#con una quarantenne
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Ieri ho visto il film di Paola Cortellesi. Da poco ho finito di leggere Ragazze elettriche di Naomi Alderman, dopo aver letto un po’ di cose di Margaret Atwood. Sto approfondendo lo studio dei miti greci. Diciamo quindi che sto parecchio carica di fomento rabbioso.
Oggi appare palese che Giulia Cecchettin sia stata ammazzata da quella merda dell’ex fidanzato, definito dai più “tutto sommato un bravo ragazzo. Magari un po’ geloso ma bravo”. Si prosegue a minimizzare, a giustificare, a incolpare le donne che si permettono di andare in giro con le cosce di fuori, addirittura da sole nella notte, e che si lamentano se incontrano i lupi.
Allora, mortaccivostra, io non solo continuo ad andare in giro con le cosce da fuori di notte da sola ma mi porto un taglierino e zaccagno la gente. Perché va bene essere sempre accort*, evitare “situazioni pericolose” (poi di grazia ci fate un elenco di situazioni pericolose e situazioni normali. Magari ce lo fa l’ennesimo uomo che vuole insegnarci a vivere), ma porcodio se al prossimo commento, alla prossima occhiata laida non richiesta, alla prossima mano sulla spalla con fare paternalistico, qualcuna caccia un coltello e inizia a tagliare cazzi come fossero zucchine, voglio leggere che “comunque è una brava donna. S’era solo rotta il cazzo”.
E invece di zaccagnare apparati genitali maschili, andiamo a manifestare contro la violenza sulle donne. Ma vi rendete conto di che cazzo vuol dire questa cosa? Andare a manifestare per sollevare una questione. Una manifestazione. Una cazzo su manifestazione partecipata soltanto da chi a queste cose è già sensibile e sensibilizzato. Sfilare mentre i tassisti avvelenati per le strade bloccate fischiano e urlano che siamo tutte troie. MA IO VE SFONNO LE MACCHINE E LE CAPOCCE.
Vorrei bruciare tutto, fare un casino di dio, e ho una rabbia dentro che mi spaventa e confonde i miei pensieri di donna ultra quarantenne. Questo perché mi riporta a galla tutte le occhiate, i commenti, le mani addosso che mi hanno fatto sbroccare negli ultimi trent’anni.
Sono millenni, MILLENNI, che affossate, incatenate, picchiate, bruciate, uccidete le donne e il perché è palese, ma sto senso di inferiorità che vi scatena la violenza fatevelo curare con terapia e psicofarmaci.
LI MORTACCI VOSTRA E DI CHI VI HA EDUCATO A ESSERE LA MERDA CHE SIETE.
Aggiornamento per me delle 19,26. Non appare più evidente. Giulia Cecchettin è stata ammazzata e il corpo è stato trovato. L’assassino è in fuga e i genitori dicono che è meglio che si costituisca per spiegare. PER SPIEGARE.
Diocane.
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praticamente per tutto il fine settimana non mi sono mosso dal divano, TikTok mi ha ghermito e trascinato nelle sue profondità, ho visto numerose volte il video di Billie Eilish che canta dal vivo quella canzone che poi qualcuno ha rifatto togliendoci le parole e mettendo miaomiao miao miao e lei canta e tutto il pubblico urla miaomiao miao miao e lei si impegna con il testo perché è il suo mestiere ma oramai Internet ha vinto, il meme ha vinto, non puoi sconfiggere un meme e soprattutto il potere dei gattini, ma lei è una professionista e non demorde e l’ammiro molto perché io avrei ceduto, cioè se c’è da buttarla in caciara e fare il cazzone ma figurati se non lo faccio, mi metterei a fare miaomiao miao miao anche io e va bene così, perché sbattersi, dai Billie prenditi un po’ meno sul serio, goditela che sei giovane, ascolta un quarantenne depresso che giace sul divano interi fine settimana che sicuro ha ragione.
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Billie Holiday
Filadelfia, 7 aprile 1915 – New York, 17 luglio 1959
[ Nella vita, per prima cosa devi avere da mangiare e un po' d'amore.]
Mi hanno detto che nessuno canta la parola "fame" e la parola "amore" come le canto io. Forse è perché so cosa han voluto dire queste parole per me, e quanto mi sono costate . Forse è perché son così orgogliosa da volere per forza ricordare Baltimora e Welfare Island, l'istituto cattolico e il tribunale di Jefferson Market, lo sceriffo davanti al ritrovo nostro di Harem, e le città sulla costa da un oceano all'altro dove ho preso le mie batoste e le mie fregature, Filadelfia e Alderson, San Francisco e Hollywood; ricordare metro per metro ogni dannato pezzo di tutto questo. Tutte le Cadillac e i visoni di questo mondo, e io ne ho avuti un bel po', non possono ripagarmi e nemmeno farmi dimenticare. Tutto quel che ho imparato in tutti questi posti da tutta questa gente si può riassumere in quelle due parole: nella vita, per prima cosa devi avere da mangiare e un po' d'amore.
ph Herman Leonard: Billie Holiday, NYC, New York, 1949
La storia di Billie Holiday è roba da racconti di Charles Dickens. Una infanzia disgraziata e di stenti con la madre che si arrabatta a far di tutto, pure la puttana per mangiare. Un quarantenne che la violenta a undici anni. Una zia sadica e fuori di testa di cui è vittima. Il misero collegio dove passa gli anni dell'adolescenza. Pochi motivi per essere allegra. Le cose cambiano, apparentemente in meglio, quando la sua meravigliosa voce diventa nota, prima nei piccoli ambienti jazz poi sempre a più persone. Nasce così Lady Day. Nasce così Lady sings the blues. Ma la fama non lenisce ciò che è stato, e allora per resistere e campare ci vogliono droghe e alcool e amori tutti sbagliati. Lei ne e' consapevole, ma, dice: "Sono stufa di passare le notti sola con i miei cani in albergo, dopo un concerto". O peggio "risvegliarmi ogni mattina accanto a un uomo diverso". Quando il 17 luglio 1949 si spegne ha solo 44 anni. Dirà Miles Davis: "Era una donna molto dolce, molto calda; sembrava un'indiana con la pelle vellutata, marrone chiaro. Era una donna splendida prima che l'alcool e la droga la distruggessero. Ogni volta che mi capitava di incontrarla le chiedevo di cantare "I Loves you, Porgy", perché ogni volta che lei cantava "non lasciare che mi tocchi con le sue mani calde" potevi praticamente sentire quello che sentiva lei. Il modo in cui la cantava era magnifico e triste. Tutti quanti amavano Billie".
Ma tutti quanti l'hanno sempre lasciata sola.
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“Sei un pervertito come tutti gli altri”. No.
Bisogna chiarire alcune cose: in questo blog scrivo quello che voglio, quando voglio, come voglio, e per i motivi che voglio. Se voglio parlare del mio pene, lo faccio. Se voglio parlare della psiche femminile, lo faccio. Se voglio parlare della mia vena poetica, lo faccio. E così via. Questa mia libertà è sufficiente per associarmi a un pervertito? Lo trovo un ragionamento immaturo, se non addirittura infantile, puerile, fallace. Sono un pervertito? No, per i canoni odierni e per come viene immaginato e descritto un pervertito oggigiorno. Ho una spiccata fantasia, un erotismo innato che spesso mi accompagna, una passionalità intrinseca e introversa come il mio carattere. Pertanto da qualche parte, e nello specifico prevalentemente qui, in qualche modo viene fuori. L’utilizzo di certi vocaboli, di certe metafore/similitudini/allegorie, m’appassiona. Quindi, quando ne ho voglia, mi abbandono a questa pratica. Tutto ciò per dire che non ho bisogno di sotterfugi e mezzucci vari, per parlare del mio pene. Se la ruota gira, la lascio girare a prescindere. E con “ruota” non mi riferisco al mio pisello che fa l’elicottero. È un modo di dire. La libertà espressiva m’eccita mentalmente perché viviamo in una prigione dorata. Io parlo liberamente di tante cose, mica solo della mia sessualità. Siamo solo all’inizio, è un po’ presto per fare bilanci. Onestamente parlando, trovo molta (ma molta) più perversione in quasi tutti i prodotti di Hollywood (film e serie tv), piuttosto che nei miei testi. Comprendo che ognuno abbia un metro di giudizio diverso, ma stride che mi vengano dirette accuse palesemente prive di fondamento. Vuoi che scenda nei dettagli della mia vita privata? Be’, una cosa che non puoi sapere è che sono sessualmente vergine. Una scelta fatta anni addietro e a cui ho sempre mantenuto fede, per il semplice fatto che non ho trovato la ragazza che mi convincesse che il suo corpo valesse più della mia purezza. O meglio: che il nostro amore valesse più di quello per il mio tempio immacolato. Sarò molto esplicito: non me ne faccio nulla di una ragazza che apre le gambe pronta ad accogliermi, se poi non ci vado d’accordo. Se poi non è la persona che vorrei che fosse. Se poi non corrisponde ai miei desideri e alle mie richieste. Preferisco, piuttosto, eclissarmi. Tutelarmi, preservarmi, proteggermi. La vita non è il sesso, ragazze. E so che molte di voi non lo capiscono, ma il sesso molto spesso altro non è se non il mezzo più veloce per dimenticare. Per arrivare al culmine del piacere fisico senza fatica. Per sbrigarsi a godere. Tumblr è principalmente questo proprio per tali motivi. E io ne approfitto, ne cavalco certamente l’onda. Ma a modo mio, sempre, e mettendo i puntini sulle i. Perché si ritiene necessario. Perché è ovvio che amo le ragazze giovani (che belle), ma se m’imbatto in una quarantenne con un cervello sopraffino, mi dimentico di tutto il resto. Sono umano, ma la perversione in senso stretto la lascio agli altri. Io sogno, fantastico.
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I fumettisti/illustratori sono gli essere peggiori che abbiano mai popolato la terra, ho amico su Facebook questo quarantenne che comunque lavora, fa anche bei soldi, è sempre ovunque ed è sempre a far roba, e porcodio, è l’essere più fastidioso di cui abbia mai testimoniato l’esistenza, ragiona come una ragazzina di 14 anni che vuole far ingelosire il morosino, post chilometrico su fb in cui dice a tutti gli amici che se ne va, che loro fanno schifo, che nessuno fa il suo lavoro come lo fa lui, con la passione e la dedizione che ci mette lui e che nessuno lo apprezza, che Facebook fa schifo, risponde e insulta tutti perché dice che non capiscono niente della sua arte (non è un granché e lo dico con obiettività), fa lo stizzito con la scopa nel culo con chiunque e risponde male a tutti, TUTTI, anche quelli gentili e cordiali e poi il giorno dopo continua a sfornare post a macchinetta perché ha bisogno di sentirsi cagato e apprezzato, post in cui si fa le mega pugnette da solo ma poi dice che la sua roba non gli piace e che non bisogna mai accontentarsi, su Instagram dice che insta fa schifo e si sposta su Facebook e viceversa, solo per aspettare che i suoi conoscenti lo implorino su entrambi i social di non andarsene, “ti prego nooo era un piacere leggerti” leggere cose che ho capito io l’anno scorso lavorando per due anni con voi coglionazzi vittimisti lamentosi rottinculo che non sapete fare altro che spruzzare provincialismo da ogni poro, fate una vita di merda lo so questo, siete soli e l’unica cosa che avete è disegnare ma dopo un po’ vi lascia svuotati senza niente e con un senso di frustrazione incanalabile in nessuna illustrazione, non voglio assolutamente diventare come voi
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Imprevisti
Con sorpresa, sono riuscito ad aprire gli occhi soltanto per via della sveglia: erano giorni che mi destavo ben prima dell'ora pattuita tra me e lo smartphone. Per prolungare il sollazzo, sono così rimasto leggere notizie su Telegram, messaggi su Whatsapp e ho finanche completato un quiz per un concorso che avevo rimosso. Fin quando, nell'atto di alzare la tapparella un lampo mi ricorda che devo andare in pescheria visto che avevo prenotato un'orata per stasera. Sono le otto e mezza e devo connettermi alle nove, ho tempo, la pescheria è a dieci minuti. Così, rientro a casa alle nove in punto (si, ho fatto tardi, ma la mattinata è fresca e ne ho approfittato per prendere il caffè al bar, le uova al minimarket e per prelevare sessanta euro che comunque non mi servivano): metto su la moka e faccio un po' di pulizia in cucina e proprio a fianco al bidone dell'umido, sulle mattonelle che lo separano dalla finestra, si inerpica una lumaca!
Faccio un appunto: due giorni fa, mondando un cavolfiore, era venuta giù, insieme alle foglie anche un lumachina. Mi sembrava fosse schiattata, visto che il cavolfiore stava in frigo da tre giorni, per cui l'avevo grossolanamente gettata nell'umido.
Oggi invece, in una perfetta rievocazione della Resurrezione, eccola lì, orgogliosa, nera, liscia, tentando una fuga da 007.
Non me la sento di assistere al suo suicidio, siamo al terzo piano, e visto che non mi va neanche poi così tanto di lavorare, aspetto che il caffè esca e, con l'ausilio di un pezzo di carta, la raccolgo e scendo giù nel patio condominiale per depositarla nell'aiuola dei gerani. Mi sentivo un mix tra San Francesco e la tizia che conduce GEO&GEO e volevo che qualcos altro succedesse affinchè potessi continuare la mattinata lontano dal pc: ho desiderato fortemente che nell'ascensore che aspettavo, mi si presentassero non so, un vigile del fuoco e un testimone di Geova, o la figlia quarantenne della signora del 2°B. Invece ero solo, e adesso sono qui, al pc del lavoro a tentare di prolungare l'inizio della giornata lavorativa scrivendo queste stronzate.
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amo gaia girace e penso sinceramente che mi abbia fatto un dono enorme con la sua lila, anzi il suo è il primo volto che associo al nome di lila cerullo. però a volte non posso fare a meno di chiedermi cosa avrebbe fatto irene maiorino nella terza stagione, diciamo da metà in poi. mi è venuta in mente una cosa che ha detto lo showrunner di the crown a proposito dei suoi recasting: ci sono cose per cui a un attore (attrice) serve semplicemente l’esperienza. certe cose che lila viveva alla fine della terza stagione, quando doveva avere quasi trent’anni, semplicemente non erano da affidare a un’adolescente; sembravano finte come i capelli bianchi che le hanno appiccicato sulla parrucca. vale anche per elena ma fino a un certo punto, perché elena viveva in un ambiente più protetto e meno pesante. è un peccato. e qui, spiace dirlo, ancora una volta si propone il limite costituito dall’avere scelto fin dall’inizio una precisa quarantenne — per partito preso e per ragioni palesemente personali di qualcuno — per interpretare elena adulta quando per entrambe le protagoniste sarebbe servita una donna attorno ai 35 da invecchiare adeguatamente col tempo.
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Ludovico Capponi, un quarantenne banchiere fiorentino, nel 1525 affidò a Pontormo la decorazione di una cappella nella chiesa di Santa Felicita, destinata a diventare la cappella funebre per sé e la sua famiglia.
Della cappella è andato perduto il Giudizio Universale che Pontormo dipinse nella piccola volta brunelleschiana (distrutta nel Settecento per permettere l'affaccio in chiesa tramite il corridoio vasariano) ma rimangono sull'altare la Deposizione e sulla parete ovest l'Annunciazione; nei pennacchi il pittore realizzò, aiutato dal Bronzino, i quattro tondi degli Evangelisti.
I lavori furono tenuti in gran segreto dall'artista che fece coprire appositamente da una protezione lignea l'ingresso all'ambiente, e vennero completati nel 1528: il Vasari racconta che quando la cappella venne aperta al pubblico fu "...con meraviglia di tutta Firenze".
Jacopo Carucci, conosciuto come Jacopo da Pontormo o semplicemente Pontormo (Pontorme, 24 maggio 1494 – Firenze, 1º gennaio 1557), è stato un pittore italiano di scuola fiorentina, esponente dei cosiddetti "eccentrici fiorentini", i pionieri del manierismo in pittura.
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Massacra di botte il marito, arrestata una quarantenne bolzanina
Ha stato il patriarcato
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Questo tumblr è una parabola discendente: parte con un me nemmeno trentenne che vuole ridere e far ridere, poi arrivano gli imprevisti della vita e della gente™ (singoli e totalità) ed in men che non si dica ecco un quarantenne per il quale "non c'è un cazzo da ridere".
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nn voglio diventare una quarantenne in un mondasettico e robotico ke non è riuscita a realizzare nulla
con tutte le passioni che ho ho nell'ambito del disegno/ della moda e della musica devo trovare un qualcosina 11
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IL FUOCO CHE CI NUTRE
"Una volta che hai fatto qualcosa, non lo dimentichi mai. Anche se non riesci a ricordare."
LA SCINTILLA (capitolo quattro)
La sveglia sul comodino squillò e un braccio uscì dal lenzuolo per spegnere quel fracasso. Il sole faceva già capolino dalla finestra esposta a est. “Avevi detto che avresti cambiato la suoneria della sveglia Non ne posso più di quel gracchiare!”
Una massa di capelli color argento si mosse. “Uhm…Buongiorno anche a te…Domani lo farò, te lo prometto.”
L’uomo girò la testa. “Dobbiamo alzarci, prima che si faccia tardi. Io vado a preparare la colazione.” Scostò la coperta e si buttò giù dal letto. “Forza bambolina, alzati.”
“Ancora un minuto.” sospirò la ragazza stiracchiando le braccia per poi girarsi dall’altra parte.
“Ok, un minuto, non uno di più. E non riaddormentarti!” fece lui indossando un paio di pantaloni e una maglietta.
Andò in bagno per urinare poi si sciacquò il viso con l’acqua fredda per svegliarsi. Si guardò allo specchio, indeciso se farsi la barba o no.
Quasi quarantenne, aveva un viso molto gradevole, il mento forte gli dava un’aria da duro che le donne, e anche molti uomini, avrebbero definito sexy.
Dovrei dare una spuntatina anche ai capelli pensò afferrando le ciocche che ormai gli arrivavano alle spalle. Anzi, dovrei rasarli totalmente, darei meno nell’occhio. Oppure tingerli...
Il colore dei capelli, platino con sfumature dorate, e il fatto che li avesse così lunghi attirava l’attenzione della gente. Così come gli occhi grigi dai riflessi viola, molto particolari, non mancavano di catturare gli sguardi di tutti.
Si pettinò e legò i capelli in una coda poi andò in cucina a preparare la colazione.
La donna entrò, ancora assonnata, in un assurdo pigiama verde fluo, e gli sparò un bacio sulla guancia. Magrissima e slanciata aveva i capelli corti neri, in quel momento tutti scarmigliati, e gli occhi scuri che tradivano le sue origini asiatiche.
“Uova e bacon?” chiese mentre si avviava ciabattando verso l’ingresso.
“No, faccio i pancakes.” rispose lui mentre poggiava sul tavolo gli ingredienti.
Lei rientrò con un quotidiano tra le mani. Sedette al tavolo in cucina e iniziò a sfogliarne le pagine. Mentre leggeva commentava le notizie a voce alta.
“Sempre le stesse cose, guerre, crimini di tutti i tipi, addirittura un ministro del governo beccato con una prostituta. Mai una bella notizia…”
“Ti aspettavi forse qualcosa di diverso? Viviamo in un mondo violento e siamo crudeli quanto basta.”
Finì di cucinare, portò i pancakes in tavola e iniziarono a mangiare.
“Stasera probabilmente farò tardi.” le disse. “Quando esco dal lavoro devo passare da Jordan per aiutarlo a rimontare la moto.” Jordan Porter era uno dei suoi più cari amici.
“Ma... Per stasera avevo programmato un po' di shopping. Con te! Perché non me l’hai detto prima?!” chiese la donna iniziando ad irritarsi.
“Te lo sto dicendo adesso… Ti avevo accennato al fatto che aveva dovuto controllarla per riparare un guasto… Prima o poi doveva pure rimontarla, no? Io e Jo abbiamo dovuto incastrare il poco tempo libero che abbiamo..." Con un sospiro aggiunse: "Tu non mi hai detto che volevi uscire con me!… L’idea dello shopping ti è venuta in mente quando, esattamente? Cinque minuti fa?" "Potresti anche rimandare, se ci tieni tanto...”. Mentalmente si augurò che non cambiasse idea perché fare compere con lei significava trascinarsi per i negozi di mezza città fino all’ora di cena.
“Io e te abbiamo grossi problemi di comunicazione, mio caro…In ogni caso te ne avrei parlato più tardi." Fosse solo la comunicazione... pensò lui. "Comunque… Al solito i tuoi impegni vengono sempre prima di tutto…Va bene, fai come vuoi. Io esco da sola!”
Evitò di ribattere per non impelagarsi in infinite discussioni. Fecero colazione in silenzio.
Finirono di prepararsi e lei, col muso lungo, a malapena lo salutò.
“Mammina, dove stiamo andando?” chiese il bambino seduto nel seggiolino posteriore dell'auto.
“Doveva essere una sorpresa, tesoro, ma…” disse la donna mentre allacciava la cintura di sicurezza del piccolo “…te lo dico in un orecchio…”
Si avvicinò alla testa del bambino e sussurrò: “Al parco…”
Il bambino iniziò a strillare e abbracciò la mamma, tutto contento. Lei gli baciò la testa poi sedette al posto di guida. Mise la cintura e avviò il motore.
Era il pomeriggio di una bella giornata di inizio primavera. Aveva in programma di dare una sistemata al garage e fare una cernita di cose da buttare. Quel sole luminoso le aveva fatto cambiato idea: poteva rimandare tutto e stare all’aperto con Lucas. Così ne aveva approfittato, con l’intenzione di portare suo figlio al parco a giocare con gli altri bambini e lei a godersi la lettura di un libro nell’aria tiepida.
Accese la radio per ascoltare un po’ di musica, inforcò gli occhiali da sole e partì.
Lucas canticchiava a modo suo una canzone trasmessa dalla radio e lei, divertita, ogni tanto gli lanciava uno sguardo dallo specchietto retrovisore. Aveva percorso circa mezzo chilometro quando una grossa macchina nera sbucò da una strada laterale alla sua destra e prese in pieno il lato del passeggero. Due finestrini andarono in frantumi e gli occhiali da sole volarono da qualche parte. L’urto violento fece scoppiare gli airbag e trascinò il veicolo nella corsia opposta dove si fermò. Il bambino urlò dallo spavento. L’autista dell’auto, con le mani sulla testa, scese di corsa, si diresse allo sportello della donna e lo spalancò. Chi aveva assistito all’incidente si avvicinò velocemente alle macchine danneggiate e qualcuno chiamò la polizia.
“Oddio! Mi dispiace signora... Mi sono distratto un attimo… Tutto bene? Come si sente?”
“Il bambino! Il mio bambino. Lukeee!” gridò la donna, sotto shock.
Il tizio diede un’occhiata al retro dell’abitacolo e aprì lo sportello posteriore. “Chiamate un’ambulanza, presto!” urlò.
Il bambino nel seggiolino stava piangendo e chiamava la mamma. La donna, accasciata sul volante, sull’airbag sgonfio, si lamentava, ancora confusa.
Subito dopo arrivò una pattuglia della polizia insieme ai soccorsi. I poliziotti fecero allontanare i curiosi mentre gli infermieri valutavano le condizioni del bambino che, a parte il grosso spavento, non aveva necessità di cure immediate. Ad un primo esame la mamma sembrava quella messa peggio.
Caricarono madre e figlio e l’ambulanza partì mentre i sanitari prestavano le prime cure alla donna. Aveva sicuramente riportato una frattura della gamba destra e il forte dolore al torace fece sospettare la frattura delle costole. Il dolore alla gamba e al torace le fece perdere i sensi un paio di volte e quando si svegliava, la nausea le faceva ingarbugliare lo stomaco. Lucas era seduto accanto all’infermiera che lo aveva fatto scendere dall’auto. Cercava di rassicurarlo e di distrarlo ma lui lanciava continue occhiate alla madre, sdraiata lì accanto, poi ricominciava a piangere.
Li portarono all’ospedale più vicino. Alla donna fecero le radiografie e il medico diagnosticò, oltre alla frattura composta del perone, l’incrinatura di tre costole nella parte destra del torace, dovute allo scoppio degli airbag mentre al bambino programmarono una risonanza magnetica per l’indomani.
Dopo qualche ora, la donna era sdraiata sulla barella con la gamba già immobilizzata. Con voce rassicurante coccolava il bambino e gli accarezzava la testa. “Ascolta Luke, adesso devi fare il bravo.” Avevano gli occhi arrossati dal pianto. Era arrivato il momento tanto temuto. “Mamma dovrà andare in una stanza e tu in un’altra tutta colorata dove ci sono altri bambini. Devi far finta che siamo a casa e che stiamo dormendo nelle nostre camer...”
“Ma mamma, non voglio lasciarti da sola!” fece Luke affranto, di nuovo prossimo alle lacrime.
“Non sono sola, amore mio. Forse più tardi verrà Chlo insieme a Matty. E poi, tu sei nella tua cameretta... Siamo nella stessa casa, giusto? Stanotte ti addormenti e domani vieni a trovarmi, va bene? La signora qui ti accompagnerà da me.” Indicò l’infermiera pediatrica con la divisa a pupazzi e lei annuì.
“Sei il mio splendido bambino coraggioso!”. Lui annuì, non troppo convinto e la madre gli baciò il viso.
La sveglia suonò alle prime luci dell’alba. La ragazza con i capelli neri si mosse, automaticamente tirò fuori il braccio da sotto la coperta e la spense.
“Oggi tocca a te, Bea.” disse l’uomo coricato accanto a lei.
“Ancora un minuto poi mi alzo.” rispose lei sbadigliando.
Il minuto passò poi ne passarono due. “Uff! Ho capito…” borbottò lui alzandosi dal letto.
Affrontò la solita routine quotidiana. Si fece velocemente la barba e andò in cucina a preparare la colazione.
Dopo un po’ la donna entrò stiracchiando le braccia e gli diede un bacio sulla guancia. Uscì in pigiama all’esterno per prendere il giornale.
“Non ci crederai, Daemon.” disse la donna rientrando in casa con lo sguardo su una pagina del quotidiano che aveva in mano. “Un altro incidente d’auto, a due passi da qui.” “Uhm… qualcuno che conosciamo?” chiese lui.
“Non hanno scritto il nome, solo le iniziali: ‘Ieri pomeriggio, intorno alle 15,30, la berlina della trentenne R.T. è stata investita da un suv che non ha rispettato il segnale di stop. La donna, che in quel momento si trovava in auto col figlio di sei anni, ha riportato lesioni al torace e a una gamba. Il bambino è rimasto illeso ed entrambi sono ricoverati al Westcross, il bambino per accertamenti…’” Lesse la donna.
“Proprio dove lavoro io. Accidenti! Per fortuna il bambino non si è fatto niente…” commentò.
“Ok, è tutto pronto, ora mangiamo, Bea. Per favore prendi il succo di frutta.” disse portando a tavola il piatto con uova e bacon.
Dopo aver fatto colazione, finirono di prepararsi e uscirono per andare nei rispettivi posti di lavoro.
Daemon entrò in ospedale, si infilò un camice pulito e sedette in una sala con i colleghi e gli infermieri per il briefing mattutino. Dopo mezz’ora, con una decina di cartelle cliniche sottobraccio, iniziò il lavoro di routine. Verso le tredici un collega, Samuel Fielding, entrò trafelato nella stanza dove Daemon stava compilando una lista di esami.
“Ti devo chiedere un favore, collega!”
“Uhm… Il tosaerba è rimasto fulminato dalla tua bellezza? Un meteorite ha colpito uno degli orrendi nani da giardino che fanno la guardia a casa tua?”
“Dai, non scherzare, amico!” ribatté Sam ridacchiando. “Mia madre è caduta e sembra si sia fratturata una caviglia, devo proprio scappare da lei e portarla qui. Ti chiedo solo se puoi dare un’occhiata alla donna dell’incidente d’auto di ieri, non sono riuscito neanche a vederla in faccia… Ti giuro! E' l’ultimo favore che ti chiedo…”
Daemon si scusò: “Oh! Mi dispiace per tua madre, Sam. …" "Va bene, dimmi in che stanza è… Conoscendoti non sarà l’ultimo favore che mi chiedi… E la prossima volta che ci incontriamo non dimenticare il paio di birre che mi devi dall’ultimo favore che ti ho fatto.”
“E’ nella dodici. Grazie fratello, sei un vero amico! E il miglior internista che conosca, quei due sono in buone mani! Questa è la sua cartella clinica e questa è quella del bambino.” disse, indicandole. “Ah! E mettine in conto altre sei. Ciao, io vado!" fece Sam mentre usciva dalla sala.
Sei un gran leccaculo, fratello! pensò Daemon scuotendo la testa e facendo un cenno di saluto con la mano.
Ultimò la lista e la consegnò alla postazione degli infermieri. Diede altre disposizioni e si diresse nella stanza dodici con le due cartelle cliniche in mano.
Aprì la porta della camera ed entrò, gli occhi ancora posati su un foglio della cartella del bambino. Si girò e la richiuse.
“Buongiorno, sono il dottor Daemon Targaryen, medico internista. Oggi sostituisco il dottor Fielding che l’ha presa in cura.”
La donna non rispose e non restituì il saluto.
Lui sollevò lo sguardo e si avvicinò al letto.
Era semi seduta, col viso rivolto verso la finestra dove le tende chiare schermavano la luce del giorno. Indossava la camiciola d’ordinanza dell’ospedale.
I cavi del monitor e il deflussore di una flebo uscivano dal suo corpo. La gamba destra, ingessata fin sotto il ginocchio, poggiava su un cuscino. I suoi capelli risplendevano anche in quella luce smorzata. Girò la testa e puntò su di lui un paio di incredibili occhi azzurri con sfumature viola.
“Rhaenyra Targaryen. Buongiorno dottore.” rispose lei dopo qualche secondo.
Rhaenyra guardò stupita quell'uomo. Poi si scosse, cercando di dissimulare la sorpresa: “Come sta oggi mio figlio, dottore? Nessuno mi ha ancora dato notizie.”
“Suo figlio sta benissimo, signora, non c'è da preoccuparsi.” fece lui dopo un attimo di esitazione.
“Stamattina ha fatto la risonanza magnetica ma va tutto bene e non ha niente di rotto. A breve verrà dimesso.” continuò automaticamente Daemon avvicinandosi ancora di più e fissando Rhaenyra.
“Mi perdoni se… Per caso… ci conosciamo? Mi sembra di averla già vista da qualche parte. O magari è un’artista famosa? Abbiamo lo stesso cognome e mi chiedevo se…”
Aveva una bellezza eterea e allo stesso tempo sensuale. La pelle del viso non aveva alcuna imperfezione e gli occhi, dal taglio nord-europeo, erano orlati da ciglia chiare. I capelli lunghi e un po’ mossi, color platino con sfumature dorate, identici ai suoi, incorniciavano un ovale perfetto, così come era perfetta la linea delle sopracciglia di una tonalità più scura delle ciglia. Aveva una piccola gobba sul naso delicato che lo rendeva particolare e molto gradevole.
Anche lei non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso. Le somigliava tantissimo, era come vedere un parente lontano. Un Targaryen come me. Aveva gli occhi grigi con le stesse sfumature viola dei suoi e una bellezza particolare. Qualche ruga gli segnava la fronte e i lati della bocca ma a parte questo non doveva avere più di quarant’anni.
Avevano in comune gli stessi inusuali colori e persino la pelle color latte. Ma soprattutto c’era qualcosa di familiare nel modo in cui lui si muoveva, nel tono della voce bassa e calda, nel corpo asciutto e muscoloso sotto il camice da dottore ed emanava qualcosa che istintivamente la faceva sentire a proprio agio.
“No, dottore, non ci conosciamo e non sono famosa.” lo interruppe Rhaenyra sorridendo e cercando di darsi un contegno. “Effettivamente abbiamo un cognome insolito e a quanto pare anche i nostri nomi non sono molto comuni.”
Daemon le chiese come si sentisse e se avesse dolori. Poi si concentrò sulla flebo e spostò la mano per accertarsi che la cannula fosse ben posizionata. Le sfiorò inavvertitamente il polso. Una scintilla percorse i loro corpi e i loro cuori accelerarono il battito. Il monitor di Rhaenyra registrò l’aumento della frequenza cardiaca. Ritrassero la mano di scatto e Daemon la guardò di nuovo. “Mi scusi… Dev’essere l’elettricità...”
All’improvviso la porta si spalancò ed entrò un bambino in pigiama, i capelli scuri e riccioluti, seguito da un’infermiera con la divisa tutta colorata del reparto pediatrico e si precipitò vicino al letto gridando “Mamma! Mamma!”
“Oh! Luke! Tesoro mio!” fece Rhaenyra allungando le braccia per abbracciare il bambino. Con una smorfia di dolore cercò di tirarsi su ma le costole incrinate glielo impedirono.
“Vieni qui, luce dei miei occhi, fatti abbracciare! Come stai? Come hai dormito?”
“Mammina mi sei mancata tanto!” disse il bambino strofinandosi gli occhi pieni di lacrime.
“Dottor Targaryen, lui è Luke, Lucas. Mio figlio.”
“Piacere di conoscerti Lucas detto Luke. Vuoi salire sul letto?”
Il bambino annuì e Daemon lo sollevò per farlo sedere accanto alla madre. Luke le posò la testa su una spalla e lei gli baciò il nasino.
“Mammina, lo sai che il dottore mi ha fatto entrare in una macchina dove c’era un tubo lungo lungo? E mi ha messo le cuffie dove c’era la musica e io dovevo stare fermissimo. Poi mi ha detto che ero stato coraggioso e poi mi ha dato una caramella alla frutta!”
“Oh, tesoro! Ma io lo so che sei un bambino bravo e coraggioso, sei il mio ometto.” rispose lei sorridendo e accarezzandogli la testa.
“Signora, ora verrà il dottor Carter, il medico radiologo, per informarla di tutto" Intervenne l’infermiera. "Lucas è stato veramente bravo, non ha fatto i capricci, ha mangiato e giocato con un altro bambino della camera. Stamattina chiedeva continuamente di lei quindi l’ho portato qui... Bene, io vado Luke. Ora starai un po’ con la tua mamma. Ci vediamo dopo, va bene?” Rhaenyra la ringraziò e il bambino le sorrise. Gli mancavano due incisivi inferiori e uno superiore. Era adorabile.
Mentre aspettavano il medico, Daemon fece scendere Lucas dal letto e visitò Rhaenyra, le auscultò il torace e le chiese alcuni dati per completare l’anamnesi e aggiornare la sua cartella clinica.
Dopo un po' arrivò il dottor Phil Carter e spiegò a Rhaenyra che la risonanza magnetica di Luke era negativa. Nonostante l’urto violento, il bambino non aveva riportato traumi di alcun genere e che la dimissione era prevista per l’indomani.
“Lei signora potrà essere dimessa tra un paio di giorni. Purtroppo per le costole incrinate non si può far niente, guariranno col tempo. Invece per la frattura al perone che fortunatamente è composta dovrà tenere il gesso per almeno sei settimane. Al termine tornerà qui e le faremo una radiografia di controllo; se va tutto bene lo toglieremo. In ogni caso le prescriverò anche degli antidolorifici. Se vuole avvisare suo marito…”
“Non c’è nessuno!” fece lei d’impulso stringendo il bambino al petto. “Mi scusi, dottore…” fece Rhaenyra contrita. “Mio marito è in Iraq da due anni ma non ho sue notizi… Ci siamo trasferiti da poco, siamo soli, io e Luke, e in questa città non ho familiari che lo possano accudire… Ho un’amica che forse… Dopo quello che è successo vorrei averlo con me…” “Sarebbe un problema rinviare la sua dimissione? Potrebbe dormire qui con me. La prego dottor Carter…”
“Ma certo, signora, non potremmo mai separare un bambino dalla madre... Se il dottor Targaryen è d’accordo chiederò di approntare un lettino in questa camera. Mi dispiace per quello che è successo e vista la situazione faremo di tutto per…”
“Si, sono d’accordo! Ci penserò io, signora!” rispose Daemon guardando Rhaenyra.
“Naturalmente se per lei non è un problema che me ne occupi io.” aggiunse in fretta.
Lei gli restituì lo sguardo. “Non vorrei disturbare nessun…”
“Non mi disturba affatto!” rispose lui. “Lo faccio volentieri. D’altronde sono circostanze… particolari… E poi, dobbiamo pensare a sistemare questo ometto, vero Luke?” continuò, scarmigliando i capelli del bambino che lo guardò e sorrise.
Quel pomeriggio e nei due giorni successivi Daemon andò più volte a trovare Rhaenyra per assicurarsi che il lettino per Lucas fosse stato portato in camera, che avesse dormito bene, che non avesse dolori, che i cuscini fossero sistemati a dovere. Ogni scusa era buona per starle intorno. Quando le procurò un paio di grucce e l’aiutò ad alzarsi dal letto per esercitarsi a fare qualche passo, valutò di sfuggita che doveva essere alta circa un metro e settanta. Lui la superava almeno di una decina di centimetri.
All’inizio quella ragazza lo incuriosiva, il perché fossero così simili fisicamente era il primo pensiero. Il secondo fu che nonostante i Targaryen sparsi nel mondo fossero pochissimi, loro due probabilmente provenivano da rami diversi della stessa famiglia. Che strane coincidenze... pensava. Due Targaryen che si sono conosciuti per un caso assurdo.
Pian piano il limite sottile della mera curiosità sconfinò in qualcosa di molto vicino all’attrazione. Non riusciva a capire il perché ma in lei c’era qualcosa di indefinito che lo stuzzicava e al contempo lo affascinava. Che fosse simpatica e sempre pronta a sdrammatizzare era una casualità. Rhaenyra era una donna forte, fiera e indipendente. I radicali cambiamenti che aveva dovuto affrontare nella sua vita ne erano la prova, così come l’aver cresciuto il bambino senza alcun tipo di supporto familiare. Era perfettamente conscio di queste qualità, eppure, contro ogni logica, quando la guardava c’era in lei un'aura di impercettibile vulnerabilità che attivava, senza che se ne rendesse conto, il suo istinto di protezione. Ribadendo fino alla nausea come lo strano e assurdo interesse verso quella donna fosse del tutto innocente, Daemon ingannava sé stesso.
Ma, inganno o no, alla fine non potè più evitare di pensare continuamente a lei. La notte, nel suo letto, tardava a prendere sonno rivivendo come in un film tutte le scene di quelle giornate. Gli tornava in mente Rhaenyra in quella ridicola camicia d’ospedale che a malapena nascondeva le sue forme. Chiudeva gli occhi e il bellissimo viso, il sorriso, i suoi occhi erano nella sua mente. Persino il nome gli faceva battere forte il cuore.
Che cazzo mi sta succedendo!? Sto per caso impazzendo?. Il tenore dei suoi pensieri era sempre lo stesso. Non ho più quindici anni! Ho una donna a cui voglio bene e io penso ad una sconosciuta? Dovrei farmi gli affari miei e lasciare Rhaenyra in pace!
Il giorno dopo si svegliava con Rhaenyra in mente e di nuovo non vedeva l’ora di andare da lei. I propositi della notte precedente regolarmente spazzati via.
La mattina in cui lei e il bambino sarebbero stati dimessi, Daemon si presentò in camera con una sedia a rotelle.
“Buongiorno a tutti! Siete pronti?” fece con entusiasmo.
“Ho portato questo drago per la tua mamma, piccolino. Ora si siede sulla sella e lo cavalca fino alla macchina.”
“Siii, ti stavo aspettando, zio!” rispose elettrizzato il bambino. “Mamma, guarda, lo zio Daemon ti ha portato un drago tutto rosso! Ma lo sai cavalcare, mammina?”
Aveva iniziato a chiamarlo ‘zio’ il giorno precedente. Daemon e Rhaenyra non capivano il perché ma sorridevano divertiti per quello strano appellativo.
Rhaenyra stava in piedi, sostenuta dalle grucce. Era già vestita con una gonna a disegni geometrici e un maglioncino in tinta e stava ridacchiando. “Vi prego, non fatemi ridere. Le costole…” disse lei poggiando una mano sul lato dolorante. Daemon la guardò in apnea. Aveva i lunghi capelli raccolti in una treccia che le scendeva sul petto. Alcune ciocche erano sfuggite al pettine e ne incorniciavano il viso. La luce che entrava dalla finestra alle sue spalle faceva risplendere il corpo e quei capelli, come un alone luminoso. Sembrava un angelo moderno uscito da un dipinto rinascimentale.
Rhaenyra se ne accorse e si schiarì la voce: “Vogliamo andare, dottore?”
“Si, si, certo!” rispose annuendo e distogliendo lo sguardo. “Ora, mammina, se permetti, ti aiuto a sederti sul dorso del drago rosso.” scherzò Daemon avvicinando la sedia a rotelle.
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La ricerca di lavoro sta andando che non sta andando e voglio crepare lentamente + fumettista quarantenne che mi scrive “ciao tutto bene?? Con il libro????” A cui io rispondo con una sfilza di motivi per cui quel lavoro di merda è una merda e quanto anche tutti gli altri lo siano e spero capisca che non mi deve scrivere mai più
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un quarantenne ci ha letteralmente provato con me, hai letteralmente vent'anni più di me, è una famiglia coglione 🤡
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L’amore che ci lega
Non posso fare a meno di sniffare, odorare e leccare tutto ciò che ti riguarda. Anche adesso che siamo assidue amanti in segreto. Io, la studentessa del quarto piano e tu, la quarantenne manager in carriera divorziata della mansardina. Ti lecco e annuso ovunque. L’attrazione sessuale ha moltissimo a che fare con odori e sapori del corpo della persona amata. Se ne ha un gran bisogno. Il tuo odore mi serve per ritrovarti tra la folla, in un pub o al supermercato sotto casa. Per capire se sei passata dove io sono in quel momento. O come surrogato del sesso quando non ci sei. Perché ti cerco di continuo. Mi urgi sempre.
Ed è solo colpa tua: mi sono innamorata di te a prima vista. Da quando mi sono trasferita qui per l’università e tu m’hai invitata a cena la sera stessa. Non ero mai stata con un’altra donna, prima di questa storia folle. E tu dopo un po’ di tempo me l’hai fatto sembrare così naturale, che non mi sono resa conto di cadere man mano nella tua infallibile rete. Fatta di seduzione, giochi intellettuali raffinatissimi, sguardi, carezze, sottintesi e baci sempre più arditi e frequenti. Le settimane passavano e a un certo punto, durante il giorno hai semplicemente iniziato a mancarmi: ovunque fossi, qualsiasi cosa stessi facendo, non vedevo l’ora di tornare a casa.
Per vederti, per avere un qualche contatto con te. Anche se magari ero fuori con degli amici simpatici e giusti per la mia età. Una vera ossessione d’amore. E poi volevo disperatamente provare il rapporto fisico con il tuo corpo slanciato e perfetto. Sognavo le tue bellissime labbra sulle mie, anche se tu nel primo periodo di studio reciproco, al momento del commiato m’avevi dato sempre solo un bacio sulla guancia.
Che in verità, progressivamente nei giorni s’è prolungato. Per poi trasformarsi in una evidente e gradita leccata fino al collo, ove diventava un succhiotto di pochi secondi. Cose di tua lunga esperienza, che m‘accendevano di desiderio e mi facevano inumidire la fica. Tornavo a casa regolarmente stordita, pensando a te. Ogni sera, mentre mi leccavi rapida e sicura di te, io mi ti stringevo un po’ di più. Sperando che tu osassi molto altro. Perché io proprio non avevo il coraggio di andare oltre il nostro rapporto amicale e intimo.
Dopo pochi giorni dalla nostra conoscenza, ho iniziato ad avere dapprima semplice e genuina curiosità, poi un desiderio grande e sempre più intenso delle tue intimità. E quando ti venivo a trovare, mi sono sorpresa quasi senza accorgermene a chiudere gli occhi e odorare i tuoi golfini e i foulard che lasciavi sparsi in giro per casa. Lo faccio ancora, in verità.
Confesso ora pubblicamente anche di aver commesso una scorrettezza. E che Dio benedica il momento in cui l’ho fatto: una sera, dopo cena t’ho rubato un reggiseno e uno slip dal cesto dei panni sporchi. Per il puro gusto di portarmeli a letto e annusarmeli da sola, pensandoti e masturbandomi. Non si dovrebbe fare, ma dentro la mia mente e le mie zone erogene iniziava la forte necessità di te.
Del furtarello ti sei accorta la sera stessa, perché dovevi fare una lavatrice. M’hai mandato subito un messaggio molto educato:
“ehi, bamboletta: per caso avessi preso per sbaglio un mio coordinato intimo dai panni sporchi? Se ti piaceva così tanto, potevi semplicemente chiedere: non credi? Ma tranquilla: continuo ad avere stima di te e a volerti bene. Baci baci.”
Avrei voluto morire! Non sapevo come uscirne fuori, cosa risponderti. M’hai tolta d’impaccio tu, venendo a casa mia direttamente. Ho sentito il campanello, ho aperto e il mio cuore è impazzito: eri profumata e sensuale da mozzare il fiato. Sei entrata e io non avevo il coraggio di guardarti in viso. Tenevo gli occhi bassi. Tu mi ti sei piazzata davanti, hai sollevato il mio mento con due dita e m’hai detto a voce bassa e guardandomi fissa negli occhi: “sai che quando hai le guance rosso fuoco e sei imbarazzata mi fai morire, bambina dispettosa?”
Poi senza avere alcun dubbio in merito, sapendo ormai di andare sul velluto, m’hai baciata: un bacio che è durato forse buoni dieci minuti. Mi manovravi decisa, forte e sicura. Mentre mi infilavi le mani dappertutto e io non riuscivo a fermarle. Anzi: desideravo che entrassero più a fondo, ovunque tu volessi. La tua lingua comandava, scavava dentro la mia bocca.
Era padrona. Io la accoglievo e cercavo a mia volta di annodare le nostre lingue in un gioco stimolante ed eroticissimo, molto intimo. Le tue labbra sapevano di miele e di purissimo peccato. Non ero ancora esperta delle schermaglie tra donne; perciò mentre ci baciavamo e tu mi frugavi, mi sono limitata ad accarezzarti il viso e tenerti il capo, piangendo di felicità. Ma non staccavo la mia bocca dalla tua. Non volevo altro dalla vita, in quel momento.
Tu dopo poco ti sei finalmente tolta il cappotto; sotto avevi una gonna ampia, che hai tolto in due secondi: avevi le autoreggenti senza gli slip. T’eri fatta bella da morire, per la nostra prima volta. Ti sei seduta, m’hai fatto cenno di inginocchiarmi davanti a te. Uno di quei comandi impliciti che non ammettono dinieghi. Ma anche io non volevo che quello. Quindi, decisa, a gambe ben larghe, sì da farmi osservare a lungo e chiaramente la cosa più bella e desiderabile che io abbia mai visto, hai preso la mia testa e l’hai tuffata tra le tue cosce, tenendo la tua mano ferma sulla mia nuca e premendomi contro di te.
Respiravo il tuo odore intimo molto aspro e forte. Finalmente. Ti assaporavo per la prima volta. Era la nascita della mia dipendenza fortissima da te. Quasi avevo un orgasmo, dalla contentezza. Mi hai detto: “sai, è veramente stupido annusare e leccare il mio intimo, quando invece puoi avere direttamente l’originale a tua disposizione! Ora stupiscimi: leccami, sbocconcellami, fammi venire. Voglio godere della mia ragazzina viziata preferita.” Sono stata così, incollata al tuo inguine, per almeno mezz’ora. Il mio viso era tutto bagnato, totalmente coperto dal tuo miele.
Godevi. Gemevi piano, muovevi i fianchi in mille modi, per farmi entrare meglio con la lingua e per offrirti tutta a me. Ti piaceva. Mentre ti mordicchiavo dolcemente, ti leccavo e succhiavo, perché ormai ero pazza d’amore per te. Non so come, ma sono riuscita anche a togliermi i vestiti di dosso: volevo essere completamente nuda e offrirmi a te tutta. Umile e folle di te. Pronta a tutto. Infine, strusciavo tutto il mio corpo contro la tua passera, per bagnarmi e ricoprirmi del tuo amore. Per farti marcare il territorio. Tu sorridevi, contenta e vincitrice. E continuavi, generosa, a venire e a regalarmi così il tuo miele. Sei abituata a ottenere tutto, dalla vita.
Tra l’altro, appena denudata, la prima cosa che ho fatto è stata cercare di infilare un mio seno nella tua fica. Era molto che desideravo fartelo. Tu hai iniziato a ridere contenta e mentre la contraevi, per cercare di trattenere il mio capezzolo turgido, m’hai detto: “ah, ah: vedo che non ti manca l’inventiva, bambina! Però adesso io mi giro e tu leccami il culo. Molto intensamente. Fammi morire dalla passione. Completa il sortilegio, la magia che mi lega a te. E mentre lecchi il mio ano, toccami le mammelle, sorreggimele dolcemente. Accarezzamele. Perché mi devi eccitare tutta e far inturgidire anche i capezzoli. Voglio offriteli fra un po’. Sono i cioccolatini di ‘benvenuta dentro il mio cuore’ che ho portato stasera per te.”
Infine, siccome sei una leonessa dominante e fiera, dopo esserti trastullata con le mie leccate e i miei primi, goffi tentativi di far godere una donna, messi in atto cercando in fretta nella mia mente un inesistente bugiardino del sesso proibito, m’hai presa e rivoltata come un leone con la sua gazzella quotidiana. M’hai distrutta con la passione, col tuo corpo e col sesso. Non sapevo che l’amore tra due donne potesse essere così intenso e gratificante. M’hai fatta venire mille volte. M’hai fatta innamorare ancor più di quanto nella mia mente non fossi già tua, tua, tua.
RDA
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Uno squalo a Monza! Vincenzo Nibali sarà al via del Monza Rally Show
🔴🔴 Uno squalo a Monza! Vincenzo Nibali sarà al via del Monza Rally Show
Un campionissimo delle due ruote che si rimette in gioco per la prima volta con le quattro a motore: a impreziosire il Monza Rally Show, in programma all’Autodromo Nazionale Monza, dal 6 all’8 dicembre 2024, ci sarà anche Vincenzo Nibali al volante di una GR Yaris R1 T4X4 del team Toyota Gazoo Racing Italy in collaborazione con Visit Malta. Il quarantenne siciliano è una leggenda del ciclismo…
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