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#l'ombra cremisi
crisicsgames · 8 months
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EPIC BAYONETTA 3 ❤️ JEANNE & L' OMBRA CREMISI 🎮 SWITCH 60f
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ridammilamano · 4 years
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.         ɪɴsɪᴅᴇ ᴍʏ ʜᴇᴀᴅ   ∿   🐈✨         ⟡ dorianne modigliani # 001         19 aprile   ›   ᴠɪʟʟᴀ ʙᴏʀɢʜᴇsᴇ # Creare un personaggio dal nulla non è cosa facile, almeno per me. Il mio istinto tesse i suoi fili in base agli aspetti che immagino abbia ed è un po' come lasciarsi guidare, non agire per volontà propria. Questo per dirvi che Dorianne non la conosco, seppur sia farina del mio sacco. Con il seguente monologo voglio dare inizio ad una serie di scritti che permetteranno a voi e a me di entrare nei meandri della sua mente, dove scoppiettano mille e più pensieri riguardanti ciò che la circonda. Ne approfitto di questa nota real per ringraziare chiunque stia leggendo, poiché guardare al di là del proprio naso non è più da tutti. Men che meno sul fake, ahimè. Il tempo. Mi son sempre chiesta se fosse giusto misurarlo con minuziosità, tanto da diventarne dipendenti. Per esempio mio padre, Pietro Modigliani, non può farne a meno. Egli possiede un vecchio orologio da tasca a due lancette, risalente al secolo della sua creazione, ovvero il 1800. Funziona perfettamente, grazie alle accortezze che ripone in esso. Riesco a vederlo dinanzi a me, nonostante io abbia gli occhi chiusi, e dire a mia madre ''Helie, il tuo cellulare segna le due in punto?'' così da controllarne la stabilità. Mi vien da ridere, poiché l'unico orologio della mia vita, quello che indosso al polso sinistro, è fermo da mesi. Sto coprendomi la bocca con la mancina, un profondo sbadiglio ha sfumato i miei pensieri, proprio come il fumo che sta soffiando via una donna attraverso una piccola ''o'' al centro delle sue labbra colorate d'un caldo cremisi. L'osservo senza attenzione, ancor preda del breve riposo consumato sotto l'ombra d'un salice. ''Chissà quanti anni ha...'' penso, e ritorna alla mente il tema che quest'oggi prevale su ogni altro argomento. Il tempo. Non lo sopporto, eppure io ci lavoro con esso, anzi, è fondamentale per chi, come me, studia e ricerca gli elementi del passato. Può considerarsi, secondo un personale punto di vista, uno di quei colleghi che vorresti non incontrare in ufficio ma che puntualmente ti ritrovi davanti, sempre sorridenti e con tanta voglia di fare. La figura femminile si è accorta del mio sguardo, or ora non più così assente, e si volta da un'altra parte, forse imbarazzata o, a mio discapito, infastidita. Potrei giurare d'essermi addormentata solo qualche minuto, eppure Villa Borghese non brulica di persone, non come prima. Cerco Fabrizio girandomi qua e là , ma non riesco ad individuarlo. Entrambi siam giunti stamane a Roma, dopo aver viaggiato su d'un battello per Palermo e su d'un aereo per Fiumicino. Cedo nuovamente all'ozio, ridistendendomi sull'erba coperta da un soffice telo giallo, posizionato da me appena arrivata al parco. Le mie iridi adesso guardano il cielo sgombro di nuvole ed il sole bacia con precisione la mia guancia sinistra, ciò vuol dire ch'io sia rivolta verso sud e che esso stia proseguendo verso ovest, preparandosi al tramonto. Ecco, a me basterebbe dividere il di' in due semplici parti: il giorno e la notte. Come gli antichi babilonesi o gli antichi cinesi. Invece no, son parte integrante d'una popolazione che corre dietro i secondi, tutti accostabili all'apprensivo Bianconiglio di Carroll. Che ansia. Sospiro, poi mi rialzo col busto ed ecco che appare il buon e bello Marangon. ''Sei andato a comprare le sigarette?'' gli chiedo, e finalmente metto a tacere le polemiche nella mia testa.
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dorianpavlov-blog · 7 years
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                    ┇𝖱𝖾𝗏𝖾𝗇𝗀𝖾;                        ➘                    ━ Seoul, South Korea                     ( 𝟣𝟢.𝟢𝟪.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟩:𝟢𝟢 )                                                                     Il buio pareva inghiottire tutto quel che, in quella stanza, era presente. Dava la sensazione di essere un semplice palco preparato affinché l'atto finale potesse consumarsi, lì, al centro di un misero scantinato; nonché unico punto che la lampadina illuminava con una fioca luce di un fastidioso giallo morto. Lampadina che faceva da riflettore sul protagonista di quella scena che ben presto si sarebbe senz'altro tinta di un meraviglioso rosso cremisi. Non appena la porta venne aperta con estrema disinvoltura, poi, l'unica fonte di illuminazione a pendere dal soffitto vacillò, mostrando l'uomo bloccato sulla sedia mediante delle catene, soltanto ad intermittenza. Dorian ebbe, però, modo di comprendere che il capo altrui fosse chino, probabilmente persino gli occhi socchiusi, a causa dell'estrema noia che s'era protratta in quelle ch'erano sicuramente parse interminabili ore per l'altro. Aveva pensato bene, Dorian, che una lunga permanenza in quel seminterrato sprovvisto di alcuna finestra, in totale solitudine, non potesse far altro che giovare al suo ospite d'onore. Difatti non s'era minimamente degnato di andare a fargli visita, sin da quando era stato catturato, se non in quel momento; riteneva giusto, a quel punto, che il trattamento pensato per Aleksandr potesse essere messo finalmente in atto.
‹‹ Se credi che lasciarmi da solo per più di un giorno possa risultare una tortura, ti sbagli. ››
   La voce altrui si palesò con tono basso, rauco, fin troppo graffiato a causa della mancata assunzione di acqua. Le parole diedero la sensazione di aggrapparsi alle pareti della gola, lacerandone la carne al minimo spostamento. Questo, perché, non appena terminato di dar voce ai suoi pensieri, Aleksandr si ritrovò a tossire. Era visibilmente spossato per la carenza di cibo, o per il non aver minimamente dormito per più di ventiquattro ore. Dorian era stato categorico su quel punto: non appena egli avrebbe dato cenno di bramare un qualsivoglia riposo, dagli altoparlanti situati tra la sottile linea a dividere pareti e soffitto, sarebbero dovuti partire suoni sgradevoli a qualunque udito; principalmente, delle canzoni che di rilassante avevano ben poco. Tutto ciò era possibile unicamente con l'aiuto della telecamera posizionata esattamente sullo stipite della porta da cui era appena entrato il minore e, ovviamente, puntata sulla figura esausta di Aleksandr. Era convinto il russo che ChangHyun, dinnanzi ai molteplici schermi che facevano da sua postazione principale, osservava la scena. Almeno, fino a quando la lucina rossa della videocamera non si spense e Dorian poté comprendere che quel che sarebbe accaduto a breve, al coreano non interessasse minimamente.
‹‹ Non hai la minima idea di cos'ho in serbo per te. ››
   Sulle labbra di Dorian apparve l'ombra di un mezzo sorriso compiaciuto. Fu piuttosto chiaro quanto osservare l'altro in quelle condizioni lo rendesse, in modo disumano, totalmente soddisfatto. Eppure, iniziò ad avanzare nella direzione altrui con la stessa disinvoltura con cui aveva fatto la sua entrata in scena: senza fretta, perché per una volta il tempo era dalla sua parte. Deviò all'ultimo momento, quand'era ormai a pochi centimetri dalla figura di Aleksandr, poi, per spostarsi in direzione di un carrello accantonato contro la parete destra; al di sopra si potevano notare alcuni arnesi disposti ordinatamente, quasi in modo maniacale. Uno degli uomini di ChangHyun si era premurato di preparare tutto nei minimi dettagli, per quel momento tanto atteso da Dorian.
‹‹ Non trovi anche tu che sia esilarante? Mi riferisco a come io mi sia divertito anche con te, prima del tuo incidente. Quello che ho causato personalmente. ››
   Nessuna emicrania, stavolta, a preannunciare l'imminente ricordo a far capolino nella sua mente danneggiata. Adesso che l'aneurisma era stato totalmente rimosso, il flashback di un passato non così lontano, fluì all'esterno della sua gabbia con una velocità disarmante. Le dita di Dorian, quasi stessero ponderando sul da farsi, sfioravano i diversi bisturi posti sul carrello in acciaio;  ma si bloccarono di colpo, non appena egli parlò. Frammenti di immagini s'appropriarono della sua mente, della sua vista ━ seppur le palpebre fossero calate a mo' di sipario ━ e fu una fortuna che desse le spalle ad Aleksandr affinché l'altro non potesse rendersi conto di quel che stava realmente accadendo. All'esterno sembrò semplicemente che Dorian cercasse qualcosa con cui infliggergli nuove pene. Ma la realtà era ben diversa: Dorian stava facendo i conti con qualcosa che le parole altrui avevano innescato. Il dolore che in un attimo lo aveva totalmente avvolto, più di anno prima, s'era ripresentato, quasi ricordare potesse fargli riprovare esattamente le stesse sensazioni causate dall'incidente automobilistico che lo aveva portato in coma per un lasso di tempo troppo lungo.
   Vide l'autocarro, ormai troppo vicino per poterlo evitare, avanzare in sua direzione ad una velocità disarmante; ricordò la conversazione che nel mentre stava avvenendo al telefono con Changhyun. E, poi, il vuoto assoluto. Riaprì gli occhi, Dorian; la mascella serrata, i muscoli delle spalle fin troppo tesi a far presente che la rabbia avesse appena fatto la sua comparsa. V'erano così tanti motivi per cui farla pagare all'uomo seduto su quella sedia. Troppi, per poterli ignorare. Per poter ignorare l'impellente desiderio di lacerare la sua carne, lembo dopo lembo, fino a strappargli persino l'anima.
‹‹ Dev'essere stato un vero colpo per voi, scoprire io fossi ancora vivo. Ma avresti dovuto immaginare che sarei tornato e che tu saresti finito esattamente così. ››
   Rispose con lo stesso tono a celare malsana ironia, Dorian, mentre, dopo aver afferrato una pinza, tornò a voltarsi in direzione altrui. Non lasciò trasparire in alcun modo la sensazione di disagio poco prima provata; per quanto si sentisse esattamente nel posto giusto, nella situazione che più gli calzava, continuava ad esservi qualcosa di sbagliato. Qualcosa che mancava; un tassello i cui ricordi erano ancora troppo lontani, smarriti, lasciati indietro lungo un percorso durato mesi.
   Non permise all'altro di proferire ancora parola, però. Non era una risposta che voleva, Dorian. Voleva vedere quel corpo contorcersi dal dolore che lui stesso gli avrebbe procurato, voleva udire il meraviglioso suono che ne sarebbe conseguito. Voleva vendetta. Difatti si avvicinò pericolosamente all'altro e poté vedere un baluginio di paura nelle iridi chiare di Aleksandr, poi, quando andò ad afferrare la mano destra altrui, quella storpia, con la sua, quella libera. Senza battere ciglio o avvertire, Dorian, andò a stringere una delle unghie altrui tra le grinfie della pinza poco prima recuperata, per poi strapparla con un colpo netto. L'altro serrò con forza le labbra, pur di non dare alcuna soddisfazione al suo carnefice. Ma Dorian non aveva alcuna intenzione di fermarsi.
‹‹ Non mi interessa tanto che tu mi abbia torturato. Dopotutto, c'è chi lo ha fatto prima di te, non pensi? ››
   Saltò la seconda unghia, non appena Dorian terminò di parlare; con più impeto rispetto alla precedenza. La sensazione che stesse riversando la sua più remota rabbia su quel corpo, fu palpabile. Lo guardava negli occhi con una luce deleteria, da far raggelare il sangue a chiunque. V'era follia, nelle iridi di Dorian. V'era rabbia.
‹‹ Il vero problema è che io non tolleri venga fatto del male agli altri, soltanto per arrivare a me. ››
   La forza immessa nel sradicare un'ulteriore estremità di quelle dita, apparve davvero disumana a quel punto, tant'è che finalmente un urlo si issò, dopo esser colato fuori dalle labbra altrui. Si lamentò, Aleksandr, nel disperato tentativo di ritrovare un equilibrio mentale che non lo facesse cadere in totale mercé di Dorian. Ma non sarebbe servito a nulla, considerato quanto rancore lui stesse riversando in quei gesti fin troppo veloci ed insistenti.
‹‹ Per non parlare dell'odio che provo, quando qualcosa di mia proprietà mi viene portata via. ››
   La quarta struttura semitrasparente situata alla sommità dell'ultimo dito di quella mano, venne strappato in malomodo, con un gesto così brusco da far desiderare ad Aleksandr che tutto ciò cessasse per potersene tornare all'assordante solitudine di prima. Si scambiarono l'ennesimo sguardo, in seguito, e denotò quanto il maggiore stesse disprezzando quel momento, di quanto stesse disprezzando Dorian.
‹‹ Novomir ha avuto ragione su di te, dal primo momento. Siete due facce della stessa cazzo di medaglia. ››
   Sputò fuori, l'uomo, insieme ad un po' di saliva raccolta dalla cavità orale. Saliva che si infranse contro il tessuto nero della camicia che Dorian indossava in quel momento, all'altezza del torace. Ma non fu questo su cui si focalizzò il minore, bensì sulle parole dall'altro proferite. Aveva avuto modo di ricordare che Novomir fosse la causa di ogni suo cambiamento, che fosse la sua nemesi per eccellenza, il suo peggior incubo; eppure le parole altrui continuarono a tormentarlo, nei secondi successivi. Dorian non rispose, non emise il minimo suono, mentre tornò al carrello su cui gettò con rabbia la pinza le cui fauci grondavano del sangue di Aleksandr.                  ‵ ‵ Decidi chi vuoi essere, figliolo;          la vittima o il carnefice? È semplice. ‵ ‵                Quella voce riecheggiò dall'angolo più remoto della sua mente, così vivida da sembrare che avesse riempito comunque l'intero ambiente circostante; quasi la fonte potesse trovarsi lì, tra quelle quattro pareti dello scantinato. Se non fosse totalmente lucido, Dorian, si sarebbe ritrovato a volgere lo sguardo in ogni angolo di quella stanza, per potersi accertare che non vi fosse realmente nessuno oltre lui ed Aleksandr. La situazione iniziava a spazientirlo, così come lo spazientiva l'aver udito quella voce, quelle parole. Il suo più grande rimpianto era celato in quella proposta, tanto allettante quanto tossica.
‹‹ Lo sai Alek, ti agiti un po' troppo. Saresti molto più a tuo agio se ti rilassassi. ››
La voce rauca di Dorian si amalgamò a qualcosa di poco definito, come se presente e passato fossero appena divenuti una cosa soltanto. Quella frase, nel momento stesso in cui venne proferita, fu accompagnata da un flashback. E appariva così maledettamente calmo, adesso, Dorian. Come se la rabbia fosse totalmente fluita via, per cedere il posto a ricordi che, con tutto sé stesso, aveva provato a reprimere sino a quel preciso istante. Ricordi ch'erano l'unico motivo per cui la mente di Dorian si opponeva di fargli recuperare totalmente la memoria. Ricordi che facevano da gabbia a tutti gli altri, affinché il briciolo di umanità ritrovato non andasse perso ancora una volta.
‹‹ Ora penso sia arrivato il momento di fare sul serio. ››
   Si era voltato nuovamente in direzione di Aleksandr, con un'espressione a dir poco gelida ed uno sguardo a non presagire nulla di buono. Tra le mani un bisturi che rifletté la luce fioca della lampadina. L'immagine di Dorian, ad intermittenza, si scambiava di posto con quella presente in uno degli ennesimi ricordi che stava rivivendo. Ricordi in cui faceva da protagonista, ricordi in cui da vittima era divenuto carnefice. Ricordi che si proiettarono nella realtà e presero forma, in un angolo dello scantinato, ove alcuna illuminazione poteva giungere. Non si volse, Dorian, ma sapeva che una figura si ergesse alle sue spalle; poteva percepire il sorriso compiaciuto sulle labbra di quell'uomo che tormentava le sue notti, la sua mente, la sua anima. L'osservava come il maestro quale era, che aveva insegnato, nel peggiore dei modi, tutto ciò che sapeva al suo allievo.
   Un allucinazione, una proiezione astratta, un ricordo che come argilla s'era plasmato affinché assumesse la forma che gli spettava: non importava cosa realmente fosse, perché Novomir era perennemente presente nella sua vita, nonostante, adesso, Dorian ricordasse che fosse morto nelle profondità del fiume Han nel momento stesso in cui sarebbe dovuto morire anche lui. Ma non fu soltanto questo che il russo rimembrò: l'uomo seduto su quella sedia, con le sue parole e quell'intera situazione venutasi a creare, aveva permesso a Dorian di ritrovare qualcosa che bramava da mesi. Qualcosa che sarebbe stata la vera rovina della Solncevskaja bratva.
   Aleksandr avrebbe dovuto realmente temere Dorian, adesso che rammentava tutto nei minimi dettagli. Tutti loro avrebbero dovuto farlo, adesso che s'era riappropriato della memoria perduta.
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lineamara · 8 years
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L'usignolo e la rosa – Oscar Wilde
"Ha detto che ballerà con me se le porto rose rosse" esclamò il giovane Studente, "ma in tutto il mio giardino non c'è nemmeno una rosa rossa".
Dal suo nido nel folto della Quercia l'Usignolo lo sentì e guardò attraverso le foglie e si stupì. "Nemmeno una rosa rossa nel mio giardino!" ripeté e i suoi begli occhi si riempirono di lacrime. "Oh! Da che misere cose dipende la felicità! Ho letto tutto quello che i saggi hanno scritto, e possiedo ogni segreto della Filosofia; ma ora, poiché mi manca una rosa rossa, la mia vita è rovinata." "Ecco, dunque, un vero innamorato!" disse l'Usignolo. "Notte dopo notte ho cantato per lui, anche se non lo conoscevo: notte dopo notte ho raccontato la sua storia alle stelle e, finalmente, lo vedo. I suoi capelli sono scuri come il bulbo del giacinto, e le sue labbra sono rosse come la rosa che bramerebbe avere; ma la passione ha reso il suo viso pallido come avorio e il dolore ha impresso il suo sigillo sulla sua fronte". "Il Principe darà un ballo domani sera" mormorò il giovane Studente, "e il mio amore ci andrà. Se le porterò una rosa rossa, lei danzerà con me fino all'alba. Se le porterò una rosa rossa, la potrò tenere tra le mie braccia e lei appoggerà il suo capo sulla mia spalla e la sua mano stringerà la mia. Ma non c'è nemmeno una rosa rossa nel mio giardino, cosicché io siederò da solo e lei mi passerà vicino. Non si curerà di me e il mio cuore sarà spezzato". "Ecco, dunque, un vero innamorato!" disse l'Usignolo. "Per ciò di cui io canto, lui soffre: ciò che è gioia per me, per lui è sofferenza. Certamente l'amore è una cosa meravigliosa. È più prezioso di uno smeraldo e più raro del più splendido opale. Le perle e i granati non riescono a comprarlo, e nemmeno si riesce a trovarlo al mercato. Non può essere acquistato dai mercanti, né può essere pesato su un bilancino per l'oro". "L'orchestra siederà sul palco" disse il giovane Studente, "e suonerà, e il mio amore ballerà al ritmo dell'arpa e del violino. Danzerà con leggerezza, senza nemmeno toccare il pavimento e i cortigiani si affolleranno nei loro vestiti variopinti attorno a lei. Ma con me non ballerà: non ho una rosa rossa da donarle". Detto questo si gettò sull'erba e si coprì il volto con le mani e pianse.
"Perché sta piangendo?" chiese una piccola Lucertola verde, correndo accanto a lui agitando la coda in aria. "Perché, insomma?" chiese una Farfalla, mentre volava in un raggio di sole. "Perché, insomma?" sussurrò una Margherita alla sua vicina con voce bassa e sottile. "Sta piangendo per una rosa rossa" rispose l'Usignolo. "Per una rosa rossa!" esclamarono. "Che cosa ridicola!" E la piccola Lucertola, davvero cinica, gli rise in faccia. Ma l'Usignolo capì il segreto dispiacere dello Studente e rimase silenzioso, appollaiato su un ramo della Quercia, pensando al mistero dell'Amore. Improvvisamente, aprì le sue ali marroni e si librò nell'aria. Passò attraverso il boschetto come un'ombra, e come un'ombra volò attraverso il giardino. Al centro di un'aiuola cresceva un bellissimo Cespuglio di rose, e quando lo vide gli volò sopra, posandosi su di un piccolo ramo. "Dammi una rosa rossa" esclamò, "e ti canterò la mia canzone più dolce". Ma il Cespuglio scrollò il capo. "Le mie rose sono bianche" rispose, "bianche come la schiuma del mare, e più bianche della neve sulle montagne. Ma vai da mio fratello che cresce vicino alla vecchia meridiana, e forse lui ti darà quello che desideri". Così l'Usignolo volò sopra il Cespuglio di rose che cresceva vicino alla vecchia meridiana. "Dammi una rosa rossa" esclamò, "e ti canterò la mia canzone più dolce". Ma il Cespuglio scosse la testa. "Le mie rose sono gialle" rispose, "gialle come il capelli della ninfa marina che siede vicino al trono d'ambra, e più gialle dell'asfodelo che spunta nel prato prima che il giardiniere giunga con la sua falce. Ma vai da mio fratello che cresce vicino alla finestra dello Studente, e forse lui ti darà quello che desideri". Così l'Usignolo volò sopra il Cespuglio di rose che cresceva vicino alla finestra dello studente. "Dammi una rosa rossa" esclamò, "e ti canterò la mia canzone più dolce". Ma il Cespuglio scosse la testa. "Le mie rose sono rosse" rispose, "rosse come le zampe della colomba e più rosse dei grandi ventagli di corallo che ondeggiano nelle caverne dell'oceano. Ma l'inverno ha gelato le mie vene, e il gelo ha fatto cadere i miei germogli, e la tempesta ha spezzato i miei rami, e io non avrò più rose per quest'anno". "Una sola rosa rossa mi basta" insistette l'Usignolo, "solo una rosa rossa! Non c'è nessun modo per averla?" "C'è un modo" disse il Cespuglio, "ma è così terribile che non oso parlartene..." "Dimmelo" replicò l'Usignolo, "non ho paura!" "Se vuoi una rosa rossa" proseguì il Cespuglio, "devi costruirtela con il tuo canto alla luce della Luna, e colorarla col sangue del tuo cuore. Devi cantare per me con il petto squarciato da una spina. Devi cantare tutta la notte e la spina deve straziare il tuo cuore e il tuo sangue, il tuo fluido vitale, deve scorrere nelle mie vene, diventando il mio". "La morte è un caro prezzo da pagare per una rosa rossa" si lamentò l'Usignolo, "e la Vita è cara a tutti. È bello stare nel folto degli alberi e seguire il corso del Sole sul suo carro dorato e della Luna sul suo cocchio di perle. Dolce è il profumo del biancospino e dolci sono le campanule che si nascondono nella valle e l'erica che cresce sulla collina. Però l'Amore è più bello della Vita, e cos'è il cuore di un piccolo uccellino paragonato al cuore di un uomo?" Così l'usignolo distese le sue alucce marroni per il volo e s'innalzò in aria.
Passò il giardino sfiorandolo come un'ombra e come un'ombra volò dentro il folto del boschetto. Il giovane Studente stava ancora disteso sull'erba, come lo aveva lasciato, e le lacrime non si erano ancora asciugate nei suoi splendidi occhi. "Stai allegro" disse l'Usignolo, "stai allegro: avrai la tua rosa rossa. Te la costruirò con il mio canto alla luce della Luna e la colorerò con il sangue del mio cuore. Tutto quello che ti chiedo in cambio è che tu sia un buon innamorato poiché l'Amore è più saggio della Filosofia, benché essa sia saggia e più forte della stessa Forza, la quale è tuttavia potente. Le ali dell'Amore sono colore di fiamma e colore di fiamma è il suo corpo. Le sue labbra sono dolci come il miele e il suo alito è profumato come l'incenso".
Lo Studente alzò la testa dall'erba per ascoltare, ma non poté capire quello che l'Usignolo gli stava dicendo dato che conosceva solo le cose che sono scritte nei libri. Ma la Quercia comprese e si sentì triste, perché amava molto il piccolo Usignolo che aveva costruito il suo nido nel folto dei suoi rami. "Cantami un'ultima canzone" sussurrò, "mi sentirò molto triste quando tu non ci sarai più". Così l'Usignolo cantò per la Quercia e la voce gli uscì dalla gola come acqua che sgorga da un vaso d'argento. Quando concluse il suo canto lo Studente si alzò e tirò fuori di tasca un quaderno e una matita. ' È bella ' disse a se stesso, mentre usciva dal folto del boschetto ' e questo non si può negarlo; ma avrà del sentimento? Ho paura di no. In effetti è come la maggior parte degli artisti: è solo apparenza, apparenza senza sincerità. Non si sacrificherebbe per gli altri. Lei pensa solo alla musica e tutti sanno che le arti sono egoiste. Però bisogna ammettere che ha una bella voce. Che peccato che tutto questo non significhi niente o, comunque, non porti nessun beneficio pratico '. Si diresse, dunque, verso la sua stanza. Si gettò sul suo lettuccio e cominciò a pensare al suo amore; dopo poco si addormentò. E quando la Luna iniziò a splendere in cielo, l'Usignolo volò dal Cespuglio di rose e gettò il suo petto contro una spina. Tutta la notte cantò con il petto contro la spina e la fredda, pallida Luna si sporse ad ascoltare il suo canto. Tutta la notte cantò, e la spina penetrò sempre più profondamente nel suo petto, e il suo sangue, il suo fluido vitale, fuggì da lui. Dapprima cantò della nascita dell'Amore nel cuore di un ragazzo e una ragazza. E sul ramo più alto del Cespuglio di rose spuntò un fiore meraviglioso, petalo dopo petalo, man mano che una canzone seguiva l'altra. Era pallido, all'inizio, come la bruma che cala sulla riva del fiume nel primo mattino, e colore dell'argento, come le ali dell'aurora. Come l'ombra di una rosa in uno specchio d'argento, come l'ombra di una rosa in uno stagno, così si colorò il fiore che cresceva sul ramo più alto del Cespuglio. Ma il Cespuglio disse all'Usignolo di premere più forte contro la spina che gli trafiggeva il petto. "Premi più forte, piccolo Usignolo!" incitò il Cespuglio. "O il Giorno si alzerà prima che la Rosa sia spuntata". Così l'usignolo premette più forte e sempre più alta salì la sua canzone mentre cantava della nascita della passione nell'animo di un uomo e una donna. E un delicato flusso di colore tinse i petali del fiore, simile al rossore che coglie il volto del fidanzato mentre bacia la sua promessa. Ma la spina non aveva ancora raggiunto il suo cuore e per questo motivo il centro dei petali rimaneva bianco: solo il sangue del cuore di un Usignolo può arrossare il cuore di una rosa. E ancora il Cespuglio disse all'Usignolo di premere più forte contro la spina. "Premi più forte, piccolo Usignolo!" incitò il Cespuglio. "O il Giorno si alzerà prima che la Rosa sia spuntata". Così l'usignolo premette più forte e la spina trafisse il suo cuore: sentì una fitta dolorosa. Amaro, amaro fu il dolore e la sua canzone salì sempre più forte: cantava dell'Amore che è reso perfetto dalla Morte, dell'Amore che non può morire in una tomba.
E la meravigliosa rosa divenne cremisi, il colore del cielo ad oriente. Cremisi la ghirlanda dei petali e rosso rubino il cuore del fiore. Ma la voce dell'Usignolo divenne più debole e le sue piccole ali cominciarono a sbattere: un velo gli annebbiò la vista. Sempre più debole saliva la sua canzone e cominciò a sentire qualcosa che gli soffocava la voce in gola. Quindi cantò un'ultima volta. La Luna bianca l'ascoltò e si dimenticò dell'alba incombente, indugiando in cielo. La rosa rossa l'ascoltò e fu scossa da una specie di estasi, aprendo i suoi petali alla fresca brezza del mattino. L'eco portò il suo canto alla sua caverna purpurea sulle colline e svegliò i pastori dai loro sogni. Il suo canto galleggiò attraverso i canneti del fiume e arrivò fino al mare. "Guarda, guarda!" esclamò il Cespuglio. "La rosa ora è spuntata". Ma l'Usignolo non rispose perché giaceva morto nell'erba alta, con una spina piantata nel petto. E a mezzogiorno lo Studente aprì la sua finestra e guardò fuori. "Che fortuna incredibile!" esclamò. "Ecco una rosa rossa! Non ne ho mai vista una uguale in tutta la mia vita. È così bella che sono sicuro che deve avere un lungo nome latino". Si sporse e la colse. Si mise quindi il cappello e andò alla casa del Professore con la rosa in una mano.
La Figlia del Professore era seduta sulla soglia di casa ed era intenta a dipanare dall'arcolaio una matassa di seta azzurra. Il suo cagnolino era accoccolato ai suoi piedi. "Hai detto che avresti danzato con me se ti avessi portato una rosa rossa" cominciò lo Studente. "Eccoti la rosa più rossa del mondo. L'appunterai vicino al tuo cuore stasera e mentre balleremo ti dirà quanto ti amo". Ma la ragazza aggrottò le ciglia. "Ho paura che non si adatti al mio vestito" rispose, "e, inoltre il Nipote del Ciambellano mi ha mandato dei veri gioielli e tutti sanno che i gioielli valgono molto di più dei fiori". "Ebbene, parola mia, sei proprio ingrata" replicò lo Studente arrabbiato, gettando la rosa in strada. Il fiore cadde in un rigagnolo e la ruota di un carro la schiacciò. "Maleducato!" esclamò la ragazza. "Sei proprio maleducato. E dopo tutto chi sei? Solo uno Studente. In verità non credo nemmeno tu abbia fibbie d'argento alle scarpe come il Nipote del Ciambellano." Detto così, si alzò e rientrò in casa. "Che cosa sciocca è l'Amore!" esclamò lo Studente. "Non vale la metà della Logica: non dimostra niente, fa sperare in eventi che non succedono mai e fa credere cose che non sono vere. In effetti è poco utile, mentre in quest'epoca tutto deve essere utile. Tornerò alla Filosofia e studierò la Metafisica".
Così egli ritornò alla sua stanza, tirò fuori un vecchio libro polveroso e si mise a leggerlo.
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fune-di-fuga · 8 years
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Quando la Luna splendette nei cieli, l'Usignolo volò al roseto, e mise il petto contro la spina. Tutta la notte cantò, col petto contro la spina, e la fredda Luna di cristallo si chinò e ascoltò. Tutta la notte cantò, e la spina gli penetrò sempre più profondamente nel petto, e il sangue vitale rifluì da lui. Dapprima cantò la nascita dell'amore nel cuore di un giovine e di una fanciulla. E sul ramoscello più alto del rosaio fiorì una rosa meravigliosa, un petalo dopo l'altro, come una canzone seguiva l'altra. Pallida fu, all'inizio, come la nebbia sospesa sul fiume - pallida come i piedi del mattino, e argentea come le ali dell'alba. Come l'ombra di una rosa in uno specchio d'argento, come l'ombra di una rosa in una pozza d'acqua, così era la rosa che fioriva sul ramoscello più alto del rosaio. Ma il rosaio gridò all'Usignolo di stringersi più forte contro la spina. "Stringiti di più, piccolo Usignolo" esclamò il rosaio, "o il Giorno spunterà prima che la rosa sia finita." Così l'Usignolo si strinse più forte contro la spina, e sempre più sonoro crebbe il suo canto, poiché cantava della nascita della passione nell'anima di un uomo e di una fanciulla. E un delicato fiotto rosa venne nei petali del fiore, come il rossore nel viso della sposa quando bacia la bocca dello sposo. Ma la spina non era ancora giunta al cuore, e pertanto il cuore della rosa restava bianco, poiché solo il sangue del cuore di un Usignolo può imporporare il cuore di una rosa. E l'Albero gridava all'Usignolo di stringersi di più contro la spina. "Stringiti di più, piccolo Usignolo" gridava l'Albero, "o verrà il Giorno prima che la rosa sia finita" Così l'Usignolo si strinse più forte contro la spina, e la spina gli toccò il cuore, e una acuta fitta di sofferenza lo percorse. Amaro, amaro era il dolore, e sempre più folle si fece il suo canto, poiché l'Usignolo cantava l'Amore che viene reso perfetto dalla Morte, l'Amore che muore nella tomba. E la rosa meravigliosa si fece cremisi, come la rosa nel cielo d'oriente. Cremisi era la corona dei petali, e cremisi come un rubino era il cuore. Ma la voce dell'Usignolo si faceva più sottile, e le sue piccole ali cominciarono a battere, e una pellicola gli calò sugli occhi. Sempre più tenue si fece il suo canto, e lui si sentì soffocare da qualcosa in gola.
Oscar Wilde (L'Usignolo e la Rosa)
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vulpesfennec-blog · 8 years
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Capinera_Cap•1
Cap•1
Appena vent'anni e già ero nel giro della ricca borghesia Parigina, il periodo era sfarzoso e ricordato per sempre nel libri come Belle époque. Si potrebbero raccontare storie dai mille colori su quest'epoca, ma io ve ne racconterò una semplice che mi ha cambiato profondamente, sono Adrien Agreste e vi racconterò la storia del più bell'uccellino che io abbia mai visto, la Capinera.
Ero appena diventato il proprietario di una graziosa villetta in un quartiere calmo, aperto e, cosa più importante, lontano dalla confusione centrale di Parigi concentrata sotto l'ombra dell'arrogante ricchezza del patriarca della mia famiglia, Gabriel Agreste.
Mio padre era un uomo d'affari, sorto delle ceneri dei quartieri poveri, grazie ad un occhio per la moda che faceva acquolina a tutte le dame di Francia.
Io, nato tra i balocchi più pregiati, non feci fatica ad entrare a far parte degli investitori sulle nuove scoperte per poi far fortuna i breve tempo.
Parigi si crogiolava nel piacere del sapere nei salotto da caffè, ma comunque non molto lontano dalle luci delle vertine di profumi c'erano gli affamati alla ricerca di un soldo.
Mi ricordo che passeggiavo in una via di Parigi, quale non lo so, dopo un'accesa discussione con mio padre sul mio isolazionismo, avendo comprato una casa lontana dalla sua rigida ombra .
I monelli giocavano per strada, e tra di loro una bambina dalla chioma corvina cercava di riprendere un nastro cremisi, che faceva coppia con uno che le teneva metà dei capelli raccolti in un codino.
La bambina mi osservò sorridendomi, dimostrava si e no dodici anni, coperta con un vestitino logoro e a piedi nudi.
Mi si avvicinò, il viso era scarno e ceruleo.
«Signore mi scusi! Avrebbe un soldo da darmi? La prego, ho fame» disse tendendomi una mano.
Davanti a quelle parole dolci, ma disperate, vidi una parte della vita che non mi era mai toccata e che mi incuriosiva stringendomi il cuore.
Non potevo però abbassarmi dal mio rango, perciò in maniera ferma ma gentile cercai di allontanarla.
«Guarda che i tuoi amici se ne stanno andando via con il tuo nastrino
«Ma a me non interessa il nastrino, io ho bisogno di un soldo per prendermi del cibo» disse lei sorridendomi.
Un nodo mi serrò lo stomaco davanti a quella richiesta.
«Non hai dei genitori che provvedono a te?»
Lei chinò lo sguardo scuotendo la testa.
«Una casa?»
Lei alzò lo sguardo, e trattenendo una lacrima disse «No. Sono sola a questo mondo. Mio padre non l'ho mai conosciuto, morto quando ero piccola e mia madre…»
In quel momento la lacrima trattenuta scese, ma lei sorrise «…sta meglio ora che non c'è più neanche lei su questo modo. Io ora sono libera, ma la libertà richiede almeno un soldo per mangiare»
La piccola iniziò a giocherellare con un lembo del vestito che si era strappato, cercando di scacciare i dolorosi ricordi.
Mi attaccò una stretta al cuore alla visione di quella piccina smunta ma con una forza immane.
Mi abbassai leggermente, così da guardala meglio occhi.
«Non hai più nessuno da cui tornare? Una zia?Un nonno? Un parente alla lontana? L'orfanotrofio?» lei a ogni mia domanda scosse la testa guardandomi dritto negli occhi.
Non so cosa mi passò per la testa quel giorno, ma non me ne pento affatto.
Una scelta azzardata e su due piedi, ma sicura e piena di bontà per una bambina senza possibilità.
«Ti piacerebbe vivere in una bella casa, con bei vestiti, una camera per te e cibo sempre pronto in tavola?»
Era davvero una scelta presa su due piedi, ma a ripensarci il secondo dopo era perfetta. La mia casa nuova era vuota e piena di stanze, e abbastanza isolata da far comparire la bambina nella mia vita senza troppi giudizi.
La bambina scoppiò in lacrime, singhiozzando.
«Perché mi prendete in giro? Perché mi offrite a parole una cosa che in realtà non mi dareste?»
Tirai fuori il fazzoletto dalla tasca.
«Come mai potrei prendere in giro una così bella fanciulla?» chiesi porgendogli il fazzoletto ricamato.
«Dice sul serio? Oh, sarebbe così meraviglioso. La prego non mi prenda in giro, perché accetterei volentieri la sua proposta» disse tirando su con il naso.
Le misi la mia giacca sulle spalle, dovevo portarla a casa mia senza inciampare in conoscenze troppo giudiziose perciò mi allontanai piano, senza perderla di vista, chiamando una carrozza poco lontana.
Gli aprii la porta.
«Principessa la carrozza l'attende» dissi sorridendogli e accennando un inchino.
Salii sulla carrozza e dopo aver dato indicazioni al cocchiere partimmo.
«Marinette» disse lei guardando fuori dalla finestra della carrozza.
«Cosa?» le chiesi non avendo capito bene cosa aveva detto.
«Mi chiamo Marinette signore..»
«Ti prego chiamami solo Adrien, il “signore” mi fa sentire simile a mio padre» dissi concentrandomi sui particolari del viso della bimba.
Aveva due occhi come zaffiri e i capelli corvini le incorniciavano il viso di origini orientali.
«Suo padre?» disse riportandomi al discorso
«Gabriel Agreste, indosserai i vestiti del suo marchio appena arrivati»
La bambina rimase zitta, con gli angoli della bocca inclinati in un sorriso leggero, era luminosa.
Scendemmo dalla carrozza fermatasi davanti alla villetta.
I colori della primavera avevano iniziato a farsi largo nel prato verde che la circondava, un'edera aveva iniziato la sua arrampicata sulla facciata della casa colorata di rosso e giallo , con grandi finestre, circondata da un cancello di ferro semplice.
Lo sguardo della ragazzina era indescrivibile, illuminato da una felicità e da uno stupore mai visto.
«Ti piace?» le chiesi sorridendogli facendogli cenno, aprendo il braccio, di andare avanti.
«É…É una reggia» disse sottovoce, come se il pensiero fosse uscito dalla bocca direttamente dalla memte.
Le sue labbra avevano una forma morbida precisa, delicate come boccioli di rosa, leggermente rovinate dalla povertà che le aveva sottigliate dalla fame.
Le aprii la porta, ma lei non entrò.
«Non so quali sono le sue intenzioni, se realmente é dolce con me offrendomi una possibilità, o mi vuole solo sfruttare a suo indicibile scopo. Ma tanto non ho più niente da perdere, perciò mi sto fidando di lei, qualsiasi cosa mi riservi il futuro lo scoprirò solo varcando questa soglia.» disse guardandomi negli occhi facendosi seria.
«Non potrei mai. Ho sempre vissuto in un mondo sfarzoso e ricco, e ora che mi sostengo sulla mia fortuna e non più su quella di mio padre ho deciso di dare questa possibilità a qualcuno, te, che al contrario non l'hai avuta.» dissi ricambiando lo sguardo.
Feci un passo avanti, varcando la soglia.
«Vuoi entrare quindi?» mi girai leggermente porgendogli una mano, che lei afferrò senza indugi.
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3577273
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crisicsgames · 9 months
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JEANNE 🩷 ENEMY BASTARD 4K BAYONETTA 3
da una scena del capitolo extra l'ombra cremisi tutto in 2d molto bello che vedremo più avanti
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dorianpavlov-blog · 7 years
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                       ┊𝖣𝖾𝖺𝗍𝗁 ;                          ➘                    — 𝒮𝑒𝑜𝓊𝓁, 𝒮𝑜𝓊𝓉𝒽 𝒦𝑜𝓇𝑒𝒶                   ( 𝟣𝟧.𝟢𝟩.𝟤𝟢𝟣𝟩 — 𝑜𝓇𝑒 : 𝟣𝟩:𝟢𝟥 )                                ‹‹ E' uno dei russi a seguito di Aleksandr. Si chiama Igor. ››
   Fu tutto ciò che ChangHyun proferì, prima che l'uomo venisse spintonato ai piedi del russo — all'angolo delle sue labbra colava un rivolo di sangue ancora fresco e la carne della guancia era dilaniata da una recente ferita. L'intero capannone era stato allestito affinché quell'incontro potesse avvenire. Avevano cercato tutta la notte, senza sosta; aveva cercato ma senza alcun risultato. Di YoungHae nemmeno l'ombra, come se le profondità della terra lo avessero risucchiato e di lui non fosse rimasto altro che quella fottutissima opale bianca. Lo colse la consapevolezza che ogni istante, per il maggiore, passato tra le mani della Bratva, potesse significare soltanto una cosa. E di conseguenza quella maschera di apparente calma iniziava a sgretolarsi sotto il peso dell'ira che Dorian si trascinava dietro, ormai, da ore.
‹‹ Alzati. ››
   Una sola parola fu in grado di lasciar trasparire tutta la furia che premeva per venir liberata. La si poteva vedere colare fuori da ogni singolo poro di quel corpo; sgorgava all'esterno mediante le pupille che fissavano la figura altrui, da quelle mani che impazienti desideravano soltanto farsi vendetta. Era così categorico, Dorian e seppur l'uomo non si mosse di un solo centimetro e si limitò a deriderlo con quel suono beffardo a fuoriuscire dalle labbra e a vibrargli nel petto, furono i due ragazzi che l'avevano condotto lì ad assecondare il volere di un Dorian fuori di sé.
‹‹ Se pensi che questo basti per ritrovarlo, sei un povero illuso. ››
‹‹ Siete tutti così fedeli, nella Bratva. Dei cagnolini ubbidienti e che seguono soltanto le direttive di chi è sopra di voi. ››
‹‹ Proprio tu parli di fedeltà, Pavlov? Lo sei mai stato? ››
   La mascella si irrigidì, la rabbia lo travolse; i pensieri, totalmente, in subbuglio s'accavallavano negandogli di decidere lucidamente. Ad udire quelle parole, qualcosa scattò nella mente del russo che, con soltanto due falcate, spazzò via ogni centimetro di distanza tra lui e Igor. La mano, finalmente libera di potersi prendere un po' di quel che gli spettava, andò ad afferrare delle ciocche dei capelli appena sopra la nuca altrui. Strattonò il capo dell'altro all'indietro in modo brutale, impetuoso. Inevitabile fu accostare le labbra all'orecchio dell'uomo dai lineamenti rigorosamente occidentali. Quel che avrebbe proferito, desiderava entrasse nella mente di Igor, cosicché se lo ricordasse per il resto della sua insulsa esistenza.
‹‹ Essere stato fedele soltanto a me stesso ha reso possibile che io continuassi a vivere. ››
   Approfittandosi della notevole vicinanza e dal modo in cui Igor veniva bloccato, non fu affatto un problema per Dorian portare il piede nell'incavo oltre il ginocchio altrui, esattamente ove v'erano situate le giunture. La suola della scarpa venne premuta con tutta la forza di cui era munito, fino a quando un suono di rottura non denotò che l'articolazione non avesse più retto quella pressione. La coscia altrui assunse una posizione innaturale, segno che nemmeno il più prestigioso dei chirurghi avrebbe potuto rimettere a posto quelle ossa, ormai, rotte. Inevitabilmente Igor cadde perdendo la forza in entrambi le gambe a causa del dolore lancinante che lo colse. Strinse i denti pur di non urlare, eppure ciò bastò affinché un sorriso compiaciuto distendesse le labbra di Dorian che lo osservava attento.
‹‹ Questo è solo l'assaggio di ciò che ti aspetta, se non mi dirai dove lo ha portato. ››
‹‹ Kurite moju trubku, golovka pisuna. ››
‹‹ Ya nachinayu teryat' terpeniye! ››
‹‹ Perdere la pazienza non lo riporterà da te. ››
   Nel ritornare alla sua postazione precedente, Dorian afferrò rapidamente la pistola che ChangHyun aveva con sé e la puntò tra gli occhi dell'uomo che stava portando la poca pazienza ad annullarsi totalmente. Lo sguardo urlava a gran voce che il grilletto sarebbe stato premuto, se le successive parole di Igor non sarebbero state quelle che desiderava udire.
‹‹ Dimmi dov'è. ››
‹‹ Ci vediamo all'inferno, Pavlov. ››
   Il biondo al suo fianco gli lanciò un'occhiata che lasciava ben intendere che uccidere Igor non avrebbe portato a nulla di utile; sarebbero tornati punto e da capo, senza alcuna traccia da poter seguire. Ma Dorian non volle sentire ragioni. Avrebbe fatto a meno dell'ennesima blatta ad infestare la sua esistenza. E fu così che il grilletto venne premuto, il proiettile fuoriuscì dalla volata e, come previsto, terminò la sua corsa soltanto quando perforò la carne altrui e si portò con sé la loro unica speranza di ritrovare YoungHae. Un solo colpo, un solo proiettile, una mira infallibile e quel corpo cadde totalmente, ormai, privato della vita.
‹‹ Avrebbe potuto parlare, sotto pressione.. ››
‹‹ Non avrebbe parlato, sarebbe stata una perdita di tempo. ››
   Dorian osservò il sangue sgorgare a fiotti, dal foro apparso esattamente tra gli occhi di Igor. Sangue che ormai ne contornava la figura, quasi fosse soltanto una perversa opera d'arte il cui autore non poteva che essere il destino. Ricollegò quel rosso cremisi a quello che macchiava, da anni, ogni singola sfumatura della sua esistenza. Aveva permesso che lo rendessero un mostro. Aveva permesso che, affetto dopo affetto, gli strappassero via anche l'anima. Come brandelli di putrida pelle, ogni briciolo di umanità era andato perduto nel corso degli anni. Il suo mondo era, ormai, costituito unicamente da morte e un susseguirsi di perdite, ma non avrebbe permesso che l'ultimo barlume di luce nella sua vita venisse spento. YoungHae avrebbe continuato a risplendere nel medesimo modo in cui il bianco dell'opale al suo collo rifletteva il rosso cremisi di quel sangue, senza però esserne avvelenata.
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