#e ho i piedi un po' piccoletti
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mermaidemilystuff · 6 years ago
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Differenza lui, lei.
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emme-malcolm · 6 years ago
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Sinagoga
28/05/2018
Malcolm: Pomeriggio importante per il giornalista che al seguito di Emmeline ha deciso, dopo una settimana, di dare compimento alla sua idea di incontrare i bambini che hanno realizzato il pupazzetto per lui e fare felice Emma. Certo è stata un’idea combattuta ed è un po’ buffo forse – se non fosse altrettanto “tragico” – che ci sia tanto nervosismo per affrontare un semplice manipolo di bambini. È molto ansioso Malcolm ed Emma di certo lo sa: ne hanno parlato molto questa mattina, tante domande per la rossa, tanta buona volontà quanto momenti di ripensamento, un tempo decisamente esagerato per prepararsi, un paio di sigarette bruciate. Ma, all’esterno, la solita compostezza di uomo glaciale sa davvero ingannare tutti; tutti tranne chiaramente Emma, lei può notare e decifrare l’indice e il medio della destra che picchiettano sempre più freneticamente man mano che si avvicinano alla porta della stanza dove probabilmente il vociare dei bambini si fa già sentire. Il passo del giornalista è lento e tremendamente misurato, un po’ marziale nella sua rigidità; ogni manciata di secondi le dita smettono di picchiettare sulla stoffa e vanno a sentire compulsivamente i contorni dei bigliettini che l’uomo ha in tasca, poi tornano al loro consueto picchiettare. La sinistra invece tiene in mano il pupazzetto a forma di sogliola diventato un portachiavi ad anello. Dato che Emma aveva posto l’enfasi sul colore grigio, Malcolm ha pensato bene di evidenziarlo, indossando per l’occasione un completo grigio chiaro, insieme ad una camicia bianca e alla cravatta anch’essa grigia, patinata. A pochi passi dalla porta, mentre le sta camminando di fianco o appena un passo indietro, si ferma: <Aspetta…> dice a bassa voce verso Emma. La voce serissima, come il volto granitico, curato come i capelli, al solito. Un uomo d’altri tempi. Si ferma, come indeciso, abbassa un po’ il capo e lo sguardo. <Ripetimi le cose principali per favore. Non vorrei dimenticare nulla.> le chiede, nella forte tensione del momento. Chiaro: non quello che è scritto sui bigliettini, ma ciò che non è scritto. La cosa più bella in tutto ciò è che si sente libero di far trapelare se stesso con Emma e di chiederle sostegno; non è certo solito farlo con tutti, come Emma sa bene, e quest’apertura nei suoi confronti, pur coi suoi limiti, dovrebbe essere perfetto indice di quanto sia profondo e sentito il legame che ha con lei.
Emmeline: E’ un pomeriggio particolare e di quelli che non ci si aspetterebbe e la sorpresa della rossa all’annuncio della mattina l’ha colta alla sprovvista, impreparata a quella che sa rivelarsi una programmazione intensamente meticolosa. Non ha trovato certo le sue resistenze l’idea e dopo qualche momento d’immobilità a statua gli si è lanciata al collo per abbracciarlo tuffandosi da subito in consigli utili e tranquilli nonché nella preparazione dei bigliettini con le domande per i bambini. Sono esserini irrequieti ma la rossa è lì per tenerli a bada e per ricordare loro l’importanza del rispetto, dell’educazione e della quiete. Nemmeno a dirlo le urla dei mostriciattoli attraversano la porta chiusa e si diffondono solo appena ovattate lungo tutto il corridoio. Gli cammina esattamente di fianco con un occhio azzurro che ha colto già da decine di passi prima il ticchettare delle dita sulla stoffa, un moto che lei non ha tentato di sottrargli, non lo ha giudicato, non ha cercato di rimproverarlo con un arresto ma che ha accompagnato con una carezza sfuggente sul dorso della mano lunga di Malcolm solo per tranquillizzarne il ritmo; lui è anche quello, le sue paure ed i suoi dubbi e l’enorme forza di volontà che infine gli ha fatto visita, spontaneamente, senza che lei dicesse nulla. E’ una ragazza composta ed elegante come solito, i capelli raccolti dal fermaglio, ballerine rosse con appena un po’ di tacco, dei calzoni di cotone blu con cintina rossa dentro ai quali s’infila una camicetta in seta bianca con una manichina corta a voilà, tutta perfettamente abbottonata fino al colletto, Sula spalla borsa e busta di tela con i lavori dei bambini e sottobraccio una boccia per pesci piena di caramelle. Lo adocchia nel suo grigio chiaro, una scelta cromatica che ai suoi occhi lo fa apparire come un cherubino sceso dal cielo a distribuire benedizioni e lei sorride in quel modo morbido e leggero prima di fermarsi per voltarsi verso di lui, flettendo appena le ginocchia per intercettare il suo sguardo che immagina già sfuggente. Una perfetta sogliola grigia, la sua sogliola grigia con il suo portachiavi personale, lo osserva con la benevolenza di una compagna fiduciosa, un’assoluta fede in lui e nella sua capacità di essere semplicemente com’è ed è questo che si può ritrovare nelle sue parole <Tu sei l’uomo sogliola, te ne sta quasi tutto il tempo acquattato sul fondo ad osservare con i tuoi occhi tutto quello che c’è di sopra, sei curioso ma timido e schivo e parli raramente… oh ma quando parli sai affascinare tutti perché non dici mai nulla che non sia necessario dire. Per loro sei un bel mistero e dovrai rispondere con tutto ciò che sai.. a tenerli buoni ci penso io, tra due minuti questo caos non ci sarà più lì dentro> di nuovo gli sfiora il dorso della mano con le punte delle proprie dita e gli fa sentire un profondo respiro quasi si dovessero immergere entrambi, insieme, nessuno dei due da solo, sempre insieme. Ed aspetta che ci sia un cenno, anche solo un piccolo cambiamento nei suoi occhi chiari e nel suo viso che la porti ad avvicinarsi all’uscio aprendolo piano, molto piano <Gnnnnnniiiiiiiiik> imita il cigolio e si affaccia con la testa, i bambini urlano e le sedie si spostano [Aaahhhhh Emma, è Emma… Emma sei in ritardo] <Una Emma non è mai in ritaaardo, arriva sempre quando deve arrivare… hey qualcuno si sta scaccolando?!> le risa si alzano velocemente così come le vocine [Rudy!... Rudy, Rudy è Rudy] <Io vi osseeeeervoooo, Rudy ha attaccato il vizio a qualcuno. Oooooora, ascoltatemi bene, ricordate cosa vi ho detto, quiete ed educazione oggi dobbiamo essere particolarmente sssssilenziossssssi perché ci sono grossi premi per tutti quelli che risponderanno alle domande di un ospite importante> i premi e l’ospite importante gettano il silenzio dentro alla stanza, l’ospite è proprio dietro a lei, ancora nascosto dalla porta aperta solo un po’ <Se facciamo confusione lo spaventiamo, è timido e silenzioso ma se siamo buoni lui ci parla> [ooooohhhhh… chi è? Chi è? Emma dicci chi è, io muooooio dalla curiosità] <Sciocchezze! La curiosità non ha mai fatto del male a nessuno Maggie… ssssileeeenssssssiooooo… io ho qui… l’uomo sogliola> e di nuovo parte un [oooohhhh] lei fa segno con la mano libera di star cheti, un indice davanti alle labbra cominciando ad aprire la porta, lei china, curva sulla schiena, apre l’uscio entrando e mostrando chi c’è sulla soglia… una sogliola grigia.
Malcolm: Ogni qualvolta la mano di Emmeline ha sfiorato la sua che si muove incessantemente, di fatto le compulsioni si sono placate appena pur non riuscendo ad annullarsi e Malcolm ha espirato appena. Ogni pochi secondi, trova conforto nella sagoma, quasi impercettibile ma sensibile al tatto, che i bigliettini disegnano sulla stoffa dei pantaloni. Sono una protezione così come la presenza di Emma che viene fermata in uno dei tanti momenti in cui l’ansia si fa prevaricatrice. Il pensiero di tirarsi indietro, cambiare idea, rinunciare, scappare, e così tanti altre ossessioni negative schiacciano contro le pareti del suo animo, insidiosi, costanti. E il loro peso si può ben leggere negli occhi glaciali eppure dall’aura fragile e combattiva insieme. Anche più accentuata ora che Malcolm è fuori dalla sua ristretta zona di comfort che garantisce una maggiore tranquillità. Ha paura, per quanto possa essere considerata una cosa infantile. In questo caso proprio letteralmente. Ad ogni modo lo sguardo, anche se di soppiatto, è rivolto ad Emmeline e alle sue parole, quel riepilogo a cui sta in silenzio ed annuisce appena un paio di volte; tutte cose che già sa, ma che gli fa bene risentire, non fosse altro per restarsene ancorato coi piedi per terra. Spera tanto che funzioni, come quel nuovo tocco della rossa sembra suggerirgli. Mordicchia il labbro inferiore dalla parte interna, affossandoci i denti, a labbra strette. Prende in contemporanea ad Emma un respiro nervoso dalle narici, facendo pure involontariamente la figura della sogliola, muto, teso. E se li spaventasse i bambini? Se li mettesse solo a disagio? Tutti quegli occhi addosso. Dannazione. Una classetta di bambini. Una classe. No, no. Non ancora questo pensiero che torna e torna, proprio come gli altri. Un tremito, una smorfia fulminea sul volto, gli occhi per un attimo lucidi, un boccheggiare davvero da pesce che lo tiene inchiodato ancora lì, immobile, e per cui deve chiudere gli occhi e riprendere a respirare. Torna a sentire con le dita quei bigliettini, si calma quanto basta, e allora riesce a comunicarle, pur senza parlare e con un cenno affermativo del capo, che possono andare. Si tiene quindi dietro di lei, gradendo quel tempo che Emma impiega per parlare con i bambini, sia per ascoltarla – convinto che non parlerà ai piccoletti in modo idiota, in nessun caso – e un po’ per rafforzare la corazza, la finzione, motivarsi a far fronte a quei bambini. Deglutisce più volte, si tormenta le dita, tormenta il portachiavi. Curiosamente, proprio come lui viene nascosto ai bambini, così la porta impedisce a lui di vedere l’interno e i piccoli di cui può sentire le voci acquietarsi grazie ad Emma. Un paio di passi indietro lui rispetto alla rossa che da lì ad un attimo entra dentro, lasciandolo temporaneamente indietro, seppur di poco. L’aprirsi di quella porta è l’alzarsi del sipario, per entrambe le parti. Lui lì, a due passi dalla soglia, impalato, col cuore che ha fatto un grande balzo di potenza e se lo sente battere nelle tempie ora. Un passo. E ancora un altro. Non crede di riuscire a parlare al momento, non saprebbe neanche cosa dire, perché ogni pensiero è sospeso in quel probabile silenzio alienante pieno di sguardi fissati addosso alla sua vecchia figura bianca e grigia. Deglutisce ancora una volta, fermandosi ad appena un passo all’interno. Come un marziano, come d’altronde è sempre stato, come è ancora. Forse sentirà qualcuno di loro gridare che il re è nudo? Bambini disposti intorno ad uno spazio vuoto, bambini sulle cui facce i suoi occhi corrono freneticamente. Gli occhi appena più aperti, tondi, azzurro ghiaccio, scandagliano ciascuno di loro. Non se ne rende conto lui delle dita che continuano quella loro compulsione quasi indipendente da tutto il resto. Forse li sta inquietando, forse li sta spaventando come temeva, piantato lì senza riuscire a far altro che osservare i piccoletti sulle loro sedioline, dall’alto del suo magrissimo metro e ottantatré.  
Emmeline: I silenzi di Malcolm sarebbero capaci di mettere a disagio chiunque, la sua immobilità impostata frutto di un enorme lavoro di protezione di se stesso, la costruzione di quella patina attorno alla propria figura… forse ha sbagliato pesce, un pesce palla sarebbe stato più appropriato ed il pensiero istantaneo le aveva sollevato un sopracciglio; perché Malcolm Barnes potrebbe paralizzare tutti ma di certo non gli riesce con lei, non c’è mai riuscito e con lei quel film protettivo è servito a ben poco come se lei non l���avesse in realtà mai percepito. Ha atteso osservandolo il tempo giusto, pronta ad agire all’istante senza farsi spaventare o trarre nel dubbio dagli occhi lucidi e dal nervosismo delle dita sulla stoffa dei calzoni di cui potrebbe quasi indovinare i cambiamenti di tempo, un percussionista dell’ansia. Si è occupata di render quieta quella ciurma di scalmanati che tuttavia sembrano mostrarsi diligenti ed obbedienti, la rossa sa indubbiamente come attirare l’attenzione e come motivare ad un certa calma e stasi generando l’aspettativa ed il mistero giusti per calamitare quel momento di assoluto silenzio mentre la porta si è aperta. La cosa ha strappato a lei stessa un profondo, profondissimo respiro sotto quella camicetta chiara che ha nascosto un brivido ed una certa frustrazione nel non poter vedere i primi attimi ma quando al sua presenza consueta è ormai diventata praticamente insignificante, inesistente lì dentro le rimangono da osservare gli occhietti vergognosi dei più schivi, piccoli animi simili per timidezza a quello di Malcolm perché non tutti lo stanno fissando. Alcuni lo evitano o gli danno qualche occhiata sommaria, altri invece lo ispezionano con una curiosità del tutto neutra, i più irrequieti sono davvero curiosi e già tentano di fargli un sorriso. Lei osserva i passi incerti della sua sogliola grigia accompagnata da qualche bisbiglio [aveva ragione a dire che era magro] [ssshhh stai zitto] un paio di tipetti che comprendono un ranocchietto rosso che viene osservato con una certa severità da Emma che tiene ancora sottobraccio la boccia con i dolciumi [sono caramelle? Io le voglio vincere!] a qualcuno parte un collegamento mentale diverso, adocchia di sfuggita Malcolm e poi finalmente fissa Emma parlando ad alta voce e dando il coraggio ad una bambina dalla fronte perplessa ma dal sorriso ampio e accogliente, col visetto tondo rivolto proprio a Malcolm e le manine che giocano ad intrecciare le dita tra loro, si vergogna ma gli parla lo stesso [ma come fai a respirare fuori dall’acqua?] <Oh bene, quindi nessuno di noi è abbastanza educato da ricordarsi cosa diciamo a chi ci viene a trovare?> dopo lo stupore e la vergogna iniziali, sia da parte di alcuni bambini che da parte del bambinone più grande che è venuto a trovarli, la giovane Bowen ristabilisce un po’ di ordine mentale e lo fa nel più semplice dei modi facendo sollevare un coretto di vocine più o meno decise [Ciaaaaaooo, benvenuto tra noi!] una formuletta dell’accettazione e dell’accoglienza <Bravi! Una caramella extra per voi alla fine. Hey Susie la tua è un’ottima domanda e sono convinta che se gli diamo una sedia vorrà risponderci o ci farà una domanda per capire una differenza importante di cui abbiamo parlato> [la pendo io la sedia] il bambinetto rosso si alza e raccoglie una seggioletta avvicinandosi baldanzoso ma intimidendosi alla fine, diventa rosso mentre poggia la sedia dal lato corto di quel rettangolo centrale di banchi uniti con tutti i bambini attorno [ha haaaaa è diventato rosso] qualcuno commenta facendo ridacchiare gli altri [non è vero, Emma niente caramella a lei!] <Le caramelle sono mie e sono io che decido… non si prendono in giro le emozioni degli altri, giusto? Nessuno ha avuto il coraggio di prendere la sedia, mh?> e intanto aspettano tutti che l’uomo grigio si sieda, Emma poggia a terra le borse e mette la boccia sul banco andando a prendere una seggioletta per sé piazzandola accanto a quella per Malcolm alzando gli occhi su di lui in un’affermazione senza parole, lo tiene d’occhio e gli sorride, non è solo lì e quei bambini sono esattamente come li aveva descritti, pieni di stupore, di curiosità certo ma talmente schietti da dire subito quello che pensano come ad esempio [ti piace il grigio?] una bambina perplessa che probabilmente adora tutta la gamma di colori tranne quello.
Malcolm: Uno ad uno li osserva lui, in quel silenzio che si azzarda per lo più ad infrangersi con un bisbiglio impercettibile o quasi da parte dei bambini. Sono solo dei bambini Malcolm, solo dei bambini. Riuscito a staccarsi da quelle piccole figure, lo sguardo saetta nervoso nel resto della stanza, ma le mani smettono di muoversi freneticamente segno che forse quell’ondata di ansia paralizzante sta scemando. Tuttavia continua a restare in silenzio, e non certo per interpretare meglio l’uomo-sogliola, e per qualche momento si perde e si distrae nel guardare quella stanza, forse rintraccia i minimi segni di disordine. Gli serve persino quella distrazione, qualunque sia il pensiero o l’elemento che la provoca, per scaricare il senso di estraneità e alienazione nell’avere contatti umani, che siano bambini o adulti. È la bambina che con la sua domanda lo trascina di nuovo al qui ed ora, facendo saettare lo sguardo su di lei, sui segni di vergogna che riconosce al volo. Solo lo sguardo a muoversi nel resto della postura statuaria e composta, nel volto granitico. <…> fa per aprire la bocca, anche se con grande incertezza, ma Emma per fortuna fa da intermediaria con quei bambini. Quel coretto di voci che gli danno il benvenuto gli fa contrarre un momento la fronte e subito dopo accennare ad un vago sorriso, diviso fra la circostanza e l’apprezzamento dell’accortezza. Non ha guardato Emma neppure una volta fino ad ora. <Buon pomeriggio> ritrova l’uso della parole, voce graffiante e bassa. <Grazie> aggiunge, educato a prescindere da chi si trova di fronte. Nel frattempo le dita corrono ma senza frenesia a sentire i cartoncini nella tasca, manco potessero di punto in bianco sparire. Poi lascia parlare Emma e solo ora le dedica un’occhiata più prolungata, che lei se ne accorga o meno. Speriamo che la sedia che il bambino recupera riesca a reggere una settantina di chili. <Grazie… hm… qual è il tuo nome?> gli dà retta Malcolm, al poveretto che è arrossito, facendo un cenno con un dito giusto per fargli capire che sì, parlava con lui. E intanto va e cerca di comprimersi per farsi piccolo su quella sediolina. Scambia il proprio sguardo con quello di Emma e a sua volta fa un lieve cenno affermativo, per dire che si sente bene, forse è entrato nell’ottica della situazione, pur restando molto serio. Di nuovo una domanda per lui che punta gli occhi sulla bambina, senza tuttavia fissarla eccessivamente. <Innanzitutto…> esordisce, con una leggera incertezza iniziale nella voce. Poggia le mani sul tavolo e compare meglio in vista il pupazzetto che mostra ai bambini, attaccato al suo dito con un anello metallico da classico portachiavi: <volevo ringraziarvi per questo bel regalo.> che era lo scopo originario dell’incontro. Prende un respiro per regolare la tensione che sente, di certo minore di quella paralizzante di prima; per ora a fatica gli occhi si staccano dal pupazzetto. E segue del silenzio, parla in modo lento e ponderato, che Emma conosce. <Come respiro fuori dall’acqua…> riprende la domanda della bambina, cercandola di nuovo con lo sguardo. <Come ti chiami?> intanto, attendendo una risposta. Qualunque sia il nome, Malcolm prosegue, rivolgendosi direttamente alla piccola. <Respiro perché sono una persona, come voi.> anche se molti non ci giurerebbero, è il pensiero automatico che trattiene e lo ritarda un attimo. <Emma vi ha detto che… sono un… un u-uomo-sogliola.> un certo titubare nella sua voce perché continua a non concepire del tutto quella finzione, semmai la metafora. Non per niente ha chiesto ad Emma, perplesso, se i bambini ci credessero davvero a questa storia. <Non… non dimenticate che.. sono un uomo… comunque…> inspira, cercando in maniera indecisa lo sguardo di Emma, come per cercare una conferma, teso. Poi torna alla bambina che gli ha chiesto se gli piacesse il grigio, domanda a cui sembra un filo più sciolto: <Mi piacciono tutti i colori> dice lentamente <ma il tempo mi ha fatto diventare grigio> spiega, passando la mano destra fra i capelli, delicatamente, per indicarne il colore. <Tuttavia… le sogliole sanno mimetizzarsi.> aggiunge, abbassando lo sguardo <La loro pelle cambia colore a seconda dell’ambiente in cui si trovano. Come…> si interrompe, nel suo parlare basso e ponderato; torna a dare uno sguardo rapido ai bambini: <Qualcuno mi sa dire che altro animale sa fare la stessa cosa?> chiede.
Emmeline: Dopo essersi occupata dei bambini i suoi occhi chiari hanno avuto tutta la libertà di posarsi su di lui, nelle sue incertezze, attenta e scaltra nella scelta della parole e dei sorrisi e perfino nell’uso del tono della voce, caldo e calmo con le parole che scivolano attente e colme della sua capacità di farne buon uso anche solo col suono. Non importa che lui non stia osservando, impegnato com’è per lei, per farla felice, per ricacciare indietro chissà quanti pensieri che lei conosce e molti altri che non riuscirebbe nemmeno ad immaginare. Ma quando non gli è vicino con le parole lo è con lo sguardo, sempre su di lui, sempre fin dal giorno in cui ha scoperto che non poteva farne a meno. Essere arrivata fino a questo pomeriggio, insieme, legati senza nodi, insieme tra i bambini e coinvolti in un impegno reciproco ed in un’accortezza particolare verso di lui, è qualcosa che i suoi non smettono mai di voler osservare; sono piccoli pezzi di storia insieme, piccoli passi fatti all’unisono, e dove trema l’una c’è l’altro e viceversa, due vite che non possono essere più sciolte. Ha cominciato a fare il giro dei banchi passando dietro ai bambini e si è chinata avanti a poggiare una caramella davanti ad ognuno, cambiando gusto nel caso di qualche protesta. Lei è lì costantemente, trattenendo il respiro quando Malcolm comincia a parlare, preoccupandosi di chinare la testa da un lato quel tanto da poter indicare un incoraggiamento che non ha bisogno di parole ma solo d’inspirare un sorriso lieve e docile. Arriccia all’istante il naso quando la sua voce si fa sentire tirando fuori da cilindro una domanda che ha assolutamente senso, una curiosità che incontra la sorpresa tanto di Emma che affretta un paio di passi per arrivare a percorrere l’altro lato lungo riavvicinandosi al suo uomo grigio, quanto il bambino inizialmente spavaldo che ora corre al proprio posto [mi chiamo Rudy… prego] l’educazione di quell’uomo ha piegato perfino la natura forastica di quel rosso verso il quale lei sbuffa un sorrisetto continuando a camminare [ti è piaciuto?... L’abbiamo fatto noi, tutti noi, Emma ci ha detto che sei un amico speciale] i più piccoli se ne stanno più o meno a fissarlo mentre gli altri parlano, qualcuno annuisce [si, è vero] qualche bambina alterna lo sguardo da lui a Emma e sogghigna [lei è la sirenetta, ha i capelli rossi e lunghi!] e poi la bambina della domanda risponde con un filino di vocetta [Greta] a quel punto, superato lo scoglio del “respirare” che sembra piuttosto logico ed accettabile, si scivola tra i colori, quelli di Emma si avvicinano a lui, non deve più parlare e ora può rimanere in silenzio poggiando la boccia su un mobiletto, sempre più vicina fino a posare una mano bianca sulla spalla di Malcolm restandogli di fianco e appena indietro, con la testa china in avanti ed il mento proteso davanti al petto per poterlo guardare in quel gesto delle dita tra i capelli [allora anche Emma diventa grigia] sgrana gli occhi e di conseguenza anche l’agitazione di qualcun altro si fa sentire, distrazioni che agitano le vocette ed i movimenti che tornano concentrati [mimemizza.. mime… io lo so, io io] un tripudio di manine ma c’è chi si avvantaggia [come Randall che diventa come la parete!.. si è come Randall] <No no , Randall diventa anche a mattoncini ma è un mostriciattolo furbone non un animale, ci serve un animale che cambia colore> [Il polipo!] qualcuno ricorda il documentario [no ma quello faceva l’inchiostro nero… si ma cambia colore anche] alla fine è riuscito perfino a stuzzicarli, si agitano un po’ pur rimanendo al loro posto <Oh buoni, uno alla volta altrimenti il nostro ospite se ne va. Che ne dici? La piovra è un animale che si mimetizza, vuoi dirci qualche altro animale?... è un vero sapientone lui sugli animali> lo indica con un pollice tutta baldanzosa.
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