Uno scherzo di Leopardi
(…) questo ingegno terribile del Leopardi,
il quale era stato tanto greco nell'Inno a Nettuno,
nella Canzone di Simonide,
nel Canto di Saffo,
tanto romano nell'estreme parole di Bruto secondo,
tentò una volta di farsi trecentista
in quel supposto volgarizzamento di Martirio:
e d'alcuna cosa gli fallì il successo.
Io non dirò ch'egli in cuor suo credesse di aver toccato veramente il segno,
ma certo confidossi di avere ingannato il mondo;
e vedrete com'egli scrivendone al cugino romano se ne compiace
e si tiene sicuro perchè vi restò preso il povero Cesari (*).
(Pietro Giordani)
(*) Famoso per essere stato il maggiore dei "puristi", cioè di quegli studiosi di lingua che, tra la fine del Settecento e il principio dell'Ottocento, fecero argine all'imbarbarimento della lingua dovuto soprattutto all'influenza del francese, richiamando gl'Italiani allo studio e all'imitazione dei nostri scrittori antichi, e specialmente dei trecentisti.
Un tratto che amo molto di Leopardi è la consapevolezza che gli permetteva di valutare lucidamente sé stesso e gli altri, tanto da fargli pensare che nessuno potesse essergli giudice, esemplificato dalla frase del Giordani: egli sapeva di non aver raggiunto l'eccellenza nell'imitazione, ma sapeva di essersi avvicinato ad essa quanto bastava per ingannare gli altri. Così, fra i dolori dell'"infelice" Leopardi, posso immaginare che ci sia stato, a mitigarli, questo gratificante pensiero di essere un gradino più su di tutti gli altri…
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Giacomo Leopardi, Martirio de' Santi Padri del Monte Sinai e dell'eremo di Raitu. Composto da Ammonio Monaco. Volgarizzamento fatto nel buon secolo della nostra lingua. Non mai stampato, Ant. Fort. Stella e Figli, Milano, 1826
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