#non mi anno dato i soldi in dietro
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Circa l'anno scorso nel 2022
Ho conosciuto uno ( che conoscevo su discord ds tre anni)
Dal vivo , che ci parlavo ongi mille mai su discord e tipo tre anni che lo conoscevo
Questo diceva che mi amava ma non nera così perché era un vittimista #calimero
Voleva solo essere ascoltato
E poi mi tartassava di messaggi , io non provavo niente per lui , non mi interessava diceva di amarmi ma non era così perché se era veramente amore queste cose non le avrebbe fatte innanzitutto
Disse che dovevo venire da lui c'è proprio pure pretesa che dovevo andare da lui va bene andiamo da sto tizio
Praticamente siccome lui è la sua famiglia sono omofobi e trans fobici lui mi aveva chiesto questo Diego Actis Grosso si chiamava o si chiama
PRETENDEVA CHE IO MI VESTISSI DA DONNA PER COMPIACERE LUI E IL PADRE E PURE LA MADRE S STO PUNTO Dovevo PIACERE COSÌ? Col cazzo mi sono vestito come volevo perché nessuno mi dice cosa devo fare ho ricevuto vari insulti dal padre Di nome Cesare Actis Grosso dicendomi che io ero un clown 🤡 parole sue " smettila di fare finta di essere uomo non lo sei mio figlio non esce con noi per colpa tua" quando io non dicevo un cazzo e dero in ospedale
Glia tipo leccato il culo dl figlio 🤣🤣
La madre Danila Rondin voleva che io rimanevo la nella campagna per fare compagnia al figlio senza cervello
Diego Actis Grosso 🤡 🤣 ma quante cazzate sparava già che nel giugno_luglio
Pesavo che io ero in cinto non può essere perché uno predo delle medicine e avevo già una problematica
Poi questo anno pure che ho la malattia che ho e più già la problematica che ho che non potrò mai avere figli tanto non li voglio preferisco operarmi per Diventare uomo dl 100% più tosto che creare delle persone così veramente io basito
Che poi ci siamo mollati perché io non lo ho mai amato lui voleva solo fare sesso
🤦🏻🤦🏻 il sesso non ne amore!
E quindi lo mollato circa quest' anno perché lui era così stupido da non capire che già lo avevo lasciato l'anno scorso
E che mi frequentavo con una ragazza
l'anno scorso nel 2022 tra fine giugno e inizio luglio che a preteso che io ci andassi e ci sono andato ma mi sono vestito come volevo io da uomo!!
Parte che lui era venuto a trovarmi quando era in ospedale Ad Ottobre che non ne stato Richiesto i fiori non richiesti mi ha portato dei dolci che non sono stati richiesti per due giorni a dicembre del 2022 lui ha preteso di essere ospitato e noi l'abbiamo ospitato a confine che stasse una due settimane lui invece è stato un mese lo abbiamo buttato fuori di casa a gennaio del 2023 !
Ho pagato io il suo volo di ritorno e speravo che mi tornasse i miei 22 euro essendo che io quest'anno e ci sono salito a luglio e ci sono stato una settimana perché non volevo stare di più me costato 300€ che non mi a tornato !
Dicendo che lavorava quando stava a giocare dalla mattina alla notte andava a letto alle 2 da telegram lo vedevo
A come lo so vedevo le sue ore di gioco...
...questi soldi non sono stati tornati
Io mi passo un ora sui siti di lavoro
Lui passava le ore a giocare...
E il padre Cesare Actis Grosso a scritto sia a me a mia madre quando già avevo preso il biglietto e partivo il giorno stesso sapete cosa ? che non dovevo venire perché lui voleva che il figlio stava con una donna vera
E che restituiva lui i soldi ma io ero già partito ma questo 300€ non me li a dati né quelli del anno scorso che erano 200€ ne quelli di ora dei bugiardi 🤣🤣
Li ho bloccati e ho chiesto di farlo pure a mio padre e a mia madre
Perché tutta la famiglia anche sua nonna nessuno si salva un pinguino di persone disagiate che volevano che stavo lì da loro quando io sono MALATO!
Ho finito
#sono dislessico#gente toxica#finto amore#gente malata di testa#denuncia#non mi anno dato i soldi in dietro
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La prima volta che ti telefonai non sapevo chi fossi, sebbene tuo nipote mi avesse già parlato di te. Ma questo lo scoprii solo qualche anno dopo. A telefono fosti fin troppo cordiale e la cosa mi insospettì, passammo qualche anno a non fidarci pienamente l'uno dell'altro. Quando ci conoscemmo eri seduto dietro quel tavolo insieme a tua moglie. Come per i successivi cinque anni, sempre dietro quel tavolo. Il tempo sprecato ad aspettarti, una sigaretta dietro l'altra, il telefono che squillava sempre, i bambini che giocavano intorno, tu a gestire il tuo piccolo impero. Nessuno mi ha mai fatto fare così tanta fatica quanto te, era il tuo modo di mettermi alla prova e capire se potevi fidarti di me. Poi l'anno scorso hai iniziato a farmi discorsi strani, che non ti avevo mai sentito fare prima. Mi hai confessato di quando a quarant'anni t'è presa una crisi esistenziale e non sapevi più che pesci pigliare tra crisi d'ansia e attacchi di panico. Me lo dicevi proprio così: puoi ritrovarti depresso anche dopo che la vita t'ha dato tutto, soldi, cinque matrimoni e otto figli. E allora ricordati sempre, le cose importanti nella vita sono la salute e l'amore, quando tutto si spegne e sei a casa dalla tua famiglia. Me l'hai detto come uno che se ne stava andando. L'ultima volta che ci siamo visti, prima di Natale, ci hai tenuto a regalarmi ancora tre bottiglie del tuo miglior vino. Venerdì quando sono venuto da te non ti ho visto, eri a letto, mi sono seduto io al tuo solito posto. Ecco, per me sarai sempre seduto lì, dietro quel tavolo.
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94. (L'orologio)
A nove anni me lo regalò mio nonno. Glielo aveva dato suo padre. Non credo suo padre sapesse che quell’orologio avrebbe attraversato tante generazioni. Mio nonno invece ci sperava. Mi aveva aspettato per darmelo. Forse non aspettava neanche me, aspettava più quel qualcuno che potesse tenerlo. Degnamente, si capisce.
Non era un semplice orologio. Era un orologio in edizione limitata, chiuso in una scatola confezionata per l’occasione, una scatola di metallo, con dei motivi a sbalzo e tutte le scritte del caso. La scatola era sigillata, non l’aveva aperta mio nonno, non l’aveva aperta suo padre, e quindi probabilmente non avrei dovuta aprirla neanche io.
Conservavo la scatola nella piccola cassaforte di famiglia, dietro ad un quadro di argomento ippico. Quand’ero piccolo, e non ancora in possesso della combinazione e dell’accesso libero allo scrigno, potevo guardare la scatola in occasioni speciali o quando, raramente, mi veniva da chiederlo. Mio padre avrebbe voluto aprire la confezione, mio nonno non voleva e sorvegliava che la sua volontà fosse rispettata. Quando poi mio nonno morì, la sua volontà diventò la mia.
Ero diventato un ragazzo, ma il veleno di quell’oggetto mi era stato già iniettato, già da qualche anno. Dico veleno, ma potrei dire malia, non so. Sarà stato forse soltanto perché era vecchio di anni, o forse perché ero stato prescelto come suo custode, non so. Pensare a cosa ci fosse dentro, alle vite che lo avevano protetto dall’aria e dalla volgarità di un contatto, e poi via via anche al valore che strada facendo si stava accumulando sulla sua identità, insomma, tutto complottava.
Lo lasciavo a casa dei miei quando mi allontanavo per qualche viaggio, fosse con gli amici o per lavoro, perché ovviamente non avrei voluto perderlo come uno sciocco, magari dimenticarlo chissà dove. Rimase a casa dei miei fino a quando non mi sposai, dopo mi dovette seguire, non c’era altra opzione possibile. Mia moglie lo accolse in casa come se fosse un mio ricordo affettivo. Ma io lo sapevo che era qualcosa di più.
Ogni giorno, ogni mese che passava senza che mi decidessi ad aprire la scatola, si andava ad accumulare su tutti gli altri, e il peso di questi giorni, di questi mesi non faceva altro che aumentare la sua aura mitica. Il tempo passava e l’ostrica si ingrossava, diventava superba, il peccato di violarla si faceva sempre più grande. Era quasi una follia.
Mio padre, morto mio nonno, era diventato sempre più esplicito al riguardo. Secondo lui la scatola andava aperta e l’orologio goduto o venduto, ma credo che lui non sopportasse gran che mio nonno. Del resto, ne rispettava la mia proprietà e quando poi l’orologio prese la via della mia casa coniugale se ne scordò. Anzi, ne parlò ancora una volta, era un Natale, finì tutto in due parole ed un borbottare modesto. Poi morì anche lui e restai solo con lo strano destino di quel possesso.
Ne ero diventato geloso. La mia primogenita non aveva alcuna passione per gli orologi, e il secondo pareva non subisse alcun fascino da quella confezione metallica. Forse avrei dovuto aspettare un nipotino anche io. Francamente ero un po’ stufo. Mi sembrava così illogico che nessuno della mia stirpe avrebbe mai goduto di quel segnatempo. Quanto doveva aspettare? Cento anni ancora? E perché non potevo essere io il profanatore? A quale divinità stavo sacrificando?
Eppure, non mi decidevo. Mi prendeva come una specie di nausea, la stessa che inesorabilmente mi toglieva il fiato quando c’era qualche decisione difficile da prendere. Almeno l’orologio lo potevo lasciare lì, non erano soldi da versare, avvocati; se mai potevano essere soldi da prendere, un giorno. E poi lui non parlava, se ne stava zitto e tranquillo, Il potere ce l’avevo io. Pensavo.
Un giorno maledetto arrivò la diagnosi del medico. Senza speranze. E senza speranze vissi quei mesi, tra i dolori, l’angoscia, la sensazione orrenda del tempo che scivola via dalle mani come una saponetta bagnata, che più la stringi e maledetta più scivola via. Non c’erano più speranze. Oramai passavo i giorni a letto, nella mia stanza, tra medicinali, visite, ricordi, pensieri. Niente che mi salvasse. L’orologio s’era un po’ nascosto, dal mio orizzonte.
Un pomeriggio ero rimasto in camera da solo. Non stavo particolarmente male, ma un brivido gelato nella pancia che non avevo mai sentito mi sommerse di angoscia. La paura fu tanto grande che non riuscii a chiamare nessuno, ma chissà perché i miei occhi incrociarono il cassettino del mobile dove tenevo l’orologio. Ebbi come uno spasmo. Senza alcuna volontà cosciente andai a prenderlo. Dimenticai tutto, gli anni dei custodi passati al suo servizio, il suo valore sacrale, le parole consumate su di lui, i progetti. Dimenticai anche il mio male. Presi la scatola, strappai la guaina che la teneva sigillata.
“Non è un granché”. Il vetro opaco, il cinturino smorto. Puzzava. “Non è un granché”, mormorai. Poi caddi a terra, morto.
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- NON COMPRARE QUELLE PATATINE! - PERCHÉ? SONO CATTIVE? - NO... MI HANNO RITARDATO DI 20 SECONDI L’ASCOLTO DI SWEET HOME ALABAMA
Il post è serio... o meglio, sono serie le mie intenzioni di comprendere i meccanismi che stanno dietro al marketing, perché è evidente che mi stiano sfuggendo tipo democristiano finito per sbaglio alla Festa dell’Unità.
Non voglio sembrare radical chic o intellettuale elitario ma ho bisogno del vostro aiuto per capire se l’illusione di essere immune al potere delle pubblicità - immune del tipo ‘Ahahaha! Tanto non mi posso ammalare di rogna sarcoptica dello stambecco della Alpi perché l’acaro responsabile non sopravvive sull’uomo!’ - in realtà non sia un effetto Dunning-Kruger che mi faccia sentire migliore di quanto in realtà io non sia.
Mi spiego.
In maniera molto dicotomica, io non compro MAI tutti quei prodotti che sono stati pubblicizzati in modo:
triviale (donna seducente, uomo forte, potere, esclusività etc)
stupido (luoghi comuni sull’italiano medio, balletti, comicità anni ‘80)
pressante (spot ripetuti e/o invasivi)
Quindi ripiego quasi sempre su marche sconosciute o prodotti col brand del supermercato (sì... lo so che i miei soldi gli arrivano lo stesso) perché chi mi dovesse incontrare tra le corsie mi sentirebbe sussurrare a fil di labbra ‘Te hai fatto bodyshaming, te sei green come il ciao smarmittato che avevo a 16 anni, te uccidi il 99% dei batteri come qualsiasi altra candeggina, te sei acqua distillata che ha visto le alpi solo in foto, te fai le scenette insopportabili con la mamma meridionale, te m’hai rotto il cazzo mentre ascoltavo il podcast sui serial killer più prolifici...’ e così via ma la mia domanda è questa:
Non è forse vero che qualsiasi consumatore interpellato in tal senso affermerebbe con sicumera che lui non si fa certo infinocchiare e sceglie sempre il prodotto migliore al minor prezzo?
In fondo il trucco del buon marketing è esattamente quello di far credere al consumatore di star compiendo una scelta indipendente e priva di condizionamenti basata sulla propria capacità di giudizio.
Quindi, in che modo il mondo del marketing mi sta comunque fregando?
Sono un illuso danno collaterale ininfluente sulla fetta enorme di altri acquirenti oppure sono addirittura utile come gruppo di controllo?
Forse l’influenza va oltre il mero prodotto del momento da me evitato e riguarda un imprinting sociale sulla necessità indotta di una certa classe di prodotti?
Non importa chi urla più forte la percentuale di batteri uccisi ma indurre il presupposto subliminale che se non ne uccidi il più possibile sei un infetto sudicio mentecatto. Non l’automobile più potente, elitaria o veloce ma che oramai non ti permettono più di mantenere la tua per più di qualche anno. Non l’acqua minerale che ti rende più puro degli altri ma un bene comune gratuito rivenduto a scapito dell’ambiente. Non il mutuo più conveniente ma che si sia arrivati ad accettare che per (soprav)vivere tu debba farne uno.
Anche perché - e fatemelo dire in modo catartico - nel marketing digitale la profilazione è fatta col culo di un mozzo carino imbarcato su un veliero vittoriano diretto verso il passaggio a Nord-Ovest senza un filo di vento.
Mi piacciono i coltelli ma non i coltelli da cucina.
Se cerco sul web un distributore di benzina dove non mi chiedano un rene, che cazzo mi pubblicizzi una Tesla da espianto total body per trafficanti di organi?
Lancio asce, non cerco un giardiniere che mi poti gli alberi.
Perché mi suggerisci le pompe funebri a me più vicine? Perché ho urlato ‘muori!’ a un deficiente che non m’aveva dato la precedenza?
E soprattutto, nonostante credo abbiano capito che sono del settore, perché tentano di vendermi lo stesso principio attivo allo stesso dosaggio ma seguito dalle diverse diciture ‘febbre’, ‘cefalea’, ‘dolori mestruali’, ‘influenza’, ‘forte’, ‘fast’ come se non fosse la stessa cosa che fa sempre la stessa cosa?
Giuro che tornerei a fare il cacciatore-raccoglitore se non che poi al mercato del baratto sicuramente incontrerei Ea-nasir che mi rifilerebbe i suoi lingotti di rame farlocchi.
@a-tarassia
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HUFFER ( Deluxe ) War for Cybertron KINGDOM
Dopo Warpath, nella wave 2 dei Kingdom di War for Cybertron, Hasbro ci vizia con un altro Minibot-non-propriamente-tale, e non uno qualsiasi, ma nientepopodimentoche il chimerico HUFFER, l'ingegnere brontolone della primissima stagione G1.
Ma cos'ha di speciale questo nuova versione di Turbo? Semplicemente che è la prima effettiva dedicata al personaggio con uno stampo adeguato alla sua rappresentazione iconica, dopo qualche omaggio / citazione nell'omonimo Power Core Combiner e ancor prima nell'Armorhide di Cybertron-iana memoria. E sì, ci sarebbe pure il Legends/ Basic uscito per Combiner Wars, ma quello era un repaint ( testa a parte ) dell'Optimus Prime GenT30 precedente.
E parlare di quel Legends come di una versione apocrifa è dir poco, dato che quel ROBOT mancava delle caratteristiche fisiche che contraddistinguevano il buon Huffer originale, ovvero il "cappuccio" dietro la testa e le braccia tubolari!
Ricordiamo che il giocattolo del 1984 era pur sempre un Minibot con la modalità veicolare superdeformed e una trasformazione semplice, ma per quanto semplicistico fosse avere l'intera cabina del camion appesa sulla schiena e le braccia formate dai tubi di scappamento... beh, anche lì alla fine risiedeva comunque il suo fascino!
E ancora, sempre il giocattolo basilarmente non aveva mani, ma piuttosto delle pinze, così come la faccia era formata da mascherina e occhialoni, e invece la versione per i cartoni, la più famosa quindi, aveva pugni e una faccia definita con occhi e bocca. Ma il robot era pure troppo stilizzato, dato che oltre ad avere le cosce grigie e non viola come il torso, sparivano del tutto le ruote e gli avambracci erano più stretti dei bicipiti...
Il Kingdom quindi non cerca di somigliare a tutti i costi al settei, ma anzi pare che prenda più dal giocattolino originale, aggiungendo laddove gli elementi più consoni del personaggio tv. Abbiamo quindi i piedi un po' cavi sul collo, ma con le ruote presenti ai lati e le decorazioni centrali delle gambe che non si fermano alle ginocchia; le cosce grigie sì, ma con bacino e torso con dettagli scolpiti come quelli del giocattolo e dei suoi adesivi, mentre la decorazione sul petto è color viola chiaro come visto in tv, così come l'addome grigio.
Infine, la testa non è troppo tondeggiante, e gli occhi non hanno una "cornice" attorno, e sono presenti i due moduli fra testa e spalle che sono lì solo per omaggio al giocattolo del 1984, essendo di fatto non funzionali a nulla.
Inediti per entrambi i design sono i pugni neri ( argentati come le braccia originariamente, così come si vede pure nell’immagine della scatola, idem per i pannelli sotto i piedi grigi anzichè arancio ), e vanno segnalati le decorazioni ai lati dei polsi che però serviranno per la modalità alternativa. Posabile bella media dei WfC, tranne per la rotazione dei succitati pugni, e con pure i soliti fori sparsi per le armi, il nostro Huffer ha come unica pecca i polpacci vuoti, dovuti alla trasformazione delle gambe, ma che in qualche maniera si potevano coprire.
Va da se' che il nostro è alto mezza testa meno di Warpath, ed in scala quindi con il resto della truppa in quanto Minibot alto, ma pesa quanto i Deluxe medi, grazie anche alla massa portata da un inedito fucile e scudo, accessori graditi anche perchè danno una marcia in più alla modalità alternativa.
Questa si ottiene TRASFORMANDO il nostro nell'iconico camion motrice, e se le gambe sono semplici, dato che basta piegarle all'indietro con le piante che si ribaltano sugli stinchi, la parte superiore è più ricavata, con le spalle che si abbassano, per poter lasciar spazio alle ruote anteriori ripiegate all'interno del torso, e liberabili dopo aver abbassato questo in avanti. Ruotata la testa di 180° e riposizionato il torso, gli avambracci ruota di 90° e si fissano alla cabina, con i pugni che si nascondono piegandosi dietro di questa.
La MOTRICE DI CAMION è assai iconica, ma poco realistica, dato che ha quei tuboni di scappamento che sono davvero... esagerati! ma anche questo è il fascino di Huffer, e va bene così. Il resto del camion è davvero ben fatto, con i vetri in plastica trasparente blu, dettagli argento e scolppiti che richiamano il G1, mentre il retro ha una superficie grigia ( le piante dei piedi ) che grazie al foro centrale è compatibile con il rimorchio dell'Optimus Earthrise, in modo da ricreare la scena vista nell'episodio "Heavy Metal Wars", dove Turbo aiutava uno stanco Commander a trasportare il suo iconico carico.
Ma il summenzionato scudo ( con una fessura che lo fa sembrare come quelli antisommossa ) ed il fucile non si agganciano semplicemente ai fori per armi che il nostro ha ai lati di tubi e dietro le ruote posteriori, così come sopra la cabina, dato che il secondo si divide in due e si attacca allo scudo adagiato nella parte posteriore, facendo diventare il camion da motrice a trasporto materiali, con la vasca creatasi!
L'aggancio delle due metà del fucile non è saldissimo, va detto, ma è innegabile che ciò aggiunge giocabilità al veicolo, con due accessori che danno massa e "rivoluzionano" il veicolo, volendo. Davvero una bella trovata, insomma. Altro unico neo del camion, volendo, la mancanza dei simboli di fazione, magari sulle portiere, ma vabbè.
Come dissi ai tempi, questo Huffer doveva uscire un anno fa, per me, al posto di Cliffjumper Earthrise, in modo non solo di avere nella wave 1 praticamente tutti i personaggi come ingegneri, costruttori o scienziati, ma anche per presentare adeguatamente i Minibot piuttosto che non il troppo piccolo Grillo, che ancora mi brucia averci dato il prezzo pieno di un Deluxe, mentre il nostro Turbo i soldi spesi se li merita tutti, nel suo essere un'ottima versione moderna del classico personaggio, attesa per parecchio tempo sì, ma il cui risultato ripaga della pazienza avuta.
#transformers#huffer#turbo#generations#deluxe#minibot#wfc#war for cybertron#kingdom#autobot#autorobot#minicar#recensione#review#hasbro
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Litigata stratosferica con mio papà. Per cosa?! Per i SOLDI e perchè deve sempre fare la vittima della situazione... ma stiamo scherzando??
Cena: stavamo tranquillamente parlando Filippo, mamma e io. Ad un certo punto salta fuori il genio di mio papà dicendo che forse cambia lavoro e che forse dovrà andare a stare via durante la settimana. Fin qui tutto ok. Poi dice la fatidica frase... Prima o poi mi compro un Ferrari... bene, mia mamma giustamente dice, scherzando perchè è consapevole che non se lo comprerà mai, non pensi ad aiutare i tuoi figli se qualcuno di loro vuole sposarsi o ha bisogno di supporto economico per qualche altro motivo??
Lui, inizia ad alzare la voce a dire che aiuta sempre tutti che ha lavorato una vita per gli altri e poi dice:” e io? E per me quando farò qualcosa? Sempre tutto per gli altri”. CAZZATA ENORME... infatti mia mamma poi gli chiede se si è mai fatto mancare qualcosa. Lui, ovviamente da VITTIMA, inizia a dire che a un figlio ha dato un appartamento all’altro gliene darà un altro, a me non darà nulla perché non ha più niente e cos’altro devo fare?
Ma io mi chiedo... PER QUALCHE CAZZO DI MOTIVO HAI FATTO TRE FIGLI?? Cosa aspetti che mi aiuti il papà a farmi il matrimonio o qualsiasi altra cosa??
Poi, continuando il vittimismo, dice che ha capito che in questa casa non c’è più posto per lui che è meglio che si faccia le valigie e vada via. MA MAGARII che così forse riusciamo a respirare un pò di più.
Dopo che si è alzato da tavola per andare in salotto, mi alzo in piedi e dico a mia mamma: “in questa casa non c’è mai pace”. Mio papà mi sente e dice: “hai proprio ragione.”. NON CI HO PIÙ VISTO... ma sei serio?? Ho iniziato a urlargli che è colpa sua, che non abbiamo mai avuto un momento di pace, che quando ci sono un pò di soldi messi via cerca sempre nuovi modi per spenderli anche sapendo che sicuramente ci saranno altri imprevisti da affrontare. Abbiamo appena i soldi per piangere, finalmente aggiungerei dopo questo anno di merda, e lui pensa a rifare il bagno nuovo, a fare un’altra stanza dietro casa.. tant’è che oggi a pranzo quando ha detto quali sarebbero le sue intezioni per le nuove stanze io ho detto:” io vado via e non voglio sapere niente”...
Ma vi sembra normale?? Non so più come fare, l’unica cosa che mi permette di sopravvivere quando c’è anche lui è ignorarlo!
Dato che questa era una bella serata per litigare, Gianluca capisce che c’è qualcosa che non va e mi chiama. All’inizio tutto bene, dopo che gli ho raccò stato tutto piangendo come una cretina cerca di distrarmi. Ad un certo punto mi dice che dovrei arrabbiarmi di meno e che sono troppo cattiva... MA DOVEEEE?? CHE NON DICO MAI NIENTE. Questo sclero è stato perchè ogni volta che mi fa venire il nervoso me lo tengo dentro e non dico mai niente. Alle sue parole mi sono sentita morire. Penso di essere una persona molto comprensiva, mi arrabbio, mi innervosisco, ci resto male quando qualcuno mi dice qualcosa di cattivo, ma non dico mai niente a nessuno, non rispondo mai a tono e se lo faccio significa che ho raggiunto il limite.
Quindi, ecco la mia splendida serata di merda.. Prima volevo avere Gainluca con me per consolarmi e adesso nemmeno lui perchè gli tirerei un pugno nelle gengive...
Buona notte a tutti
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Romance is a bonus book Commento Finale
Non so perché, ma ci sono serie di cui ho una voglia matta di scrivere il commento (vedi i miei scleri su The Untamed, i vari commenti su Hotel del Luna o, a discapito della follia della trama, Black and White), e serie di cui salterei volentieri il commento finale tanto non ho voglia di scriverlo.
Romance is a bonus book è una di queste.
Quindi farò una scaletta veloce dei punti più importanti:
La protagonista. Dan-i non mi ha fatto impazzire. Sinceramente credo che sia il problema più grosso di questo drama. Era partita come un personaggio interessante, che portava in scena questioni interessanti come il lavoro e le donne, la difficoltà di ricominciare. Ma alla fine risulta un personaggio di poco impatto, irrealistico (chi si alza alle sei di mattina per andare a pulire le scrivanie dei colleghi?), con una storyline profondamente ingiusta verso tanti di quei personaggi che ho perso il conto. Ma nessuno se la prende con Dan-i, no, lei è amata e lodata, tutti le vogliono bene e la richiamano al lavoro con la scusa paraculo dell'assunzione speciale (#ionondimentico). Forse la cosa che più di tutte mi ha dato fastidio e che ho trovato surreale è stata la questione della figlia: spedita nelle Filippine (perché se subisci bullismo non basta cambiare scuola, no, devi proprio cambiare nazione), e mai menzionata o vista in scena a parte trenta secondi. Dan-i non parla mai di lei, non la vediamo mai pensare a lei, e questo è semplicemente assurdo.
Il protagonista. Mi è piaciuto. L'ho trovato adorabile, e a parte questo non ho molto altro da dire su di lui. Solo una cosa. Ricordo che in uno dei primi episodi questo personaggio mi ha fatto fare una riflessione: in una scena lo vediamo notare come il futuro marito di Dan-i non sia l'uomo adatto a lei, ma invece di parlarne con l'amica, tiene i propri pensieri per sé. Quando ho visto la scena mi sono chiesta: perché non gliene hai parlato? Quando si è fidanzati e si sta per compiere il grande passo del matrimonio, penso sia molto importante avere qualcuno vicino a noi che ci aiuti a vedere le cose con più chiarezza, e nessuno ha aiutato Dan-i. Il suo migliore amico non solo non ha detto nulla, ma l'ha anche riportata all'altare quando una dubbiosa e spaventata Dan-i voleva disertare le nozze. Ammetto però che la mancanza di coraggio di Dan i di andare fino in fondo nella sua fuga sia qualcosa di molto realistico, e questo punto l'ho apprezzato molto.
Il valore dato ai libri. Questo drama ci mostra il luogo di lavoro di una casa editrice, ci fa vedere come nasce un libro, tutto l'impegno che c'è dietro, qualcosa a cui io non avevo mai pensato molto. Ammetto che vedere questo drama ha risvegliato in me la voglia di leggere, e questo mi fa super piacere. Ho trovato anche triste e interessante il discorso sulla morte della poesia.
Il team della casa editrice: semplicemente uno dei migliori che ho visto finora in questo 2020.
Anche se una cosa la devo dire: l'ambiente in quel luogo di lavoro l'ho trovato troppo favolistico.
I second lead. Lui non è stato nulla di spettacolare, ma l'ho apprezzato. Mi è piaciuta molto la dinamica tra lui e la signorina Song. Quest'ultima è uno dei miei personaggi preferiti del drama e una delle migliori Second Lead che abbia mai visto. Mi è piaciuta un sacco.
La love story: sento il miele che mi cola tra le mani mentre scrivo. Io sono una che shippa facilmente, ma questa ship non mi ha mai fatto battere il cuore all'impazzata. Sono carini, per carità, sono adorabili, e @dilebe06 mi ha giustamente fatto notare che si tratta di una storia d'amore un po' diversa dal solito, priva di angst, e con i due interessati che si conoscevano già da anni. Tuttavia non mi ha presa. Due cose mi hanno fatto storcere il naso: 1) non si capisce quando i due si mettono insieme, 2) Dan-i non l'ho mai vista coinvolta e innamorata tanto quanto Eun-ho, e questo è un peccato.
La Signora Go e Oh Ji-yool: per quanto mi riguarda, le vere Queen della serie. Le ho amate un sacco entrambe. La prima è la Miranda Priestley asiatica della situazione, ma rispetto a Miranda ha una marcia in più:
Cioè, come si fa a non amarla?
Mi è piaciuta molto la sua storyline: la scelta della carriera sopra al matrimonio, la solitudine, una freddezza che nasconde un cuore ancora pronto ad amare ed essere amato. Sono molto contenta della ship che si è venuta a creare col signor Kim, e tutta la questione dei bottoni l'ho trovata carinissima.
La seconda, Ji-yool, è stata semplicemente una grande. Il personaggio con la più grande evoluzione della serie. Da viziata, superficiale, dipendente dalla madre, si trasforma in una lavoratrice responsabile e operosa, e una ragazza che riesce a innamorarsi al di là dell'aspetto fisico o dei soldi. L'ho amata.
Ecco, di fronte a queste due Queen, Dan-i semplicemente sbiadisce.
Costumi. Santo Iddio. Ok, scusate l'imprecazione ma ci stava. Sono sicura che questo drama vincerà la categoria del Peggior Outfit nel quiz che farò con @dilebe06 a fine anno. Mai visto qualcosa di così orribile. Dan i ha sfoggiato in ogni singola puntata degli outfit che mi facevano venire voglia di strapparmi gli occhi.
La questione dello scrittore scomparso. Ammetto che la puntata finale mi ha messo addosso un certo magone, ma questo non mi toglie la sensazione che questa storia poteva essere gestita un po' meglio e in meno tempo (in realtà tutto il drama poteva essere raccontato in dieci/dodici episodi).
E comunque non ci hanno mai detto una cosa: ma perché quel pover'uomo era legato al letto come un salame?
Signora Seo e marito: mi sono piaciuti molto entrambi. Lei l'ho amata davvero tanto: l'ho trovata simpatica e realistica nei suoi modi di fare. Lui mi ha fatto un po' tenerezza nel vederlo (fino alla fine!) cercare di riconquistare la ex moglie, che però riesce ad andare avanti con la sua vita, come è giusto che sia. Se da una parte mi dispiace che alla fine non si siano rimessi insieme, dall'altra apprezzo che ci abbiano risparmiato un finale da favola.
Colonna sonora: ora non mi vengono in mente le canzoni del drama (questo perché è tutta la mattina che ho in testa la canzone principale di Autumn Concerto), ma so che ha avuto una bella colonna sonora.
Credo di aver finito.
Consigliata? Sì.
Voto: 7.
PS. @dilebe06 grazie per le gif ❤
#romance is a bonus book#kang dan i#cha eun woo#k drama#korea drama#korean drama#drama korea#asian drama#serie netflix#netflix
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The one with kissing booth
A scuola, non c'era persona che non conoscesse Ermal e Fabrizio.
Non perché fossero particolarmente popolari per qualche motivo specifico, facessero parte della squadra di calcio della scuola o cose del genere.
Semplicemente non passavano inosservati.
Fabrizio con i suoi tatuaggi e la sua aria da duro, che però si scioglieva appena sorrideva a qualcuno; Ermal con quella cascata di ricci che spesso gli coprivano gli occhi e rendevano difficile leggergli l'anima.
E poi ovviamente c'era il fatto che tra i due non scorresse buon sangue. Quello sicuramente aveva contribuito a farli conoscere da tutti.
Quella sorta di rivalità tra loro era iniziata al secondo anno, quando entrambi si erano iscritti al concorso per giovani talenti indetto dalla loro professoressa di educazione fisica, nonché addetta al corso extracurricolare di teatro.
Entrambi si erano iscritti al concorso e si erano esibiti con una canzone scritta da loro ed entrambi si erano resi conto di quanto fosse effettivamente bravo l'avversario. E di quanto avrebbero voluto stracciarlo.
Alla fine erano stati stracciati entrambi - il primo posto era toccato a un ragazzo del quinto anno - ma la rivalità tra loro non si era assopita, arrivando al punto che, pur conoscendosi piuttosto bene e avendo degli amici in comune, evitavano di salutarsi ogni volta che era possibile.
Fabrizio, da parte sua, qualche volta aveva anche provato a fare amicizia con Ermal.
Era capitato che si incontrassero davanti alla macchinetta del caffè o sul terrazzo su cui entrambi andavano a fumare tra una lezione e l'altra, ma nonostante i suoi tentativi Ermal era stato sempre freddo e scostante. E alla fine Fabrizio aveva smesso di provarci.
Così erano arrivati al loro ultimo anno in quella orribile scuola senza quasi rivolgersi la parola, se non quando strettamente necessario.
Ad esempio, Fabrizio ricordava bene una volta in cui Ermal era entrato nella sua classe durante l'intervallo dicendogli che Roberto lo stava cercando. Oppure quella volta in cui Fabrizio gli aveva chiesto in prestito l'accendino perché aveva dimenticato il suo.
Ma niente di più.
E Fabrizio non riusciva più a tollerare quella situazione.
La verità era che Ermal gli piaceva, e anche tanto! Fin da quando si erano trovati a gareggiare l'uno contro l'altro, Fabrizio si era preso una cotta colossale per lui.
O almeno, all'inizio era stata una cotta. Dopo il primo anno passato a sbavargli dietro come un cretino, era diventato ovvio che fosse qualcosa di più.
Con l'avvicinarsi degli esami, aveva provato a trovare il modo di parlare con Ermal. Aveva usato la scusa delle ripetizioni di inglese - lui era negato, mentre Ermal era piuttosto bravo e dava ripetizioni praticamente a chiunque ne avesse bisogno - ma Ermal gli aveva risposto che non aveva tempo di stare dietro a lui, soprattutto considerato che non gli dava l'impressione di essere il tipo che ha così tanta voglia di imparare.
Fabrizio aveva incassato il colpo, ma non si era dato per vinto e aveva continuato a cercare metodi nuovi per poter cercare anche solo di stringere amicizia con lui. Di certo non poteva aspirare ad altro se Ermal non iniziava a provare almeno un po' di simpatia nei suoi confronti.
E poi l'idea era arrivata in una tiepida giornata di inizio marzo, quando Fabrizio e Roberto si erano seduti su una panchina in fondo al cortile della scuola a fumare, prima dell'inizio delle lezioni.
"Ci vai alla festa?"
Fabrizio sbuffò un po' di fumo prima di dire: "Quale festa?"
"Quella dei cento giorni. I rappresentanti di istituto hanno organizzato una roba qua a scuola, tipo quelle fiere dei licei americani. Poi si mangia tutti insieme e dopo si va a ballare. Non ti è arrivato l'invito su Facebook?"
Fabrizio scrollò le spalle. "Forse. Ma io Facebook non lo guardo mai."
Roberto sorrise. Era tipico di Fabrizio non guardare i social pur avendo un account praticamente su ogni piattaforma esistente.
"Quindi? Ci vai?" chiese di nuovo.
"Non lo so. Tu ci vai?"
"Io e Andrea pensavamo di fare un giro sul tardi, finita la festa. Sai, giusto per approfittare della cena gratis. Tu però dovresti andarci."
"Ah, sì? E perché?" chiese Fabrizio curioso.
"Faranno uno di quei banchetti dei baci. Cinque euro per ogni bacio, il ricavato va a un'associazione che si occupa di donne e bambini vittime di violenza domestica" spiegò Roberto.
Fabrizio aggrottò la fronte. "Idea carina. Ma perché questo dovrebbe convincermi ad andare?"
"Perché al banchetto dei baci ci sarà anche Ermal."
Fabrizio rimase in silenzio per un attimo, assimilando la notizia. Poi scosse la testa e disse: "Non posso presentarmi lì. Ermal mi ammazza se lo faccio."
"Ermal vorrebbe ammazzarti semplicemente perché respiri. Gli stai antipatico da quando vi siete conosciuti."
"Ecco, appunto. Non peggiorerò la situazione andando lì e pagando per avere la possibilità di baciarlo, rischiando di metterlo in imbarazzo davanti a tutta la scuola."
"È solo un bacio, capirai che imbarazzo! Come se gli dispiacesse, poi."
Fabrizio si voltò di scatto verso di lui. "Che vuoi dire?"
"Ti guarda nello stesso modo in cui tu guardi lui. E poi, Fabri, ammettiamo una cosa: l'anno è quasi finito, questa è l'ultima occasione che hai per provare a cambiare le cose."
Fabrizio sospirò.
Doveva ammettere che Roberto aveva ragione. Mancavano tre mesi agli esami e dopodiché avrebbero preso strade diverse e non si sarebbero più visti probabilmente.
Ermal voleva studiare lingue, Fabrizio aveva deciso di provare a trovare la sua strada nella musica.
Finito il liceo, le loro strade si sarebbero divise per sempre.
"D'accordo, andrò a questa festa. Ma tu vieni con me! Avrò bisogno di qualcuno che mi accompagni al pronto soccorso quando Ermal mi prenderà a pugni."
Era convinto che fosse una pessima idea andare a quella festa.
Di certo non poteva arrivare davanti a Ermal con cinque euro in mano e dirgli che voleva pagare per un suo bacio.
Ermal lo avrebbe prima deriso, poi insultato, infine preso a calci. Ne era certo.
Eppure, nonostante tutto, Fabrizio era appena entrato nell'atrio della scuola.
Teneva la mano affondata in tasca, stringendo la banconota da cinque euro che aveva sfilato dal portafoglio un attimo prima, e cercava con lo sguardo il famoso banchetto dei baci di cui gli aveva parlato Roberto.
Roberto, che aveva giurato di stargli accanto ma che alla fine lo aveva lasciato solo.
Ma non era importante, se la sarebbe cavata anche senza di lui. Forse.
Il banchetto dei baci era in fondo all'atrio, proprio dove iniziava il corridoio che portava alle classi.
Dietro al banchetto, accanto a Ermal, era seduta Silvia - che tra le altre cose era anche la sua ex ragazza - e davanti a loro due file piuttosto lunghe di persone in attesa per un bacio.
Fabrizio rimase a fissare la fila davanti a Ermal. Era piena di ragazzine del primo e del secondo anno, qualcuna del terzo e un paio del quarto. Nessuna del quinto, forse perché le ragazze dell'ultimo anno erano tutte troppo amiche di Ermal per volerlo baciare.
Decisamente troppa gente.
E Fabrizio non aveva intenzione di mettersi in coda e farsi vedere da tutti mentre ammetteva pubblicamente di avere una cotta stratosferica per Ermal.
Sospirò e si voltò, pronto ad andarsene.
Non aveva alcuna intenzione di mettersi in mostra in quel modo e non voleva mettere in mostra nemmeno Ermal.
La gente avrebbe parlato di quella storia fino alla fine dell'anno e loro dovevano concentrarsi sugli esami, non potevano pensare al gossip.
Era meglio lasciare perdere.
Uscì fuori dall'edificio e si appoggiò al muro, tirando fuori una sigaretta e accendendosela.
Che idea del cazzo che aveva avuto ad andare a quella festa.
Eppure, per qualche assurdo motivo, non riusciva ad andarsene. Era come se qualcosa lo trattenesse lì.
Aspirò un'altra boccata di fumo mentre sentiva la porta aprirsi, segno che qualcuno stava uscendo.
E visto che l'universo sembrava avercela con lui da quando lo aveva fatto innamorare di Ermal, era ovvio che quel qualcuno che era appena uscito fosse proprio Ermal.
"Ciao" disse cercando di iniziare una conversazione.
Cosa assurda, visto che in tutti quegli anni non avevano mai davvero parlato.
Ermal sollevò la testa in quello che, almeno secondo lui, doveva essere un gesto di saluto e si accese una sigaretta.
"Non pensavo ti interessassero queste cose" disse Ermal qualche attimo dopo.
Fabrizio si voltò verso di lui, stupito che finalmente gli stesse rivolgendo la parola, e rispose: "Potrei dire la stessa cosa di te."
"Geloso perché la gente fa la fila per baciare me e non te?" chiese Ermal, quasi con tono di sfida. Poi, improvvisamente serio, aggiunse: "Lo faccio per beneficenza. È una causa che mi sta a cuore."
Fabrizio avrebbe voluto chiedergli come mai, anche se già sospettava quale fosse il motivo.
Sapeva che Ermal si era trasferito dall'Albania qualche anno prima, insieme a sua madre, suo fratello e sua sorella. Non aveva mai sentito parlare di suo padre e nelle ore di educazione fisica - lezione che, pur essendo in classi diverse, facevano insieme - non aveva potuto fare a meno di notare qualche cicatrice di troppo sulla sua pelle.
Aveva sempre avuto la terribile sensazione che suo padre gli avesse fatto qualcosa di orribile, e ora ne aveva la conferma.
Affondò la mano in tasca, toccando inavvertitamente la banconota da cinque euro. Era ancora convinto di non voler baciare Ermal, non così almeno, ma quei soldi erano per una buona causa.
Tirò fuori la banconota e se la rigirò tra le mani un paio di volte prima di dire: "Posso darteli comunque? Visto che è per una buona causa, cinque euro in più non fanno male."
"Sai come funziona: cinque euro per un bacio. Guarda che io e Silvia ci siamo lasciati da un sacco di tempo, non me la predo mica se la baci" disse Ermal, non capendo per quale motivo Fabrizio volesse dargli quei soldi senza avere nulla in cambio.
"Non mi interessa baciare Silvia" rispose Fabrizio porgendogli la banconota.
Ermal la afferrò titubante. Si sentiva un po' in colpa a prendere i soldi di Fabrizio in quel modo, come una semplice donazione.
Non era normale. Non per un ragazzo della sua età, almeno.
Tutti i suoi coetanei davano via i loro soldi solo in cambio di qualcosa, era strano che Fabrizio lo facesse con totale disinteresse.
Ma nonostante tutto sorrise e la infilò nella tasca del giubbotto.
Poi, forse cercando di alleggerire la situazione, disse: "Ah, ho capito perché non ti interessa Silvia. Preferiresti baciare me."
Fabrizio arrossì e abbassò lo sguardo, incapace di smentire ciò che Ermal aveva appena detto.
In fondo era la verità e a scuola ormai quasi tutti si erano accorti che Fabrizio fosse cotto di lui. Quasi tutti, ma non Ermal.
Se lo avesse anche solo sospettato, non avrebbe mai fatto quella battuta rischiando di metterlo in imbarazzo. Tra loro non c'era un buon rapporto, ma comunque Ermal non poteva nemmeno dire di volerlo vedere stare male o cose del genere.
In fondo, tra lui e Fabrizio non c'era altro che un po' di rivalità che si era protratta per troppo tempo.
Fabrizio gettò il mozzicone a terra, senza nemmeno preoccuparsi di trovare un cestino in cui buttarlo, e mormorò un flebile: "Ci si vede in giro."
Poi rientrò nell'edificio, mentre Ermal era rimasto totalmente pietrificato da ciò che era appena successo.
"Tutto ok? Sembri turbato."
Ermal sospirò sedendosi di nuovo accanto a Silvia e annuì. "Sì, tutto ok."
La fila si era notevolmente accorciata - anzi, la sua si era esaurita del tutto, fortunatamente - e in pochi minuti anche gli ultimi rimasti nella fila di Silvia se ne sarebbero andati.
Infilò i soldi che gli aveva dato Fabrizio nella cassetta delle offerte e Silvia, appena dopo aver salutato il ragazzo che aveva appena baciato, disse: "Quelli da dove arrivano?"
"Me li ha dati Fabrizio."
Silvia aggrottò la fronte confusa. "E perché?"
"Voleva fare un'offerta, ma non gli andava di mettersi in fila."
"Cercherò di non prenderla come un'offesa" rispose Silvia, prima di rivolgere le sue attenzioni all'ultimo ragazzo della sua fila.
Ermal attese che il ragazzo se ne andasse e poi disse: "Tu non c'entri."
"Ah, no?"
"No. Lui avrebbe voluto fare la fila per me."
Silvia si bloccò per un attimo, stupita dall'affermazione di Ermal, ma poi disse: "Non me lo aspettavo, ma effettivamente ora ha tutto più senso."
"Tutto cosa?"
"La tensione che c'è tra voi. E non dirmi che è solo perché vi state sulle palle, perché non è così. Più che altro penso che vorreste starvi sulle palle in un altro senso" disse Silvia sorridendo.
In fondo non era un segreto che a Ermal piacessero anche i ragazzi e non era un segreto che Fabrizio fosse esattamente il tipo di Ermal, motivo per cui Silvia non aveva mai capito per quale motivo non andassero d'accordo.
Quando lei ed Ermal si erano lasciati l'anno precedente, lei era addirittura stata convinta che la causa fosse proprio che Ermal si era finalmente reso conto che il ragazzo che tanto odiava in realtà sarebbe stato perfetto per lui. E invece non era stato così, non consapevolmente almeno.
Silvia in realtà era convinta che Ermal avesse una cotta per lui ma che semplicemente non volesse ammetterlo nemmeno a sé stesso.
"Silvia, ma che dici?" disse Ermal abbassando lo sguardo.
"Vuoi farmi credere che non ti piace? Nemmeno un pochino? Questa assurda faida tra voi è acqua passata. Non capisco per quale motivo te la porti ancora dietro."
Ermal sospirò. Già, per quale motivo se la portava ancora dietro?
Forse perché era più semplice fingere che Fabrizio gli stesse antipatico, piuttosto che ammettere che gli piacesse.
"Va beh, lasciamo perdere. Tanto probabilmente non ammetterai mai che ti piace. È quasi ora di cena e la fila è finita da un pezzo, direi che possiamo andare" disse Silvia alzandosi dalla sua sedia e recuperando la sua borsa.
Ermal annuì e disse: "Inizia pure ad andare, io conto i soldi e ti raggiungo."
La ragazza annuì e si diresse velocemente verso la palestra, dove era stato allestito il buffet per la cena.
Ermal la osservò per un attimo percorrere il corridoio.
Ogni tanto gli mancava stare con lei. Non perché provasse ancora qualcosa, ma perché era bello stare con qualcuno che sapeva capirlo e che teneva a lui.
Aveva ancora lo sguardo rivolto verso il corridoio quanto sentì Fabrizio schiarirsi la voce e chiamarlo.
Si voltò trovandoselo davanti, dove fino a poco prima c'era la fila di ragazze che aveva pagato per avere un suo bacio.
"Possiamo parlare di quello che è successo prima?" chiese Fabrizio, visibilmente in imbarazzo.
Ermal scosse la testa. "Non è necessario, Bizio."
Era la prima volta che lo chiamava in quel modo e non aveva idea di come gli fosse venuto in mente, ma non gli dispiaceva. E non dispiaceva nemmeno a Fabrizio.
"Sei sicuro? Non voglio che ci siano problemi tra noi. Mi pare che in questi anni ce ne siano già stati abbastanza."
"E nonostante tutto, tu hai voglia di baciarmi" disse Ermal cercando di sdrammatizzare, ma rendendo tutto ancora più imbarazzante.
Fabrizio si massaggiò la nuca a disagio, senza sapere bene come rispondere. "Sì, beh, al cuore non si comanda purtroppo."
"Già, hai ragione" rispose Ermal.
Nemmeno lui era riuscito a contrastare il suo cuore, anche se aveva negato i suoi sentimenti anche a sé stesso.
"Quindi è tutto a posto?" chiese Fabrizio.
"Sì. Cioè, in realtà non proprio" si affrettò a dire Ermal.
Fabrizio lo guardò confuso.
"Stavo pensando al fatto che hai speso dei soldi senza avere niente in cambio. Non è giusto."
"Ermal, no. Non voglio che tu lo faccia perché ti faccio pena."
"Non mi fai pena" disse Ermal alzandosi e facendo il giro del banchetto, trovandosi finalmente di fronte a Fabrizio senza più nulla a dividerli.
"E allora perché lo fai?"
"Perché mi va" rispose Ermal, prima di prendergli il viso tra le mani e premere le labbra sulle sue.
Fabrizio chiuse gli occhi godendosi per un attimo la sensazione delle labbra di Ermal premute sulle sue. Poi, appena Ermal fece per staccarsi da lui, lo attirò nuovamente a sé coinvolgendolo in un altro bacio, più profondo del precedente.
Ermal gemette nella sua bocca sentendo la lingua di Fabrizio farsi spazio tra le sue labbra.
Non poteva fare a meno di pensare che tutti quegli anni passati a disprezzarsi a vicenda sarebbero stati molto più divertenti se si fossero decisi a baciarsi subito.
"Dovremmo andare a cena" disse Fabrizio scostandosi da lui, con le labbra gonfie e le gote arrossate.
Ermal annuì. "Dovremmo, ma ora ho di meglio da fare."
E Fabrizio non protestò ulteriormente. Sarebbe stato un idiota a lamentarsi quando finalmente il ragazzo di cui era innamorato lo stava baciando.
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"Lettera a Carmen"
Carmen,
ti ho vista ieri pomeriggio. Eri seduta fuori, al tavolo di una caffetteria. Prendevi qualcosa, parlavi al telefonino, guardavi da un’altra parte.
Io ero all’angolo, avevo un cappello, gli occhiali da sole.
Non te la prendere, ma quando ti sei alzata, ho cominciato a seguirti.
Nella grande area pedonale, tu camminavi, la tua borsetta a tracolla che ti rimbalzava sul fianco, la gonna scura a fiori sopra il polpaccio, la giacca jeans e i lunghi capelli. Sotto tutto questo, le tue scarpette da tennis bianche. Eri proprio tu.
Nella grande area pedonale, tu camminavi, ed io, 10, 20, 30, 20 passi dietro di te, con il mio cappello, i miei occhiali da sole ed il mare di persone intorno.
Non te la prendere ma quando ti ho visto fermarti presso una mendicante, darle dei soldi in mano, dirle 2 parole e farle una carezza, ho pensato che non sei cambiata più di tanto. Sei sempre la solita sentimentale.
Quando ti sei fermata, io mi sono girato da un’altra parte, e ho fatto finta di non guardare. Ho fatto finta di prendere il telefonino. In quel momento, avrei voluto avere per lo meno un giornale tra le mani. Così facevo finta di leggerlo.
Con la mendicante, hai dato sfogo ai tuoi buoni sentimenti, ed hai ripreso a camminare. Ed io, 30, 20, 10 passi dietro di te.
Sai, non è molto che mi sono trasferito in questa grande città, ancora non mi sono abituato a tutti questi spazi, a tutto questo verde, a tutta questa gente. Il mio lavoro è di quelli che ti portano un po’ qui, un po’ lì. Ieri per un mese, oggi per un anno, domani chissà.
Camminando, tu, ti sei fermata di fronte a molte vetrine di vestiti. In particolare, una volta, davanti ad un abito nero da sera, e ho pensato, chissà che impegni ha stasera, forse una cena romantica?
Un’altra volta, di fronte a degli intimi, ed ho pensato, MOLTO romantica?
Ad un negozio sei entrata, e ti ho seguito. Dentro, non è un normale negozio d’abbigliamento. Vendono costumi. Ci sono maschere appese ai muri. Grandi affreschi di arlecchini e personaggi disneyani. Commessi vestiti da Shrek. Bambini dappertutto che le madri non riescono a tenere a guinzaglio. Tu sei andata decisa verso un reparto, e quando ho avuto l’impressione che ti stessi girando verso di me, che mi potessi scoprire, ho fatto finta di interessarmi alla prima cosa che mi è capitata sotto mano. Non mi fraintendere. Erano i vestiti della Barbie donna in carriera e Ken carpentiere macho. Facendo finta di scorrere i costumi tra le mie mani, in realtà osservavo te, con la coda dell’occhio, ti vedevo prendere un vestito e una maschera da pagliaccio.
Ho pensato alla cena romantica, a quella MOLTO romantica, ho immaginato te vestita da pagliaccio e mi è venuto da ridere solo come un cretino.
Non so perché, ma mi sono sentito sollevato.
Medico pediatra, era questo che dicevi sempre di voler diventare. Curare e far sorridere i bambini. Era questo che dicevi ti avrebbe fatto stare bene. Complimenti. Ho saputo.
Tu, con quel costume da pagliaccio, sei entrata in camerino, e a me è venuta un’idea.
Hai presente, quando eri nel camerino, quando un commesso da fuori imitando una voce da orco Shrek ti ha chiesto se avevi bisogno di qualcosa, e tu hai risposto sì, e “di una taglia più grande di questo costume” hai risposto, e hai aperto la porta, ma solo uno spiraglio, da cui sei uscita piegata solo con la testa ed un braccio teso con in mano il costume, hai presente quando lo hai consegnato al commesso con la maschera di Shrek, e gli hai detto grazie sorridendogli con un’espressione che voleva dire, -grazie, da qui così non posso proprio uscire!-, hai presente quel buffo faccione verde di fronte a te?
Be’, sorpresa. Quello Shrek ero io.
La maschera in quel momento, ha coperto il mio volto ma non la mia emozione.
Tra il costume più piccolo che mi hai dato, e la taglia più grande che ti ho riportato indietro, hanno attraversato la mia testa 3000 pensieri. Come proiettili sparati da una mitragliatrice. Frammenti di film mischiati a caso e riprodotti alla decima velocità. Il senso di un tempo passato/sprecato troppo in fretta. Fino a che non mi sono reso conto dei bambini che si arrampicavano su di me per tirarmi le mie grosse orecchie verdi, e mi sono detto, che cavolo sto facendo, e ho rimesso a posto il faccione di Shrek fra la delusione dei bambini per poi indossare l’altra maschera. La mia. Il mio cappello e i miei occhiali da sole.
Non te la prendere, ma nel camerino, quando sei uscita per la seconda volta e hai preso dalle mie mani il costume più grande, lo devo ammettere, ho provato a dare un sbirciata.
Sai, in quel negozio, fra le altre cose, tra le mille immagini che hanno attraversato la mia testa, dentro di me ho realizzato con precisione qual è stata l’ultima volta che sono stato me stesso con te.
È stato tanti anni fa. Eri di partenza, avevi il tuo treno, il giorno dopo dovevi affrontare i test d’ingresso alla facoltà di medicina. Inseguivi i tuoi sogni, inseguivi la tua vita, mentre la mia, di vita, mi aveva già intrappolato con un bel lavoro sicuro nell’impresa edile di mio padre. Tu, prima di partire, mi dicesti:
“Sei proprio sicuro di non voler partire con me?”
In seguito, ci saremmo rivisti, ma eravamo ormai altre persone. 2 destini separati. Ma che ora forse stavano per riunirsi. Questo ho pensato in quel negozio, in mezzo ai bambini e alle maschere, in mezzo agli arlecchini e ai pulcinella appesi ai muri come marionette, fra i palloncini e le stelle filanti dei commessi Shrek, mentre tu pagavi e prendevi la via dell’uscita.
Di nuovo fuori, all’aria, alla luce, alla gente, al movimento, tu camminavi con le tue scarpette da tennis bianche, la tua gonna scura a fiori, i tuoi capelli lunghi, e questo grosso pacco con il vestito da pagliaccio appena comprato. Ed io 30, 20, 30 passi dietro di te. 20 passi.
10.
5.
Solo 5 passi. Ho tolto gli occhiali. Solo 3 passi. Stavo per farlo.
C’era solo un passo tra me e il tuo costume da pagliaccio. Stavo per raggiungerti e chiamarti:
“Carmen!”
Ero talmente vicino che se avessi teso il braccio avrei potuto sfiorare quei capelli. Mi muovevo sulla tua scia. Ero talmente vicino che pure in mezzo alle voci e ai rumori della città ho potuto sentire il tuo telefonino squillare. La suoneria con la sigla dei Simpson. Eri proprio tu.
Allo squillo, io mi sono bloccato, tu hai preso il telefonino, hai risposto, hai continuato a camminare, lasciandomi indietro, come un treno che sgancia l’ultimo vagone, mi sono fermato, tu hai proseguito, ti ho vista allontanare. Proprio quando mi ero deciso, ho perso l’occasione.
Nella grande area pedonale, tu hai chiuso la telefonata, hai accelerato il passo, e vetrina dopo vetrina, portone dopo portone, isolato dopo isolato, sei tornata nello stesso bar da cui siamo partiti.
Ora ad un tavolo in piedi in completo marrone, con la cravatta, che sembra ti stia aspettando, a 20 passi da te, ben pettinato, che ti sta salutando, c’è quest’uomo, questo ragazzo, alto, bello, a 10 passi da te, che sì, lo devo ammettere, saluta proprio te, con una 24 ore in pelle poggiata su una sedia, saluta e ti sorride, mentre tu ti avvicini a lui, con il tuo pacco con dentro il costume, passando in mezzo ai tavoli, con la tua borsa sul fianco, la tua gonna che sfiora le sedie, tu nelle tue scarpette da tennis, fai l’ultimo passo. Lo abbracci felice. Lo baci.
Carmen, eri proprio tu, in quel momento, che baciavi un altro.
Io, io in quel momento ho sentito chiamarmi per nome.
È stato esattamente come quando dormi e qualcuno ti sveglia senza toccarti, solo chiamandoti.
Una voce che proviene da fuori campo, da un’altra dimensione, una lenza che a forza ti tira fuori dal mare in cui eri dolcemente sprofondato.
Lei mi chiama per nome, mi riporta alla realtà, mi dice, “ma dove sei stato?”, mi strilla, “è un’ORA che ti sto aspettando.”
Carmen, in quel momento, ho avuto questa sensazione, come se lì, in mezzo ai tavoli, come se si fosse istantaneamente creata una barriera di vetro tra te e me. Mi sono sentito isolato da te. Dietro quel vetro, sullo sfondo, tu con il tuo compagno mentre entusiasta gli mostri il costume che hai comprato. Vicino a me invece c’è Carla, la mia ragazza, che mi rimprovera per l’ora che è stata qui ad aspettarmi.
Carla.
Perdonami.
A lei, a Carla, ho detto che ho avuto un problema al lavoro. Un ritardo sulla forniture di laterizi.
E lei mi ha detto, “va bene, sei perdonato,” ha aggiunto, “lo sai che ti amo”, ha ripetuto, “ti amo”, con un’espressione del viso che voleva dire, -dimmelo anche tu se no ti tengo il muso tutto il giorno-, ed io, da sotto il mio cappello ed i miei occhiali, da dentro la mia maschera, le ho detto “ti amo” anch’io.
Ora potete appendermi a un muro insieme agli altri.
Ti amo, Carla. La menzogna più grande che mi sia mai uscita dalla bocca. Da quel momento in poi, la cosa più lontana dalla realtà.
La verità, come avrei potuto dirla? La verità, semplicemente, è che mi ero completamente dimenticato di lei. Carmen, la verità è che tu mi hai fatto completamente dimenticare della persona che credevo di amare. Seduta al tavolo di quella caffetteria, ieri ho visto te ed ho completamente dimenticato di essere lì per un altro appuntamento.
Mi hai preso e mi hai portato su un altro binario.
Mi hai dato un assaggio di come sarebbe stata la mia vita se avessi compiuto altre scelte.
Mi hai fatto capire che ogni volta che compiamo una scelta sbagliata, ci costringiamo sempre più dentro una maschera, che ci allontana dalle cose, ci separa da ciò che è veramente importante.
Carla, non te la prendere, ma questo è il mio modo brutale di dirti che non sono la persona giusta per te. Che non sei tu la persona giusta per me.
Sorpresa. Giù la maschera. Carla. Questa lettera è per te.
p.s.: così impari a spiare sempre tra le mie cose
p.p.s.: non odiarmi!
...
***************************************************-Achille Casciaro
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Non so’ che cazzo sto facendo
Non lo sò da una vita.
Post sfogo, condivisione, narrazione.
Dopo l’università cercavo lavoro come SMM. No, non lo cercavo per imprese, ma per istituzioni. E infatti sono rimasto incantato in un processo di selezione durato dall’inizio alla fine 9 mesi. Vi fosse venuto il dubbio, se volete fare semplicemente SMM andate a chiedere alle aziende direttamente di persona.
Mi ero buttato per imparare il lavoro. Non avevo i soldi per pagarmi un corso e avrei imparato giorno per giorno. E fu quello che successe. Ma non mi verticalizzai, anzi divenni orizzontale come una piattaforma. Nel casino che era quella PMI imparai cosa significa avere un progetto start up, per davvero. Imparai a programmare i lavori, a calcolare gli imprevisti, a capire cosa fossero i prospect, il target. Come fare una bozza di piano marketing, come migliorare il rapporto prodotto, produzione interna e vendita esterna.
Ve l’ho detto che era un casino? Come il bambino che ha un famiglia disastrata, e ne ogni una decente, io leggevo e imparavo le metriche che erano usate nelle grandi aziende e sognavo che quel buonsenso e che almeno parte di quell metriche venissero prese in azienda.
Mi feci tutti i webinar gratuiti e lessi tutti gli articoli che riuscì a trovare, e quando potevo scrivevo articoli sui Big Data. E la situazione non migliorò: allo stato attuale dell’arte solo alcuni ex programmatori riescono a fare vera data science in Italia e sulla loro scrivania arrivano pratiche che vanno dalla contabilità al marketing. Un giorno le cose si specializzeranno, ma quel giorno non è ancora venuto.
E il marketing mi riprese, e male. Mi riprese perché era ciò che gli altri si aspettavano io facessi. Tutti mi dicevano che ero bravo, ma non concludevo niente. Quando tornai a casa, malato e senza un soldo, spesi i 600 che avevo per fare l’invalidità civile per poi scoprire che in Italia se sei disabile spesso ti discriminano in azienda perché non vogliono uno che bisogno di visite dal medico oppure che sta male troppo spesso. Oltre al danno la beffa.
Chiunque mi conoscesse diceva che dovevo intraprendere la carriera la libero professionista. Ci provai ma non ne avevo affatto le competenze. Il mio primo anno da libero professionista si concluse con 1000 euro, e ne usai 300 per andare a trovare la mia ex a Lecce. Ero stato preso in una Università a Londra ma non avevo soldi per andare.
Così cercai un tirocinio con Aiesec. Dopo varie vicissitudini feci 30 colloqui in un mese, il 30 esimo giorno fui preso in 4 diversi posti, il primo a Brasov Romania e partì. All’inizio ho tradotto il sito, mi hanno dato una mail confirma e poi vai con Dio.
Fu in quel momento che incontrai SMH. Usando le conoscenze dei miei capi, un pò di buon senso e come avete letto, Upwork sono riuscito a far crescere il mio reparto.
Scrivo questo pezzo non come giustificazione ma come ringraziamento ai tanti membri dei gruppo che mi hanno aiutato, ringraziamento che un giorno ricompenserò anche se non vi aspettate sia domani.
Ho passato l’Ielts con 7 grazie ai libri che una signora su Meetale ( piattaforma sulla quale pubblicavo i miei raconti) 3 anni dopo il regalo. L’ho ringraziata come potevo dopo quel tempo. Non sono un tipo da risultati immediati.
Non sapevo niente di posizionamento e tutt’ora come vedete dal casino dei post che pubblico, anzi devo ringraziare un membri del gruppo che mi ha consigliato un paio di libri da leggere al riguardo. Li ho capiti ma non so come applicarli. In me manca assolutamente il senso di organicità. Chiedimi di postare per un altro e lo farò, chiedilo a me, e sono talmente pieno di contraddizioni e dubbi che mi incasinerò la vita. Anche gli altri hanno dubbi suppongo, ma se devo postare o scrivere post per loro per fortuna non li conosco.
10 mesi dopo essere entrato il mio lavoro si basa sul capire i dati che una piattaforma fornisce e li utilizzo per genere clienti. A quello mi serve la data analysis che ovviamente conosco per passione personale a livelli più approfonditi. Genero clienti e aiuto nella gestione delle campagne perché loro ovviamente non parlano italiano
Ma ancora una volta mi trovo in una situazione start up, instabile dove un giorno sei su e l’altro sei giù, dove i clienti anche se non dovrebbero, vengono e vanno per colpa di tizio o di caio.
In un giorno di quelli down ricevo una chiamata: un posto per un invalido civile a Milano. Se in questi mesi qualcosa mi ha tenuto in piedi è stato l’amore per una ragazza, che si trova a Trento.
Un contratto stabile: la fine dell’instabilità, una struttura corporate nella quale ammirare tutti i processi, la fine di una relazione a distanza o per lo meno, meno distante che Brasov - Trento.
Dopo aver bruciato molti risparmi, due notti in bianco ed aver massacrato la mia schiena, mi è arrivata la risposta: rifiutato.
Mi ero fatto fregare, ma peggio ancora, avevo voltato la faccia a chi mi aveva dato del valore. Perchè senza prendersi in giro, io non sarei migliore di quello che ero 10 mesi fa senza di voi. E un lavoro da dipendente è un bel modo per prendere tutto quello che mi avete dato e buttarlo nello scarico.
La verità è che ho paura, la verità è che nascondersi dietro la disabilità è facile, che pensare che la soluzione a tutti i problemi arrivi un giorno al telefono è facile, che ignorare il valore che ti è stato dato perché significa duro lavoro è facile . Che poter dividere l responsabilità in azienda invece di prendersele in prima persona è facile. Prendere la soluzione a tutti i problemi che ti porti via da dove vuoi subito è un sogno bellissimo
24h dopo il rifiuto ho billato 650 euro di preventivi da freelancer. Mi sono dato qualche mese per riprendere i soldi e aprire un mio account Upwork e cercare di entrare in Sherpa prima che il prezzo aumenti.
Continuerò a pubblicare i miei contenuti, in primis perché so che alcuni sono utili e in secondo luogo perché è facile pubblicare contenuti di merda, è molto più difficile migliorarli.
L’ordine in cui andrebbero letti è: i primi 4 episodi della data analysis ai quali mi prendo l’impegno di aggiungere del materiale, gli episodi della seconda stagione che sono stati preparati da tempo e che usciranno a breve e infine gli ultimi video sul business development ( nei quali mi esprimo come un koala ubriaco ma sono convinto che almeno ad un paio di cose molti di voi non avevano pensato).
“Devi far schifo per poter brillare”
Condivido questa storia per 3 ragioni:
1) Non esistono davvero scorciatoie
Per quanto incasinati possiate essere ricordatevi che il vostro domani è dato dal vostro oggi. Se fate scelte di merda la colpa non è del casino che avete attorno, ma vostra.
Oggi guadagno quasi il triplo di quando ho iniziato, sono passati circa 3 anni. Se pensi di mollare sappi che se ce l’ho fatta io a migliorare un pochettino può farcela anche un babbuino ubriaco, quindi per estensione anche tu hai più possibilità di quanto credi
Apprezzate quello che avete nel gruppo perché eviterete perdite di tempo, e non virente conto di quanto sia prezioso finché non ci arrivate.
Non sapevo fare il lavoro. Avevo un coinquilino con una piccola agenzia di comunicazione, ancora piccola con 8 clienti dopo 10 anni, e imparavo da lui, da Marco Montemagno, e da vecchi blogger statunitensi che parlavano si SEO e storytelling. E si imparava cazzo. Ho capito come usare photoshop, come postare, come usare Animaker in azienda. Il mio capo aveva speso 70k in un nuovo impianto di stampa, ma gli serviva un operaio, così mi ha detto “Lo vuoi qualche soldo extra?”. All’epoca ero ancora innamorato della mia ex, ci sentivamo. Il padre le aveva rubato is soldi per andare all’università. Volevo raggiungerla, in Puglia. E avrei fatto di tutto. Ovviamente dissi di si.
Imparai cosa significa avere un progetto start up, per davvero. Imparai a celendarizzare, programmare, a calcolare gli imprevisti, a capire cosa fossero i prospect. Come fare una bozza di piano marketing, cosa fosse un target, come migliorare il rapporto prodotto, produzione interna e vendita esterna.
Imparai inaspettatamente anche a stampare. Quell’esperienza mi sputò fuori con 4 nozioni in più sui parametri, i dati aziendali, nozioni confuse di management e marketing.
Mi sputò fuori perché mi feci sputare fuori. Passavo la maggior parte del tempo in azienda. Lavorare alle immagini, oppure sui social cercando di generare clienti commentando e condividendo post. Il lavoro era la mia comfort zone. Se iniziate con un lavoro che non vi dia degli standard e non vi faccia crescere, andatevene. Io ho sbagliato a restare fino alla fine.
Me ne andai con la schiena a pezzi, per una serie di motivi rimasi malato per un mesto. Nell’anno che seguì provai a fare impresa
Quando sono venuto in Romania non sapevo cosa stavo facendo. Avevo solo due esigenze: crescere come professionista e stare lontano da casa. Fine. Se mi passavano pane ed acqua ero apposto. Sono stato scelto perché avevo una vaga idea di come fossero strutturate le agenzie in Italia, quel poco che sapevo a quanto pare valeva di più degli altri candidati studiati in marketing.
All’inizio ho tradotto il sito, mi hanno dato una mail confirma e poi vai con Dio
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Clochard — Fabiano Pini
Mi siedo nella sala attesa della stazione ferroviaria di Pisa, aspettando il Freccia Bianca delle nove e zero sette per Roma. Ho alcuni minuti a disposizione, guardando l’orologio che segna le otto e quaranta. Decido di messaggiare a mia moglie la sorpresa di aver trovato le strisce blu a pagamento, dove di solito erano bianche: “Adesso dobbiamo pagare anche qui!”. Nelle panchine davanti a me, due donne intente sui loro cellulari in evidente attesa pure loro. Dietro, verso il bar, altre persone. Nella panchina di fondo, adiacente alla parete che ci separa dall’ufficio informazioni, ho notato precedentemente una clochard con il suo carico di masserizie appoggiate su due sedute accanto a lei. Mentre armeggio con il cellulare mi arriva una chiamata; ancora la consorte. Nel mentre converso a bassa voce per non disturbare, noto che la bionda senza tetto si alza, avviandosi verso l’uscita e bofonchiando qualcosa, credo all’indirizzo di una delle due donne, o a tutte e due, sedute di fronte a lei ma onestamente non ci faccio caso, non buttando neanche uno sguardo incuriosito.
Terminata la telefonata, riprendo a sbirciare su una delle maggiori reti sociali l’andamento della mia pagina, di come seguono i miei post, leggo i commenti e osservo il numero crescente dei seguaci, pensando di dover realizzare un nuovo video di ringraziamento per la fiducia dimostratami. Ormai è diventata una piacevole abitudine quando, ogni mille “mi piace” alla pagina, se ne aggiungono altri facendola crescere. Avendo superato la soglia dei seimila seguaci, ritengo opportuno dimostrare loro un segno di ringraziamento per la loro fiducia.
Non mi accorgo che nel frattempo è rientrata, onestamente non ho neanche notato se fosse veramente uscita dalla porta o se ne fosse rimasta in qualche posto della grande sala d’aspetto, quando a un certo punto del suo camminare, si ferma davanti a me, iniziando a parlarmi sottovoce con un tono simile a chi parla in modo disagiato per la mancanza della dentatura; ma lei, noto stavolta, anche se non tutti i denti ce li ha. Non capisco le sue parole e non comprendo quello che mi chiede. Restando con le gambe accavallate e le mani che tengono il cellulare appoggiato sul ginocchio, mi abbasso gli occhiali fin sulla punta del naso guardando la donna con fare indagatore misto a “questa mi vuole spillare quattrini!”
Si siede davanti a me, continuando con le sue parole ancora incomprensibili anche se qualcosa comincio a percepire.
“Non importa che tu mi guardi così, non ti mangio mica!”, con un filo di voce gentile che lascia trasparire una timidezza strana, quasi avesse timore di provocarmi fastidio ma in realtà, non me ne ha dato nessuno; anzi.
Poi, partendo un po’ da lontano, inizia a descrivere la sua misera condizione per giungere ovviamente dove voleva arrivare: “Almeno un caffè!”, chiedendomi, aggiungendo che le tonerebbe scomodo tornarsene a casa per fare colazione, “già che sono qui, la farei al bar!”
Probabilmente una casa la possiede veramente, una di quelle costruite in mattoni intendo, non con le scatole di cartone, visto che ha rincarato la dose tirando in ballo, non so come né perché, suo padre e sua madre.
Non ha la solita faccia inespressiva o aggressiva che alcuni suoi “colleghi” ostentano quando avanzano richieste di elemosina, né ha insistito oltre il lecito e per tutta onestà, mi ha rivolto una sola richiesta peraltro con la dovuta educazione che non ti aspetti da quel tipo di persona, lasciandomi veramente sorpreso. Ovviamente non ha un aspetto da donna di alto rango né i suoi vestiti sono sagomati da atelier di alta moda ma quel suo modo di fare garbato, fa passare in secondo piano anche la vista di quel piumino dal color celeste sbiadito dal tempo e logoro dall’uso.
Continua a parlare con quel linguaggio altalenante e poco chiaro ma più che lo ascolto, più percepisco quei suoni come un qualcosa di intuibile, come se il prestare orecchio ripetuto e continuo, accendesse un fantomatico traduttore simultaneo rendendo comprensibilissime quelle parole.
Non so come abbia fatto ma è riuscita a farmi compiere quel gesto che non ho mai fatto con così tanta indulgenza ma che anzi, ho sempre evitato per una sorta di principi che lì per lì non mi sono venuti in mente.
Apro il portafogli e vedo che nel porta monete mi sono rimasti solamente otto centesimi, pochi per un caffè; gli altri nove euro di metallo li avevo “generosamente” consegnati in quell’infernali macchinette succhia soldi della Pisamo, l’emerita banda gestore dei parcheggi. Dovendo scegliere tra una banconota da cinque euro e una da cinquanta e pensando che chiedergli il resto pareva brutto, sfilo il taglio più piccolo e lo consegno alla donna che ancora non capisco perché abbia scelto proprio me tra le persone presenti, per attaccare bottone.
Tra una parola e l’altra, apprendo la domanda ��Tu di cosa ti occupi?”, con fare quasi da conoscente che non vedevi da qualche anno e in un caso fortuito di incontro, cominci a sciorinare la tua vita cercando di colmare buchi di non convivenza.
“Mi diletto a scrivere libri”, rispondendo secco senza tentennamenti, ostentando una certa durezza che mi fa tornare al pensiero iniziale di non voler parlare con lei perché mi voglio occupare delle mie cose. Invece proseguo, meravigliandomi del mio gesto, fregandomene della gente intorno che, penso, avranno avuto da dire qualcosa tipo, “Ma guarda quello come si fa abbindolare da una barbona. Meno male è andata da lui perché se veniva da me…!”, come se avessi commesso chissà quale tipo di delitto o avesse chiesto un passaggio per tornarsene a casa.
È vero, siamo pieni di pregiudizi, lo siamo da sempre almeno da quando ci riteniamo in grado di criticare gli altri, mentre giustifichiamo il nostro operato: noi facciamo sempre bene, sono gli altri a sbagliare.
“Se l’è cercata quella vita, perché mi viene a chiedere soldi che mi guadagno onestamente? Che se ne vada a lavorare invece di importunare la gente!”. Mi pare di sentirli quelli dietro di me e pure le due donne davanti che nel mentre spippolano su Candy Saga e Facebook, girano un attimo gli occhi per osservare le gesta della donna che ho di fronte a me: figuriamoci se non mi hanno ingiuriato!
Non capisco ancora perché ma “sento” che devo continuare ad ascoltarla e mentre do una veloce occhiata all’orologio, decido di proseguire fino al tempo concessomi da quei sette minuti che mi dividono tra la sala d’aspetto e la partenza del treno.
Poi mi estraneo dalla conversazione, ricevo i suoni ma non li distinguo più, come se il traduttore si fosse inceppato ammutolendosi pure lui, lasciandomi da solo con la clochard, “Oddio e adesso?”. Mi accorgo invece, di osservare meticolosamente la sua figura in una sorta di scanner utile a memorizzare più cose possibili di lei, “Ma per cosa poi?” mi chiedo, non comprendendo l’utilità del mio gesto, il movente di tutto ciò cominciando a preoccuparmi: “Sto forse invecchiando e intenerendomi come non ho mai fatto nella mia vita?”. La luce blu elettrico e il netto rumore del mio personale scanner, continua nel suo lavoro visionando i grigi e lunghi capelli, mescolati a quel lontano ricordo di biondo platinato che un tempo, immagino, lucenti e perfettamente in ordine e profumati. Quella sciarpa di stoffa indefinita e di un grigio rovinato, trattengono dietro il collo la parte di capelli che insistono nel voler ancora crescere in ordine sparso, nonostante l’alimentazione ricevuta negli ultimi chissà quanti anni, non sia perfettamente in linea con la dieta mediterranea. Le labbra carnose e già crepate probabilmente dalle prime notti fredde di un inverno ancora in ritardo, si muovono in una danza quasi soave e beneaugurante, come se avessero trovato il compagno di ballo con il quale sfogarsi, destandosi da un torpore verbale che dura da diverso tempo, nel tentativo di sgranchire la mente e la voce, uscendo da quel logorroico tran tran quotidiano privo di socialità, privo di amore, di parole diverse da una litania giornaliera che immagino, la attanaglia nelle interminabili giornate senza niente da fare, girovagando di giorno in cerca di cibo, di compagnia o di chissà cos’altro, mentre di notte in cerca di un riparo dal freddo e dalla pioggia ma comunque da sola.
Forse è così, forse no, forse anch’io sono stereotipato dagli innumerevoli film e visione univoca dove gli homeless sono disegnati così, dove la massa classifica queste persone come non persone o esseri umani dannatamente persi e da lasciare dove stanno, ai margini della vita ma soprattutto, lontani dalle vite delle “persone per bene”, che hanno una dignità decorosa da rispettare, da non compromettere con “quella gentaglia” neanche offrendogli un caffè gettandogli per terra quei pochi spiccioli, peraltro fastidiosi, che si ritrovano nelle tasche.
Poi per un attimo soffermo lo sguardo sulle dita delle mani, su quelle unghie vagamente colorate, alcune si altre no. “Ma dove lo trova lo smalto? Lo compra, lo ruba, lo trova nei cassonetti?”. Il tempo da dedicare alla manicure di certo non le manca ma lo smalto? Mi incuriosisce ancora di più e le osservo meglio mentre lei, concentrata sulle sue parole, continua a dire quello che vuole, il traduttore è ancora spento.
Non faccio in tempo a guardare che tipo di pantaloni indossa, pare una tuta, ma noto al volo le scarpe, una certa vaga somiglianza a un classico paio da tennis.
“Scrivi libri? Che bello! Eeh, io ho una storia da scrivere lunga una vita! E prima o poi la scrivo!” Toh, è ripartito il traduttore! “Brava, scrivilo, inizia e non fermarti fintanto che non arrivi alla fine”, di certo il tempo non le manca e probabilmente neanche gli spunti.
Chissà cosa avrà da dire, quale sarebbe la sua prima frase, come scriverebbe l’incipit e soprattutto, che razza di finale metterebbe. Probabilmente non riuscirebbe più neanche a sorreggere tra le dita una penna e forse, davanti a dei fogli bianchi, si chiuderebbe in un mutismo inespressivo rispecchiandosi in quelle pagine vuote come la sua vita, da quando è partita la sua avventura da errabonda. Niente mi toglie dalla testa che quella vita è diventata una non vita per scelta, in conseguenza di un evento o una serie di eventi bellicosi, cattivi, bastardi, talmente violenti da spingere un uomo o una donna ai margini dell’oblio, a evitare per un soffio il suicidio anche se a mio avviso, quella scelta è una sorta di suicidio controllato e continuo, un uccidersi giorno dopo giorno per il resto della propria esistenza, per quanto possa durare.
Chissà quale potrebbe mai essere la copertina di quel libro che racchiude, per adesso, un mucchio di ipotetici fogli bianchi già numerati come gli anni fin qui trascorsi, dove in prima pagina spicca il titolo, “L’inizio” e nell’ultima si intravede la scritta “Fine”. La fine di un inizio che non c’è mai stato o è stato cancellato appena scritto, come quando uno scrittore in piena crisi, non trova neanche una parola per scrivere l’inizio.
Chissà quale quarta di copertina potrebbe mai avere quel libro ben stampato, per adesso, nella mente di una donna con una maledetta voglia di chiacchierare con qualcuno, di sentirsi ascoltata per quello che ha da dire e di non essere osservata come un fenomeno da baraccone o una belva da circo rinchiusa nella sua gabbia quando non esegue il suo numero, suscitando compassione e tenerezza per quello stato di vita che pare in completo abbandono ma che non invoglia nessuno a presentarsi innanzi a lei porgendogli un saluto, guardandola con occhi umani di chi ha negli occhi il desiderio di aiuto.
“E sai come lo inizierei?”, con il sorriso stampato in volto e come intuisse i miei pensieri, all’improvviso le si accendesse una luce benevola rischiarando per un istante la sua vita, una sorta di faro da palcoscenico che illumina l’attore protagonista, nell’intento del suo monologo lungimirante seguito da uno scroscio infinito di applausi.
“C’era una volta una principessa…”, terminando la frase al buio, spegnendo quel sorriso iniziale come se qualcuno avesse tolto d’un colpo la corrente al faro e quell’attore si fosse ritrovato istantaneamente a esibirsi in un teatro vuoto, senza applausi, con il sipario chiuso. Come resterei io, se durante una presentazione la gente cominciasse senza una spiegazione logica, a uscire dalla sala, senza motivo, lasciandomi solo con le mie parole, abbandonando i miei libri al loro destino infame, senza nessuno che li comprasse né che li leggesse. Avrei faticato per niente, ci resterei malissimo, scoppierei a piangere e urlerei “Bastardi! Ci lasciate soli me e i miei libri? Che vi abbiamo fatto?”. Ecco, adesso ho paura anch’io, paura di aprire un mio libro e di scoprire che sotto la copertina ci sia soltanto un mucchio di fogli bianchi, vuoti, come il vuoto che il pubblico mi ha lasciato andandosene via, “Bastardi…”. Che farei senza l’inchiostro per i miei pensieri, che ne sarebbe di me e delle mie giornate, come passerei il tempo forse girovagando da una libreria all’altra, incollato alle vetrine perché non mi farebbero entrare, o rovisterei dentro i sacchi della raccolta della carta, il mercoledì, nella disperata ricerca di qualche pezzo di libro strappato da poter leggere. Ma quale sacrilegio sto dicendo? I libri non si gettano né si strappano al massimo si regalano! E gli altri giorni! Dio, che disperazione! Non provo neanche a immaginare come possa trascorrere uno solo giorno così quella donna, figuriamoci un’intera vita. Eppure ci riesce, con apparente facilità, con celata nostalgia o con pianti disperati e nascosti agli occhi della “gente per bene”, magari dietro un cassonetto dell’immondizia o nei silenzi notturni di una stazione ferroviaria dove sovente trovano rifugio come la tana di un animale.
“Ma perché questa donna è venuta da me stamani? Che giorno è mai questo?” penso, mentre rifletto sull’ultima frase che il traduttore mi ha sfornato, “C’era una volta una principessa…”, rimbombandomi nel cervello, come se il mio sub inconscio stesse cercando di memorizzare quella frase. “Ancora? Anche questa? Ma qualcuno mi vuol spiegare perché?”
Guardo nuovamente l’orologio, nel tentativo di leggere, finalmente, l’orario di partenza staccandomi da questa assurdità, contrapposta con tenacia da un’immaginabile voglia di restare e ascoltare all’infinito quale storia voglia raccontare questa donna: ancora tre minuti…
“Con mio padre le cose andavano bene ma con mia madre…”, troncando la frase con una smorfia che lascia intendere molto, mista tra terrore e nostalgia, tra dolore e voglia di vivere e con quelle parole e quella espressione, mi apre la mente lasciandomi pensare “ma allora una storia ce l’ha per davvero!”
Poi squilla la campanella, una voce gracchiante annuncia la partenza, il traduttore si spenge, “No, proprio adesso!”. Proprio ora è scaduto il tempo? Quando forse, la nebulosa che attraversava la sala d’aspetto si stava diradando lasciando intravedere un po’ di luce.
Mi alzo, prendo le mie cose e faccio il primo passo verso la porta, verso la salvezza quando il traduttore ha un sussulto, un gracchiante ritorno: “Devi partire? Tanto io sono qui!” e sono fuori dalla porta.
“Non ho capito, che ha detto?”, mentre velocemente mi inerpico per le scale che dal sottopasso mi sbarcano al binario quattro.
Forse quella principessa è vissuta veramente?
Ma perché oggi e perché proprio a me doveva capitare?
Tra tutti quelli che erano in quella sala, perché è venuta da me?
Mi stavo facendo gli affari miei, mica l’ho guardata in cagnesco, in fin dei conti ho solo spostato gli occhiali sulla punta del naso, che avrò fatto mai!
E se dovessi essere proprio io a scrivere quella frase?
“C’era una volta una principessa…”
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SKAMIT:
5.4. VENERDÌ 12 APRILE 2019, 22:14 -- PIANO B
(For English translations 👉 @skamitaliasubs)
Ev: Comunque mi ha scritto Fede che c’è una festa, eh.
Si: Dove?
Ev: Non lo so, non mi sta più rispondendo.
Si: Io non sapevo di nessuna festa.
Ele: Eva, scusa, abbiamo fatto questa cosa per Silvia ed Elia e tu te ne vai da Fede?
F.a: Vabbè, nel dubbio, chi vuole un altro giro?
Sa: Fede. Guarda che se vuoi provarci col barista almeno due, proprio due paroline gliele dovrai dire invece di bere e basta.
F.a: Allora facciamo che mi accompagni così mi aiuti.
Sa: Ok. Però mi devi dire esattamente le parole che userai.
In bocca al lupo, Fede! Ciao.
F.a: Ciao. Allora... Per me uno shottino...
Si: Eva?
Ev: Mh?
Si: Tu che ne pensi?
Ev: Cosa?
Si: Del barista!
Ev: Carino.
Si: Carino? Forse un po’ grande?
[Messaggio di Ed: Mi manchi. Quando finisci con le tue amiche?]
Ev: Un po’ grande, però...
[Ele risponde: Non lo so, ti scrivo dopo]
M: Buonasera.
Ev: Oi.
M: Carino ‘sto posto, eh.
Ele: Carino, sì.
N: Infatti è carino anche quel tavolino, perché intanto non se mettemo [=ci mettiamo] a sede[re]?
El: Ciao.
Si: Ciao.
El: Posso?
Si: Sì, certo.
El: Grazie.
Ev: Scusate, qualcuno mi spiega?
M: Eh. Noi c’abbiamo provato, però Elia non ha voluto.
N: Pare non voglia legarsi.
M: Però occhio che adesso parte il piano B.
L: Ciao. Posso?
Si: Sì.
L: Grazie.
Come stai?
Si: Bene grazie, tu?
L: Bene.
Ev: Scusate ma chi vi ha autorizzato? Ma perché fate le cose di testa vostra?
M: Non ti- Lascia fa’.
L: Comunque lo sai che io sono un grandissimo fan di Radio Osvaldo? Cioè, è veramente fatta bene, è una figata. Una bomba proprio.
Si: Mh-mh.
L: Poi tu sei bravissima, davvero.
Si: Grazie.
L [sottovoce]: Ragazzi che cazzo faccio?
Ah, ehm, ti posso chiedere un consiglio?
Si: Certo.
L: Ehm. Allora, ci stanno i miei genitori, no? Che li ho convinti a farmi il motorino.
Si: Sì.
L: E io vorrei farmelo rosso, perché rosso è fighissimo.
Si: Ah-ah.
L: Però ci stanno gli altri che mi dicono “no, rosso è da boro, è da coatti.” E non so se ascoltarli, perché comunque si vestono abbastanza di merda, quindi...
M: È proprio piccolo in confronto a lei, capito?
N: Ci passano dieci centimetri. Almeno.
Ele: No, Eva, forse dovremmo aiutare Silvia.
Ev: Eh sì. Forse sì, dai.
M: No rega’. No. Lasciate fa’. Vi fidate?
Può nascere qualcosa di grande qui.
L: Che poi ci sta tutta una filosofia dietro ai colori.
Si: Sì.
L: Tu lo sai meglio di me, no? Cioè pensa che ci si può creare tutta una professione, cioè pensa che figata! Tipo, ehm... Il colorista di cose. Si può fare un sacco di soldi e non devi praticamente fare niente.
Si: Mh-mh.
L: Devi solo dire: “Tu verde, tu rosso... Tu giallo.”
C’ho una storia divertentissima. Praticamente ieri stavo a casa e...
Ev: Mi ha risposto Fede. Dice che la festa è a casa di Edoardo.
Ele: Ah sì?
Ev: Sono tutti ubriachissimi. C’è tutta gente più grande perché è organizzata dal fratello di Edoardo.
L: Immobile, quindi non so, pensavo fosse morta. Sono andato là, gli ho dato un calcio fortissimo tipo PAM, tipo ha cominciato a correre velocissima e io non sapevo che fare, mi sono impanicato e mi sono nascosto. Cioè, una faina è enorme...
Si: Ah.
L: Ce l’hai presente?
Si: No. Eva?
N: Marti, ci tocca.
M: Luca!
Si: Ei. Ciao. Dio mio.
L: Ciao.
È mia, l’ho conquistata!
[Ele scrive a Ed: Io sto andando via adesso.]
N: Si celebra stasera, si celebra.
L: Si celebra! Daje.
M: Gli facciamo scorda’ tutto con un po’ di alcol.
L: Ma che mi devo scorda’?
[Ed risponde: Ok. Dove ci vediamo?]
Ed: Oh. Che c’è, che c’hai?
Ele: Perché mi dici le cazzate?
Ed: Ma quali cazzate?
Ele: Hai detto che tuo fratello deve essere lasciato solo, poi però organizzi le feste con lui.
Ed: Ok, scusa, hai ragione. Ti ho detto una cazzata.
Ele: Che c’ha tuo fratello? Che cavolo c’ha che...
Ed: Senti, ti ho chiesto scusa, però non ho voglia di parlarne. Ok? Rispetta questa cosa.
Ele: Mi dispiace.
Ed: Di cosa?
Ele: Mi dispiace che non mi parli di te, di tuo fratello, di qualunque cosa.
Ed: Potrei dire la stessa cosa di te.
Ele: Che c’entro io adesso?
Ed: Beh, neanch’io so molto di te, no? Di quello che fai, delle tue cose, della tua famiglia per esempio, no? Non me ne hai mai parlato.
Ei. Guarda che non... Non ti sto accusando, eh. È bello anche così, no? Che parliamo, discutiamo, ci conosciamo... A me piacciono tantissimo i discorsi che fai. Davvero. Però, cavolo, dobbiamo arrivare a un punto.
Ele, è da... È da un anno che ti sto aspettando. Lo capisco se non... Se ti viene difficile fidarti di me, però... Fidati che non sarei mai così coglione da rovinare una cosa così bella.
Ele: Mio padre vive a Milano. Praticamente non lo vedo mai, lui fa... Fa una vita tutta sua. Mia mamma invece sta a Padova e insegna all’università. Lei torna, però poi quando torna sta sempre a parlare delle sue cose, non... Non ascolta mai. L’unica cosa che ho simile a un genitore è mio fratello. Lui ha ventidue anni però è come se ne avesse dodici.
Da quando sono piccola faccio tutto da sola. Mi... Mi pulisco la casa, metto a posto i vestiti, tutto. Cucino.
Pensa che a quattordici anni avevo l’appendicite e sono andata in ospedale con il taxi perché non... Non avevo nessuno che mi poteva accompagnare.
Ed: Ei. Ei.
Guardami.
Ti prometto che non ti farò mai del male.
Ok? Ok.
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Nascere povero e intelligente è una condanna
Cioè non è che nascere povero e idiota ti salva eh, ma almeno non ci pensi più di tanto. Che ne sai te che la vita potrebbe offrirti milioni di possibilità, non ci pensi al fatto che potresti fare un sacco di cose se ne avessi la possibilità... Perché probabilmente non le puoi fare un sacco di cose dato che, beato te, sei idiota.
E invece no, nasci con qualche neurone in più e ti mangi il fegato, perché rosichi, perché se tu avessi i soldi di M per esempio ti iscriveresti a un corso di scherma, mo per dire, che è da quando sei piccolo che vorresti farlo, invece che spenderli in cocaina. Cioè mo la scherma per dirne una eh, magari mi imparavo a suonare la chitarra e la suonavo sulla spiaggia. Vabbè no, che io quelli che suonano la chitarra sulla spiaggia li ho sempre odiati sinceramente.. non so è una cosa talmente mainstream, lo trovo noiosissimo.... Poi mi ricordo un giorno era il mio diciottesimo compleanno. Avevo organizzato una festa a casa mia con gli amici più stretti e quelli della classe. Non vuoi che quel coglione di P che mi è sempre stato in culo dal primo anno, anzi no io lo odiavo ad essere precisi, insomma non vuoi che mentre tutti si stanno divertendo mezzi ubriachi a parlà di stronzate caccia la chitarra e si mette a suonare....... No ragazzi è stata una cosa orribile perché io odio chi suona la chitarra, odio lui, e odiavo anche quelle galline che si sono messe accanto a lui ad ascoltarlo e a canticchiare "Wonderwall" (che sinceramente anche io che non ne capisco un cazzo di musica so che è una cacata quella canzone da suonare). E insomma si crearono due gruppi, quelli divertenti fuori a fumare e bere e prendersi per il culo, i noiosissimi scontati del cazzo dentro a fare schifo perché questo fate, schifo ragà.
A questo punto qualcuno di voi leggendo queste righe potrebbe pensare che la mia sia invidia. Ed è qui che ti sbagli ipotetico stronzetto frustrato che non sei altro io non sono invidioso manco per il cazzo. Questo P di cui sto parlando è uno di quei chierichetti tutto casa chiesa scuola pallavolo chitarra e azione cattolica. Cioè questo mi ricordo che una volta lo forzammo a vedersi un porno in secondo liceo e si coprì gli occhi per non fare peccato... Sisi un santo praticamente, con le corna però, perché in realtà era un povero stronzo frustrato anche lui. Una merda generale. Un uomo con dei valori costruiti da altri, dalla chiesa, dai genitori, dalla legge (?), ma nella realtà un figlio di puttana che se te la deve mettere in culo per pararsi il suo non ci mette niente. Un egoista pezzo di merda pieno di sé e della sua immagine. Un lecchino con i più forti, che parlava male di tutti. MA DI TUTTI DAVVERO. Anche delle galline che gli stavano dietro. E infatti con le donne era un pezzo di merda. Ma non uno di quelli che se le scopa e poi le abbandona eh, nooo see ahahahah. Nono lui era tipo che si prendeva tutte le attenzioni possibili e immaginabili dalle gallinacce che aveva attorno, gli elogi, le sviolinate eccetera. Poi però le prendeva per il culo alle spalle. La mia migliore amica, ahimè, le andò dietro per 4 anni. E lui gran figlio di puttana lo sapeva!! Lo sapeeeeva eccome se lo sapeva. Ma da quella ragazza "rotonda" e "un po' esaurita" lui non voleva niente, però la riempiva lo stesso di belle parole.. davanti, e dietro smerdava. Così ha fatto con tutte le ragazze bruttine che le avevano dietro. Le ragazze belle in generale gli cinguettavano attorno ma non gliel'avrebbero mai data a un """monaco""" come al lui. Solo una, una delle ragazze più carine della classe gliel'avrebbe data, una tipa semplice acqua e sapone e chiesa e azione cattolica. Per carità non di certo il mio tipo ma per lui era perfetta: di sani principi, famiglia cattolica, buona media a scuola, educata. Gliel'avrebbe data e di fatto gliela diede, o meglio... Gliela propose. Ma lui non la accettò... Ebbene sì ragazzi, non la accettò! Ed è qui che si rivela tutta la tristezza di questa persona. Ma non tristezza che poverino adesso capisco nono, nel senso che è proprio una persona pietosa. Si fidanzò con sta tipa una volta, ma poi la lasciò perché era troppo impegnato ad avere una media perfetta a scuola, ad allenarsi a pallavolo, ad andare in chiesa e a risolvere i problemi del mondo nelle riunioni dell'azione cattolica eccetera eccetera... Si fidanzarono una seconda volta ma non durò molto per gli stessi motivi. Erano più grandi e lei, ovviamente, avrebbe voluto offrire le sue giovani carni al bel ragazzo di cui era innamorata, ma lui non ci riuscì. Ragazzi era spento! Era morto dentro. Scopare proprio non era per lui e inventava scuse pur di non farlo, so anche che lei tentò di fargli una sega ma lui esordì con "non mi piace".... Fratello ma come cazzo fa a non piacerti una sega eddai ma è la cosa più semplice non ti devi neanche impegnare e che cazzo. Mah comunque io ste cose non le dovrei sapere, ma sai, quando riesci a mantenere rapporti di amicizia stabili fondati sulla fiducia, le persone ti tradiscono lo stesso... quindi figuriamoci quando non lo fai!!
Quindi no, la chitarra proprio no. Diciamo che avessi avuto i soldi quando ero più piccolo avrei potuto fare lo youtuber di gameplay. Giocare ai videogiochi e far ridere le persone sono due cose in cui sono una potenza. Quindi magari da piccolo avrei potuto fare successo, ma ormai quel mercato è una merda sterile, a meno che non ti chiami Cicciogamer o altri che hanno saputo cavalcare l'onda quando era il momento di cavalcarla. Però so montare i video. L'estate del 2015 montai un sacco di video divertenti. Video girati con i miei amici o da solo, a cui poi aggiungevo musica ed effetti speciali che facevano sbellicare dalle risate. Mi sentivo un genio cazzo, a soli 16 anni. Poi finì l'estate e c'era la scuola. L'estate dopo iniziai a lavorare al supermercato... E la sera uscivo. Poi di nuovo scuola e poi nell'estate 2017 lavorai nell'altro supermercato... L'estate 2018 fu l'estate del servizio civile. Lì avevo le ferie ad agosto infatti feci qualcosa, cioè iniziai un progetto di video che non ho mai concluso. Quest'estate ho lavorato al ristorante... Tutti i giorni e dal 9 agosto al 30 ho fatto il doppio turno ciò vuol dire 2 ore libere al giorno... Di certo non accendevo il computer.....
Insomma ragazzi essere povero è una merda..
[continua...]
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DF - All’università Episodio 10 Guida
- Risultato negativo / Risultato neutro + Risultato positivo / o + Significa che il mio Lov’o’metro con quel personaggio è al massimo, ciò vuol dire che il risultato può essere sia neutro che positivo.
Punti Azione: 1.270 - 1.300 massimo
Illustrazioni: 5 in totale, una per ogni crush. E’ possibile prendere 1 illustrazione per giocata. Se volete l’illustrazione con la vostra crush bisogna avere il lov’o’metro più alto con lui/lei, con il colpo di fulmine.
La zia: La si può trovare in infermeria prima di andare in biblioteca da Melody.
Soldi: - 155 $ tutina bordeaux: Priya/Castiel - 155 $ Jeans a righe e top: Rayan/Nath - 155 $ Abito giallo: Hyun
~ Andiamo a lezione.
Lebarde: A. Eh, s-sì arrivo professore / B. E’ un’interrogazione a sorpresa sulla tesi? Come l’ultima volta? /
A. Questo è troppo, grazie… ma non ero sola. Sono stata aiutata dal direttore per l’organizzazione, da Hyun il cameriere e da Clementina il capo. / B. Grazie professore. C. Grazie! Sono pronta ad organizzare il prossimo evento quando vorrete! +
~ Uscite in cortile.
Chani: A. Non lo so… ho avuto modo di rincontrare sua madre e di ritrovarmi in mezzo ad una discussione familiare in camera. + B. Non ne ho idea, immagino sia importante per lei ricevere dei meriti. Era delusissima dal fatto di non poter far parte dell’organizzazione. -
A.Volevo dirti che è stato strano vederti arrivare con Priya alla serata. Non sapevo foste amiche.
B. Boh, pensavo che qualcosa fosse andato storto, ma sono più tranquilla ora che so che era giusto il lato mondano della festa ad averti fatta scappare.
C. In quel momento… pensavo che avessi litigato con Priya, dato che anche lei era andata via senza salutare… /
~ In palestra.
Yeleen: A. E allora ti sei dimenticata della bugia che hai inventato a tua madre il giorno della serata? - B. Penso che ad ogni modo ci rivedremo più tardi in camera. /
A. Forse ha ragione! Non sarai mai all’altezza! B. Perchè te la prendi con me? / C. Yeleen… cerca di ammettere che è sbagliato quello che fai. Merito delle scuse almeno. /
Castiel: A. Grazie Castiel. / B. Va tutto bene. / C. Questa pazza non capisce quello che le dico! -
A. Penso ancora che sia un buon consiglio. / B. Mi dispiace… quella serata, è stata… stressante. E tu fortunatamente sei arrivato nel momento peggiore. Non so… - C. Sì Castiel… ho parlato da persona arrabbiata. Ma avevo ragione, non permetto a nessuno di mettermi i piedi in testa. +
A. E quindi… tu e Ambra siete amici? / B. Ti ha detto che cosa stesse succedendo? Ho sempre l’impressione che Nathaniel voglia dirmi la verità ma poi… - C. Dopo non vi ho più rivisti… pensavo foste andati via. /
Se scegliete A: A. No... ma... considerando la vostra storia passata. Ti è mai venuto in mente che Ambra potresse avere ancora dei sentimenti per te? + B. Niente affatto... Penso che sia matura e totalmente diversa. Sono contenta. C. Sono sorpresa, considerando la peste che era al liceo, io e te avevamo la stessa opinione su di lei.
Se hai scelto A e non sei sua ex: A. Hmm... è una cosa intima questa. B. (Le mie guance sono diventate rosse. Ho tossito cercare di nascondere quanto fossi agitata.) /
Se hai scelto A e sei sua ex: A. (Le mie guance sono diventate rosse nonostante me stesso. Ho tossito per cercare di nascondere quanto fossi agitata.) B. Li conosci già. / o +
Se scegliete B: A. Sembra aver bisogno di una mano. + B. Hai ragione.
A. Ok, io ritorno al campus. Forse ci vediamo più tardi / B. Potrei forse… venire con te. +
~ Andate alla serata con Alexy e Rosa.
Alex: A. Dovrebbe lasciare l’università. - B. Non penso che… non avrebbe dovuto tenere il bimbo? / C. cavolo… non credevo potesse essere così difficile la situazione. +
A. Cosa? Ma no, non ti preoccupare Alex, va tutto bene. + B. E’ anche vero che sei sparito da un giorno all’altro. /
Rosa: A. E’ vero, è da un po’ di tempo che non ci riuniamo tutti e tre. + B. Sarei dovuta restare a ripassare questa sera, non è serio da parte mia. / C. E’ vero, è stata una buona idea. + Alexy
A. Perchè sei così formale. Va tutto bene? / B. Ma certo Rosa, non ti abbandoniamo. / C. Ammetto che non è stato facile… è comunque un grande cambiamento, e faccio ancora fatica a capire perchè vuoi tenere il bambino nonostante tu sia una studentessa. - Alexy
A. Vuoi che beva il tuo bicchiere Rosa? / B. (Ho appoggiato la borsa sul tavolo versando di proposito il bicchiere di Rosa.) +
Priya: A. Non ti preoccupare, va tutto bene, è solo stanca. / B. In pratica… non può bere alcolici. - Alexy C. Sono sicura che sia la stanchezza. Vado da lei, voglio assicurarmi che stia bene. +
A. In India… è lontano… vuol dire che non ci vedremo più. + B. Capisco che ti stia a cuore, ma dopo quello che avete vissuto, non hai paura di ritornare…? / C. Non puoi lasciare il gruppo! L’india è troppo lontana, non ti vedremo più. -
A. Oh no povera. coraggio! / B. Si rimetterà, resta con noi! - C. Vuoi che… ti accompagno? Non abbiamo avuto molto tempo per parlare. +
~ Torniamo al campus.
Rayan: A. Visto quello che è successo le settimane precedenti, preferisco essere discreti. / B.Esatto, possiamo fare quello che vogliamo. - C. Per il momento ci accontentiamo di parlare, non capisco perchè possa essere fastidioso. +
A. Sono stanca di non poterti parlare tranquillamente. Sembra quasi che infrangiamo qualche legge quando invece stiamo solo parlando! + B. Pfiou, l’abbiamo scampata bene! / C. Ti lascio verso l’anfiteatro… non è una buona idea quella di parlare qui in mezzo al cortile. -
A. Scusami, ma preferisco di no… - B. E’ un’ ottima idea… +
Yeleen: A. Yeleen… tutto bene? / B. (Mi sono girata dall’altro lato per provare a dormire per davvero.)
A. Vuoi parlarne? + B. (Non ho osato dirle nulla.)
~ In biblioteca con Melody.
Melody: A. Scusami, ci ho messo un po’. / B. Ciao! eccomi, mettiamoci a lavoro. +
A. Ma no, gli articoli che hai trovato sono perfetti Melody, sono sicura bastino! + B.Sì, forse hai ragione, do un’occhiata in biblioteca. /
Hyun: A. Peccato, avremmo potuto terminare la serata insieme. + B. Ti ho visto parlare con il professor Zaidi durante la serata, ero stupita. - C. Si, capisco perfettamente. È il lato meno simpatico di quell’ambiente. Si possono incontrare persone molto interessanti, ma anche persone pronte a discutere alla minima occasione, può essere estenuante. /
A. Sì, andrà bene. Ormai so a memoria anche il codice dell’allarme, 28N1 + B.Sì, sono una professionista ormai. Mi ricordo anche del codice dell’allarme, 29N1 - C. Sì! Non dovrebbero esserci grandi problemi! /
Rosa: A. Hai ragione, quello che conta è la vostra volontà. Se prendete in conto i cambiamenti che avverranno, sarete in grado di affrontare le situazioni. / B. Sarete degli ottimi genitori. + C. Continuo ad essere della stessa idea! Penso che ci siano momenti migliori ma è una tua scelta. -
A. Bene! / B. Benissimo, la serata e stata perfetto. +
~ Direzione Bar.
Clementina: A. Grazie Clementina, buona serata! / B. Pensavo avresti fatto un po’ il servizio con me, almeno per l’inizio della serata. -
Nath: A. Quindi manterrai ancora i tuoi piccoli segreti per molto tempo? / B.Penso di averti lasciato tempo a sufficienza. - C. Non pensi di dovermi dire la verità, dopo tutto quello che è successo? +
A. Hmmm… lo so Nath, ma come penso che io possa continuare a provare a conoscerti, se tu non mi dici niente. + B. Questo è il tuo modo di dire le cose “gentilmente”? / C. Ok, ti lascio ancora un po’ di tempo. /
A. C’è stato un periodo in cui mi accompagnavi fino ai dormitori e mi chiedevi di entrare in camera. Non lo fai più? + B. Buona serata.
Yeleen: A. (L’ho lasciata preparare le sue cose senza dire niente) (Niente dialoghi.) B. (Se non faccio il primo passo, non risolveremo mai niente…) /
A. Fallo per te stessa. Sei al quinto anno, non puoi fermarti ora. + B. Mi fa piacere che tu mi dica la verità, e apprezzo il fatto che tu l’abbia detto a tua madre, ma non giustifica quello che è successo in palestra…
A. Dove passi le tue notti? Quando non dormi al campus. / B. ok, a più tardi. /
Appuntamento Rayan:
A. Sì ma… è comunque pericoloso. Rischiamo grosso. / B. E’ un idea brillante! + C. Ad ogni modo, vedremo poi sul momento!
A. Far bere dell'alcol ad una studentessa? Cominciamo a trasgredire molte regole. - B. Hmm, sembra delizioso, che cos’è? + (Illustrazione) C. Non dovevi! È adorabile. /
Appuntamento Hyun:
A. La giacca, la cena, le decorazioni, Hyun… hai esagerato. Si trattava solo di una serata… pensavo saremmo usciti. B. Hai fatto tutto questo per me? È… grazie, non so che dire, non mi sono preparata per questo, non me l’aspettavo. + C. È fantastico! E che cosa mangiamo?
A. Trovo sia severo… avrebbe dovuto lasciarti fare quello che ti piace. B. Ma… dopotutto ti piace quello che studi? C. Non sarà stato facile per tuo padre. /
A. Non balleremo mica tutti e due soli qui! B. (Ho preso la sua mano, e mi ha tirato verso di lui in mezzo alla stanza.) + (Illustrazione)
Appuntamento Nathaniel:
A. E così che ti nutri Nath? Al top dell’equilibrio! B. Hai comprato tutto questo per noi? E’ adorabile, grazie. / C. Hmm... ho tanta fame.
A. Immagino che sia un ricordo di una litigata? B. E’... è stato tuo padre? C. E’ il tuo gatto, giusto? + (Illustrazione)
Appuntamento Castiel:
A. Mah scusa, se non ti fossi presentato così presto, non saremmo qui. - B. E io che stavo per avere una crisi cardiaca prima! /
A. Sono sicura che possiamo passare una buona serata qui, posso mettere della musica e possiamo chiacchierare. + B. Possiamo comunque provare ad uscire... no? - C. Non è colpa tua... /
A. Wow, è... Ora capisco meglio l’entusiasmo, il video è pazzesco. + B. Chi è l’attrice? / C. Faccio fatica a capire perchè vai da una ragazza che ha intenzione di avvelenarti, non trovo una spiegazione, ma il video è incredibile! -
A. Si, ma non mi rende tranquilla... Sapere di essere qui a parlare con te mentre le altre sono dietro la porta. - B. Immagino che non sia semplice. / C. Non hai paura di quello che diranno quando uscirai da qui? +
A. (Ero talmente sorpresa dalla sua replica che sono rimasta a bocca aperta, non sapevo come rispondere.) / B. Che cosa ti fa pensare che la invidio? - C. Eppure ci sarebbe qualcosa da invidiare. + (Illustrazione)
Appuntamento Priya:
A. (Presa dal panico, e incoraggiata dalla folla, ho preso la mano di Priya e l’ho seguita sul palco.) + B. N-no, vai! Ti guardo!
A. Vuoi che andiamo a salutarla? + B. Sembrate molto vicine... E’ un ottima amica? C. Non avevate bisogno di me sul palco.
A. Era quello che volevo... ritrovarmi sola con te. + B. E’ vero, sono stupita dal fatto di non vedere gli altri questa sera. C. Io te, e “Tara”!
A. Dimmi... B. Certe cose non hanno bisogno di una formulazione. A volte, bisogna lanciarsi... e, ho voglia di lanciarmi. + (Illustrazione)
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Clip 5.4 - Piano B
E: Comunque mi ha scritto Fede che c’è una festa, eh.
S: Dove?
E: Non lo so, non mi sta più rispondendo.
S: Io non sapevo di nessuna festa.
ELE: Eva, scusa, ma abbiamo fatto questa cosa per Silvia ed Elia e tu te ne vai da Fede?
F: Vabbè, nel dubbio, chi vuole un altro giro?
SA: Fede, guarda che se vuoi provarci col barista almeno due, proprio due paroline gliele dovrai dire invece di bere e basta.
F: Allora facciamo che tu mi accompagni così mi aiuti.
SA: Ok. Però mi devi dire esattamente le parole che userai. In bocca al lupo, Fede! Ciao.
Ciao.
F: Ciao. Allora…per me uno shottino…
S: Eva?
E: Mh?
S: Tu che ne pensi?
E: Cosa?
S: Del barista.
E: Eh, carino.
S: Carino? Forse un po’ grande?
EDO: Mi manchi. Quando finisci con le tue amiche?
E: Un po’ grande, però…
ELE: Non lo so, ti scrivo dopo.
M: Buonasera.
E: Ohi!
M: Carino sto posto, eh.
ELE: Figo, sì.
N: Infatti è carino anche quel tavolino, perché intanto non se mettemo a sede?
ELE: Sì. Dai.
ELIA: Ciao.
S: Ciao.
ELIA: Posso?
S: Sì, certo.
ELIA: Grazie.
E: Scusate, qualcuno mi spiega?
M: Eh...noi c’abbiamo provato, però... Elia non ha voluto.
N: Pare non voglia legarsi.
M: Però occhio che adesso parte il piano B.
L: Ciao. Posso?
S: Sì.
L: Grazie. Come stai?
S: Bene, grazie. Tu?
L: Bene.
E: Scusate ma chi vi ha autorizzato? Perché fate le cose di testa vostra?
M: Non ti- Lascia...lascia fà.
L: Comunque lo sai che io sono un grandissimo fan di Radio Osvaldo? Cioè, è veramente fatta bene, è una figata. Una bomba proprio.
S: Mh-mh.
L: Poi tu sei bravissima, davvero.
S: Grazie.
L: Ragazzi che cazzo faccio?
Ah, ehm, ti posso chiedere un consiglio?
S: Certo.
L: Ehm. Allora, ci stanno i miei genitori, no? Che li ho convinti a farmi il motorino.
S: Sì.
L: E io vorrei farmelo rosso, perché rosso è fighissimo...
S: Ah-ah.
L: Però ci stanno gli altri che mi dicono “no, rosso è da boro, è da coatti,” no? E non so se ascoltarli, perché comunque loro si vestono abbastanza di merda, quindi…
M: È proprio piccolo in confronto a lei, capito?
N: Ci passano dieci centimetri. Almeno.
ELE: No, Eva, forse dovremmo aiutare Silvia.
E: Eh sì. Forse sì, dai.
M: No regà. No. Lasciate fà. Vi fidate? Può nascere qualcosa di grande qui.
L: Che poi ci sta tutta una filosofia dietro ai colori.
S: Sì.
L: Tu lo sai meglio di me, no? Cioè pensa che ci si può creare proprio una professione, cioè pensa che figata. Tipo, ehm…il colorista di cose. Si può fare un sacco di soldi e non devi praticamente fare niente. Devi solo dire: “Tu verde, tu rosso, tu giallo.” C’ho una storia divertentissima. Praticamente ieri stavo a casa e…
E: Mi ha risposto Fede. Dice che la festa è a casa di Edoardo.
ELE: Ah sì?
E: Sono tutti ubriachissimi. C’è tutta gente più grande perché è organizzata dal fratello di Edoardo.
L: Immobile, quindi non so, pensavo fosse tipo morta. Sono andato là, gli ho dato un calcio fortissimo tipo PAM, tipo ha cominciato a correre velocissima e io tipo non sapevo che fare, mi sono impanicato e mi sono nascosto. Cioè, la faina è enorme…
S: Ah.
L: Ti piacciono a te le faine?
S: No. Eva!
E: Basta. Lo devo fermare. Silvia, ciao.
N: Marti, ci tocca.
M: Luca!
S: Ehi. Ciao.
L: Ciao.
S: Dio mio.
L: Regà, è mia, l’ho conquistata!
ELE: Io sto andando via adesso.
N: Si celebra stasera, si celebra.
L: Si celebra!
N: Daje.
L: Daje, regà.
M: Stasera, gli famo scordà tutto con un po’ de alcol.
L: Ma che mi devo scordà?
EDO: Ok. Dove ci vediamo?
EDO: Oh. Che c’è, che c’hai?
ELE: Perché mi dici le cazzate?
EDO: Ma quali cazzate?
ELE: Hai detto che tuo fratello deve essere lasciato solo, poi però organizzi le feste con lui.
EDO: Ok, scusa, hai ragione. Ti ho detto una cazzata.
ELE: Che c’ha tuo fratello? Che cavolo c’ha che…
EDO: Senti, ti ho chiesto scusa, però non ho voglia di parlarne. Ok? Rispetta questa cosa.
ELE: Mi dispiace.
EDO: Di cosa?
ELE: Mi dispiace che non mi parli di te, di tuo fratello, di qualunque cosa.
EDO: Potrei dire la stessa cosa di te.
ELE: Che c’entro io adesso?
EDO: Beh, neanch’io so molto di te, no? Di quello che fai, delle tue cose, della tua famiglia per esempio, no? Non me ne hai mai parlato. Ehi. Guarda che non…non ti sto accusando, eh. È bello anche così, no? Che parliamo, discutiamo, ci conosciamo. A me piacciono tantissimo i discorsi che fai. Davvero. Però, cavolo, dobbiamo arrivare a un punto. Ele, è da…è da un anno che ti sto aspettando. Lo capisco se non…se ti viene difficile fidarti di me, però… Fidati che non sarei mai così coglione da rovinare una cosa così bella.
ELE: Mio padre vive a Milano. Praticamente non lo vedo mai, lui fa…fa una vita tutta sua. Mia mamma invece sta a Padova e insegna all’università. Lei torna, però poi quando torna sta sempre a parlare delle sue cose, non…non ascolta mai. L’unica cosa che ho simile a un genitore è mio fratello. Lui ha ventidue anni ma è come se ne avesse dodici. Da quando sono piccola faccio tutto da sola. Mi…mi pulisco la casa, metto a posto i vestiti, tutto...cucino. Pensa che a quattordici anni avevo l’appendicite e sono andata in ospedale con il taxi perché non…non avevo nessuno che mi poteva accompagnare.
EDO: Ehi. Ehi. Guardami. Ti prometto che non ti farò mai del male, ok? Ok.
#skam italia#skam italia transcripts#skam italia chats#trascrizioni skam italia#3x05#season 3#sana allagui#federica caciotti#silvia mirabella#eva brighi#eleonora sava#martino rametta#niccolò fares#luca colosio#elia santini#edoardo incanti
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Buon Natale 2019 Auguri
Stai trovando i perfetti Auguri di Buon Natale 2019? Qui vi forniamo alcuni auguri di Buon Natale 2019 migliori e impressionanti Auguri per i vostri amici più cari e persone care.
Buon Natale 2019 Auguri
Pensando calorosamente a ciascuno di voi e augurando alla vostra famiglia una misura supplementare di conforto, gioia e speranza per questo Natale. Auguri di Buon Natale 2019
Buon Natale! Sai qual è la cosa migliore di questa scheda? Non viene fornito con una torta di frutta!
E 'la stagione più bella - fino a quando tutto deve essere ripulito, e il conto della carta di credito arriva. Auguri di Buon Natale per la fidanzata
Se mi invitate alla vostra festa di Natale, potete contare su di me per mangiare tranquillamente l'intero piatto di formaggi, non dire niente a nessuno e andarvene.
Babbo Natale non verrà quest'anno..... È morto ridendo quando hai detto che sei stata una brava ragazza.
Scegliere l'albero di Natale giusto è una scienza. Struggersi nel cortile del vicino di casa per tagliarlo è un'arte.
Non misurate l'altezza del vostro albero di Natale. Misurare l'abbondanza dell'amore presente nel tuo cuore! Buon Natale!
Natale non significa dare e ricevere regali, ma la nascita di Gesù Bambino nella mangiatoia, Gesù è il motivo della stagione!
Natale è che la stagione una volta che si acquistano i regali di quest'anno con i soldi dell'anno prossimo.
Natale è uno stato d'animo e quella speciale sensazione che si prova solo con un conto corrente vuoto. Auguri di Buon Natale per il Marito
Sai qual è il fattore più efficace per quanto riguarda questa carta? Non va d'accordo con una torta di frutta. Buon Natale 2019 Auguri
È Natale ogni volta che hai dato a Dio la possibilità di adorare gli altri attraverso di te.....veramente, è Natale ogni volta che sorridi al tuo fratello e gli offri la tua mano.
Sono così felice di trascorrere la prossima vacanza tra le tue braccia. Buon Natale.
Oh, Natale! Una stagione che accende il fuoco dell'ospitalità nella sala; che accende la fiamma geniale della carità nel cuore umano.
In questa stagione di festa, vi auguro un Natale pieno di divertimento e festa. Che il successo vi abbracci ogni giorno e in tutto ciò che fate. Buon Natale
A una stagione piena di calore, comfort e buon umore!
Perché Salterino e Ballerino fanno sempre una pausa caffè? Perché sono i dollari di Babbo Natale. Buone Feste!
Se dovessi riscrivere i "12 giorni di Natale", includerei cose come il cioccolato, cocktail e cene di fantasia invece di galline francesi e tortore.
Shopping di Natale fatto........ Ho preso a tutti una scatola con una nota che recita. "Scusa, il mondo doveva finire, quindi non ti ho preso niente. Buon Natale
Caro Babbo Natale, tutto quello che voglio per Natale è la mia isola, così non ho a che fare con persone stupide.
Il Natale è amore in azione. Ogni volta che amiamo, ogni volta che diamo, è Natale.
Babbo Natale parteciperà ad un'altra festa di Natale quest'anno, ma io parteciperò alla vostra. Che cosa è-app Me. Auguri di Buon Natale 2019
Buon Natale! Prendetevi il tempo di celebrare i vostri desideri, valori e affetti con i vostri cari. Auguro a tutti voi il meglio. Buon Natale in anticipo
Qualcuno sa dove posso comprare l'amore? Mi hanno detto che era la cosa migliore da dare questo Natale.
Sembra che il periodo natalizio continui ad anticipare ogni anno. Se diventa prima, Halloween si sentirà offeso.
Questo Natale, mettiamo il vischio nelle nostre tasche posteriori in modo che tutte le persone che ci odiano possano baciarci il culo! Auguri di Buon Natale per l'amante
Credo che Babbo Natale sia cosi' allegro per tutta la birra che lasciamo fuori per lui.
Babbo Natale non verrà quest'anno È morto ridendo quando hai detto che sei stata una brava ragazza.
La fede rende tutto possibile, la speranza fa funzionare tutte le cose, l'amore rende tutte le cose belle, che tu possa avere tutte e tre le cose per questo Natale. BUON NATALE.
Dicono che il Natale è semplicemente dietro l'angolo, ma lo sarà o non lo sarà una volta che il pianeta è rotondo?
Natale, qui ag. Alziamo una tazza di tronco Pace sulla terra, buona volontà agli uomini e facciamo fare loro il wasg up
Il Natale nel cuore diffonde la sensazione del Natale nell'aria. Buon Natale
Inviando a voi e alla vostra famiglia i nostri più sentiti auguri per questo Natale. Che la vostra casa sia benedetta con tanto amore e felicità.
Potremmo non essere lungo testa a testa la mattina di Natale, tuttavia, sarai nella mia mente e nel mio cuore. Auguri di Buon Natale per la Madre
Cosi' ha chiamato al Vento del Nord: "Vieni ad aiutarmi, prega, perche' sono completamente congelato, e sto qui in piedi tutto il giorno". Così il vento del Nord è arrivato, e gli ha soffiato nella porta, e ora non c'è più niente, ma una pozzanghera sul pavimento!
La gente andava alla messa di mezzanotte non per ascoltare la messa, ma per far sentire il rancore dei compagni di seduta. Auguri di Buon Natale per la Madre di Diritto
Come l'inverno coperto casa con la neve tutt'intorno, auguro a questo Natale la vostra casa piena di amore, gioia e pace. Buon Natale 2019 Auguri
Rallegratevi, affinché nasca il Dio Immortale, affinché l'uomo mortale possa vivere nell'eternità.
Che la gioia e la felicità nevichi su di voi, che le campane tintinnano per voi, e che Babbo Natale sia per voi un bene in più! Buon Natale!
E 'un momento speciale per farti sapere, Che tu significhi il mondo per me, Con te sono in beatitudine, E 'come questo si sente esattamente, Questo è l'effetto del tuo puro amore su di me, ti amo a te, Buon Natale
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