mondo, sei tu che cambi di volta in volta, perché per quanto belli o brutti possano essere la vita che ci vai a vivere è la tua, sempre la tua, e quello dipende solo da te. Mi piace viaggiare, forse mi piaceva di più prima, mi piace esplorare, però vivere è diverso e vivere in un posto lo normalizza, lo mette al centro della gaussiana, anche vivere in uno Slum a Mumbai alla fine è questione di abitudine, lo dice bene Roberts in Shantaram e io ci credo. Ogni posto diventa il tuo posto se sei abbastanza pronta e onesta con te stessa, nessun posto sarà mai tuo invece se non riesci a completarti.
So per certo che per apprezzare qualunque posto, per affrontare qualsiasi tipo di realtà, la prima con cui devi fare pace è quella da cui vieni, è la cosa più difficile, è la più dolorosa, ma se non capisci che anche lì va bene, allora non andrà bene nessun altro posto.
C’è una pagina su Facebook che si chiama View from my window, è una bella pagina, cortese e gentile, in cui le persone sono chiamate a mandare solo una foto a testa, per non intasare e solo della vista che hanno da una finestra/balcone di casa, indicare dove abitano e al massimo un piccolo commento, gli altri non devono giudicare se non in modo cortese, la foto deve essere rigorosamente da casa, non luogo di lavoro o vacanza, fammi vedere cosa vedi tu ogni giorno da casa tua. C’è di tutto. Viste da palazzi, da villette, da cabine in montagna, da case sulla spiaggia ad Edinburgo, giardini Sudafricani, parcheggi di condomini a San Pietroburgo, strade piene zeppe di neve di paesini norvegesi, praterie del montana, montagne canadesi, il vesuvio, cortili alle bahamas, alberi di pappagalli in australia, cose assurdamente belle in posti di guerra, cose assurdamente normali in posti caraibici.
È una pagina meravigliosa che celebra la vita nel suo quotidiano e ti fa capire come davvero ovunque è ovunque, la differenza sta in altro.
Buon anno.
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Vi capita anche a voi?
I vostri vicini non hanno un cane che lasciano uscire in giardino a fare i bisogni alle 7 di mattina e lo lasciano fuori e lui abbaia ininterrottamente? Spero per voi che non li avete, non me la prendo col cane, ma co sti stronzi, poi il problema di disturbo ero io che suonavo la batteria in garage alle 17 pomeridiane, saltiamo.
Vi capita, volevo dire invece, che postate qualcosa su FB una cosa interessante o comunque di attualità e nessuno vi caga? Poi postate una cagata, un meme, una barzelletta e tutti giù a ridere? Sicuramente si, e spesso mi chiedo se magari la cosa seria non sia stata vista e la cagata si, non è così, entrambe vengono viste ma la cosa seria non la leggono o passano avanti senza neanche soffermarvi a dire "però sto argomento è da tenere a mente, o di interesse per tutti", un cazzo, non frega niente a nessuno se la politica è in merda da 30 anni, se la guerra la stiamo subendo pure noi, se la mafia è così radicata nelle istituzioni ecc ecc ecc ecc ecc ecc ecc. Ieri ho postato un rapporto inglese sulla musica, che in parole povere dice che nell'anno 22/23 è salito esponenzialmente l'introito che la musica produce attraverso i festival e i concerti, quindi non solo soldi per i musicisti e gli addetti ai lavori ma anche per strutture alberghiere, ristoranti, parcheggi ecc ecc, metto l'articolo alla fine. Ancora non ho letto il dettaglio del rapporto ma l'ho scaricato, lo farò con calma. Quello che voglio dire è che, soprattutto qua dove non ci sono concerti e dove si pensa che la musica sia solo un contorno, quando per i Metallica c'erano 70mila persone e tutti hanno incassato bene che i giorni dopo vedevi i sorrisi come se avessero vinto alla lotteria. Non è un discorso venale, lungi da me pensare al denaro come punto di arrivo, è che dimostra che con la cultura ci si può anche campare nell'articolo parla di 56.000 (cinquantaseimila) posti di lavoro a tempo pieno e indeterminato, suppongo, quindi non è solo il giorno o il fine settimana dell'evento, si parliamo comunque dell'UK dove l'apertura mentale alla musica è decisamente più alta di quella di qua ma anche dell'Italia, seguendo un pò l'andazzo si capisce che state messi male anche voi. Comunque a tale post non ha risposto nessuno, voglio vedere quando posterò il mio ritorno se mi caga qualcuno, va bè lo posterò anche qua. Articolo in fondo.
Per cambiare discorso ieri ho visto metà di un documentario musicale sul tubo che si intitola "The art of listening" cercatelo, mi aspettavo qualcosa riguardo al suono o all'ascolto come fase di incameramento o di studio, ma no non è così, ci sono svariati musicisti, tecnici del suono, produttori, compositori che parlano della musica, di come la sentono, di come la creano ecc ecc, interessante, ma la solita cosa fatta all'americana e solo in america, no no per carità non escludo nessun territorio o popolo quando si parla di arte, come invece è capitato purtroppo alla cultura russa che è tanta e anche molto bella, ma quello che vorrei dire è che c'è sicuramente più spinta da parte di chi fa un discorso musicale dall'altra parte dell'oceano che da questa parte, sappiamo che gli yankee sono per lo show sfrenato e pompato, anche se non è questo il caso il documentario è molto pacato, a mostrare quanto sono belle e sfavillanti le cose, che di certo non è il nostro stile europeo. Ma abbiamo mai avuto uno stile europeo? In realtà penso di no, mentre gli USA sono un paese unico, unica lingua, più o meno la cultura è quella, in Europa abbiamo diversi paesi, diverse lingue e culture totalmente differenti che è difficile avere una linea unica culturale perché ogni paese ha la sua, ma nella globalizzazione delle cose si potrebbe iniziare a pensare ad una cultura europea che abbracci tutti, invece no ci si addita sempre l'un l'altro per questo o quello o per attriti di centinaia di anni fa, che palle.
A voi l'articolo.
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Le notizie del giorno | 27 luglio - Pomeridiane
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ho sognato di essere fidanzato con Chiara Ferragni ed era tutto così normale senza avvertire stranezza sembrava tutto vero per di più mi dava le stesse identiche vibes di una mia ex per atteggiamenti e modo di parlare solo ora mi rendo conto che effettivamente le assomigliava in tutto ma vi rendete conto di che disturbi soffro comunque durante le mie pennichelle pomeridiane
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#AvvisoPA - Postazione Decentrata Tricomi - Comunicazione chiusura
Si comunica che, per problemi interni, la Postazione Tricomi di Via Tricomi 14/A nelle ore pomeridiane del mercoledi’ 20/11/2024 sarà chiusa al pubblico. Read More Si comunica che, per problemi interni, la Postazione Tricomi di Via Tricomi 14/A nelle ore pomeridiane del mercoledi’ 20/11/2024 sarà chiusa al pubblico. Feed RSS – Comune di Palermo Avviso
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Capitolo #3/ Noi siamo dall’altra parte
I’d be there for you
Poi, Yark pensò a tutti i bambini che aveva mangiato così spesso. Come se, così facendo, avrebbe potuto alleviare il suo senso di colpa, Yark pensò che non sarebbe stato irragionevole per lui venire mangiato, questa volta.
—‘Yark’ Bertrand Santini
Cap. Precedente: Cap. 2-3
#3-1_otogiri_tobi/ la porta, aprila
Non era spaventoso, nemmeno particolarmente inquietante. Tuttavia, il cuore di Otogiri Tobi batteva all'impazzata.
“Non guardare”
Disse Baku.
Non guardare, Tobi, anche.
O forse non era 'Non guardare', ma 'Non devi guardare'.
Perché?
Tobi non riusciva a staccare gli occhi da lei mentre giaceva a faccia in giù nel mezzo del cortile. La ragazza era in una pozza di sangue. Quella pozza di sangue stava espandendo la sua area di momento in momento. Le sue dita, braccia e gambe si contorcevano.
“Non va bene!”
Qualcuno coprì gli occhi di Tobi.
Era stato il custode Haizaki.
“Non dovresti vedere! Otogiri-kun, non farlo……!”
Ricordava solo vagamente cosa accadde dopo.
Pensava fosse arrivata un'ambulanza. E inoltre, anche la polizia. Un ufficiale della polizia gli fece molte domande. Pensava di aver risposto onestamente alle domande. Sembrava che le lezioni pomeridiane fossero state cancellate. Quando Tobi lasciò la scuola, tutti gli studenti avevano già lasciato l’edificio scolastico. Un dipendente della struttura venne a prenderlo in macchina. Non voleva farlo, ma sopportò e tornò alla struttura con l’auto del dipendente.
Per uno o due giorni, la scuola rimase chiusa. Arrivò il fine settimana. Tobi stava leggendo tutti i libri della struttura, stordito, chiacchierando con Baku e sonnecchiando. Non aveva voglia di uscire.
A volte gli passava per la mente Takatomo. Però, Tobi non la conosceva molto bene. In realtà, non la conosceva affatto. Non sapeva nemmeno il suo nome, Takatomo Miyuki, finchè non lo sentì da un agente di polizia. Non aveva senso pensare a qualcuno che nemmeno si conosce. Dal principio, non c’era niente a cui pensare.
Perché Takatomo aveva saltato?
Non era possibile Tobi capisse.
Quando, di lunedì mattina, provò a lasciare la struttura, un dipendente della struttura gli disse che se non voleva andare a scuola, non doveva sforzarsi. Tobi lo ignorò.
“Ti sta bene?”
Chiese Baku.
“Che cosa?”
Chiese Tobi. Baku non disse nulla.
L’insegnante con gli occhiali dalla montatura nera era in piedi davanti al cancello della scuola. Di solito lanciava a Tobi uno sguardo pieno d’odio, ma questa mattina, quando vide Tobi, si aggiustò gli occhiali e guardò in basso.
“Mi sento stonato……”
Mormorò Baku.
Tobi si cambiò le scarpe nell’armadietto delle scarpe e andò in classe. Aveva la sensazione che mancasse qualcosa, o meglio era deluso.
Se ne accorse poco prima di entrare in classe.
Sicuramente, era perché Shiratama non lo stava aspettando.
La terza classe del secondo anno era silenziosa. Non tutti erano in silenzio. Alcuni studenti stavano parlando di qualcosa con dei loro amici. Tuttavia, la loro voce era chiaramente più bassa del solito. Tutti parlavano con moderazione. Non si sentivano risate. Nessuno stava ridendo.
Shiratama era seduta al proprio posto. Si alzò quando vide Tobi. Dopodiché, in qualche modo, si inchinò.
“Buongiorno”
“……Giorno”
Sentì gli occhi dei suoi compagni di classe su di lui. La maggior parte degli studenti in classe stavano guardando Tobi.
“È perché sei un testimone”
Disse Baku con un mezzo sorriso. Eh già.
È così quindi.
Takatomo Miyuki sembrava essere in gravi condizioni.
Durante le lezioni del mattino, l’insegnante Harry, noto anche come Harimoto, diede a tutti una spiegazione.
“È in cura in ospedale, ma non ha ancora ripreso conoscenza”
Harimoto non indossava la sua solita maglia rossa, ma una camicia bianca e pantaloni neri. Non sapeva il perché. Tobi non ne aveva idea.
“Penso che anche tutti voi siate preoccupati, appena noi insegnanti sapremo qualcosa di nuovo ve lo faremo sapere. Sembra che stiano circolando strane voci, ma per favore non credeteci. Va bene?”
Cos’erano quelle strane voci?
Tobi non lo sapeva.
C’erano così tante cose che non capiva.
Questo mondo era fatto di cose che Tobi non conosceva.
Nella terza classe del secondo anno, escluso Tobi, c’erano trentacinque studenti. Uno dei trentacinque studenti era una studentessa di nome Shizukudani, che andava all’ufficio dell'infermeria della scuola. Tobi non l’aveva mai vista. Quindi, in realtà, c’erano trentaquattro persone. Tra quelle trentaquattro persone e Tobi, c’era un qualcosa come una membrana trasparente. Quella membrana sottile ma infrangibile, separava quasi completamente Tobi e le trentaquattro persone.
Tobi aveva molta nostalgia di quella membrana.
Se quella membrana fosse stata ancora intatta, non si sarebbe preoccupato in questo modo per i suoi compagni di classe. Era sicuro che neanche ai suoi compagni di classe sarebbe importato di Tobi.
Anche se erano nel mezzo della lezione, alcuni studenti lanciarono un’occhiata a Tobi. Alcuni studenti fingevano di guardare fuori dalla finestra per scrutare distrattamente Tobi.
Anche Tobi si guardava intorno in classe senza rendersene conto. Quando lo faceva, di solito finiva per stabilire un contatto visivo con qualcuno e si sentiva davvero a disagio.
Shiratama sembrava star pensando a qualcosa, e spesso guardava in basso. Anche se la sua pelle era naturalmente bianca, la sua carnagione sembrava ancora più pallida. Non si sentiva bene? Forse non aveva dormito molto.
Si chiese se Shiratama fosse in confidenza con Takatomo. Tobi non lo sapeva.
Tra la seconda e la terza ora, durante l’intervallo, una studentessa iniziò a piangere. Fino ad allora era rimasta in piedi a parlare tranquillamente con altre due studentesse. Poi iniziò a singhiozzare.
“Chiami……”
Le altre due studentesse erano visibilmente turbate.
Sulla schiena della studentessa singhiozzante era aggrappata una strana creatura, come un pipistrello o uno scoiattolo volante.
Kon Chiami stava piangendo.
Shiratama cercò di avvicinarsi a Kon Chiami. Però, si fermò a metà.
Alla fine, le due studentesse condussero Kon Chiami fuori dall’aula. Le tre tornarono dopo aver sentito il rintocco che annunciava l’inizio della lezione. L’insegnante non rimproverò le tre.
Finita la terza ora, Masaki Shuuji, noto anche come Masamune, che aveva una strana creatura simile a un tarsio nella posa di “Iwazaru” sulla sua testa dai capelli corti, si schiarì la gola davanti alla lavagna.
“Allora. Lo capisco, ma mi chiedo che atmosfera sia questa. No, capisco, ok? Capisco, certo. Tuttavia, anche se restiamo depressi, non vuol dire che accadrà qualcosa. Non sto dicendo che dovremmo fare casino. Ma magari dovremmo essere un po’ più normali, no?”
La reazione dei loro compagni di classe fu lenta. Circa l’ottanta percento era confuso e il restante venti percento era alquanto infastidito. Tobi la vedeva così.
“—Sguzade!”
Masamune mise le mani sul tavolo dell’insegnante e inarcò le sopracciglia all’ingiù*. Sembrava stesse cercando di fare una faccia piangente.
*A forma di otto
“Ho parlato troppo, io, Sguzademih……”
Ci fu qualche piccola risata. In situazioni come questa, le persone spesso ci scherzano sopra. Tobi rimase piuttosto impressionato, ma alcune persone sembravano offese.
“Non fare lo scemo, sul serio”
Uno studente lo disse a bassa voce, come a volerlo sputare fuori. Non fece solo quello. Lo studente calciò il pavimento. Anche se più che un calcio sembrava stesse raschiando il pavimento con la suola della scarpa, fece un certo rumore.Tobi, poiché era seduto al banco vicino a quello dello studente, rimase un po’ sorpreso. Anche Baku, che era appeso alla scrivania, tremò, “Oh……” ed emise un suono.
La sua frangia era così lunga che quasi gli copriva gli occhi. Credeva che il suo nome fosse Asamiya. Pensava fosse proprio Asamiya. Asamiya come? Shinobu. Giusto. Asamiya Shinobu.
Masamune stava guardando Asamiya. Però, Masamune distolse subito lo sguardo da Asamiya. Non fare lo scemo, sul serio. Le parole di Asamiya non erano arrivate alle sue orecchie?
Tuttavia, la strana creatura seduta sopra la testa di Masamune, nella posa di Iwazaru, stava fissando Asamiya con entrambi i suoi occhi simili a quelli di un tarsio.
Si sentiva così? O forse, Tobi stava pensando troppo.
A parte Iwazaru, Kon Chiami stava decisamente guardando di lato Asamiya. C’era anche la strana creatura aggrappata alla schiena della ragazza, che girò il suo viso da bambino umano verso Asamiya.
All’improvviso una domanda balenò nella testa di Tobi.
Perché Takatomo Miyuki aveva saltato?
Dopo aver terminato il pranzo scolastico in pochissimo tempo, Tobi lasciò l’aula con Baku in spalla. Il tempo non era male. Però, il cortile era chiuso. Perché era una scena del crimine. Poteva salire sul tetto senza attraversare il cortile, purché uscisse. Ci aveva un po’ pensato, ma non ne aveva voglia. Non voleva andare sul tetto. Questo perché Takatomo era saltata giù. Una studentessa, sua compagna di classe, si era lanciata dal tetto dell’edificio scolastico. Perché aveva saltato?
Tobi camminò velocemente per i corridoi della scuola. Non aveva alcuna destinazione. Si sentiva male quando stava fermo.
Era solo in momenti come questi che Baku non diceva nulla. Cupo e silenzioso. Tobi era un po’ seccato. Un Baku che stava in silenzio, era solamente uno zaino.
Non poteva andare sul tetto. Per colpa di Takatomo che era saltata giù.
Era colpa di Takatomo? Si chiese se la colpa fosse di Takatomo?
Non pensava fosse così. Anche Takatomo probabilmente non saltò giù perché le piaceva. Cosa succede se salti giù? Poteva immaginarlo. Era sicura non sarebbe stata bene. Si sarebbe ferita gravemente.
Sarebbe potuta morire.
Tobi non capiva. Non capiva affatto i sentimenti di Takatomo. Non c’era modo che lui potesse capire.
A quel punto l’ora di pranzo era finita. Mentre gli studenti cominciarono ad andare e venire nel corridoio, Tobi andava in giro cercando un posto dove non ci fosse nessuno in giro. Era come se stesse scappando e nascondendo, come un idiota.
Per qualche motivo Baku non parlava.
Forse, era solo uno zaino? In effetti, sarebbe potuto essere sempre stato solo uno zaino.
Tobi lo pensò. Ma, ovviamente, non era così.
Non preoccuparti, dimmi qualcosa, Baku.
Se lo dicesse, perderebbe. In cosa avrebbe perso? Era forse una battaglia?
Non c'era nessuno nel corridoio del terzo piano dell'edificio delle aule speciali. Sentendosi un po' stanco, Tobi si sedette sulle scale.
L'edificio delle aule speciali aveva tre piani. Tobi era seduto sulle scale. Questa scala conduceva al tetto. A meno che non si scalasse il muro come faceva Tobi, non si poteva raggiungere il tetto senza usare queste scale.
Takatomo doveva essere salita sul tetto usando queste scale. Salite le scale c'era una porta. In qualche modo, Takatomo era riuscita ad aprire la porta chiusa.
La chiave del tetto era sparita.
Il custode Haizaki lo aveva detto.
Probabilmente Takatomo aveva preso la chiave. Sulla parete della sala insegnanti, credeva, c'erano molte chiavi appese in fila vicino alla scrivania del vicepreside. Takatomo aveva rubato la chiave del tetto da lì? Era un posto molto importante, quindi sarà stato difficile. Ad ogni modo, Takatomo aveva probabilmente usato quella chiave per aprirla. Aprì la porta, e andò sul tetto. E infine, saltò giù.
Tobi aveva guardato attentamente Takatomo dopo che era caduta nel cortile. Tuttavia, non riusciva a ricordare i dettagli. Takatomo era a faccia in giù. Però, la faccia? Era verso il basso? Tuttavia, si chiese se stesse guardando di lato? Le braccia e le gambe erano piegate? Erano dritte?
Quando chiudeva gli occhi e provava a ricordare, il suo cuore iniziava a battere all’impazzata. Gli faceva male il petto.
No, non ricordarlo.
Era come se il suo cuore stesse lottando per trattenere Tobi.
“……Che cosa sono?”
Sentì il rumore di dei passi. Qualcuno stava salendo le scale. Dal secondo al terzo piano. Tobi era seduto sulle scale che andavano dal terzo piano al tetto. Tirò un sospiro.
Tobi cercò di alzarsi.
“Ah”
Era Shiratama quella che stava salendo le scale. Quando Shiratama vide Tobi, sul suo volto apparve un sorriso.
“Quindi eri qui, Otogiri-kun”
“Già……”
Tobi si sedette sulle scale a testa bassa. Shiratama rimase per un po’ di fronte a Tobi. Nessuno dei due aprì bocca. Dopo un po’, Shiratama si sedette accanto a Tobi.
“Stavi cercando Tobi, Oryuu?”
Chiese Baku. Shiratama annuì.
“Sì. Volevo parlargli”
“Ma è noioso. Ci ho parlato con questo qua. Tobi non è bravo a parlare, a differenza mia”
“Non è così. Non è per nulla noioso”
Shiratama stava giocherellando con la pochette che aveva sulle ginocchia.
“Non mi sono mai sentita annoiata quando parlavo con Otogiri-kun, io”
“Abbiamo iniziato da poco, però……”
Mentre Tobi sceglieva le parole da dire, osservava le dita di Shiratama che giocava con la sua pochette. Le sue unghie erano tagliate con cura. Non c’era alcuna parte bianca.
“Da quando abbiamo iniziato a parlare, non è passato molto tempo”
“A pensarci bene, è così”
Shiratama poi, “Strano” mormorò. Cosa c’è di strano? Tobi lo stava per chiedere. Non poteva chiedere il perché.
Alla fine, non parlava veramente con Shiratama. Non era che stavano in silenzio. Ma non avevano avuto una conversazione che si potesse definire conversazione. Quando la gente passava e li fissava come a dire ‘Cosa stanno facendo, quelli?’, a Shiratama non sembrava importare. Tobi, onestamente, era un po’ preoccupato. Però pensava che andasse bene finchè per Shiratama non era un problema, e gradualmente aveva iniziato a non preoccuparsene più.
Fino all’inizio delle lezioni pomeridiane, i due rimasero sulle scale dell’edificio delle aule speciali. Di tanto in tanto si davano delle risposte casuali, ma per il resto rimanevano seduti fianco a fianco.
Non gli importava. Era strano non si sentisse a disagio anche se rimanevano in silenzio.
A metà della quinta ora, Asamiya Shinobu dalla lunga frangia, alzò all’improvviso la mano.
“Che succede, Asamiya?”
L’insegnante se ne accorse e lo chiamò ad alta voce. Sebbene Asamiya stesse alzando la mano destra, appoggiò entrambe i gomiti sul banco e gemette. Non provò a dire nulla.
L’aula era rumorosa, ma poi divenne silenziosa. Asamiya aprì finalmente bocca.
“Non mi sento tanto bene”
“Capisco. È meglio non esagerare. Il membro del comitato sanitario di questa classe, chi è?”
Quando il professore lo chiese, Kon Chiami alzò la mano.
“Sono io”
“Kon, porta Asamiya in infermeria”
“Va beeene”
Quando Kon stava per alzarsi dal suo posto, si udì un forte rumore. Non era Kon. Quel suono proveniva da Asamiya. Asamiya spinse da parte la sedia, si alzò e si trascinò verso la porta.
Kon inseguì frettolosamente Asamiya.
“Asamiya-kun!”
“Non venire!”
Asamiya aprì la porta, poi guardò Kon. Aveva un incredibile atteggiamento minaccioso. Kon indietreggiò.
“Vado da solo, sto bene……”
Asamiya lo aggiunse con tono debole, come se stesse cercando una scusa, e lasciò l’aula.
Qualcuno sussurrò “Che paura……” e così disse.
Varie voci si sollevarono qua e là in una reazione a catena.
“Silenzio!”
L’insegnante, banban, è batté entrambe le mani.
“Siamo a lezione. Kon siediti”
“Però……”
Kon guardò avanti e indietro tra l’ingresso e uscita dell’aula e il posto di Asamiya dove non era più seduto nessuno. Era preoccupata per Asamiya?
Tobi in qualche modo rivolse la sua attenzione a Masamune. Masamune aveva le mani congiunte davanti alla bocca. Sarebbe potuta essere una coincidenza, ma la posa era simile a quella dell’Iwazaru che aveva sopra la testa.
Quando Kon tornò al suo posto, l’insegnante riprese la lezione.
Va bene così?, pensò Tobi. Andava bene lasciare Asamiya da solo? Asamiya era davvero andato in infermeria da solo?
Stabilì più volte il contatto visivo con Shiratama. Shiratama inarcò leggermente le sopracciglia e increspò leggermente le labbra. Quando i loro occhi si incontrarono verso la fine della lezione, Shiratama mosse le labbra come a voler dire qualcosa. Non era sicuro di cosa stesse cercando di dire.
Quando suonò la campanella per segnalare la fine della quinta ora, Tobi si alzò dal suo posto prima che l’insegnante potesse annunciare la fine della lezione. Poco prima di lasciare l’aula, si rese conto di aver dimenticato Baku.
“Oi, Tobi! Ehi! Tu!”
Baku urlò. Tobi lo ignorò e lasciò l’aula. Mentre percorreva il corridoio, si chiese dove stesse andando. Si diresse provvisoriamente al bagno, ma non ne aveva bisogno. Questa non era la destinazione di Tobi.
Tobi si fermò davanti all'infermeria. Anche se si era diretto qui da solo, Qui?, pensò.
Proprio qui.
L’infermeria.
Tobi era davvero curioso riguardo Asayama. Asamiya era davvero in infermeria, oppure no? Tobi voleva confermarlo.
Confermare, per poi fare cosa? Non c’era niente che potesse fare. Non aveva mai parlato con Asamiya. Non voleva nemmeno parlargli.
C’era qualcosa di sbagliato. Tobi si comportava in modo strano. Anche lui pensava fosse strano.
No, non l'aveva ancora fatto. Era ora. Poteva tornare indietro e basta.
“Otogiri-kun!”
Se Shiratama non fosse arrivata, senza fiato, Tobi avrebbe sicuramente voltato le spalle. Shiratama si avvicinò a Tobi, si chinò in avanti e si tenne il petto.
“……A-anche… io s-sono… preoccupata per… A-Asamiya-kun……”
“Ecco perché non devi correre a tutta velocità……”
“Uuuh……Otogiri-kun, sei incredibilmente veloce. H-ho provato a raggiungerti……”
Shiratama tirò fuori un fazzoletto dalla tasca della gonna e con quello si asciugò il viso.
“Sto sudando un sacco”
“C’era davvero bisogno, di raggiungermi?……”
“Se me lo chiedi; in qualche modo, sì”
“Ecco……”
Tobi esitò. Shiratama fece “Hmm?” e si avvicinò al suo volto. Tobi si sentiva un po’ timido, ma non si tirò indietro. Riuscì a non perdere terreno.
“Io e Asamiya……come posso dirlo, non abbiamo alcun contatto……”
“Siamo ottimi amici io e lui”
“Ah, capisco”
“Eravamo nella stessa classe quando eravamo in prima. A volte chiacchieriamo”
“A volte, chiacchierate……”
“Cose come ‘C’è il sole oggi, eh’, o ‘Fa caldo in questi giorni’, o ‘Fa già freddo, vero?’”
“E questo, sarebbe essere ottimi amici……?”
“Non puoi parlare del tempo con una persona con cui non vai d’accordo”
“……ah è così?”
“Non è così?"
“Beh che dire. Non ne so molto di socializzazione, io. Probabilmente avrai ragione, Shiratama-san……”
“Ho ragione?”
“Forse”
“Quando tu, Otogiri-kun, concordi con le mie opinioni, mi sento felice”
Shiratama abbassò timidamente lo sguardo e si mise il fazzoletto in tasca.
Shiratama entrò in infermeria, “Permesso” dopo aver detto questo. Tobi non aveva mai usato l’infermeria. Però, sapeva che nell’infermeria c’era un’infermiera scolastica con un camice bianco.
L’infermiera scolastica non c’era.
C’era una sostituta?
Una studentessa con gli occhiali era seduta con le gambe incrociate su una sedia con uno schienale.
“Ah”
Quando la studentessa vide Shiratama, i suoi occhi sbatterono le palpebre dietro gli occhiali.
“Ma guarda un po’, Shiratama-dango”
“Shizukudani-san”
Shiratama non sembrò troppo sorpresa, si limitò a dire “Ciao” e salutò.
Si era completamente dimenticato.
Una dei suoi compagni di classe frequentava l’ufficio dell’infermeria della scuola. Shiratama fu quella che ne parlò a Tobi. Quindi, naturalmente, Shiratama si aspettava che la studentessa fosse nell’infermeria.
“Stupidamente educata come sempre, Shiratama-dango”
Shizukudani rise con un tono nasale. Appoggiò il gomito sulla scrivania e fece girare una penna con la mano. Anche se aveva smesso di andare a scuola, iniziando a frequentare l’infermeria della scuola, sembrava molto rilassata.
“Voglio dire, Shiratama-dango……”
Tobi disse a bassa voce, Shizukudani smise di far girare la penna.
“Il tuo nome, com’era? Sei il tizio super stramboide della terza classe, vero? Shiratama-dango, non devi dirmelo. Voglio ricordarmelo da sola. Sento di potermelo ricordare. Hmmm……Giusto, ora ricordo, era questo. Otogiri Tobi. Ho ragione, vero?”
“……beh, sì”
“D’ora in poi ti chiamerò Tobi-tobi”
“Eeh……”
“Obi-obi, Giri-giri o Tobi-tobi, quale preferisci?”
“……Beh, forse Tobi-tobi”
“Bene, allora è deciso, Tobi-tobi”
“Ma cos’ha, sta qui?……”
“Sonooo Shizukudani. Puoi chiamarmi Ruka-chiiin. Il mio nome completo è Shizukudani Rukana. Non mi importa se mi chiami Ruka-chin, ma mi dà fastidio, quindi se mi chiami davvero così, ti picchio. Piacere”
Shizukudani fece “Hey” e pugnalò il cielo con la punta della penna. Tobi non voleva essere picchiato o pugnalato. Pensò che sarebbe stato meglio evitare di chiamarla Ruka-chin. Non voleva davvero chiamarla con quel nome così informale.
Tobi diede una rapida occhiata all’infermeria. C’era uno sgabello senza schienale. C’era un tavolo rotondo su cui era posizionato un laptop. Due sedie. C’erano tre letti in totale, separati da delle tendine. Solo uno aveva le tendine chiuse.
“Shizukudani-san, Asamiya-kun è venuto in infermeria?”
Quando Shiratama lo chiese, Shizukudani indicò con la punta della penna il letto dove le tende erano chiuse.
“È lì. Sta riposando. Non si sentiva bene”
Shiratama guardò il soffitto e chiuse gli occhi. Mise le mani sopra al petto e sospirò.
“……Meno male”
“Eh?”
Shizukudani voltò la testa e guardò Tobi. Perché guardava Tobi? Tobi distolse lo sguardo.
La tendina si aprì e apparve la faccia di Asamiya.
“Shiratama-san……e pure Otogiri. Cosa siete venuti a fare?”
Asamiya sembrava essere di pessimo umore, peggiore anche delle sue condizioni fisiche. Li guardò male e alzò gli occhi, Shiratama sembrava completamente depressa.
“Asamiya—“
Tobi esitò a parlare. Avrebbe dovuto aggiungere kun o san? Asamiya aveva chiamato Tobi semplicemente Otogiri, abbandonando gli onorifici. Non ne aveva forse bisogno?
“I capelli”
“……Eh?
“La frangia. È lunga”
“Aah……”
“La mattina, al cancello della scuola, il tipo con gli occhiali dalla montatura nera—“
“Il professor Yagarashima?”
“Beh, non so il suo nome. Quel professore non ti richiama?”
“Beh, lo fa. A volte”
"Immaginavo"
“Sì”
“È tutto”
Tobi lo pensò dopo aver finito di parlare. Ma cosa volevo dire con questo? Dato che nemmeno Tobi lo capiva, Asamiya doveva essere ancora più confuso.
“……Sul serio, cosa diavolo siete venuti a fare qui? A parte Shiratama, Otogiri, non mi hai mai parlato, no?”
“Hai ragione……”
“Beh, non solo io, ho visto raramente Otogiri parlare con qualcuno”
“Già……”
Tobi non poté fare a meno di gemere. Se Tobi fosse stato nei panni di Asamiya, gli sarebbe sembrato molto strano.
“Eccooo!”
Avevano inviato una scialuppa di salvataggio? Shiratama intervenne con un po’ di forza.
“Asamiya-kun, come ti senti? Ti fa male da qualche parte?”
“……Non è quello”
Asamiya si sedette sul letto. Non indossava scarpe. Le aveva tolte e aveva i piedi spogliati sul pavimento. Tobi sgranò gli occhi.
C’era qualcosa sotto il letto. Asamiya non se n’era accorto? Quella cosa era ai piedi di Asamiya. Era fuori dalla sua vista? Se avesse guardato in basso, lo avrebbe visto sicuramente. Non era piccolo. Dopotutto, aveva le dimensioni della parte superiore del un corpo di un essere umano. Era piuttosto grande.
La forma era in qualche modo simile alla parte superiore di un corpo umano, aveva le braccia. Tuttavia, non erano due. Ne aveva ben quattro. Aveva anche una testa. Era calva. Non si sapeva davvero che aspetto avesse la sua faccia. Sembrava un essere umano, ma anche un’altra creatura misteriosa. Non aveva nemmeno un paio di occhi. Ne aveva due paia. Ne aveva quattro.
Tobi notò sottilmente l’espressione di Shiratama. Shiratama guardò Tobi e sorrise. Doveva aver cercato di trasmettere qualcosa a Tobi, facendo una faccia sorridente.
Tobi aveva sentito parlare di Shizukudani da Shiratama. La proprietaria del posto vacante della terza classe del secondo anno. Andava a scuola nell’infermeria. Lei è Shiratama erano nella stessa classe quando erano al primo anno. Inoltre, portava con sé una strana creatura.
Il Baku di Tobi.
La Chinurasha, nota anche come Chinu, nascosta nella borsa di Shiratama.
L’Iwazaru di Masamune.
La cosa simile a uno scoiattolo volante o un pipistrello di Kon Chiami.
Rispetto alle loro, la strana creatura di Shizukudani sembrava ancora più strana. Non era esagerato definirlo grottesco. Era quasi un mostro. Il suo aspetto era inquietante fin dall’inizio, e anche i suoi movimenti erano inquietanti.
Il mostro di Shizukudani cominciò a muoversi sul pavimento con una fluidità spaventosa, torcendo le sue quattro braccia e dimenando le dita. Sembrava potesse inoltre arrampicarsi sulle pareti. Era come un insetto. Sarebbe stato abbastanza spaventoso trovare un insetto di quelle dimensioni. Inoltre, sembrava umanoide. Era già un incubo.
Il mostro di Shizukudani seguì il muro fino a raggiungere l’angolo del soffitto, contraendo abilmente le sue quattro braccia e incastrandole perfettamente lì. I suoi quattro occhi si muovevano di qua e di là.
“È un po’ strana, vero?”
Disse Asamiya con una voce cupa. Parlava del mostro di Shizukudani? Tobi lo pensò per un momento, ma Asamiya sembrava stesse parlando di qualcos’altro.
“La nostra classe. È strana. Non ne posso più……”
“Strana?”
Chiese Shizukudani dal nulla mentre faceva girare la penna. Dopo aver posto la domanda, Shizukudani disse “Ah, ho capito” e si diede una risposta da sola.
“L’incidente, eh? L’incidente del salto. Se fosse tutto normale, non accadrebbero cose del genere, giusto? Ovviamente. È proprio tremendo, eh. Ruka-chin è nell’infermeria, quindi le cose sono piuttosto semplici”
Asamiya fece schioccare la lingua e scosse la testa irritato.
“Se non capisci, non dire nulla”
“Spaventoso”
Shizukudani tremò e si abbracciò le sue stesse spalle. Tutto il suo corpo stava tremando.
“Quel tipo di cose, potresti non farle più? Fanno paura. Ruka-chin non va più a scuola. Finalmente sono riuscita a frequentare dall’infermeria della scuola, sai?”
“Dovrebbe importarmi? Miyu è in condizioni critiche e priva di sensi. Verrà mai salvata?……”
Questa volta fu Asamiya a iniziare a tremare. A differenza di Shizukudani, sembrava che il suo corpo tremasse e non si volesse fermare.
“Scuuusa”
Shizukudani unì i palmi delle mani. Non sembrava si stesse scusando sinceramente.
“Però chi è Miyu? Chi? Ah, Takatomo-san? Era Takatomo Miyuki? Il suo nome. È lei Miyu? Eh? Mica vi frequentate?”
“Certo che no. ……Ti sbagli. Viviamo vicini, quindi siamo amici d’infanzia. Però, da quando abbiamo iniziato le scuole medie non ci parlavamo più molto. Tuttavia, anche i nostri genitori si conoscono……”
“È un rapporto familiare, giusto?”
Quando Shiratama annuì in segno di comprensione, Asamiya fece “Ecco perché!” e gridò.
“Non usciamo insieme, quante volte devo dirvelo……”
“Asamiya, non sei piuttosto emotivamente instabile?”
Shizukudani rise leggermente. La proprietaria del posto vacante con un mostro non sembrava avere una personalità molto buona.
“Però, quella classe* sembra certamente avere un problema. Ruka-chin lavora qui** cinque giorni alla settimana, quindi ne sono consapevole. Ce ne sono parecchi, eh? In molti della terza classe vengono qui per dei mal di stomaco o roba del genere. Non pensate che questo genere di cose siano causate da una malattia mentale? Non mi sto vantando, ma Ruka-chin è piuttosto ben informata. Solo per i soggetti coinvolti, sapete?”
*Scritto come furigana (di solito sono piccoli ideogrammi in hiragana posizionati vicino ai kanji più difficili da leggere), nel testo originale c'è scritto "La terza classe del secondo anno"
**Scritto come furigana, nel testo originale c'è scritto "In infermeria"
“……Anche Miyu?”
Chiese Asamiya. Shizukudani fece “Yeeess” e per qualche motivo rispose immediatamente in inglese.
“Recentemente, è stata qui alcune volte. Si è riposata e prese qualche medicina. Un’altra persona che mi viene subito in mente, Yoshizawa-kun? Quello figo. Inoltre, anche Murahama-san e Shimomaeda-san venivano spesso qui. Ah, non insieme, ma separatamente eh”
Quando Tobi sentì quei nomi, l’unico volto che gli venne in mente fu quello di Yoshizawa. Figo, aveva detto Shizukudani, era un bel ragazzo, rinfrescante e gentile.
“Murahama, Shimomaeda……”
Asamiya borbottò e si morse il pollice della mano destra.
“Entrambe quelle ragazze, sono amiche di Kon. Fino a poco tempo fa, Miyu usciva spesso con Kon”
Tobi guardò in faccia Shiratama.
Alla schiena di Kon Chiami, era sempre attaccata una strana creatura, simile a un pipistrello o uno scoiattolo volante.
Quindi, qual era il punto?
Non riusciva a spiegarlo nello specifico, ma lo aveva davvero colpito.
Shiratama abbassò gli occhi e disse questo.
“Kon-san, però, sembra piuttosto scioccata……”
Infatti, tra la seconda e la terza ora, Kon piangeva apertamente. Le due studentesse che stavano confortando Kon erano probabilmente Shimomaeda e Murahama.
“Non mi interessa però”
Asamiya si mise la testa tra le mani. Si spettinò.
“……Non importa chi piange o urla, Miyu non migliorerà. Non so se ci sia qualche speranza che la situazione migliori. Non saperlo, è spaventoso. Io, ho paura……Non riesco a dormire. Continuo a pensare a cose brutte. Essere incoscienti……Mi chiedo cosa si provi. Immagino non si possa riuscire a sentire alcun suono. Vuol dire che nemmeno sogni? Tuttavia, mi chiedo se ci sia una leggera sensazione. Miyu è in ospedale……Non si sentirà sola, in quelle condizioni? Non si può muovere, le farà male. Perché non ho notato nulla, io? No……Non è così. In realtà, lo pensavo. Miyu si comportava in modo strano. Mi chiedevo cosa ci fosse che non andava. Ma era da molto tempo che non le parlavo. Se le avessi parlato all’improvviso, sarebbe stato inquietante. Quindi……non ho fatto niente. Ero curioso a riguardo. Ma non mi sarei mai aspettato accadesse una cosa del genere……”
Shizukudani guardava fuori dalla finestra e faceva girare la penna. Il mostro di Shizukudani non si muoveva dall’angolo del soffitto.
Suonò la campanella.
Asamiya alzò lo sguardo e guardò Tobi e Shiratama con gli occhi spenti.
“Non dovete andare? La sesta ora, non sta per iniziare?”
“Già……Giusto”
Shiratama abbracciò la pochette dove si trovava Chinu. Era dubbiosa?
“Vuoi paccare?”
Quando glielo chiese per testarla, Shiratama scosse la testa da un lato all’altro scuotendo i suoi lunghi capelli, come se dicesse fosse oltraggioso.
“No che non pacco. Non è così……Asamiya-kun”
“Cosa?”
Asamiya mise la mano sulla tendina.
“Io, vorrei sdraiarmi un po’. Se dovete andarvene, fatelo in fretta”
“Andiamo a farle visita—”
“……Huh?”
“Ti piacerebbe andare? All’ospedale dov’è ricoverata Takatomo-san. Se non ti dispiace, vorrei portare anche Otogiri-kun”
“Eh”
Venne completamente colto di sorpresa.
Shiratama fissò Tobi con uno sguardo estremamente serio. Era per caso una richiesta questa? Se Tobi non sbagliava, sembrava lo stesse implorando. Non poteva fare a meno di pensarlo.
Fare visita?
All’ospedale?
Di Takatomo?
Perché?
Anche se andassero lì, non si trattava solo di una piccola malattia o di un osso rotto. Takatomo era in condizioni critiche. Si diceva fosse incosciente. Non sarebbe stato possibile farle alcuna visita. Però, questo avrebbe dovuto saperlo anche Shiratama. Eppure, per qualche motivo, gli stava chiedendo di andarla a trovare. A quanto pare Shiratama voleva che Tobi la seguisse.
“……Beh, va bene”
Dopo la scuola, Tobi seguì Asamiya e Shiratama all'ospedale dove era ricoverata Takatomo Miyuki. Ci vollero quindici minuti a piedi per raggiungere l'ospedale.
Parlarono con il ricevimento generale, ma Takatomo era nell'ICU* e non era permesso farle visita. Anche i membri della famiglia potevano vederla solo per un tempo limitato.
*Scritto come furigana, nel testo originale c'è scritto "Reparto di terapia intensiva"
“Giusto, capisco……”
Asamiya si sedette sulla panchina nella sala d’attesa. Tobi è Shiratama non si sedettero.
“Va bene provare a venire, ma non potremo mai incontrarla……”
“Beh, Takatomo-san è nel reparto di terapia intensiva. Dovremmo andarci?”
Shiratama non aveva ancora rinunciato? Si chiese perché non si arrendeva. Tobi non capiva. Anche Asamiya era confuso sulla sedia.
“Non si può entrare, quindi penso sia inutile……”
“Giusto in caso”
Sembrava che Shiratama fosse ancora un po’ determinata ad andare.
“Oryuu, è sorprendemente invadente”
Mormorò Baku. Shiratama guardò Baku, e fece un lieve sorriso.
Controllò la planimetria dell’ospedale affissa al muro e sembrava che l’ICU fosse al terzo piano dell’edificio principale. Sarebbe stato facile raggiungere il terzo piano con l’ascensore. Ma c’era una porta davanti all’ICU, ed era chiusa. A meno che un dipendente dell’ospedale non aprisse la porta con la sua carta ID o chieda al citofono di aprirla dall’interno, non sarebbero potuti entrare.
“Era per questo che ve lo avevo detto, visto?……”
Asamiya sembrava più triste che arrabbiato. Sulla via del ritorno notò una piccola sala d’attesa. Una donna seduta là su una panchina chiamò Asamiya.
“Shinobu-kun?”
Quella donna sembrava essere la mamma di Takatomo. Quando Asamiya si avvicinò, gli occhi della donna si riempirono di lacrime.
“Sei venuto fin qui? Mi dispiace davvero, Shinobu-kun. Miyu, non è nelle condizioni di poterti incontrare……”
"No, immagino fossi preparato a non poterla incontrare……Però, non potevo restare fermo"
Con una voce soffocata, Asamiya presentò Shiratama e Tobi alla madre di Takatomo come loro compagni di classe. La madre di Takatomo chinò più volte la testa, e li ringraziò per essere venuti.
Onestamente, Tobi non poteva sopportarlo.
Gli dispiaceva per la madre di Takatomo. Tuttavia, Tobi non sapeva davvero che tipo di sentimenti provava nei confronti di Takatomo. Avrebbe dovuto dirlo alla madre di Takatomo? Tobi aveva assistito al momento esatto in cui Takatomo saltò giù. Non aveva potuto fermare Takatomo. Non c'era stato modo di fermarla. Tobi si sarebbe dovuto scusare per questo? Doveva scusarsi. Pensava fosse stato brutto? Era un punto delicato.
Persone come Otogiri Tobi, che non provavano alcun particolare senso di colpa, potevano avere un cuore freddo.
Perché una persona dal cuore freddo era qui?
Nell'ospedale dov'era ricoverata Takatomo.
Shiratama tirò leggermente la manica di Tobi.
Asamiya stava parlando con la madre di Takatomo. Sembrava che Shiratama volesse andarsene da qui. Tobi annuì.
Quando seguì Shiratama, in qualche modo finirono per tornare nell'ICU. Naturalmente, la porta rimaneva chiusa.
"Non si può entrare, no?"
Quando Tobi lo disse, Shiratama aprì la sua pochette senza rispondere.
Dall'interno della pochette uscì un soffice animaletto. Dalla testa gli spuntavano due corna. Inutile dirlo. Era Chinurasha.
Chinu saltò dalla pochette al braccio di Shiratama. Anche se non era lenta, i suoi movimenti erano instabili. Tuttavia, Chinu si arrampicò sul braccio di Shiratama e alla fine raggiunse la sua spalla destra. Chinu sembrava orgogliosa di se stessa mentre si girava verso di loro.
"Yoo"
Quando Baku la salutò casualmente, Chinu inclinò leggermente la testa, Uyuuu, ed emise un suono del genere. Pure se non stava cercando di imitare Chinu, anche Tobi inclinò la testa.
"……Eh? Cosa?"
"Chinu"
Shiratama alzò la testa e appoggiò la guancia su Chinu. Chinu non si muoveva minimamente.
Quando Tobi cercò di aprire bocca, Baku lo fermò.
"Shhh. Sta zitto, Tobi"
Che cos'era?
Avrebbe potuto protestare, ma nemmeno Baku avrebbe detto una cosa del genere senza motivo. Tobi guardò Shiratama e Chinu.
Le rotonde pupille di Chinu erano lisce.
Sembrava stesse dormendo.
"Da qui, riesci a raggiungerla? Eh? Chinu……"
Sussurrò Shiratama a Chinu.
Cosa doveva raggiungere?
La piccola bocca di Chinu si mosse.
"Perché……"
Lo sentì chiaramente. Era una voce. Non era un verso. Era diversa dalla voce di Chinu. Non era nemmeno la voce di Shiratama. Ovviamente, nemmeno quella di Tobi o Baku.
"Perché, era mio. —Il mio……"
Non era un uomo. Era la voce di una donna. Tobi sentiva freddo.
"……Cos—Eh? Di chi……"
"Io……Le chiavi……Cioè……Le chiavi erano……"
Era Chinu? Non muoveva la bocca come fanno gli umani quando parlano. Ma apriva e chiudeva la sua piccola bocca con piccolissimi movimenti. Quindi era Chinu quella a parlare?
Perché Chinu?
Era questa la voce di Chinu?
"Le chiavi……Del tetto……Le chiavi……All'interno del banco……Le chiavi sono……"
Sembrava la voce di una giovane donna.
Le chiavi.
Del tetto, le chiavi?
All'interno del banco?
"Ah—"
Tobi rabbrividì. Non era che quella voce gli fosse familiare. Anche nella sua classe c'erano poche persone a cui riusciva a ricollegare il volto al nome. Non ricordava le voci a meno che non fosse qualcosa di speciale. Quindi, forse, e Tobi lo pensò. La voce di quella ragazza usciva dalla bocca di Chinu. Era possibile? Non era logico. Era un'idea folle.
Che sia la voce di Takatomo Miyuki, questa?
"In qualche modo, l'ha raggiunta"
Disse Shiratama a bassa voce.
"La voce di Takatomo-san"
Era una voce che non sarebbe dovuta essere ascoltata.
Una voce che non sarebbe dovuta essere sentita.
Lei aveva perso conoscenza a causa delle ferite riportate ed era ricoverata su un letto nel reparto di terapia intensiva.
"Non ce la faccio più……"
Le parole di Chinu risuonarono nelle orecchie di Tobi.
Quel giorno, Takatomo corse fuori dall'aula della terza classe del secondo anno e non tornò più. In quel momento lei urlò.
Non ce la faccio più.
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Drink coffee and reading books: a little selection of essay about my passion
Ci sono due cose che mi affascinano incredibilmente e su cui ultimamente ho posto l'attenzione più che ad altre: i libri e il caffè. Due mie grandi passioni, che in modi differenti hanno da sempre contribuito a cambiare la mia vita. I libri perché fin da piccola hanno influenzato il modo con cui mi relaziono con il mondo fornendomi il filtro necessario per affrontarlo al meglio e il caffè che ho sempre associato ad un piacere irrinunciabile. Ne adoro l'aroma che permea la casa quando sale la moka, il gusto amaro che si diffonde sulla lingua quando lo si degusta e la pace che caratterizza il momento preciso di quando lo si sorseggia soprattutto dopo pranzo. Fin da piccola mia madre si fermava dalle sue attività per gustare il caffè prima di riprendere le sue attività pomeridiane e per me resta indissolubilmente associato a quel momento di stacco. "Adesso ci sediamo e ci prendiamo il caffè" la frase della tregua, la frase della pausa, la frase della piccola gioia. Leggere un libro con un caffè in mano? Perfezione. Questi due aspetti della mia vita mi hanno sempre accompagnato come vi dicevo, ma ultimamente ho deciso di approfondire alcuni aspetti, anche grazie a dei saggi che mi sono capitati tra le mani.
- Piante che cambiano la mente: oppio, caffeina, mescalina di Michael Pollan edito da Adelphi
- Una storia del mondo in sei bicchieri di Tom Standage edito da Codice Editore
- Papyrus. l'infinito in un giunco di Iren Vallejo edito da Bompiani
- Il dono di Cadmo: L'incredibile storia delle lettere dell'alfabeto di Alessandro Magrini edito da Ponte alle Grazie
- Tumbas. Tombe di poeti e pensatori di Cees Nooteboom edito da Iperborea
Per tutti noi l’assunzione quotidiana di caffeina coincide nientemeno che con la «condizione normale della coscienza». Eppure, quell’alcaloide naturale è a tutti gli effetti una droga, come rivela l’«esperimento di privazione» cui Michael Pollan si è sottoposto, trovandosi afflitto via via da mal di testa, letargia e «intensa angoscia». Per cercare di rispondere alla domanda cruciale da cui è partito – che cosa sia esattamente una droga –, Pollan intreccia reportage, «memoir» e saggio scientifico, spaziando attraverso varie discipline e concentrandosi soprattutto su tre molecole psicoattive: oltre alla caffeina, l’oppio, il cui effetto – secondo il poeta vittoriano Robert Bulwer-Lytton – è assimilabile al «sentirsi accarezzare l’anima dalla seta», e la mescalina, la più «sacra», che permise ad Aldous Huxley di vedere il mondo nella sua autentica «bellezza, minuzia, profondità e “quiddità”». Da questo affascinante percorso emerge ogni aspetto di queste sostanze, e in particolare la loro «natura bifronte»: il loro essere cioè «veleni» e «attrattori» al tempo stesso, in grado da un lato di dissuadere gli animali dal mangiare le piante che le producono, dall’altro di spingerli a utilizzarle accrescendo così la loro espansione ecologica: la caffeina contenuta nel nettare di certe piante, per esempio, rende le api impollinatrici «più affidabili, efficienti e industriose». Un’ambiguità che contraddistingue anche il millenario rapporto con le «droghe» degli esseri umani – e spiega come mai, sul piano evolutivo e culturale, «quella che era iniziata come una guerra» nei loro confronti si sia «trasformata in un matrimonio».
"Piante che cambiano la mente: oppio, caffeina, mescalina" è venuto a casa con me perché mentre lo sfogliavo in libreria ho beccato una pagina in cui si parlava dell'effetto della caffeina sulle api. E boom, caffè più api? Una sorta di kriptonite per la sottoscritta. Ed ecco che allora mi sono avvicinata al saggio di Pollan edito da Adelphi con una curiosità senza precedenti. Mentre l'oppio e la mescalina sono due sostanze che non erano entrate nel mio radar, la caffeina esercita su di me un fascino senza eguali. Pollan analizza gli effetti che queste sostanze provocano su di lui in un affascinante riflettersi tra esperienze personali e informazioni scientifiche sulle sostanze, in un saggio che esplora ad ampio spettro l'effetto dirompente che ognuna di essa scatena nel suo corpo. Mentre per la caffeina è un lento disintossicarsi mentre i giorni procedono e Pollan supera il piacere di bersi una tazza di caffè nel suo locale preferito, sperimentare con i papaveri e i cactus è un po' più complicato e pericoloso. Mentre il giornalista si addentra nello scoprire come coltivare le piante che gli servono, racconta aneddoti e curiosità e soprattutto ci rivela informazioni preziose per comprendere meglio i principi attivi delle sostanze che ci circondano. Resta incredibilmente affascinante leggere sia le sue esperienze che gli incontri che lo accompagnano, perché non è mai un viaggio solitario ma sempre una scoperta reciproca, un metodo di comunicazione, una ricerca preziosa. Non è mai solo la ricerca dello sballo ma soprattutto un minuzioso lavoro di ricostruzione, di ricostruzione, di meraviglia, ed è sempre incredibile come piante apparentemente innocue nella loro semplicità possano avere effetti tanto trasformativi sulla nostra psiche.
Uccide di più la sete che la fame: la disponibilità d’acqua vincola da sempre le sorti dell’umanità, generando fortune e catastrofi, spostamenti di popoli e scelte di stanzialità, prosperità e guerre. Eppure l’acqua, pur essendo la più antica e la più usata delle bevande, non è certo l’unica ad aver condizionato la nostra storia, ad aver spinto la vita di ciascuno di noi in una particolare direzione in un determinato momento. Fotografando cinquemila anni di eventi, Tom Standage getta nuova luce sulle vicende dell’uomo, leggendole attraverso le bevande che ne hanno accompagnato le sorti – e concorrendo, nelle maniere più sorprendenti, addirittura a crearle. Cosa ha spinto gli antichi popoli del Vicino Oriente a divenire stanziali? Perché la spugna passata sulle labbra del Cristo crocifisso era intrisa d’aceto? Come mai i marinai della flotta inglese erano più in salute di quelli francesi? Cos’ha costretto l’Impero cinese a cedere Hong Kong ai britannici? Se gli archeologi distinguono le epoche in base all’uso di diversi materiali – pietra, bronzo, ferro – Standage le ripartisce riferendosi a birra, vino, liquori, caffè, tè e Coca-Cola. Originale e ironico, questa avvincente Storia del mondo in sei bicchieri alterna alla verità di documenti autentici le cuoriose trame di cronache e aneddoti, creando un cortocircuito tra realtà e leggenda in grado di soddisfare esperti e curiosi, ma soprattutto capace di offrire una visione “altra” della storia, una visione che alle rivelazioni degli eventi epocali preferisce i piccoli, grandi segreti racchiusi in un bicchiere.
"Una storia del mondo in sei bicchieri" era uno dei libri citati nella bibliografia del libro di Pollan era quindi inevitabile che finissi per cercarlo e scoprire che "wow si era proprio il libro che volevo leggere!" per approfondire ancora l'uso del caffè ma scoprire inevitabilmente altre bevande a me care: se del caffè pensavo di sapere tutto dopo aver chiuso il volume di Standage non potevo più affermarlo. La tazzina del caffè è quella che mi ha fatto approdare a questo saggio, ma poi sono rimasta per la birra, per il vino, per il the, per l'alcool in generale e per la Coca-Cola che mi ha permesso di scoprire tantissime cose interessanti e che non sapevo minimamente. Come la birra sia nata un po' per caso e come il vino dell'antichità non aveva il gusto attuale, come vengono preparate le foglie di the e come il rhum sia inevitabilmente legato alla storia della tratta degli schiavi e come la Coca-Cola abbia rivoluzionato il seltz e le bibite in bottaglia. Le storie si uniscono quindi per dare nuove prospettive alla storia che conosciamo con una chiave di lettura che non avevo immaginato e di cui non sapevo niente, davvero molto interessante, super mega consigliato.
Questo è un libro sulla storia dei libri: libri di fumo, di pietra, di argilla, di giunchi, di seta, di pelle, di alberi e, gli ultimi arrivati, di plastica e di luce. Ma è anche un libro di viaggio che percorrendo le rotte del mondo antico fa tappa tra i canneti di papiro lungo il Nilo, sui campi di battaglia di Alessandro, tra le stanze dei palazzi di Cleopatra, nella Villa dei Papiri di Pompei prima dell’eruzione del Vesuvio, sul luogo del delitto di Ipazia, e poi nelle scuole più antiche dove si insegnava l’alfabeto, nelle prime librerie e nei laboratori di copiatura manoscritta, fino ad arrivare davanti ai roghi dove sono stati bruciati i libri proibiti, ai gulag, alla biblioteca di Sarajevo e ai sotterranei di Oxford. Papyrus è un racconto personalissimo, dove l’esperienza autobiografica si intreccia a evocazioni letterarie e a storie antiche, e dove un filo invisibile collega i classici con il frenetico mondo contemporaneo e i dibattiti più attuali: Erodoto e i “fatti alternativi”, Aristofane e i processi agli umoristi, Tito Livio e il fenomeno dei fan, Saffo e la voce letteraria delle donne, Seneca e la post-verità. Ma questo libro è soprattutto una favolosa avventura collettiva che ha come protagoniste le migliaia di persone che nel corso del tempo hanno salvato e protetto i libri: cantori, scribi, miniatori, traduttori, venditori ambulanti, insegnanti, maestri, spie, ribelli, suore, schiavi, avventurieri... lettori al riparo delle montagne o di fronte al mare in tempesta, nelle grandi capitali dove l’energia si concentra o nelle comunità più remote dove il sapere si rifugia quando fuori infuria il caos.
"Papyrus. l'infinito in un giunco" è un libro per lettori, o per cultori della carta o per chi esalta al massimo l'oggetto libro. Come quando entri in un luogo per la prima volta e ne vuoi conoscere tutti i particolari, vuoi aggrapparti ad ogni dettaglio, vuoi scoprirne ogni segreto. Ecco entrare in questo libro è come entrare in un libro, perché se ne sviscera la nascita, l'evoluzione di come la carta di imposta di come le biblioteche si sono riempite e di come l'autrice ne è venuta a conoscenza. La storia del libro non è mai avulsa dalla storia personale dei lettori, la storia della parola scritta si intreccia in maniera primaria a come il supporto è stato scelto e conservato. Dalle rive del Nilo ai piedi del Vesuvio, dalla biblioteca di Alessandria ai sotterranei di Oxford tutte le descrizioni riempiono di meraviglia gli occhi del lettore che legge incantato e si aspetta di scoprire qualcosa ad ogni pagina. Purtroppo la nota dolente sono i riferimenti alla vita personale di Iren Vallejo: fin troppo ridondanti e poco funzionali alle storie della carta e dei libri, a volte è meglio essere più reticenti.
Perché la A è la prima lettera dell’alfabeto? Forse perché il bue era considerato dai fenici il più importante fra i beni? Perché la D, fra i numeri romani, significa 500? Come si può vedere nella M il volto di un uomo? Perché davanti a U usiamo Q? Questo libro è una storia dell’alfabeto. La storia di una delle più straordinarie invenzioni umane, di quei «venti caratteruzzi» che ci permettono di «parlare con quelli che son nell’Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci mila anni», per usare le parole di Galileo. (E perché per Galileo le lettere sono venti, e non ventuno?) Alessandro Magrini ci accompagna in un viaggio affascinante, un capitolo per lettera, dall’antico Egitto alla Fenicia alla Grecia a Roma (con lo zampino degli etruschi). E lo fa con la rara capacità di tenere sempre viva l’attenzione, complici la sua contagiosa curiosità e un’esposizione limpida e avvincente. Grazie anche al ricco apparato d’immagini, Il dono di Cadmo è uno di quei rari libri in cui il rigore scientifico convive con una genuina abilità divulgativa. Venite a scoprire la storia delle ogni scarabocchio sul muro, ogni insegna pubblicitaria non vi parrà più la stessa. Quando vedrete una N, penserete d’ora in poi a un antico serpente di mare.
"Il dono di Cadmo: L'incredibile storia delle lettere dell'alfabeto" il saggio di Magrini è diviso in capitoli uno per ogni lettera dell'alfabeto e di ognuna cerca di ripercorrerne le origini e di raccontare da quali segni è partita e come è diventata quella che leggiamo oggi nei libri stampati e nella tastiera del computer. Una carrellata affascinante che parte dalla scrittura cuneiforme o quella protosinaitica, passa dai geroglifici e si dirama tra greco e latino in un viaggio tra province confinanti, dialetti simili ma fondamentalmente diversi e pronunce che richiamano specificamente certe regioni. E se la casa è forse il concetto principale che dà origine a tutto, l'alfa e l'omega si rincorrono tra disegni di bui e vicende che non si penserebbe mai abbiano influenzato così tanto i segni da cui dipendono tutte le nostre comunicazioni. Comunicare è fondamentale e farlo in forma scritta lo diventa ancora di più soprattutto quando non c'è niente ed è tutto da costruire. Anche l'ordine in cui le elenchiamo diventa fondamentale e ogni aspetto riflette le scelte e i pensieri di chi ci ha preceduto, davvero molto affascinante anche se devo dire estremamente breve.
"La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare." Perché comunicano a ognuno qualcosa di personale e accompagnano diversi momenti della nostra vita, innescando con noi un dialogo intimo al di sopra dello spazio e del tempo. Per questo Cees Nooteboom, nel corso di trent'anni di viaggi per il mondo e attraverso i cieli della letteratura, ha visitato le tombe dei grandi scrittori e filosofi che lo hanno segnato, raccogliendo quello che, dietro una lapide di marmo, un monumento bizzarro, un'epigrafe toccante o l'incanto di un'atmosfera, hanno ancora da raccontare. Dal famoso Père-Lachaise di Proust e Oscar Wilde alla pittoresca collina sopra Napoli che ospita Leopardi, dalla cima del monte Vaea, nelle isole Samoa, dove è sepolto R.L. Stevenson, a Joyce e Nabokov in Svizzera. Calvino a Castiglione della Pescaia, Melville in un angolo sperduto del Bronx, e Kawabata nel suo Giappone; Keats e Shelley accanto a Gregory Corso nel romantico Cimitero Acattolico di Roma; Brecht a due passi da Hegel a Berlino est; Brodskij insieme a Pound nell'isola veneziana di San Michele, e il Montparnasse di Baudelaire, Beckett e Sartre, a cui ha scelto di unirsi anche Susan Sontag.
"Tumbas. Tombe di poeti e pensatori" è un libro che giace nei meandri della mia lista di libri da leggere dall'estate 2018, conservavo ancora lo scontrino del Libraccio di Bologna dove lo acquistato al suo interno e mi è tornato tra le mani mentre riordinavo i volumi di cui sono impossesso. L'idea di questo libro edito Iperborea mi affascinava molto: l'autore in giro per il mondo a visitare le tombe di una selezione di poeti. E se da un lato ci sono le fotografie e il Cimitero in cui il poeta riposa, non posso dire che le informazioni condivise da Nooteboom siano esaustive. Mi aspettavo un resoconto delle sue sensazioni davanti ai grandi che hanno fatto la storia e invece l'autore condivide a seconda di chi sta prendendo in considerazione versi riguardanti la morte, estratti da saggi scritti da lui o sue considerazioni sull'autore se lo ha conosciuto, estratti dalla corrispondenza dell'autore, insomma un guazzabuglio di input non sempre facilmente decifrabili che rendono la lettura difficoltosa. Mentre l'intento di documentare il monumento funebre con la sua collocazione nel mondo è pienamente riuscito e devo dire anche molto affascinante la condivisione sui poeti lo è molto meno, soprattutto per quelli meno conosciuti che restano molto in ombra, nonostante gli sforzi dell'autore.
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