#bowling - scuola
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Chi mi vuole come "insegnante" di bowling? 🎳😸
Lunedì proprio come l'anno scorso aiuterò i miei compagni del club per il progetto bowling-scuola
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#bowling#bowling-scuola#sport#bowler#bowlers#progetto bowling scuola#bowling scuola
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La settimana del andare fuori è finita o comunque agli sgoccioli.
Martedì : uscita con colleghi diventata uscita con collega causa pacco di tre su cinque, andata bene
Mercoledì: uscita per prove saggio della scuola di musica, suonato "Maria" e "The Loneliest" (che due coglioni sta canzone in particolare) andato meno peggio del previsto
Giovedì: uscita per prove saggio, "Kiss from a rose" tutto bene ma provata a fine serata perché era l'ultima in scaletta, tornato a casa tardi
Oggi: uscita con colleghi per compleanno e cena fuori, bowling, tornato a casa stanco, brillo.
Al lavoro, settimana di merda con continue lamentele da parte del cliente che si è accorto che avevamo ticket gestiti con mesi di distanza, anche se ora siamo a zero, e direttore che non se ne assume le responsabilità. Per me, ne siamo fuori, il resto cazzi loro.
A casa, settimana abbastanza di merda tra problemi di salute e incomprensioni.
Sono stanco, si. Ho bisogno di decomprimere, di vedere meno gente possibile, di stare tranquillo.
Ci sono stati dei momenti belli, senza dubbio, ma basta, la mia social battery è scarica.
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A Sunday Kind of Love 6 is at +13k words and I don't know how longer it will get, probably a lot, I love it.
Should I add a scene where Max, on the phone with Charles’s mom, dyes Charles’ hair?
And, here's a snippet of the fic! Enjoy!
~
The next morning Max is awake and not too dumbed by a long 12-hour nap. All the tiredness he accumulated caught up with him. He wakes up rather early and manages to eat half of the sweets in the pantry for breakfast. He drinks a red red bull can, the only one he's allowed in the house, and he walks upstairs to turn on the simulator. He might do some endurance racing until lunch.
As the computer turns on he checks his messages. There are a few texts from Charles, a bunch of I lost my dildo, do you know where my pink dildo is texts, a picture of a cake his mother made with a finger half covering the camera lens, another one without the finger, a video Arthur took of Charles asleep on the sofa snoring loudly, you stole my highway pass!!, BASTARD!, then Charles texts him the time he will leave for Italy, two days later, Max blinks twice when he sees that Charles will drive from Monaco to their place.
Babe, are you insane?
Wait, don't answer… What will you do today?
He texts and grins when he sees Charles's answer, a sticker of his face holding a red triangle sign saying 'don't'. Max laughs.
I'll sleep again, go to your place since mine is flooded with people outside, I'll help mom make a menu for the dinner with the cousins and then I'll probably be forced to make lasagne for lunch by Arthur, he doesn't let me live after the ones I made for Easter
Tell him that the next time you fall asleep he should draw a dick on your forehead
Like he did last week
absolutely no, don't give him strange ideas
You're lucky I don't have his number
I know you think I lack self-preservation instincts, but I don't go that far
I miss you
I love you
I love you too
don't let Arthur wait for his food
Blah blah blah, ttyl <3
God you're so sexy when you use millennial slang
Max smiles and puts his phone on the Red Bull mini-fridge he has in the sim room, next to his first world championship trophy. A curious piece of tat. He sits down and fixes the camera in front of him. He still has an hour before he needs to turn it on and join a live stream with his sim racing team. He grins and opens goat simulator and takes his phone to text Lando.
Wanna do one hour of goat simulator before I go live?
Fuck yeah, mate
-
Max's stomach rumbles at half past noon, while he's still streaming and, after five minutes of good teasing, he turns off the live stream, and goes to the kitchen, trying to understand what to make. He looks at the package of tagliatelle Charles bought but didn't like. It's been sitting on the counter for two weeks. He takes it and grins as he opens the pantry filled with stacked jars of fancy tomato sauce. Charles really has a problem…
"Okay, that will do," he mumbles as he takes a new jar.
He puts on another Paul Simon vinyl and jams to the music while cutting onions and garlic, humming the words of 50 Ways to leave your lover. Max grins and puts the chopped stuff in a little bowl. Charles has taught him to be organised in the kitchen and he's trying. His phone starts ringing and Max stops the music to pick it up. It’s a number he hasn’t saved in his contacts, an Italian number.
"Hello?"
"Ciao zio Max! Sono Lorenzo!" Hi uncle Max! I'm Lorenzo!
"Ciao Lorenzo, come stai?” Hi Lorenzo, how are you? He asks with a big smile on his face.
“Tutto bene, scusa se ti chiamo, ma mia mamma non riesce a venirmi a prendere a scuola… Potresti passare tu?”
“Aspetta, I don’t understand, one second, un secondo…” Max says as he hurries to the living room to take his tablet with him and opens Google Translate.
“Parla, per favore,” Speak, please. He says and Lorenzo repeats the phrase. All’s good, sorry if I’m calling you, but my mom can’t pick me up from school… Could you come and pick me up?
#lestappen#lestappen fic#charles leclerc fanfic#max verstappen fanfic#ao3#lestappen wip#lestappen fanfic#a sunday kind of love
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P!nk
P!nk è lo pseudonimo di Alecia Beth Moore, camaleontica musicista statunitense che ha venduto oltre 100 milioni di dischi in tutto il mondo, nominata Artista Pop del Decennio nel 2009 e Donna dell’anno nel 2013 da Billboard.
Ha vinto sette MTV Video Music Awards, due MTV Europe Music Awards, tre Grammy Awards e un Daytime Emmy Award, oltre a diverse altre onorificenze.
Nel 2019 ha ottenuto la sua stella sulla Hollywood Walk of Fame ed è stata la prima artista non britannica a cui è stato conferito l’Outstanding Contribution to Music Award ai BRIT.
Per il suo attivismo e impegno politico rappresenta un esempio per milioni di persone in tutto il mondo.
Nata a Doylestown, in Pennsylvania, l’8 settembre 1979, ha origini irlandesi, lituane e tedesche. L’amore per la musica le è stato trasmesso dal padre, che le aveva dato il vezzeggiativo di Pink, poi trasformato nel nome d’arte P!nk quando ha iniziato al carriera di solista nel 2000.
Alle scuole superiori ha fondato la sua prima band, cantava gospel in una chiesa, ha fatto parte di gruppi punk e rap e, mentre faceva diversi lavori come cameriera, si esibiva col suo skateboard al Club Fever di Philadelphia quando è stata notata da un talent scout.
Il suo album di debutto da solista è stato Can’t Take Me Home da allora ne ha prodotti altri sette che le hanno fatto vendere milioni di dischi, scalare le classifiche internazionali e guadagnare i premi musicali più prestigiosi.
Diversi tour internazionali, esibizioni prestigiose come quella al Super Bowl e la collaborazione con big del mondo musicale, non l’hanno frenata nello sperimentarsi anche al cinema e nel doppiaggio.
Con grinta e determinazione ha rotto parecchi schemi, ha affrontato, oltrepassato e infranto gli standard di bellezza e i ruoli di genere. Sin dai primi Anni Duemila ha portato in musica le sue esperienze personali e i problemi del mondo reale.
Le sue lotte contro il body shaming, per la parità di genere, in favore del mondo LGBTQ+, dei diritti degli animali e l’attivismo politico l’hanno consacrata una frontwomen del movimento transfemminista.
Nel 2006 con il brano Dear Mr. President ha criticato l’allora presidente degli USA Bush. In Stupid Girls ha demolito l’ossessione della società per le donne senza veli attaccando la rappresentazione femminile nelle clip dei colleghi rapper per poi ribadire che il corpo delle donne non esiste solo ad uso e consumo degli uomini.
I suoi discorsi di ringraziamento ai premi ricevuti sono stati di grande ispirazione per le donne di tutto il mondo. Agli MTV Video Music Awards del 2017, quando ha ricevuto il Michael Jackson Vanguard Award, ha pronunciato il suo discorso più significativo partendo da un’esperienza di sua figlia Willow che lamentava di essere discriminata dai compagni di scuola che le dicevano che sembrava un ragazzo.
Dal palco ha lanciato a sua figlia e a tutto il mondo un messaggio chiaro: “Mi vedi far crescere i capelli? Willow ha risposto: ‘No mamma’. Mi vedi cambiare il mio corpo? ‘No mamma’. Mi vedi cambiare il modo in cui mi presento al mondo? ‘No mamma’. Mi vedi esaurire le arene di tutto il mondo? ‘Sì mamma’. Ok allora, piccola, non cambiamo. Prendiamo la ghiaia nel nostro guscio e facciamone una perla. E aiutiamo altre persone a cambiare in modo che possano vedere più tipi di bellezza”.
In difesa della libertà d’espressione, durante il Trustfall Tour in Florida, nel 2023, ha regalato 2.000 libri messi al bando, dall’Individual Freedom Act, che impedisce i corsi sulla diversità o contro i pregiudizi nelle aziende e la legge soprannominata «Don’t say gay», che limita la discussione di argomenti Lgbtq+ nelle scuole.
P!nk è una donna e un’artista potente e inarrestabile che non manca di esprime le sue opinioni e di ispirare nuove e vecchie generazioni.
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E poi se mi tocca il culo e me lo schiaffeggia ho fatto triplo strike (gioco a bouling)
Anche io a quindici anni giocavo a bowling la mattina quando facevo fuga da scuola.
Donny approverebbe.
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Fish or Treat? Mistery Bowl per L'Halloween di I Love Poké, a Milano e pure a Torino
In occasione di Halloween, la festa più terrificante dell'anno, I Love Poké propone, su Instagram e Facebook, la sua Mistery Bowl, svelando, ogni volta, sino al 31 ottobre, un pezzo del Mistero degli ingredienti. A parte la focaccia colorata, a parte la base di riso nero, quale sará la nuova mystery salsa? Chi indovinerà, vincerà la Mistery Blowl dal 31 ottobre all'8 Novembre. Se volete iniziare a giocare: #fishortreat, #misteryBowl. Sulla pagina ilovepoke.official, poi, tutti potranno seguire le briciole-e i pezzi del puzzle-nelle stories fino al 31 Ottobre.
I Love Poké ha appena inaugurato un nuovo store in piazza Oberdan a Milano, ma anche a Porta Romana e a Torino, in via Antonio Bertola 17/C e si prepara alle nuove aperture a Bologna e in altre città, ma anche all'introduzione dei nuovi prodotti invernali...Stay Tuned!
Ormai è da tempo il nuovo trend, il POKE, tradizionale piatto hawaiano che gli isolani preparavano come insalata di pesce crudo influenzata dalla cucina giapponese e vestita con frutta tropicale , verdura e ingredienti esotici, come alghe, tobiko, o sesamo. Questo modello alimentare è stato trasferito per la prima volta in California pochi anni fa e sta riscuotendo grande successo ovunque. Ma i primi a introdurre la ciotola Poké a Milano come concetto di "fast-food sano" sono i creatori di I LOVE POKE, sinonimo di cibo fresco, sano e di alta qualità. Noi siamo cio' che mangiamo, per questo motivo il nostro corpo ha bisogno di assumere alimenti freschi nella forma più grezza, privi di conservanti e ricchi di sostanze nutritive. Il piatto è un pasto bilanciato composto da proteine (pesce, pollo, carne, tofu), vitamine (insalata, frutta e verdura), grassi sani (noci, omega3, avocado, olio d'oliva, ecc.) e carboidrati (riso integrale, frutta / verdura). Soddisfa tutte le restrizioni dietetiche e non scende a compromessi sul gusto. Tutti possono mangiarlo, vegani, vegetariani, coloro che seguono un'alimentazione keto-dietetica, o a basso contenuto di grassi, o a base di carne, ma anche per chi segue la dieta body-building.
La vera anima di I Love Poké - ed è questa la caratteristica che nessun imitatore di Poké ha - è Rana Edwards, titolare e medico di chimica farmaceutica che ha capito da sempre che il segreto della salute e del benessere sta nel modo in cui investiamo in ciò che nutriamo con il nostro corpo. Questo è il motivo per cui ha ricercato e creato un modello di business in cui ogni ingrediente è offerto nella sua forma più fresca e naturale, in un concetto simile al movimento "Farm to table" negli Stati Uniti, pur mantenendo un'atmosfera informale di Alohaaa dalle splendide isole delle Hawaii. Rana ha un dottorato in chimica farmaceutica medicinale, certificato dalla Harvard University (scuola di salute pubblica - Dipartimento di Nutrizione) di T. H. Chan, è sempre stata interessata ai trattamenti a base naturale e alla nutrizione e continua a ricercare le scoperte più aggiornate sul campo. Questo è il motivo per cui ha incorporato tutta la sua esperienza nella creazione di un menu super bilanciato nutrizionalmente, senza glutine, con molte opzioni per varie restrizioni dietetiche. E ha lanciato valori nutrizionali di ogni ingrediente sul sito Web di I Love Poké perché è molto importante per le persone capire cosa stanno consumando e come la loro SCELTA ALIMENTARE stia aggiungendo valore al loro benessere.
Perché hai creato un format di questo tipo?
Volevo condividere la cultura alimentare CUSTOM, FAST, FRESH & HEALTHY di New York e California con gli italiani.
CUSTOM = Rispettiamo le preferenze delle persone e il gusto diverso nel cibo, questo è il motivo per cui non viene preparato nulla, il cliente sceglie ogni singolo ingrediente e ogni ciotola viene preparata sul posto.
VELOCE = negli Stati Uniti non abbiamo un'intera ora di pranzo, e tutto si muove così velocemente, quindi abbiamo dovuto adattare la velocità della preparazione del cibo per fornire il miglior servizio. Stiamo anche incorporando la tecnologia e le esigenze del mercato su base giornaliera per aggiornare il modello di business. Ad esempio, siamo presenti su tutte le piattaforme di consegna e abbiamo una piattaforma di pre-ordine sul nostro sito Web per aiutare le persone a fuggire dalla lunga fila durante le ore del pranzo.
FRESCO = Ogni mattina il pesce intero viene consegnato, pulito e preparato per essere servito. Frutta e verdure sono tagliate fresche ogni giorno La nostra chiave del successo è la QUALITÀ, ogni ingrediente è selezionato e servito fresco.
Diffuso da ltc - lorenzo tiezzi comunicazione x Francesca Lovatelli Caetani
special adv by ltc - lorenzo tiezzi comunicazione
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Drunk; Capitolo 3
Capitolo 3: Un degno avversario
Non mi muovevo, continuavo solo a pensare a quei giorni che avevo passato lì dentro. E continuavo a ricordarli tutti.
Non appena aprì l'armadietto, quella sensazione gli cinse il petto senza l'intenzione di lasciarlo. Tutto ciò che lo circondava era completamente, dannatamente ordinario e calmo, e al contempo chiassoso e privo di tranquillità. Si doveva correre in classe facendo chissà quale fracasso lungo le scale per poi rimanere seduti, per ore intere, ad ascoltare una persona parlare e, nel migliore dei casi, fare qualche domanda. Riconobbe quella sensazione: noia. Ogni secondo che passava faceva aumentare la sua voglia di tornarsene in Cina, e l'idea di fare la distanza a nuoto stava smettendo di essere un'utopia e si stava trasformando in una possibilità.
Guardò alla sua sinistra e incontrò lo sguardo di John, qualche metro più in là, abbastanza allegro e sorridente da dargli fastidio. Cercò di ricambiare il sorriso (non riuscendoci molto bene), per poi infilare la testa nell'armadietto al fine di nascondere la sua espressione disperata. Si doveva calmare, stava esagerando e lo sapeva, ma al contempo non riusciva a immaginare che la sua vita fosse diventata una semplice corsa ai voti e alla sopravvivenza basata sul lavoro. Doveva pur esserci qualcosa di interessante, qualcosa che affievolisse il suo prurito alle mani e la sete di adrenalina.
-Ehi, Lans, ti sei presentato ancora oggi?-
In quelle parole, Hei sentì esattamente quello che stava cercando. In meno di un istante era di nuovo eretto, e la testa era schizzata fuori dall'armadietto, a guardare la situazione in cui imperversava il ragazzo a pochi passi più in là. Le mani, però, rimasero rilassate. Serviva di più.
-Te lo avevamo detto cosa sarebbe successo se ti fossi presentato di nuovo, no?- domandò un secondo quasi gongolando.
-Ragazzi, dai, sapete che non mi posso assentare da scuola, mi si abbassa la media.- cercò di ribattere John, decisamente nervoso. La prima cosa di cui Hei si accorse fu la totale indifferenza degli altri studenti, che passavano di fianco il gruppo senza neanche degnarli di uno sguardo. La seconda, invece, erano le gambe di John: tremavano, e non poco. Se alle sue spalle non ci fosse stata la parete, sarebbe caduto all'indietro.
-Come se a noi fregasse qualcosa della tua media.- sbeffeggiò un terzo, appoggiandosi alla fila di armadietti sbattendo la mano a pochi centimetri dalla testa del ragazzo, che sussultò. -Ti abbiamo detto di iscriverti al nostro club, e tu non lo hai fatto.-
-I...io non mi iscrivo ai club di combattimento.- spiegò puntando lo sguardo verso il basso. -N...non sono bravo a combattere.-
-Be', o fai un'eccezione o ti spezziamo le gambe.-
-John, va tutto bene?-
Hei, consapevole di aver usato il tono di chi domanda l'ovvio, non batté ciglio quando vide gli occhi dei quattro, e di qualche studente curioso non abituato alle intromissioni, schizzare verso di lui. Tutti gli sguardi trasparivano l'incredulità di chi sente o vede qualcosa di impossibile, e in quella scuola un evento del genere era tutto fuorché frequente.
-Cosa hai detto?!- domandò quello che aveva parlato per primo, sicuro di aver sentito male.
-Scusa, starei parlando con il mio amico, gradirei che non mi interrompessi.-
Il numero di occhi su Hei aumentò in maniera esponenziale, ma il suo sguardo rimase fisso su John, che, per imbarazzo e per spavento, non riusciva a proferire parola e i tremolii non gli permettevano di annuire o scuotere la testa con decisione. Come risposta a quella che interpretò come una provocazione, il ragazzo tirò fuori un coltello a serramanico dalla tasca della giacca in pelle e lo fece scattare, mostrando la lama. Hei non dovette degnarlo neanche di uno sguardo per capire che era in acciaio inossidabile, lunga quattro pollici e mezzo, e legata a un manico in legno. Abete, forse. -Ti ho chiesto cosa cazzo hai detto, coglione. Vedi di portare rispetto o gioco a bowling con la tua testa.-
-Puoi provarci, ma dovresti decapitarmi prima, e da quella distanza non ci riuscirai mai con un rasoio del genere.- Hei percorse la distanza che li separava con naturalezza, facendo trasparire una calma spaventosa nei movimenti. Non appena abbastanza vicino, afferrò la mano dell'altro con la sua, per poi portare di scatto l'arma all'altezza della sua gola, lasciandola a pochi centimetri dalla pelle. -Be'? Che succede? Devo avvicinarmi?- Nonostante tenesse letteralmente il coltello dalla parte del manico, l'altro non poté che sentirsi a disagio quando Hei fece un altro minuscolo passo in avanti, facendo toccare il filo della lama al suo collo. -Non ci posso credere. Mi hai minacciato con un'arma che non era affilata.- Dopo quell'affermazione delusa, l'avversario armato cadde a terra. I più veloci nelle vicinanze erano riusciti a vedere Hei tirargli un gancio sulla tempia, ma comunque non molto nitidamente. John, che adesso non riusciva più neanche a tremare, si limitò a tenere gli occhi sgranati e la bocca spalancata, avendo visto un solo pugno portare a terra una persona con tanta facilità. Gli altri due non diedero a Hei neanche il tempo di guardarli, essendo già scappati attraverso la folla e lasciando il loro compagno al suolo, inerme. Non appena si accorsero che lo scontro era in realtà finito ancora prima di iniziare, tutti i curiosi ripresero a camminare, evitando il corpo a terra come fosse un pozzanghera. Ignorarono anche Hei e John, come se non fosse successo nulla e la faccia che aveva quest'ultimo fosse in tutto e per tutto normale. -Stai bene?- domandò ancora il ragazzo senza la minima alterazione della voce.
-Ma tu chi diavolo sei?- gli domandò John, non sapendo più cosa pensare. -Lui aveva un coltello!-
-Poteva anche avere un carro armato, se non sa usarlo non è un problema.- spiegò facendo spallucce e ritornando al suo armadietto. -Se riesci a parlare, significa che non ci sono problemi.-
-Hei, non hai idea di chi fossero quei tre.- avvertì John chiudendo sbrigativamente l'armadietto prima di seguirlo. -Sono riserve non ufficiali della squadra di combattimento della scuola.-
L'altro alzò un sopracciglio di svariati centimetri. -E allora?-
-E allora... be'... loro... nessuno li fa arrabbiare!- sbottò in risposta. Non aveva un vero e proprio motivo, semplicemente, quando non faceva quello che gli dicevano, veniva picchiato per interminabili minuti, ma forse uno come Hei non sapeva cosa significasse trovarsi in mezzo a una rissa e non sapersi difendere. A Hei infatti non era capitato molto spesso di combattere al pieno delle sue potenzialità, essendo sempre stato quello che colpiva per primo e per ultimo. Sapeva infatti che un solo colpo bastava, come in quel caso, e molto spesso si era evitato parecchie rogne semplicemente mostrando ai suoi avversari che avrebbero perso, poi la paura avrebbe fatto il resto.
-Sai, nella succursale di Hong Kong c'era un gruppo di studenti. Dicevano che le arti marziali servivano per diventare forti. Li ho affrontati tutti insieme e li ho battuti, senza problemi. Loro probabilmente non hanno neanche un motivo per allenarsi se non il già sentito “voglio i pugni che fanno scintille”. Io mi sono allenato per tantissimi anni con un solo obiettivo.- raccontò lui sfogliando i nuovi libri di testo. John porse il viso in avanti, in attesa di un seguito a quella frase. Hei sbuffò una risata e, con il sorriso di chi racconta un evento ormai molto lontano, concluse con: -Potermi vantare e fare il saccente in questo genere di situazione.-
La giornata scolastica da quel momento in poi, si svolse normalmente, anche se Hei avrebbe descritto quelle sei ore come “i secondi più lenti e agonizzanti di tutta la sua vita”. Le lezioni, infatti, oltre a risultargli oltremodo semplici, possedevano quella caratteristica che lui sperava di incontrare il meno possibile: la costanza. Hei non era per nulla un tipo abitudinario, e di certo la prospettiva di ascoltare un gruppo di persone parlare per un ora a testa, per sei ore, cinque giorni a settimana per i successivi due anni non sembrava per nulla allettante dal suo punto di vista. Fu proprio per questo che, quando la campanella segnò la fine dell'ultima ora, senza aspettare nessuna parola da parte del professor Mortimer, l'insegnante di fisica, scattò in piedi, gettò alla rinfusa il libro nello zaino, e si lasciò guidare dalle gambe verso lo l'armadietto, dove avrebbe abbandonato lo zaino per poi correre verso la sua stanza, al 937 di Nomentan Street.
-Hei!- gli gridò John alle spalle, con evidente difficoltà nel tenere il suo stesso passo. -Volevo... solo ringraziarti... per prima...- spiegò con il fiato corto una volta raggiunto. -Non fosse... stato per te... avrebbero... continuato a... tormentarmi.-
Hei gli mise una mano sulla schiena, facendogli assumere una posizione bene eretta e, in meno di un paio di secondi, il fiatone scomparve. -Non dirlo nemmeno.- rispose lui, a disagio di fronte tante lusinghe e belle parole. -Di certo non sono il tipo da starsene con le mani in mano durante una situazione come quella, senza contare che stavo sentendo un leggero prurito ai palmi.-
“Chiediglielo.”
La voce alle sue spalle era chiara, concisa, e ben udibile alle sue orecchie nonostante il chiasso. La riconobbe immediatamente, e proprio per questo si rifiutò di girarsi. Era solo nella sua testa, anche se accettarlo gli sembrava comunque impossibile. La sentiva, non era stato lui a pensare a quella parola, né all'uomo che gliel'aveva detta. Eppure eccolo lì: nonostante fosse morto, non si faceva il benché minimo problema a dargli ordini, come se sentire la voce di una persona che non c'è fosse una cosa normale.
-Io... non sono molto bravo a farmi degli amici.- tagliò corto Hei, annuendo con lo sguardo basso, puntato sulla parete in alluminio. -Fino ad adesso ho avuto solo la mia famiglia. Mi chiedevo se tu... insomma... potessi... aiutarmi, non so...- farfugliò lui, imbarazzato.
-Certo.- rispose con fermezza John, quasi come se si fossero invertiti i ruoli. Hei chiuse di scatto l'armadietto e gli sorrise. -Torniamo a casa allora, la signorina Sheppard sarà in pensiero.-
-H...He...Hei?- Il ragazzo si voltò, alzando un sopracciglio non appena sentì pronunciare il suo nome con così tanta titubanza. Era un ragazzo del primo anno, con una giacca di pelle sopra la maglietta nera. Si accorse dell'abbigliamento solo in un secondo momento, con l'interesse attirato per la maggior parte sugli arti tremanti. In quella scuola cera troppa paura per i suoi gusti. -Devi andare in palestra. E adesso.-
-Come mai?- domandò riprendendo tutta la sicurezza che aveva accantonato discutendo con John. Non gli venne data nessuna risposta, ma l'evidente terrore nel ragazzo non si affievolì. -Io ho da fare, non va bene domani?-
Le guance del giovane vennero rigate dalle lacrime, ma non ci fu nessun singhiozzio, nessun pianto. -Ti prego... no.- gli sussurrò disperato. Hei divenne serio di colpo, con lo sguardo che scansionava il ragazzo, ormai quasi in automatico. Riusciva a sentire l'ordine che gli era stato dato “portalo in palestra” e anche la conseguenza in seguito al fallimento, molte più di quante potesse immaginare. Capì immediatamente due cose: primo, tutti quelli con una giacca di pelle appartenevano a uno di quei club, o come si chiamavano. Secondo, non gli piaceva per niente il loro modo di ragionare.
-Fammi strada.- ordinò chiudendo l'armadietto con una sola spinta infastidita. L'altro quasi trasalì, ma non perse tempo per avviarsi verso la palestra a passo spedito. -John, vieni.-
-Cosa? Perché devo venire?-
-Sei l'unico che conosco, e sai la strada per tornare a casa.- rispose Hei con semplità, che dell'appartamento della signorina Sheppard non ricordava neanche la via o il numero civico.
John non obiettò, seguendo i due fino a una delle palestre dell'istituto. Il ragazzo, dopo essersi assicurato che Hei fosse entrato, scappò via a gambe levate prima che uno dei due potesse proferire parola. Hei esaminò il luogo con la stessa rapidità che usava per farlo con le persone, vedendo quella che di fatto era una semplice palestra da pallacanestro, con tanto di spalti e panchine per le squadre. Al centro del campo era stato posizionato un rialzamento circolare poco imbottito, su cui se ne stava, a braccia incrociate, un ragazzo panciuto dai lunghi capelli neri tenuti all'indietro da in una pettinatura sudata.
-Quello sarebbe dove si svolgono i combattimenti?- domandò Hei avvicinandosi lentamente.
-Marcus Nix Phillers, molto piacere. È un cerchio con un raggio di cinque metri, e non credere che sia imbottito per attenuare le tue cadute a terra, serve solo per chi combatte scalzo.-
-Non è il mio caso.- sorrise Hei togliendosi la felpa. -Dobbiamo combattere? È solo un tuo capriccio?-
-No, di mio combattere non mi interessa. Mi hanno detto di farlo e io lo faccio, nulla più. Credo che voglia vedere cosa sei davvero in grado di fare.-
-A tal punto da terrorizzare un ragazzino?- domandò Hei, stavolta con tono più infastidito.
-È solo una recluta, lascerà il club entro la fine del mese, come fanno tutti dopo la leva. Tu,- si rivolse a John. -non gli hai spiegato niente?-
John, fin da quando era entrato nella palestra, non aveva proferito parola rimanendo con gli occhi spalancati e le braccia rigide. Ovvio, conosceva Marcus di fama, ed era riuscito a intravederlo di tanto in tanto per i corridoi, ma mai avrebbe pensato di incontrarlo di persona, né tanto meno di essere interpellato con così poco preavviso. Da quando Hei era entrato nella sua vita, le sue situazioni di shock erano aumentate parecchio. -No.- riuscì a malapena a farfugliare.
-Be', dopo vedi di farlo.- gli ordinò prima di riportare lo sguardo su Hei, che nel mentre era salito sul ring. -Conosci le regole dei combattimenti di tra scuole di arti marziali miste?-
-Ah, perché vorresti farmi credere che quella che fate voi sono arti marziali.-
Marcus sorrise, cogliendo l'ironia. -Non sono io a dare i nomi.- si giustificò lui. -Puoi fare all'avversario tutto quello che vuoi finché non agita o sbatte la mano, in quel caso è resa. Se superi la linea nera esci dal campo e perdi. Se l'avversario perde i sensi, vinci. Tutto chiaro?-
-E fammi indovinare, io dovrei batterti?-
A Marcus scappò una risata di pieni polmoni, e ci vollero alcuni abbondanti secondi prima che rispose. -Tu devi resistere contro di me per almeno tre minuti.- spiegò chinandosi a raccogliere il cellulare e mostrando il conto alla rovescia pronto per lo scopo. -Di solito non resistono per uno, ma tu sembri essere bravo. Potrei quasi divertirmi contro di te.-
-Spero lo sia anche tu.- ridacchiò Hei sgranchiendosi il collo. Lo aveva analizzato non appena visto, come faceva con chiunque altro, ma fino ad allora non aveva mai passato così tanto tempo a scansionare qualcuno. Nonostante nascondesse la sua confusione perfettamente, non aveva idea di che genere di avversario si trovasse di fronte: era grasso, e su questo non ci pioveva, ma fin troppo sicuro di sé. Era allenato, certo, ma non riusciva a capire quanto della sua mole fosse muscoli. Combatteva, non c'erano dubbi, eppure non aveva mai praticato nessuna arte marziale che Hei avesse mai visto. Neanche un giorno di pugilato, difesa personale o altro. Sembrava semplicemente un ragazzo che voleva rimettersi in forma, ma il tono con cui gli parlava suggeriva ben altro. Comunque, non avrebbe dovuto metterlo in difficoltà: avrebbe tirato un gancio destro al viso, così da metterlo fuori combattimento rapidamente e senza lasciargli il tempo di reagire. Uno di quella stazza non poteva essere veloce.
Quello che Hei non sapeva, era che Marcus si era reso conto di cosa stesse facendo l'avversario. E proprio per questo si rese conto di aver già vinto. -Il migliore.- concluse lui pigiando il pulsante rosso sullo schermo e lasciando cadere il cellulare a terra. Hei scattò tenendo il braccio indietro, posizionando l'altro a guardia delle costole, caricato per un gancio che colpì Marcus in pieno volto, con la forza aumentata dal movimento delle anche. Il braccio sinistro era sceso lungo il busto, e la schiena si era torta per aumentare l'enfasi del corpo. Ma il ragazzo non ebbe alcuna reazione, e sorrise vedendo il volto confuso dell'avversario, mentre spingeva il pugno contro quello zigomo inamovibile. Hei aveva sentito la pelle sbattere contro le sue nocche, le ossa accusare il pugno, ma sotto di esse sembrava stare un blocco di marmo. John deglutì e Hei cercò spiegazioni plausibili, fissando il volto dell'avversario deformato dal dorso delle sue dita. -Quindi sei uno di quelli veloci, eh? Certo, la precisione è ottima, l'ho quasi sentito. Ma dovrai fare di meglio. Prova con qualcosa del genere.-
Arrivò il turno di Marcus per tirare un gancio, e per un attimo sembrò sentirlo anche John a debita distanza da loro. Hei cadde sulla schiena, qualche metro più in là, con la testa che gli girava. Ci vedeva doppio. Stimò, per un istante di anormale lucidità, che un dolore del genere lo avrebbe sentito solo se, in quel punto esatto, lo avesse colpito un autobus a tutta velocità. Si portò due dita al labbro, inebriandosi del male che provava al viso. Il cuore cominciò a pompare a pieno regime e il suo volto si deformò in un sorriso soddisfatto. Quello sì che era un degno avversario.
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Twittatemi che io vi twitto i miei capitoli XD: https://twitter.com/FFMaxCasagrande
Ho deciso di avere anche una pagina Facebook: https://www.facebook.com/MaxCasagrandeDreamer
Scripta blog, il sito con cui sto mandando avanti la collaborazione che ha anche l'esclusiva di “Ars Arkana” (oltre a un sacco di altre belle cose): https://www.scripta.blog/
Ma lo sapevate che ho anche Instagram?: https://www.instagram.com/max_casagrande_dreamer/
Sono sempre alla ricerca di Beta-tester. Quindi, se volete, fatevi avanti!
Se avete un po' di tempo, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo con una recensione o un commentino qui sotto, mi fa molto piacere XD. (E poi divento più bravo!)
Se vi va condividete il capitolo, così divento famoso!!! \(^o^)/ (mai vero, ma comunque apprezzo :P).
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Clip 2.5 - Tabasco p.1
L: Perché scusa?
G: Noi invece, probabilità scarsa, ma un 3% lo lascio.
M: Un 3%? Secondo me sei ancora troppo alto.
G: Vabbè, zí.
E: Secondo me, 1%. Massimo.
M: Sì.
E: E solo perché c'è sempre la remota possibilità che uno di noi rimanga chiuso dentro un ascensore con lei. Dopo che se siamo fumati dieci canne a testa.
G: Sì, con l'erba che non c'avemo tra l'altro.
L: Infatti.
G: Vabbè...
E: Luchì, ma...ma tuo padre non fa l'ascensorista?
L: Sì.
E: E scusa non ti puoi far spiegare come si toglie l'elettricità?
L: Boh, sì. Volendo sì. Perché?
E: Perché scusa, io prendo - ma che te ridi? - io prendo l'ascensore con l'Argentina, voi trovate il quadro elettrico, staccate la corrente, lei si spaventa e io me la pacco.
L: E chi ha deciso che ci stai te nell'ascensore, scusa?
E: L'idea è mia.
L: Che c'entra? L'ascensorista è mi' padre, scusa, eh!
G: Ma regà, ma che cazzo state a di'? Che c'avete, 12 anni?
E: Vabbè, dai, okay, c'hai ragione, c'hai ragione. Ce la giochiamo a Fifa?
L: Ci sta.
G: Che palle! Ma che ci sta, zí?
L: Ci sta.
G: Che è un cyborg questo.
L: Eh, vabbè.
G: Che vince tutto.
E: O Fifa o niente.
G: No, allora, giochiamo senza Barça, senza Real e senza Liverpool.
E: Vabbè, io prendo una squadra di serie B e voi quello che ve pare.
L: Andata.
G: Bene! Okay.
E: Casa mia?
G: Tu ce stai, zí?
M: Io no, regà. Ci vediamo direttamente stasera.
E: Vabbè, ma a te che te frega? C'hai la rana.
Cra-cra. Però l'hai recuperata l'erba?
M: Più o meno.
E: Come più o meno?
M: Oh regà, v'ho detto, venite a sta cazzo de radio.
E: Oh Marti, tu volevi fà il pulciaro e risparmiare sul trasporto e mo sò cazzi tuoi. Noi che c'entriamo?
G: Un po' c'ha ragione, eh.
L: In effetti.
E: Non un po'. Dai, mi raccomando, serve un po' per fare i fighi stasera.
M: Vabbè, mo vediamo.
G: Vabbè, te ricordi di mandarci l'indirizzo, zí?
M: Sì, sì, sì. Appena me lo mandano ve lo giro. Bella regà. Ciao regà.
G: Bella.
L: Bella.
M: Manco il saluto sai fà.
M: Mi rispondi? Mi serve la 🍁🍁🍁 sto venendo da te.
N: Hey.
M: Ciao!
N: Stai andando a casa?
M: No, in realtà sto andando da un'amica.
N: Sana?
M: Sì, Sana.
S: Non ci pensare nemmeno, non sono neanche a casa.
N: C'è qualche problema?
M: Tu non è che avresti un po' d'erba da prestarmi?
N: Da prestarti?
M: Sì... perché, praticamente, stasera devo andare ad una festa e la mia, che tenevo anche per dei miei amici, è stata..tipo presa in ostaggio.
N: Da Sana?
M: Sì. Sempre da Sana. Però ti giuro, se me ne dai un po', te la ridò con gli interessi.
N: Dai, ci penso io.
M: Grazie.
N: Ciao. C'è nessuno? Nessuno. Meglio.
Vediamo un po'. Mmh, speriamo non l'abbia trovata Marisol.
M: Chi è Marisol?
N: La donna delle pulizie. Qua non ce sta un cazzo.
M: Li hai fatti tu?
N: Sì.
M: Belli.
N: Grazie. Qui non ce n'è più.
M: Pure questo hai fatto tu?
N: Sì, ti piace?
M: Sì, dai.
N: Dunque, dunque... Eccola!
M: Wow.
N: Ti serve tutta tutta?
M: No, tutta no.
N: Senti, ma...questo è il tipo di scuola in cui si occupa oppure quello in cui nessuno vuole fare un cazzo?
M: Guarda....la cosa più simile a un'occupazione che abbiamo fatto, è stata l'autogestione dell'anno scorso, però una cosa tristissima...
N: Okay.
M: Tristissima. È stata organizzata da una prof nostalgica del '68...
N: Okay.
M: C'erano quindici studenti, gli altri stavano tutti a Villa Pamphili. Alla scuola tua si occupava?
N: Chiaro.
M: E che facevate?
N: Bah, di tutto. Considera dai tornei di bowling in corridoio ai concerti. Cose così...
M: Figo.
N: Sì. Una volta ho suonato un brano di musica celtica.
M: Con l'ukulele?
N: No, con il pianoforte. L'ukulele serve solo come nascondiglio per la ganja.
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Seconda mattinata di lezioni di bowling per la scuola:
Dopo i tentativi andati un po' così così di ieri mi fisso questi obiettivi:
- impugnare bene la boccia 🤟
- mirare alle frecce (non ai birilli)
- fare il pendolo
- aggiungere i 5 passi
- tirare raso pista (non per aria a parabola)
- tirare con una boccia sempre dello stesso peso (non dalle 8 libbra passare ad una da 11 libbra così a caso solo perché si va di fretta)
- scivolare con il piede giusto per l'ultimo passo
Riuscirò ad insegnare ciò? Vedremo! 🤣
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#bowling#bowling scuola#progetto bowling scuola#bowlers#bowler#boccia#regole#insegnare bowling nelle scuole#sport bowling#sport
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中文写作
zhōng wén xiě zuò
Scrittura Cinese:
Esempio:
我喜欢的球类
wǒ xǐ huān de qiú lèi
La palla di sport che mi piace
玛丽昨天跟一���朋友去保龄球馆玩了一天,但是她觉得有一点闷,她不是很喜欢玩保龄球。在学校的时候,她反而喜欢打排球,因为排球可以打得很高。
mǎ lì zuó tiān gēn yī bān péng yǒu qù bǎo líng qiú guǎn wán le yī tiān , dàn shì tā jué dé yǒu yī diǎn mèn , tā bù shì hěn xǐ huān wán bǎo líng qiú 。 zài xué xiào de shí hòu , tā fǎn ér xǐ huān dǎ pái qiú , yīn wéi pái qiú kě yǐ dǎ dé hěn gāo 。
Ieri Maria è andata al bowling con gli amici per una giornata, ma si sentiva un po' annoiata, non le piaceva molto giocare a bowling. Quando era a scuola, invece, le piaceva giocare a pallavolo, perché la pallavolo può essere giocata molto in alto.
#chinese word a day#cinese#art#milan#zenart#culture#private lessons#education#esamiuniversitari#zentangle
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Poki teafari
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High school!au?
send me an AU and i’ll tell you 5 of my headcanons for it
(( Non sono una cima nelle High School!Au, perchè finisco sempre per renderle ehm scuole superiori all’italiana?? RIP. Ma proviamoci!
Beatrice e Loris sono al loro Senior Year, Luciano, Andrea e Agnese allo Junior, mentre Alvise e Sofia sono sophomores.
Alvise è sicuramente il “ragazzo popolare”™, e fa parte della squadra di Football Americano della scuola insieme a Loris, il quale è però interessato prettamente allo sport in sè. Agnese è nella squadra di Cheerleader, mentre Andrea in quella di baseball. Beatrice per fare su più crediti possibili come sport ha scelto il nuoto.
Beatrice ha il massimo dei voti, il massimo dei crediti possibili e punta ad entrare nel miglior college possibile. Se gli altri hanno un problema riguardo qualsiasi materia scolastica vanno da lei. Bilanciare scuola, sport, volontariato e tempo libero non le risulta sempre facile e a volte risulta molto stressata.
Sofia fa parte del Club di Giardinaggio, Luciano fa Pirografia(?), Agnese è nel club di Giornalismo e nel Coro, mentre Andrea ha iniziato lui stesso un club di numismatica. Beatrice è nel club di scrittura creativa, Alvise in quello di teatro.
Loris ha partecipato a molti eventi sportivi anche non riguardanti il Football, come a Decathlon. Beatrice è la regina dei Quiz Bowl.
Wo! Che lavorino, con questo ho dato fondo a tutte le mie conoscenze (e a quelle di Wikipedia) in materia. Spero vi piacciano (/v\) ))
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Meet the the All-Stars
New York City’s largest art collective brings its A-Game to 198 Allen Street this summer (August 6th - 12th) in an epic retrospective of long-time collaborators and studio members. Hand-selected from our rich eight-year history in the Lower East Side. Approaching the art world on their own terms, presenting artists embody the culture of Con Artist Collective. Join us for a public gallery reception Thursday, August 9th, 2018 7pm-11pm.
Now we would like to introduce each featured artist:
Kayo Albert
Kayo Albert was born in Hyogo, Japan. After graduating from college in Kyoto, she came to New York to study painting at Art Student League, New York Studio School, and School of Visual Arts. She is actively creating and exhibiting her work in New York. A member since 2014, Con Artist Collective has been her hub for collaboration, exchanging ideas, and inspiring with other fellow artists. Her work is abstract painting heavily combined with drawing on a surface called Mylar. Her use of paint rich in fluidity creates translucent layers, and gives depth and complexity. Mylar of which most of her paintings are done, also gives translucency, luminosity, and airlines. With strong interest in Carl Jung’s psychology, she takes references from nature, and memories perceived and stored in the unconscious, extracted in altered form. She expands her work in several projects: The Iceland Project explores the juxtaposition between abstract painting and landscape photography, which she took in Iceland. In The Pillar and Fault series, paintings are mounted on multi-dimensional planes of wooden board to cross the boundary of 2 dimensional surface.
Tomaso Albertini
Artist Tomaso Albertini was born in Milan, Italy (1984) where he attended the La Scuola del fumetto di Milano. He lives and works in New York City. His first professional work of large format paintings concentrated on a serious investigation of color. Here he broke free from the confines of illustration, the subject emphasized in his academic training, and began to create emotional projections that served as the foundation of his further development. Guided by instinct, he mixed color on flat surfaces using abstract forms that ultimately revealed figures. After this initial period, there was a big change. Albertini began to experiment with new materials. He wanted the work to be more physical - more direct. He introduced the use of burned, melted plastic into the paintings. He has described the process as a defacement of the figure in an effort to dig into the life of the human form. One senses the physical presence of form conveyed by a willful act of transference. Albertini than started to create three-dimensional art using cardboard. It allowed him to accomplish the figure as if it were a sculpture and paint on it as if it were a canvas. This technique introduced dynamics approaching sculpture. It is, in fact, a hybrid manifestation.
Atomik
Atomik is a 100% Miami artist. Atomik, trained in graphic design, is a big name in the Miami art scene. The graffiti legend, part of the infamous MSG crew, a group of local graffiti heroes, has been painting the city for quite some time. While growing up in the emerging Miami graffiti scene of the 80’s, Atomik witnessed for himself at a young age what would later become his profession. Famous for his iconic orange character which emerged as a response to the demolition of the Miami Orange Bowl, the artists also marks the walls of Miami with his sleek hand-styles, graffiti and lettering.
Jaouad “The Jah” Bentama
Jaouad Bentama is a French artist born and raised in Paris, France. As a kid from a non-artistic family, his passion was initiated by his neighbor who took him to his first museum trip, which exposed him to different art styles. Jaouad creates artwork that echoes deeply with the lightness, the happiness, and the innocence of childhood.
Ian Bertram
Ian is an artist working in multiple drawing and painting disciplines. His large scale works have been shown in Paris (Gallerie Glenat), Sri Lanka (Barefoot Gallery), and New York (David Lewis, Lazy Susan, Society of Illustrators). He has worked for Marvel, DC comics, Image comics, and Glenat BD. His current project is a creator-owned title called Little Bird, being published by Glenat Bd in France the winter of 2019.
Andrea Cook
Andrea Cook is an international artist dedicated to empowering women through her paintings on various mediums including the street. Her latest series, Pussy Power debuted at the Museum of Sex in 2015 in NYC. With over 1000 pieces, now in collector’s homes and on the streets in cities all over the world, this body of work continues to grow along with her role as an international artist and global activist. From a 20-year entrepreneurial career in technology and communications that began in Chicago, Cook evolved into a visual artist and has become purposeful and passionate about creating street art that empowers women that drives real social change. As a changeologist, Cook has a large body of work on change that has been showcased in hundreds of shows and venues throughout the country. Wallpaper Magazine "cherry-picked" Andrea Cook’s Pussy Power art as one of the “finest works” from the Art on Paper show during its Art Basel review in 2015.
Charlie Cunningham
Charlie Cunningham’s artwork invokes the contradictions within subjects both dubiously humorous and revolting. Utilizing campy motifs and materials, he searches for humorous optimism in mortality and satirizes the perverse nature of our destruction, both at the hands of time and our fellow man. His artworks span figurative sculpture, installation, drawing and painting. Each work can incorporate a wide variety of mediums including, ceramic, silicone, found objects, charcoal, urethane foam, resin, acrylic, and human hair. Charlie has recently exhibited at the Governor’s Island Art Fair, Burlington City Arts, and The Delaware Contemporary Art Museum. He is also the recipient of several awards and honors including a Teton Artlab Residency, Rasquache Artist Residency, and the Penn State University Creative Achievement Award.
Hektad
Hektad is a New York City graffiti pioneer. In 1982, at the age of 12, the Bronx native set out to compete with veteran bombers such as Mitch 77 and Chris 217. After an intense 12 year campaign on New York’s streets and transit system, Hektad took a well deserved break to focus on his family. In 2013, he returned with a vengeance. After jumping into what many consider a cluttered and undefined street art scene, Hektad clearly took the lead with his whimsical “Love Drunk” hearts and humorous anecdotes.
JCORP
JCORP is an American artist based in New York City. Known for her bright, starry-eyed characters, she explores pop culture and contemporary romance through street art, murals, and illustrative painting. She studied Visual and Critical Studies at the School of Visual Art and earned her BFA in 2014. Some of her clients include MTV, VICE, NBC Universal, Redbull TV, Creative Nail Design, Ricky's NYC, The Doughnut Project, Black Tree Brooklyn, and Little Skips; among other public art projects such as The 100 Gates Project, Centrefuge Public Art, Arts Org LIC, Welling Court Mural Project, Lower Manhattan Art Festival (L.I.S.A. Project), JMZ Walls, and many more.
Seunghwui Koo
Seunghwui Koo creates her works drawing inspiration from the daily happenings and intricate moments of her life in NYC. Her work is a commentary on the lives of New Yorkers as she has witnessed. She was born in South Korea, where she first had the idea of combining the pig’s head and human body. The significance of the pig’s head lies in the different symbolic meanings from the Eastern and Western cultures. Good fortune (Eastern) and greed (Western), two very different connotations of the pig, are themes that are a part of her works. She uses resin, acrylic, plaster, clay, and mixed media to create her works. She is one of the artists in the Chashama organization in NYC.
Joseph Meloy
Joseph Meloy is a muralist and mixed media artist who creates electrifying images that trigger the senses. His art is more of a subconscious realization of an idea or thing, than it is a fully realized or recognizable concept, yet there is enough there to convey a purposeful message of emotion, movement or mechanization. He has a distinctive style – each painting is a little different, but it’s always abstract with a bright color palette. He calls his work “post graffiti” art and coined the term “vandal expressionism” to best describe what he does.
Dean Millien
Millien is an NYC-based artist who creates sculptures out of aluminum foil. His first solo exhibition, “Curses, Foiled Again”, was debuted at Con Artist Collective. He has been commissioned by J.Crew for their “Crew Cuts” kids lines. His sculptures have also been featured in Macy’s window display.
John Raymond Mireles
John Raymond Mireles began his artistic career in the mountains as a rock climber, photographically documenting the lives and exploits of his fellow vertically inspired athletes. Though a climbing rope is no longer part of his equipment list, Mireles continues in his photographic adventures. His most recent series consists of portraits of Americans from all 50 states. Entitled the Neighbors Project, it has been publicly installed in San Diego, Phoenix, Anchorage, and in New York City’s Lower East Side - where it was listed by the New York Times and The Guardian newspapers as one of the top public exhibitions of 2018. Solo shows of his work include the Anchorage Museum in Anchorage, Alaska, Bread and Salt gallery in San Diego, and Circuitous Succession in Memphis, among others. Mireles is a recent transplant to New York City from his hometown of San Diego, California. His first solo gallery show in New York City will take place in September 2018 at the Storefront Gallery in the Lower East Side.
MOR
Mor is an artist and Brooklyn native. A daughter of storytellers and artists - her narrative originates from an inherent urge to express an inner landscape of dreams and symbols. Spirited forms of flora and fauna emerge from a delicate and meditative process of paper cutting. She utilizes both pencil and blade to create these multi-layer stencils and singular paper cuts.
Victor Joseph Ochoa
Victor Joseph Ochoa (b. 1988) is an artist born and raised in Brooklyn, New York. After graduating from The Cooper Union in 2010, Victor began to pursue a career in graphic design within the publishing industry. He has worked for companies such as HarperCollins, Scholastic, and Simon and Schuster designing books for children of all ages. He has had books on the New York Times best sellers list and has worked with companies such as Nickelodeon, Lionsgate, Guinness World Records, Rovio, DC Comics, and more. He is a member of the Con Artist Collective in the Lower East Side of New York City. Here he creates, mentors, learns, and grows with a family of artists from around the world. Outside of his graphic design career Victor continues to pursue all aspects of creation. In 2010 he started the independent comic publisher DRAWMORE INC., where he self-publishes comics. He has exhibited at numerous local comic conventions, such as New York Comic Con, MoCCA Festival, and King Kong. He also ran a successful Kickstarter campaign for the comic anthology NOBODIES Volume 2. He previously worked as the Lead Publishing Designer at Marvel Entertainment. He currently is an Art Director at Ellation (Crunchyroll & VRV).
Cody Oyama
Cooper Union alumni working with history, memory and the inability to touch either and the failures of both. Cody, along with Laura Tack (who now resides in Morocco) were two of the earliest artists to join the Collective and played a large role in the development of its culture.
RAD (Raddington Falls)
RAD is an artist and art educator in New York City. Originally from Los Angeles, Cuban-American RAD has exhibited and sold artwork online, galleries and alternative spaces. He has taught in museums, public and independent schools and community centers. His artwork embraces the person we were as a child. Sometimes, his artwork is a harsh mirror of our society. Most of the time, it lives somewhere in the middle. And perhaps his work may allow people to tap into their own sense of wonder and the power somewhere inside of them.
RX Skulls
Rx Skulls aka Arrex is a adhesively obsessed exterior decorator from Portland Oregon who’s street art revolves around a single skull photo taken in the Natural History Museum in London. The project began its evolution in 2010 after a series of medical hardships and a trip to Europe, which exposed Rx to the world of street art in person. Having already dabbled in screen printing, creating stickers and posters from scratch quickly became more of an addiction than a hobby. To this day, six years later, Rx travels the world sharing his skulls, tombstones, poison labels, and plethora of other morbid designs with the masses.
Audrey Ryan
Audrey Ryan is a figure painter with a dark sense of humor, hailing from Binghamton, New York. She holds a BFA in Drawing & Painting and a BS in Visual Arts Education from SUNY New Paltz. She is prolific, producing a constant stream of of observational gesture drawings, usually in ink or charcoal as well as many large-scale oil paintings. Her work is regularly published by Endless Editions, and is distributed/exhibited internationally. She is informed by punk culture, and histories of disorder, addiction and recovery. While also making drawings, poems, prints, zines, videos, installations and tattoos, she aims to communicate the struggle to survive our human selves.
Rachael Senchoway
Rachael Senchoway wishes to inhabit a space where her restless energy can channel itself into something that lives outside of her body. She takes in her environment and returns it to the world as characters that are ultimately stand-ins for herself, and people she knows in her dreams. She is able to exert control over this dimension and integrate the creatures into a system that allows them to escape, become heros, animals, lovers, and ghosts whom exist in an ongoing myth. Creating these places helps her to see where she’s been, and where she’s going. Each painting is treated as an individual meditation within a body of work. These ideas allow her to rediscover the complexities of her own human experience.
Katie Shima
Katie Shima (BA Columbia University, MArch Columbia University Graduate School of Architecture, Planning, and Preservation) is an artist and architect based in Brooklyn. Katie has had exhibitions at BRIC, the Knockdown Center, Bridge Gallery, Mighty Tanaka Gallery, Devotion Gallery, Trestle Gallery, and others in New York City as well as the GWVA Museum in Springfield, MA, and D.A.K. in Aarhus, Denmark. Residencies include Trestle Art Space, Con Artist Collective, Clocktower Gallery, and Det Jyske Kunstakademie. Katie is also a founding member of the electronic noise art group Loud Objects and has taught as an instructor at Columbia University.
Brandon Sines
Frank Ape is a Sasquatch who lives in New York City amongst the humans and is the creation of artist Brandon Sines. Frank can be seen all over the city on any given day and has been spotted on streets and in homes around the world. He embodies positivity and equality, and cares about all living things. Frank believes in "creating your own universe" and inspiring people and animals every day. Shortly after moving to New York City in 2010, Sines combined his use of mythological creatures, pop icons, and made up characters into a new character called Frank. Frank is an “ape” that often takes the form of a cartoon, but is no doubt a reference to Sines himself. Frank explores human conditions without human restrictions.
The Sucklord
The Sucklord is a New York City Pop Artist and Television Personality known for his subversive Action Figure mashups and Reality TV Persona. Operating under the Brand SUCKADELIC, The Sucklord’s Line of self-manufactured Bootleg Toys steal shamelessly from STAR WARS, Vintage Advertising and All manner of Pop Culture Trash. Packaged in layers of ironic self-Mockery, His shoddy looking wares have inspired an entire secondary Art movement, with dozens of entrepreneurial Toy Bootleggers creating their own versions of highly referential, low-Rent interpretations of their favorite figures. Recently The Sucklord has increased the scale of his work, putting oversized Blister-carded figures in Tokyo Art Galleries, the homes of the famously wealthy, and the Walls of downtown New York City.
Laura Tack
Born on 9 June in Belgium, Laura Tack works through images and materials in an attempt to connect with the vastness of time, using processes that emphasize the connection between creation and destruction. Laura, as a painter, depicts both the pains and joys of seeking out and growing closer to our roots. She is currently living and working in Marrakech, Morocco.
Sarah Wang
Sarah is interested in people and the communities they represent. In her photography and films, she collaborates with her subjects to tell their stories. She is exploring new ways and mediums through which to tell these stories, working in collaboration with professionals in various creative fields along the way. A photographer, film-maker, and curator born in Harbin, China, Sarah grew up in the Bay Area from the age of six. She earned her BA in Art Education from San Francisco State University with an emphasis in drawing and painting as well as a CA Teaching Credential in K-12 Art Education. Sarah worked as an artist teacher with the Joan Mitchell Foundation during her first three years in New York. She then, along with fellow artist, Shaina Yang opened an alternative art space in the Lower East Side, called City Bird Gallery. They offered an experimental space for emerging & professional artists as well as student and community organizations to exhibit their work. Shaina and Sarah have since joined forces with a collective of women and gender non-binary artists and curators to create Disclaimer Gallery, an experimental installation space catered to showing queer, women of color and other marginalized groups.
Wizard Skull
Wizard Skull is an artist living and working in Brooklyn NY. Early on he picked up skateboarding, and he immersed himself within the subculture. Designing T-shirts, skateboard graphics, and skateboarding in local shop videos, he eventually went on to design over 200+ board graphics for skateboard companies from Norway, Russia, England, and all over the US and rest of the world. His art as well as himself skateboarding appeared in numerous skateboard magazines including Thrasher. Adopting the moniker of Wizard Skull and abandoning freelance design work, he began wheat pasting his art all around New York. One of his most often wheat pastes was "Sexy Ronald", a buff version of Ronald McDonald wearing only underwear with fries popping out of them. People began photographing and sharing images of it on social media which led to the image going viral several times, being bootlegged and sold on T-shirts in Thailand. This also led to his art being exposed to a larger audience.
Shaina Yang
Shaina Lee-Shuan Yang, often known as Aniahs Gnay or Moon Mansion, is a multidisciplinary visual artist and arts organizer based in NYC. Their work explores the relationships of the vessel body and its carried symbols, connectivity, and the space between it all. They are influenced by the superstitious nature of their Taiwanese family and life as first-generation queer American.
Be there for our biggest show to date!
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Storia di Musica #19 - Roy Harper, Stormcock, 1971
Ci sono state delle figure nella storia della musica inglese la cui vita, privata e professionale, avrebbe potuto essere raccontata in un romanzo di avventura. E che hanno lasciato delle testimonianze musicali immense. Uno dei rappresentanti più influenti di questa stirpe è Roy Harper. Originario di Manchester, rimane orfano di madre. La sua matrigna, dispotica, è fervente seguace dei testimoni di Geova, e il rapporto così conflittuale con lei gli provocherà un profondo odio verso ogni forma di religione. Per sfuggire alla famiglia si arruola nella RAF a soli quindici anni, scoprendo però ahimè che la vita militare è altrettanto impraticabile per lui. Per ottenere il congedo si finge pazzo: è costretto a subire ripetute sedute di elettroshock e viene internato in manicomio, e passa anche del tempo in prigione. Scappa da un ospedale psichiatrico di Manchester e girovagando senza un soldo e psicologicamente a pezzo arriva a Londra, siamo nel 1964. Impara a suonare la chitarra, scoprendo un naturale talento per lo strumento, suona per le strade e nelle metropolitane, e piano piano la sua poesia oscura e dolente, la sua voce camaleontica e un talento innato gli ritagliano un piccolo spazio nella effervescente scena folk inglese del periodo. Per la Strike, una piccola etichetta del folk, incide il suo primo disco: The Sophisticated Beggar è un bel debutto che rivela il suo talento, che mischia la chitarra acustica alla Bert Jansch (Goldfish Bowl, Black Clouds, la stupenda title track) a contaminazioni world e psichedeliche. L’album verrà ristampato più volte a successo ottenuto spesso con il titolo di The Return Of The Sophisticated Beggar. Passano tre anni di concerti, per lo più free, che però sono decisivi per trovare una casa discografica: la CBS lo scrittura e gli dà come produttore Shel Talmy, famoso per i lavori con Kinks e The Who. Con pochi mezzi Come Out Fighting Ghengis Smith esce nel 1967: folk acustico e fingerpicking dominano le canzoni, tra citazioni del suo amico Donovan (All You Need Is), madrigali e la sua voce calda e misteriosa. In copertina, un bimbo appena nato con ancora il cordone ombelicale attaccato, che verrà censurata all’epoca. Ancora con Talmy in consolle esce Folkjokeopus (1969): album dalle idee più estreme, con innesti di sitar indiani e un brano, McGoohan’s Blues, che è quasi uno speaker’s corner speech anticlericale. Passa alla Harvest, l’etichetta del progressive, e firma nel 1970 Flat, Baroque And Berserk. La produzione è di Peter Jenner, pezzi storici come la bellissima Don’t You Greve, dal sapore dylaniano, i primi tocchi orchestrali (Another Day), accenni di prog (Hell’s Angels, con i Nice a suonare non accreditati in copertina) ma soprattutto la storica canzone antirazzista della durissima I Hate The White Man. I tempi sono maturi per l’atteso capolavoro: Stormcock (1971) è il nome inglese della turdela, un turdide ghiotto di vischio (da cui il suo nome scientifico di turdus viscivorus) e che secondo una leggenda canta di prima mattina e quando il clima è tempestoso. Il disco stupisce per la sua magnetica forza emotiva: in scaletta quattro brani, mini suite dove le chitarre a sei e dodici corde si intrecciano in storie e atmosfere dense di sentimenti, belli e brutti, di emozioni contrastanti, creando un wall of sound acustico e toccante. Hors D’Oeuvres, la spettacolare Me And My Woman, dove Harper sfodera meravigliosi falsetti ed è strutturata con gli archi magnifici di David Bedford, One Man Rock And Roll Band (un titolo, un programma, la quintessenza di Harper) e la stupenda, e anti governativa, The Same Old Rock, dove alla chitarra c’è tale S. Flavius Mercurius, che non è un maestro della scuola di magia di Harry Potter ma è lo pseudonimo di Jimmy Page, fido amico di Harper, che aveva già omaggiato il nostro nel leggendario Led Zeppelin III con Hats Off To (Roy) Harper, per la coerenza e la forza d’animo di un artista davvero singolare e talentuosissimo. Harper dopo un periodo dove pensò di morire per gravi problemi fisici (testimoniati dallo stupendo ed oscuro Lifemask del 1973) continuerà la sua carriera quarantennale sempre intrecciando la sua voce caratteristica con il suono delle sei corde della sua chitarra: non c’è da fare altro che togliersi il cappello davanti al genio strano di quest’artista.
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MAI PIU'
"Bergamorisvegliata" non è solo scoprire nuove realtà contemporanee, ma anche personalità di alta cultura e di notevole impegno letterario come Alessandro Baricco: scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e critico d'arte, Baricco ha vinto il Premio Viareggio nel 1993.
Questo "pezzo" di disarmante semplicità, bene illustra quella che è la surrealità e la drammaiticità della situazione attuale che ci si trascina ormai da più di un anno, ed è stato scritto per "ilpost", quotidiano attivo "online" e al quale link potete trovare l'articolo dello stesso Baricco.
https://www.ilpost.it/2021/03/09/baricco-mai-piu/?fbclid=IwAR0469NmtPc3yRV4NSvXNVG2VhtDNUymzOvJqIJRbg1JBdVBr5j_wVTw84I
Mai più, prima puntata
«Esiste un’intelligenza non novecentesca? La stiamo formando da qualche parte, in qualche scuola, in qualche azienda, in qualche centro sociale? Abbiamo ragione di pretendere che emerga in superficie nella gestione del mondo, e di pretenderlo con una rabbia pericolosa?»
(E di questa altra morte quando parliamo?, la morte strisciante, che non si vede. Non c’è Dpcm che ne tenga conto, non ci sono grafici quotidiani, ufficialmente non esiste. Però ogni giorno, da un anno, lei è lì: tutta la vita che non viviamo, per non rischiare di morire. Meno male che non la stiamo contando, che non la misuriamo in numeri: non riusciremmo a guardarli, dal disastro che racconterebbero, farebbero impallidire quelli già tragici della prima morte, gli unici che abbiamo la forza di guardare negli occhi. Contiamo i cuori che si fermano negli ospedali, ma non quelli che se ne vanno, che semplicemente se ne vanno. E di questo commiato silenzioso, mansueto, collettivo, generale, vertiginoso, scandaloso, quando parliamo? Adesso.
Ciò che sta succedendo è che umani capaci di vivere non lo fanno più. Non viaggiano, restano a casa, lavorano senza incontrarsi, non si toccano, non si occupano dei loro corpi, conservano pochissime amicizie e al massimo un amore; da tempo riservano al solo ambiente famigliare, notoriamente tossico, gesti come abbracciarsi, lasciarsi guardare in faccia, dividere il pane; disponendo di artisti capaci di generare emozione e bellezza, non li incontrano più; possiedono bellissime opere d’arte ma non le vanno a vedere, e musica raffinatissima che non vanno ad ascoltare; non mandano più i figli a scuola, e d’altronde neanche a fare sport, feste e gite; non escono dopo il tramonto, quando è festa si chiudono in casa. Stanno dimenticando, a furia di non farli, gesti che ritenevano importanti, o quanto meno graziosi: applaudire, urlare, andare lontano, insegnare girando tra i banchi, limonare con qualcuno per la prima volta, andare dai nonni, suonare uno strumento per un pubblico, discutere con gente di cui puoi sentire l’odore, ballare, fare una valigia, andare a sposarsi accompagnati da tutti quelli che ti vogliono bene, giocare a bowling, scambiarsi il segno della pace a Messa, uscire da casa senza sapere ancora dove andare, camminare in montagna, respirare nel buio di un cinema, tenere la mano a qualcuno che muore. Sistematicamente, e con grande determinazione, predicano la solitudine, la scelgono e la impongono, come valore supremo: lo fanno anche con coloro a cui non era destinata affatto, come i ragazzi, i malati e le persone felici. Completano questa grandiosa ritirata dal vivere facendo un uso massiccio e ipnotico di oggetti, i device digitali, che erano nati per moltiplicare l’esperienza e ora risultano utili a riassumerla in un ambiente igienizzato e sicuro. Per concludere: vivono appena.
Ufficialmente è una decisione lucida, razionale. Sorpresi da una pandemia, rinunciano a vivere per non morire. Ma non è così semplice, come l’ingorgo logico dovrebbe costringere a capire. Mi prendo la responsabilità di provare a descrivere la cosa in un altro modo: una certa ottusa razionalità meccanica si è a tal punto fissata sulla soluzione di un problema, da perdere di vista il quadro più complessivo della faccenda, vale a dire quel che chiamiamo il senso della vita. È già successo ripetutamente con le guerre del secolo scorso: l’ossessiva applicazione razionale alla soluzione di un problema (lì spesso era politico/sociale) portava regolarmente a un crollo del valore della vita umana e a una colossale mortificazione del diritto all’esperienza e alla felicità. È un errore che conosciamo, è generato dall’indugiare eccessivo su un frammento, nell’incapacità di avere uno sguardo generale, più alto, più dall’alto. Un deficit di intelligenza. Può portare a veri disastri quando si smetta di ascoltare la vibrazione del mondo, il suo respiro reale, e si finisca per fidarsi solo di quegli avatar che chiamiamo numeri. Di solito, quando ciò accade, ci si appella alla grande capacità che gli umani hanno di soffrire. Tatticamente è una mossa feroce, ma corretta. Detta un compito, inevitabile e giusto.
Così soffriamo, ubbidendo, di questo soffrire, ognuno a modo suo, in ordine sparso, ormai logorati, sempre meno lucidi. Di tanto in tanto troviamo sollievo nel pensare, nel ragionare, trovandovi una radura clemente, socchiusa in questo strano viaggio.)
Rimesse in sella dalla pandemia, le élites novecentesche se ne stanno ben salde ai tavoli di comando della cosa pubblica, dirigendo le operazioni strategiche contro il virus. Ancora una volta si stanno esibendo nel loro numero preferito: there is no alternative, il famoso TINA. Qualsiasi cosa decidano, la ragione per cui lo fanno è sempre la stessa: non c’è altra possibilità. Ma è vero?
Per cercare un risposta, prendiamo un esempio circoscritto. Una decisione tra le altre. Chiudere le scuole. Mentre scrivo, ad esempio, in Piemonte, dove vivo, si sta decidendo di chiudere le scuole di ogni ordine e grado per le prossime tre settimane. Spiegazione: there is no alternative. Ma è vero? Più o meno credo di sapere la risposta: se costruisci la scuola in quel modo, se ti fidi di quella particolare comunità scientifica, se gestisci una Regione in quel modo, se disponi di un sistema sanitario fragile, se l’educazione ti sembra meno essenziale che la produzione del reddito, allora è vero: non c’è alternativa, devi chiudere.
E adesso concentriamoci su quel se.
La figura logica è chiara: se io sbaglio una serie di gesti, arriverà un momento in cui fare una cosa sbagliata sarà l’unica cosa giusta da fare. Traduciamola nel nostro contesto: quella che per brevità chiameremo intelligenza novecentesca non trova soluzioni che non siano obbligate perché quel che sta giocando è un suo finale di partita, la posizione dei pezzi è da tempo determinata da strategie decise nel secolo corso, i pezzi persi non si possono più recuperare, e la stessa postura mentale del giocatore non è adatta a giocare contro un avversario che, invece, muove con una tattica completamente nuova.
Risultato: there is no alternative.
Dato che la cosa porta inevitabilmente a enormi sofferenze collettive, in buona parte gratuite, diventa un gesto di necessaria rabbia sociale interrogarsi su un punto che ormai, per quel che capisco io, è diventato IL punto: esiste un’altra intelligenza, più adatta alle sfide che ci aspettano? Esiste un’intelligenza non novecentesca? La stiamo formando da qualche parte, in qualche scuola, in qualche azienda, in qualche centro sociale? Abbiamo ragione di pretendere che emerga in superficie nella gestione del mondo, e di pretenderlo con una rabbia pericolosa? Tutte queste domande ne portano in grembo un’altra, istintiva, quasi naturale: non è che per caso l’intelligenza che stiamo cercando è in realtà sotto gli occhi di tutti, ha già preso il potere, e non è altro che quella che chiamiamo intelligenza digitale? Siamo quindi presi in trappola nella morsa tra Draghi e Zuckerberg? Is there any alternative?
Vorrei provare a scrivere un testo, su queste cose. A puntate. Poche. Questa è la prima.
-un ringraziamento alla redazione de "il Post.it" per la gentile concessione
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