#c'è qualcosa che non mi convince ma pazienza
Explore tagged Tumblr posts
Text
Lisabetta da messina
if you want to buy prints (or totes or stickers or pins)
#che poi non è neanche la mia novella preferita ma dovevo fare uscire questa visione dalla mia testa#c'è qualcosa che non mi convince ma pazienza#oh no she's still decameron posting#boccaccio#decameron#my art
91 notes
·
View notes
Text
Non c'è posto.
Ieri mi è venuta l'idea che per fare qualcosa di diverso mi vado a fare un massaggio, un bel massaggio rilassante. Contatto la filippina e mi dice che può ricevermi fra 10gg, ma come? Il massaggio lo voglio domani al massimo dopodomani perché poi mi passa la voglia, fatto sta che ho trovato un'altra disponibile che costa anche meno, quindi oggi massaggio. Ieri pensavo di comprare le scatole ma quando sono andato sul sito per l'ennesima volta mi sono bloccato davanti al prodotto, c'è qualcosa che non quadra mi sono detto, non sono convinto al 100% di quelle scatole semplicemente perché sono nere, bianche non le fanno, color cartone neanche, se chiedo un materiale diverso il prezzo schizza alle stelle, penso perché non hanno voglia di farlo anche perché che ci vuole a cambiare il materiale alla macchina che taglia e piega e fare la stessa scatola ma con un materiale diverso? Va bè, oggi ci penso meglio e poi decido, questo perché ieri nel turbine di questa strana depressione o momento poco allegro, fate voi non ho idea di come poterlo chiamare, i dubbi salgono esponenzialmente il tempo stringe e il lavoro per poter portare sto gioco online è lungo.
Passando all'altra sfera, la musica, in questi giorni non ho avuto molta voglia di suonare anche se nonostante questo ho suonato, beh fino a quando sono esercizi di batteria niente di particolare da segnalare, ma quando si tratta di suonare i brani, che dovrei registrare, mi stufo, nel senso che c'è qualcosa che non mi convince. Partendo dal fatto che alcuni di essi sono datati, tra i 4 e i 6 anni (più o meno se non erro) e che di solito non sono propenso a suonare roba vecchia, non sono come certuni che ho conosciuto che suonano gli stessi brani da 15 anni, senza contare che ho visto alcuni video dove è stato taggato un amico a CT e nonostante siano tutti bravi fanno ancora knockin' on heaven's door o altri brani che penso ascoltino solo a Catania va bè questo è un discorso diverso, ma il punto è che non mi piace suonare cose vecchie, "allora scrivine di nuove, no?", bella domanda, in realtà me la sono posta da solo 😆, si ok nuovo materiale significa altro tempo che si traduce in stanno finendo i soldi meglio un lavoro qualsiasi. Infatti l'idea è quella di partire con i brani vecchi, chiamare il lavoro tipo "Dove avevo lasciato?" o "Dove ero rimasto?" o comunque un titolo che fa capire che riprendo da dove avevo staccato.
La mia preoccupazione non è tanto i brani o le performance successive, sperando che ne riesco a fare, ma l'etichetta; si, lo so l'ho detto mille volte che non mi piacciono e che non sono il tipo, ma in un mondo organizzato modi archivio le menti inquadrate hanno bisogno di catalogare tutto, quindi se faccio i brani vecchi che sono al 90% blues a modo mio, c'è sempre una componente personale in tutto quello che faccio anche il blues (in questo caso) che sembra più standard ad un certo punto cambia perché è la mia natura non fare quello che è stato già fatto, lo faccio per carità se no non posso definirmi un musicista. Quindi la paura sta nelle etichette che gli altri mi possono appioppare e che mi rinchiuderebbero in un circolo chiuso e non voglio questo, voglio essere libero di poter fare quello che voglio e poterlo proporre se poi piace bene se non piace pazienza, non si può piacere a tutti, ma il punto è la libertà artistica. Lo so cosa vuoi dirmi, che non ho nessun contratto che mi vincola a fare un determinato tipo di musica, però purtroppo la situazione attuale mette i puntini e in un catalogo, così anche se facessi altro verrei comunque sempre in mente alle persone per quello che ho fatto fin ora, cioè blues (sempre a modo mio), e non voglio questo, non sto a ripetere cosa voglio che lo sai. Devo riflettere anche su questo.
E' uscito il sole, sembrava stamane che avrebbe piovuto tutto il giorno, meno male, mi vado a preparare per il massaggio.
2 notes
·
View notes
Text
sì lo so che lo sai, per questo non verrò a ripetertelo, ma lo scriverò qui sul mio blog che tanto, voglio dire, è il mio blog. è tardi e domani dovrò svegliarmi presto ma ho un fortissimo bisogno di vomitare un po' di parole. per me stessa. ora che posso. chi mai mi leggerà? solo la futura Alice che vorrà ascoltare e prendersi un po’ cura dell’Alice del passato, quella di ora. quella che in questo preciso momento è presente, qui, adesso. quella che approfitta di questo raro momento di lucidità mentale dopo giorni di morte e marciume.
lo so che lo sai, per questo non verrò a ripetertelo, forse anche perché non ci hai mai creduto nonostante ti abbia sempre parlato col cuore in mano. è da quando ti conosco che lo faccio, e mi sono sempre impegnata a farlo perché sei stata la prima persona dopo anni di apatia e piattume emotivo/mentale/sociale che mi ha fatto pensare “ne vale la pena”. ultimamente penso spesso a questo. i primi tempi in cui cominciavamo a conoscerci era bellissimo stare insieme e io mi sentivo così calma e così in pace che solo adesso capisco che altro non era che felicità. e quando eravamo insieme io riuscivo solo a pensare che in qualunque rapporto saremo finite ne sarebbe valsa la pena, e mi dicevo "lei accoglierà l’affetto e il calore e le attenzioni e le cure che sono capace di dare, e ne sarà grata, e io lo saprò perché lo sentirò." tu sei stata la prima persona dopo moltissimo tempo che mi ha fatto venir voglia di avere qualcosa di bello. di investire me stessa e il mio tempo e le mie energie e il mio cuore in qualcuno. e tu, così affamata di amore e attenzioni, non potevi che essere la persona perfetta a cui dare tanto, e con sincerità. non per finta come avevo fatto per tutti quegli anni. io in te ho sempre visto una persona di cui prendersi cura nei modi più gentili e amorevoli, e ho capito che la chiave di tutto è la pazienza. specie quando fai di tutto per non venir trattata così. quando ti chiudi a riccio e mi sbatti la porta in faccia, sparisci e non ti fai sentire, mi rispondi freddamente, fai un po' l'orgogliosa e ti mostri disinteressata. ti fai distante, mi dai uno spintone e alzi un muro, e io non capisco perché, mi sento male perché mi manchi, perché sono preoccupata, perché voglio starti vicina ma mi sento come se non me lo permettessi. provo a confrontarti e mi viene una gran paura matta di disturbarti, di essere di troppo, di pensare "no non è vero che lo fa per metterti alla prova, chi cazzo ti credi di essere. non significhi nulla, lo fa perché si è rotta il cazzo di te e delle tue attenzioni, basta. tornerà quando tornerà, non romperle più i coglioni o te la vedrai brutta." perciò ti lascio stare, ma c'è qualcosa che non mi convince, qualcosa puzza, non lo so. forse è solo strano non sentirti? questo lo sai. è solo brutto? te l'ho detto, sì, è brutto. sarà che è strano e brutto e doloroso perché parlare con te fa parte della mia routine? perché quando arriva questo silenzio a dividerci io penso sempre a quando mi dicevi che parlare con me era il tuo contatto con la realtà? e mi chiedo chissà se lo è ancora. probabilmente no. evidentemente no. penso al fatto che io e te ci siamo viste nei momenti più vulnerabili e bui, ci siamo permesse di mostrarci fragili come solo due persone veramente vicine riescono a fare. io non avevo mai lasciato nessuno vedermi in certe condizioni. anche qui sei stata la prima. e quando mi permettevi di correre da te nonostante tu non riuscissi a vedere nessuno, e io entravo a casa tua come se fosse la mia, e mi sedevo sul tuo letto e me ne stavo in silenzio ad accarezzarti le guance, per me era importantissimo che tu mi permettessi di essere lì a farlo. perché so quanto è difficile e perché anch'io riuscivo a permettertelo. allora perché adesso è diverso? cos'è questo muro? ti sei indurita? pensi io non voglia più prendermi cura di te? cos'è che non mi convince di questa resa? non lo so, ho troppe domande. ma soprattutto ho paura. di aver pensato di significare per te più di quanto in realtà significhi, di averti dato più di quel che potevo perché pensavo fosse giusto, di scoprire che nella tua vita e nella tua quotidianità io non faccio la minima differenza e non sono un minimo rilevante. che tutte quelle persone del tuo passato sono molto più importanti di me, e con loro hai un’intesa che forse con me non hai mai sentito. ho paura di scoprire cose che mi farebbero soffrire, quindi meglio non rischiare nulla e giacere in questo silenzio insopportabile, soffrendo comunque. e in questo silenzio insopportabile io non riesco ad accettare che tu mi abbia fatto venir voglia di dar tutta me stessa soltanto per nutrirti del mio calore. perché lo sai che sto male. sto male perché sono depressa, perché non ho un motivo per star diversamente, perché ho 23 anni e non voglio vivere più, perché mi sento sola con sto cuore pieno e non so che farci, perché vivere con una madre così infelice mi fa ammalare ogni giorno di più, e sto male e non ho la forza di esserci per me stessa. perché a volte non ho neanche la forza di farmi una doccia, o di uscire dal letto senza sentirmi come se mi stessi scuoiando viva. io voglio esserci per te, io ci sono sempre voluta essere per te, ma sono stanca. sono così stanca di sacrificare le briciole di energia per capire cos'hai in testa, per cercare di leggerti nel pensiero sapendo che ti è difficile comunicare e non potrei mai fartene una colpa, ma anzi lavorare insieme a te per impedire che questo ostacoli o minacci il nostro rapporto. però mi sento rigettata, e non so perché lo fai, e non voglio chiedermelo più, non voglio più riempirmi la testa di domande o considerazioni che mi feriscono soltanto. io sto male e per quanto io voglia prendermi cura di te, non ci riesco se me lo rendi così difficile. io non voglio soffrire più. e rincorrerti mi è troppo faticoso. ma del resto sto dando per scontato che tu tenga a me quanto io tengo a te. sto dando per scontato che tu tenga al nostro rapporto come ci tengo io. sto dando per scontato che ti vada bene che io mi prenda cura di te. questo non è nient'altro che un vomito necessario. un vano tentativo di svuotarmi un po' la testa e il petto, riuscendo soltanto a ingarbugliare ancor di più i fili che li connettono.
ti lascio libera di fare ciò che desideri. ciò che ritieni più opportuno. io sono troppo stanca. ultimamente sono stata talmente male che non mi sono neanche preoccupata di nascondermi da mia madre, regola numero uno che osservo attentamente da quando a tredici anni mi si spezzò il cuore per la prima volta. pensavo “non farti mai vedere a pezzi da tua madre. non farlo perché lei è fragile come te e vederti piangere la spezzerà, e a quel punto sarete entrambe distrutte e non potrete aiutarvi.” domenica mattina mi sono svegliata, sono andata in bagno a fare pipì e a lavarmi i denti, e poi non ce l’ho fatta più e mi sono accasciata a letto. mia madre mi chiamava dall’altro lato della casa ma io non riuscivo a risponderle, mi sentivo minuscola, inutile, sporca, stupida, disgustosa, e ho cominciato a piangere. lei è venuta in camera, si è avvicinata e si è seduta sul letto, mi ha preso la mano e continuava a chiedermi “cos’è successo? che succede? cos’hai?”, mi accarezzava ma a me sembrava stesse accarezzando un cadavere. avrei voluto scriverti perché non sapevo cos'altro fare, ma cosa ti avrei detto? con che coraggio ti avrei addossato il mio malessere? mi sono sentita in colpa solo a pensarci. e poi magari non ti avrebbe neanche fatto piacere sentirmi. mi sono messa in testa che non ti vado più bene. che la mia utilità nella tua vita l'ho avuta e l'ho esaurita. mi sono abbandonata a dei forti singhiozzi e mi sono sentita una bambina malata. mia madre continuava a dirmi “reagisci, reagisci, forza Alice, forza tesoro mio, reagisci” e io stavo lì col viso strizzato dal dolore. credevo che in questo periodo di episodio depressivo bastasse una, al massimo due crisi di pianto per sbriciolarmi per bene e aver modo di riassestarmi definitivamente, almeno fino alla prossima crisi depressiva. distruggermi per ricompormi, ricostruirmi. invece no. stavolta una crisi di pianto susseguiva l’altra, non riuscivo più a fermarmi, mi sono sorpresa dalla quantità di lacrime che può piangere una persona così depressa, così vuota, così morta. non so cosa sia stato. non so cosa sono diventata. non ero neanche la cosa più lontana da Alice. probabilmente non ero proprio un bel nulla. solo un corpo pallido, stanco e puzzolente. la depressione («unipolare», così ha cominciato a chiamarla la mia psichiatra nelle ultime sedute) è una bastarda perché quando pensi di aver imparato a conviverci pacificamente e smetti di combatterci contro, quando le dai il benvenuto e la tratti con gentilezza e lasci che lei faccia le sue cose e poi ti lasci, senza ostacolarla, lei ti sveglia nel cuore della notte e ti picchietta sulla spalla e ti dice “io e te non saremo mai amiche. io non sarò mai gentile con te.” e ci sono dei giorni in cui mi sveglio e so che lei è con me, la sento immediatamente, la sua presenza è inconfondibile: sento la testa fasciata da mille veli neri stretti stretti, che mi coprono tutto il viso e mi chiudono le narici, mi comprimono il cervello e mi rendono la testa pesantissima. io con questa testa pesantissima mi ci sono svegliata ormai non so più quanto tempo fa, una settimana intera? 10 giorni? non lo so. un’infinità di tempo. e da allora (salvo stranamente proprio stasera, ma so che da domani torneranno i veli neri) non ho fatto altro che dormire e piangere. l’altra notte mi ha afferrato dalle viscere una sensazione talmente esasperante, talmente profonda e forte e maledetta, che non sono riuscita a reggermi in piedi e mi sono sdraiata sul pavimento di camera mia. ho cominciato a piangere, a contorcermi. mi chiedevo perché avessi tutto questo dolore dentro di me, da dove provenisse, che cosa dovessi farci. tutto il mio corpo tremava e veniva scosso da singhiozzi disperati, avevo degli spasmi muscolari insopportabili e strizzavo gli occhi con una tale forza che mi è venuto un dolore lancinante alla testa, non so come spiegarlo. l’ho sentito come una sorta di fulmine sopra l’occhio destro. non è passato, ogni tanto ritorna, dura un secondo e poi svanisce. non so quanto ancora durerà, ma fino ad allora io non riuscirò a pensare a nient'altro che alla mia solitudine, e il mio dovere nel prendermi cura di me stessa, come meglio posso. mi manchi e vorrei averti vista prima di partire tra qualche ora. vorrei ci fossimo scambiate i regali di Natale, che anche se quest'anno abbiamo fatto il secret santa insieme agli altri, noi i nostri regali ce li siamo fatti lo stesso. e vorrei che li avessimo aperti insieme e vorrei aver visto la tua reazione. soprattutto vorrei mi avessi abbracciato come mi hai abbracciato quella sera a casa di Ginevra prima che me ne andassi. chissà quando ti vedrò e chissà quando ti sentirò, chissà che pensi.
0 notes
Note
Gli animali hanno un anima? E se si possono avere altre vite?
Che gli animali abbiano un'anima (intesa come psiche) è indubbio. Però, per approfondire il concetto, il discorso deve essere articolato, Anon.Spero che avrai la pazienza di leggerlo.
Secondo i principi esoterici in generale e in una certa filosofia, lo spirito è l'essenza stessa della vita come natura esterna dell'Assoluto (di Dio). Quindi esiste in tutto quello che è espresso nella forma, nella qualità e nella coscienza.Casomai bisogna distinguere la maturazione di questo spirito che, a un certo punto della sua evoluzione, forma un'auto-coscienza che produce l'io con tutti i suoi attributi.Pare che negli animali questa consapevolezza di se stessi, manchi, se non in alcune forme più evolute, come nei delfini, nelle scimmie e perfino in alcuni animali domestici, come i cani, la cui intelligenza e (nel caso dei cani) la loro vicinanza all'uomo, hanno permesso di far maturare un grossolano senso dell'io in alcuni di essi.Quindi una cosa è lo spirito e un'altra cosa è l'auto-coscienza con il senso dell'io.
Se si accetta questa ipotesi e si parte da questa premessa, la domanda da porsi è: che cos'è che si reincarna?
Una risposta potrebbe essere che si reincarna il principio di vita che faceva capo alla creatura che si sta prendendo in considerazione (pianta, animale o uomo).Allora sorge un altro problema; un animale ha una vita individualizzata? O fa capo a un'anima collettiva?
Sappiamo che la vita è “una”, cioè espressione di coscienza, che, però, si manifesta in innumerevoli forme e in una gradazione di qualità, che vede dispiegarsi la sensibilità del vegetale, la mente istintiva dell'animale, e l'auto-consapevolezza dell'uomo.Cioè, prima di tutto bisognerebbe concepire la vita come “un'onda” che, emergendo dalla forma più semplice, si evolve con un ciclico ritorno, acquisendo esperienza, qualità e una coscienza di sè, che vede l'uomo maturare una propria individualità e auto-coscienza così da porsi al vertice di una scala di cui possiamo vedere il principio, ma non la fine.
Quindi, si può pensare che l'espressione di vita che fa capo ad un animale, si reincarnerà come individualità, solo se quell'animale avrà maturato quell'auto-consapevolezza sufficiente a rendere autonoma quell'individualità.Infatti esistono degli animali come le api, le formiche e simili che notoriamente non si possono considerare individui, ma il vero individuo è l'alveare, il formicaio ecc..Qualcosa del genere potrebbe esistere anche per altri animali, che, apparentemente, sembrano autonomi. In realtà, nella vita vegetale e animale, sappiamo che non esiste il senso dell'io, il quale comincia a manifestarsi solo in specie più evolute, come le scimmie, i delfini, forse in alcuni cani, o chissà in quali altri.Il senso dell'io (auto-coscienza), è l'indicatore che si è arrivati a una maturità in cui c'è una consapevolezza di sè e, quindi, quella vita proseguirà la sua evoluzione nell'ampliamento di questa consapevolezza in una forma individualizzata.
La conclusione è che la reincarnazione, come individualità, esiste solo nell'uomo o in altre poche forme di vita animale superiore. Le altre contribuiranno a alimentare e formare quella individualità di gruppo, alla quale fanno capo; ed è questa che amplierà la sua coscienza per procedere in espressioni e sensibilità sempre più sofisticate, fino ad arrivare all'uomo e oltre.
Ma, dopo la morte del corpo fisico, che succede?
Qui si trovano diverse interpretazioni.Quella che, personalmente, mi convince di più, spiega che dopo la morte del corpo fisico e la successiva reincarnazione, esiste un periodo in cui è necessario “metabolizzare” le esperienze avute e trasmetterle alla coscienza. Questo processo si attua in quelli che sono definiti “Piani di esistenza”, composti da una materia meno densa di quella del mondo fisico, ma proporzionata alla sensibilità e capacità di pensiero, dell'individuo che li sperimenta.
Quindi un animale, il quale non ha ancora formato un'auto-consapevolezza, coglierà ben poco di questi piani, e si reincarnerà quasi subito. Mentre chi ha potuto esprimere la struttura complessa dell'io, prima di reincarnarsi, spazierà in mondi e sensibilità che rifletteranno le sue esperienze e ne consolideranno il senso, rendendolo alla coscienza, la quale, successivamente, produrrà una nuova incarnazione.
Comunque, se questo può consolare chi è legato da un profondo affetto al suo animale domestico, questo discorso tende a indicare che il legame, in ogni caso rimane, perchè sappiamo che esperienze di scambio, amicizia e amore, a qualunque livello, segnano un rapporto che, in qualche modo procedere da un'incarnazione all'altra.Ci rincontreremo sempre, sia di qua che di là.
22 notes
·
View notes