#marcus o'dair
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“Comicopera then becomes progressively darker during its middle section, The Here and Now, as its scope expands to take in the war in Iraq. As an Englishman whose democratically elected leader had trotted into combat behind Bush, Robert Wyatt felt implicated. A Beautiful War is about so-called smart bombs, which even the US Air Force now acknowledges weren’t quite as smart as was claimed at the time. Out of the Blue shifts perspective to the effect of those bombs as they fell to the ground. Alfie’s lyrics were inspired by TV footage of a Lebanese woman left stupefied after her house had been blown to smithereens. From the apparently innocent opening detail, ‘No need to wipe your feet, the welcome mat’s not there,’ the track builds over jarring, jagged electronics and shards of free-jazz brass. We hear that ‘something unbelievable has happened to the floor,’ that the stairs have gone, and finally that the house has been blown apart. The climax comes with the repeated line: ‘You’ve planted all your ever-lasting hatred in my heart.’ Robert’s voice remains neutral, but it is the angriest line he has ever recorded – and one, he says, he would never have written himself.” – Marcus O'Dair, Different Every Time: The Authorized Biography of Robert Wyatt
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piccole bugie familiari
Quando capisci che stai maturando? In genere si è soliti accollare alla propria crescita individuale una serie di eventi dal peso specifico non indifferente. C’è chi giura di essersi sentito per la prima volta adulto quando ha chiesto alla propria ragazza di convolare a nozze. C’è chi afferma d’essersi sentito finalmente responsabile il giorno che a una fantomatica partita di calcetto, da vedere o da giocare, a seconda del racconto, ha è preferito assistere al mortifero saggio scolastico di fine anno della propria figlioletta – immortalato in un’ora e mezza di filmato traballante che nessuno ha mai rivisto. A me, molto più banalmente, succede nelle piccole cose. Mi è successo anche qualche ora fa, quando ho detto una frottola a mio nipote. Ovviamente parliamo di roba innocente, una bugia piccola e bianca detta a fin di bene, d’istinto, per timore di apparire meno stimolante agli occhi di chi credi ti veda come l’elemento più interessante della famiglia. Ma anche per legittima “offesa”, ovvero per contrastare (dov’è possibile) l’incontenibile deriva musical-culturale di un adolescente odierno che di perdersi per strada frammenti di effettivo talento per l’incuria pregressa di uno zio un po' distratto non può proprio permetterselo. Il tutto nasce da un'innocua domanda su un gruppo di famiglia di WhatsApp: “Zio, tu conosci quel tipo che è morto di cui parlano oggi?”. Il tipo di cui parla mio nipote è Mark Hollis, voce dei Talk Talk, e dimostrazione lampante che se su i social si parlasse più spesso di buona musica, magari prima dei coccodrilli, non è poi così scontato che un/a sedicenne a caso la snobberebbe sempre e a prescindere. Comunque, se un tempo probabilmente avrei fatto spallucce rilasciando un sarcastico “Mai coperti...” (sottotitolo: “Non è vero ma io con gente etichettata come new romatic non voglio averci nulla a che fare”), ora gli rispondo in un’unica tirata che sì, lo conosco come se avessimo fatto il liceo assieme e che dei Talk Talk non si vedono in giro le magliette come i Ramones o i Joy Division solo perché le copertine dei loro album sono più brutte, che la loro canzone più nota è Such A Shame, il cui video lo può trovare facile su YouTube, ma anche It’s My Life non era da meno e ne esiste una versione rifatta dai No Doubt, la cui cantante, Gwen Stefani, gli sarà anche capitata sotto il naso su qualche rivista sua o di sua mamma. Insomma, gliela vendo stra-bene. In realtà, rispetto ad altri artisti, so veramente molto poco di più di quanto gli ho detto, sia di Mark David Hollis che dei Talk Talk. A mia discolpa però posso dire che, partendo dal presupposto che in giro c’è tanta di quella musica che alla fin fine chiunque si perde più o meno volontariamente qualcosa per strada, non ho mai studiato a fondo i Talk Talk perché (oltre ad avere magari un altro tipo di ascolti) quando mi sono trovato a parlare di loro, quelli che sono stati i miei interlocutori per tanto tempo me ne hanno parlato in un modo per nulla allettante. Che poi era su per giù questo. Alla domanda: “Che genere fanno?” la risposta era “Non lo so, è difficile da inquadrare, è rock ma molto intellettuale”. Che già mi stanno tre volte più sul culo di prima che lo dicessi. Che poi sostanzialmente è perché, con una definizione tale, mi fai venire in mente gente con l'occhialino e l'attitudine di Carlo Verdone versione Iris Blond and the Freezer. Che poi, ovvio, non corrisponde alla realtà dei fatti manco di striscio - grazie a dio - ma intanto hai fatto allontanare di due metri e mezzo la mia voglia di approfondimento. Ma questo non lo posso di certo dire a mio nipote. Per lui serve una versione dopata, carica di un'indagine che neanche Focus. Anche se Mark Hollis non era un tossico, non soffriva di nessun tipo di disturbo bipolare della personalità, non era sposato con una modella/influencer e, soprattutto, era atletico come potrebbe esserlo Tim Roth con le orecchie a sventola e i capelli sempre ricadenti sugli occhi. Mission: Impossible. Insomma, rischio di perderlo nuovamente nei meandri di chi sa quale patacca post-moderna coi tatuaggi sulla faccia. Per fortuna, nel corso degli anni, ho conosciuto estimatori di Mark Hollis e dei Talk Talk anche al di fuori della cerchia di intellettualini universitari che te ne parlano aggiustandosi gli occhiali col dito medio - tra cui un nutrito gruppo di più o meno insospettabili musicisti. Gente che ha contribuito a creare nella mia mente un piccolo Best Of (che non necessariamente corrisponde a un Greatest Hits) della band. Così gli spiego subito che con i gesti e l'attitudine tutt'altro che tradizionali per una rockstar, l'aria un po' timida di chi, se lo si paragona a Morten Harket, è fatto di tutt'altra pasta, il cantante dei Talk Talk, più che un fascinoso idolo androgino come moda dell'epoca, era un raffinato musicista tra avanguardia, pop e nuovo rock. Anche se all'epoca venne etichettato come promessa dei “nuovi romantici” e persino come “icona dance”. Mark Hollis ha cominciato la sua singolare carriera dalle ceneri dei Reaction, duo punk composto col fratello Ed che incuriosì la Beggars Banquet Records, etichetta della madonna con gente come Gun Club o The Fall nel suo catalogo, ben prima che quel fenomeno chiamato new wave esplodesse in tutte le sue declinazioni. E' solo nel 1982, però, che il gruppo trova spazio e attenzione, anche se più come fenomeno di costume che come un originale progetto musicale. L'ingombrante presenza infatti di Colin Thurston, già produttore dei Duran Duran, fa si che i Talk Talk per due anni siano soltanto una variante di quella corrente romantica, soltanto forse meno frivola. Dopo un paio di dischi in quella direzione, The Party's Over e It's My Life, i Talk Talk sono già una band passata dal riempire a malapena gli ottocento posti del Piper Club ai quattromila posti del Tenda Strisce. Ed è qui che Hollis, toccato l'apice e firmato il contratto con la EMI, rivela la sua personalità mandando, se si può dire, tutto in vacca. Con The Colour Of Spring, svoltando verso atmosfere sonore complesse e raffinate, immaginando un pop elegante e ai confini più con la psichedelia che con la dance, semmai con la trance, certa ambient e avanguardia, lontano anni luce da tutti gli stereotipi “romantics” - a meno che i fan dei Wham! non fossero soliti leggere Tennessee Williams (Life Is Whyt You Make It) o Charles Dickens (Time It's Time). Sarà quella la strada spianata per il successivo Spirit Of Eden, in pratica un album slowcore-inside senza saperlo (I Believe In You), dove la miscellanea si amplia ancora (suonano ben 17 musicisti, tra cui oboe, clarinetto, fagotto, violino, corno e dio solo sa che... più un intero coro!) verso il jazz, la musica da camera, minimalismi free-form e quindi verso un clamoroso insuccesso commerciale. Il successivo Laughing Stock, infine, per molti anticiperà il concept di fondo di tanto post-rock (After The Flood, New Grass e Ascension Day). In realtà il pubblico aveva già assistito a trasformazioni importanti e in corso d'opera, basti pensare a Tin Drum dei Japan prima del David Sylvian solista, ma la vicenda di Mark Hollis fa più scalpore perché ancora più estrema. Un salto nel vuoto che lo porta dalla in classifica con tre singoli contemporaneamente al nulla cosmico – e una rivalutazione a posteriori, visto che in un primo momento le bocciature fioccarono da ogni parte. La lezione che ne possiamo trarre tutti è la bellezza di una dimensione comunicativa meno immediata, forse, ma più profonda. Meno facile e che non sempre riesce a tutti. Il difetto maggiore che si riscontra è infatti di solito una certa monotonia data dalla voglia di apparire a tutti i costi “intelligenti”, una singolare piattezza di sonorità e di atmosfere che non si attutisce nemmeno chiamando in causa fior fiori di musicisti (chi ha detto Robert Fripp?). Mark Hollis con i Talk Talk, e poi con la sua carriera solista, è riuscito ad evitare tutto questo. Centellinando poi sempre di più le sue uscite (a volte anche sotto pseudonimo) fino a scomparire. Diventando una sorta di (inconsapevole) outsider, senza bisogno di essere svitato come Brian Wilson o incomprensibile (almeno ai più) come Frank Zappa. Destando ammirazione e curiosità tanto negli UNKLE – con i quali collaborò in un brano - quanto in Robert Wyatt - di cui co-produsse la raccolta complementare alla biografia di Marcus O'Dair. Saluto mio nipote e gli dico che, se butta un occhio la prossima volta che passa dalla Feltrinelli, un disco dei Talk Talk è facile che lo riesca a trovare a meno di 5€. Potrebbe farci un pensierino. Può essere si tratti solo da una delle miriadi di raccolte uscite negli anni, ma chi ben comincia è a metà dell’opera.
#talk talk#mark hollis#new romantic#duran duran#morten harket#brian wilson#beach boys#unkle#robert wyatt#robert fripp#japan#david sylvian#smiths#slowcore#post-rock#feltrinelli#gun club#the fall#joy division#ramones#musica
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UK: Blazing Flame Quintet -The Set List Shuffle(Leo Records 2017)
This sixth CD by Blazing Flame is what might be heard at a Blazing Flame Quintet gig. The January 2017 recording, played live at The Factory, Bristol, UK, contains no overdubs; the music is improvised. The intensity in Steve Day's songs takes a track like Specimen Orchid into a politicised jazz history akin to secular chant. Steve Day - voice, percussion, Peter Evans - el. violin, Mark Langford - tenor sax, bass clarinet, Julian Dale - bass, Anton Henley - drums. Leo Records Blazing Flame Quintet are (left2right) Julian Dale (double bass, cello), Peter Evans (5 string electric violin), Anton Henley (drums, percussion), Steve Day (voice, words, percussion), Mark Langford (tenor sax, bass clarinet There's a buzz about Blazing Flame Quintet. German writer, Rigobert Dittman described vocalist/poet Steve Day's music as having "astonishing imagination and an alchemical flame..." The UK's top jazz magazine, Jazzwise, has referred to Peter Evan's violin performance being on "startling form". Mark Langford (tenor sax, bass clarinet), has a reputation as a phenomenal musician with 'underground improv' status. The bass/drums team of Julian Dale and Anton Henley fuse orchestral composition and the blues. Jazz author Marcus O'Dair likened Steve Day to a cross between Tom Waits and Vic Reeves before stating: "....if that sounds absurd, it isn't." (facebook)
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Marcus O'Dair, "Robert Wyatt, Different Every Time", le Castor Astral, 2014 Le visage qui dévisage le lecteur en couverture (photo de Renaud Monfourny) est à lui seul une invite et un avertissement. Une invitation à se saisir de ce livre, à s'y plonger comme on imagine la main du musicien se plonger dans l'abondance de sa barbe pour en sonder les recoins. Un avertissement à ne pas s'y tromper en allant y chercher autre chose que ce que ce regard intense mais à l'étincelle fantaisiste voudra bien nous devoiler. Et c'est la grande réussite de l'auteur, de nous emmener sans prétention dans une exploration linéaire mais pleine de cette fantaisie à la fois drôlatique et tragique qui caractérise Robert Wyatt. Au fil des pages, le chemin parcouru par le batteur admirateur de Jarry aux côtés de Kevin Ayers et Daevid Allen à ses débuts (mais les années de formation au sein d'une famille extraordinaire ne sont pas mal non plus), fêtard invétéré qui en fait voir des vertes et des pas mûres à sa première femme se mue au fil des rencontres en chemin buissonnier, avant et après l'accident que l'auteur a le bon goût, comme Wyatt lui-même, de ne faire apparaître que comme une péripétie importante certes mais qui, si elle déterminera un grand nombre de changements, ancrera aussi un grand nombre de particularités du triturer de voix et d'instruments. Au fil de son parcours, de ses choix, de ses calvaires et de ses réussites, nous faisons aussi la connaissance plus approfondie d'Alfreda Benge, sa deuxième épouse, sa force et son inspiration. On a l'habitude de la considérer seulement comme l'illustratrice de ses pochettes, mais elle apparaît au cours du livre comme la force motrice derrière Wyatt, celle qui conduit la vie domestique et qui co-signe de nombreux titres mais aussi qui tire le chanteur vers le haut quand il se noie dans les abîmes de la boisson ou de la dépression. Aucun voyeurisme ni apitoiement pour autant, tout cela est conté avec simplicité. Et lorsque le livre se clôt sur la quasi-certitude que la boucle est bouclée, que nous ne verrons pas Robert Wyatt sur scène dans son propre rôle de chanteur, ni que peut-être il ne reste que peu de chances qu'un nouvel album paraisse un jour, nulle tristesse ne vie t assombrir ce tableau : nous ne sommes que reconnaissant d'avoir pu fouler le même monde que Robert Wyatt, et à la même époque, chanceux que nous sommes d'avoir pu améliorer notre propre quotidien avec la poésie et la musique si particulières de cet enfant perpétuel, à la voix si proche de nous bercer sans jamais nous endormir. Comme ses opinions politiques, sa musique nous maintient sur la brèche, proches d'un bienheureux déséquilibre. Ce n'est pas la moindre des qualités de ce livre d'avoir réussi à nous faire ressentir cet état instable et enivrant.
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Robert Wyatt - Free Will and Testament
Loving Robert's biography Different Every Time by Marcus O'Dair
Fabulous version of a beautiful song.
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