#Senatùr
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J-Ax in un pezzo di 10 anni fa cantava: “persone senza onore qui le chiamano onorevoli”. Pur non facendo nomi, tantissime sono le persone, gli “onorevoli” (o per meglio dire i “dis-onorevoli”) che potrebbero essere i destinatari di questa frase.
È il 2021, quando al senato viene affossato il ddl Zan che avrebbe inasprito le pene nei confronti di chi commette reati omo-trans-fobici, che porta il nome di Alessandro Zan (Partito Democratico). All’affossamento del ddl in questione, a festeggiare è tutta l’ala destra dell’emiciclo, sempre pronti a remare contro qualsiasi forma di senso civico e contro qualsiasi azione di buonsenso.
A festeggiare c’è anche lui, Simone Pillon, “senatùr” leghista che un giorno sì e l’altro pure inveisce contro il mondo lgbtqi+, al punto da arrivare ad essere condannato per diffamazione nei confronti dell’associazione Omphalos Lgbti+, accusata di fare “una propaganda unidirezionale e celebrativa dell’omosessualità, con l’intento di coinvolgere i minorenni in attività a sfondo esibizionistico/erotico, svolte presso l’associazione”. Secondo la sentenza, Pillon avrebbe additato l’associazione come “istigatrice dell’omosessualità” (?) E “soggetto che distribuisce materiale pornografico” (!!!).
All’affossamento del ddl Zan, Pillon e soci leghisti hanno subito prontamente festeggiato sui loro social, con foto e video provocatori in cui si inneggia al “salvataggio dell’Italia dalle teorie del gender che stanno rovinando le nuove generazioni”. Risultato? Una valanga di commenti e di insulti, più o meno veementi, che rientrano nel diritto di critica e nella libertà di espressione (che peraltro Pillon & soci han sempre difeso a spada tratta, rivendicando anche di utilizzare parole oscene nei confronti di determinate categorie di persone). Peter Gomez ha specificato sul sito de Il fatto quotidiano.It: “ci limitiamo a ricordare che la libertà di parola nasce nel 700 con la rivoluzione rancese per poter parlare male di coloro i quali erano al potere. Per per parlarne bene, infatti, c’erano già i cortigiani. E oggi è davvero difficile parlar bene di questi nostri tre ex rappresentanti” (Simone Pillon, Stefano Lucidi e Guglielmo Golinello, tutti e tre ex parlamentari della Lega Per Salvini Premier).
Forse però la libertà di parola e di espressione, la libertà di ruttare in pubblico nei comizi con contenuti diffamatori e basati sul nulla forse vale solamente per loro. Si è scoperto, infatti, che Simone Pillon (in compagnia dei suoi colleghi) si è rivolto ad uno studio legale di Modena (tale Studio Legale Virgili) per far sì che quest’ultimo lo difendesse dalle critiche e dagli insulti ricevuti per via delle sue uscite davvero polarizzanti e decisamente criticabili e attaccabili. Una valanga di lettere sono state inviate ai malcapitati, con richieste di risarcimento di cifre ingenti che potevano sforare anche i 20mila euro per “diffamazione aggravata nei confronti dell’ex senatore”.
A far scoppiare il caso è stato Thomas Mackinson, che ha portato a galla sul giornale diretto da Gomez e Marco Travaglio, questa enorme macchina di risarcimenti che nasconde del marcio dietro: una macchina basata essenzialmente sulla paura volta ad agire nei confronti di poveri malcapitati che non riescono a distinguere “una lettera raccomandata da un atto giudiziale”. Nella lettera solo una alternativa: paga il risarcimento per i commenti oppure vai a processo. In pratica: un’estorsione bella e buona.
Come spiega l’avvocato Luca Zenaldi all’interno di questo servizio de Le iene realizzato da Roberta Rei, la corretta procedura prevede, in caso ci si senta diffamati, la presentazione di una querela che viene esaminata dal pubblico ministero il quale decide se effettivamente sussiste la diffamazione, e dunque eventualmente rinvia al giudizio. Ebbene, in tale macchina manca esattamente il passaggio della presentazione di querela da far esaminare al pubblico ministero. In buona sostanza, l’azione avviata da Pillon e dallo studio legale a cui si è rivolto è nient’altro che una pesca a strascico che sulla legge dei grandi numeri tenta di acchiappare quanti più pesci disposti a pagare, un po’ per vergogna, un po’ per levarsi dalle grane. Ed infatti in tanti han pagato.
In questi 8 minuti e poco più di servizio de Le iene, la Rei ha parlato di tutta la situazione riguardante l’ex “senatùr” leghista, andando anche ad intervistarlo circa tutta la faccenda.
Un noto detto italiano recita che “sono tutti froci con il culo degli altri”: in questo caso, si potrebbe affermare che richiedono tutti libertà di espressione, almeno finché non si finisce al centro di shitstorm volutamente create e ricercate a tavolino.
(Servizio de Le iene di Novembre 2022).
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PILLOLE DI ATTUALITÀ by Matryoshka
- Dossieraggio, il Ministro #Nordio vuole una Commissione d'Inchiesta:
“Credo che a questo punto si possa e si debba riflettere sulla necessità dell'istituzione di una Commissione Parlamentare d'Inchiesta con potere inquirente per analizzare una volta per tutte questa deviazione che già si era rilevata gravissima ai tempi dello scandalo Palamara e che adesso, proprio per le parole di #Cantone, è diventata ancora più seria".
- #Ladispoli, bimbo di sei anni #iperattivo rientra in classe dopo la sospensione di 21 giorni. Dopo il ricorso al Tar fatto dai genitori del piccolo, sospeso lo scorso 26 febbraio a causa di comportamenti ritenuti "non idonei" per la comunità scolastica, i genitori del piccolo si erano rivolti direttamente al Ministro #Valditara, il quale aveva provveduto ad inviare degli ispettori per vederci chiaro.
- Bossi: il figlio del "senatùr" Umberto #Bossi,Riccardo, avrebbe incassato il Reddito di Cittadinanza per tre anni e mezzo senza averne diritto.
- USA: #VictoriaNuland si dimette dal suo ruolo di Sottosegretario di Stato per gli affari politici. Giorni fa dichiarò alla CNN: "I soldi inviati in #Ucraina tornano in Gran parte negli #USA".
(Foto: web)
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«Rinnoviamo la Lega contro il centralismo romano»: così Bossi lancia la sfida a Salvini
«Rinnoviamo la Lega contro il centralismo romano»: così Bossi lancia la sfida a Salvini
Il Comitato Nord del Senatùr si riunisce a Pavia «Siamo qui per rinnovare la Lega, non per distruggerla. Perché altrimenti faremmo solo un piacere al centralismo romano. Ma tanta gente, nostri militanti, mi sta chiedendo da tempo “Bossi, fai qualcosa!“. E noi non potevamo stare fermi». Sono queste le parole del fondatore della Lega Umberto Bossi che questa mattina è intervenuto a primo incontro…
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Come le meduse al sole: 5 stelle sulle secche romane I 5 Stelle sono in bambola. Il gioco dei caminetti romani ha ucciso lo spirito rivoluzionario di molti partiti.
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Lega, Bossi in ospedale dopo malore in casa
Lega, Bossi in ospedale dopo malore in casa
Read More(Adnkronos) – Il Senatùr, 81 anni, si è sentito male nella sua abitazione di Gemonio nel varesottopolitica(Adnkronos) – Il Senatùr, 81 anni, si è sentito male nella sua abitazione di Gemonio nel varesottoAdnkronos – ultimora
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...Roberto Maroni preferisce non dirlo, Matteo Salvini lo nega categoricamente. Insomma, gli eredi del Senatùr sostengono di non aver visto un euro di quegli oltre 48 milioni rubati da Bossi e Belsito. «Sono soldi che non ho mai visto», ha scandito di recente l’attuale segretario federale commentando la decisione del Tribunale di Genova di sequestrare i conti correnti del partito dopo la condanna per truffa di Bossi. I documenti ottenuti da L’Espresso dimostrano però che esiste un filo diretto tra la truffa firmata dal fondatore e i suoi successori. Tra la fine del 2011 e il 2014, infatti, prima Maroni e poi Salvini hanno incassato e usato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore. E lo hanno fatto quando ormai era chiaro a tutti che quei denari rischiavano di essere sequestrati. ... Che cosa cambia quando Salvini subentra a Maroni? Niente, se non le cifre. A metà dicembre del 2013 Matteo viene eletto segretario del partito. L’inchiesta sui rimborsi elettorali intanto va avanti, e a giugno del 2014 arrivano le richieste di rinvio a giudizio: i magistrati chiedono il processo per Bossi. Un mese e mezzo dopo, il 31 luglio, Salvini incassa 820mila euro di rimborsi per le elezioni regionali del 2010. Perché allora il segretario della Lega e aspirante candidato premier per il centro-destra continua a sostenere che lui quei soldi non li ha mai visti? E se li ha visti, come poteva non sapere che erano frutto di truffa? Due mesi dopo aver incassato gli oltre 800 mila euro, Salvini e la Lega si costituiscono infatti parte civile contro i compagni di partito. Si sentono vittime di un imbroglio, di una truffa che ha sfregiato il vessillo padano. E vogliono essere risarciti. La nuova dirigenza è dunque consapevole della provenienza illecita del denaro accumulato sotto la gestione di Bossi. Ma il 27 ottobre, solo venti giorni dopo l’annuncio di costituirsi parte civile, Salvini fa qualcosa che appare in netta contraddizione con quella scelta: ritira altri soldi. Questa volta la somma è piccola, poco meno di 500 euro: l’ultima tranche di rimborso per le elezioni regionali del 2010. La sostanza però non cambia. Sono denari ottenuti con la rendicontazione gonfiata firmata da Belsito. Fatto di cui a quel punto è dichiaratamente convinto anche Salvini. Il quale, due giorni dopo l’ultimo prelievo, riceve persino una lettera dallo storico avvocato di Bossi, Matteo Brigandì. «Ti diffido dallo spendere quanto da te dichiarato corpo del reato», si legge nella missiva con la quale la vecchia guardia lancia un messaggio chiaro al nuovo gruppo dirigente: voi ci accusate di aver rubato quattrini, allora sappiate che i soldi che avete in cassa sono il profitto della truffa, e usarli vuol dire diventare complici del reato. Il denaro, più che l’ideologia, è dunque il collante tra l’epoca di Bossi, l’interregno di Maroni e il presente firmato Salvini. Le tre età del partito della Padania intrecciate attorno a una vicenda che tutti vogliono dimenticare in fretta. Talmente in fretta da ritirare persino la costituzione di parte civile davanti al giudice. DI GIOVANNI TIZIAN E STEFANO VERGINE
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4 FEB 2020 15:28
GAD CHE ABBAIA, NON MORDE - BELPIETRO STRAPAZZA GAD LERNER CHE HA INTERVISTATO BOSSI IN FUNZIONE ANTI-SALVINI: “HO MOLTA AMMIRAZIONE PER LUI. UN GIORNALISTA CHE RIESCA A RESTARE A GALLA PER ANNI SENZA AZZECCARNE UNA HA DEL TALENTO - RIESUMARE BOSSI PER COLPIRE SALVINI, OLTRE AL CINISMO MOSTRA L'ACUME POLITICO DI UN TIZIO CHE DA LOTTA CONTINUA È PASSATO A GIANNI AGNELLI E DE BENEDETTI SENZA AZZECCARNE MAI UNA, MA SEMPRE INSEGNANDO AGLI ALTRI COME GIRA IL MONDO…”
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Maurizio Belpietro per “la Verità”
Ho molta ammirazione per Gad Lerner. Un giornalista che riesca a restare a galla per anni senza azzeccarne una ha infatti del talento. Ricordo ancora quando sponsorizzava la guerra contro il colonnello Gheddafi. Secondo lui, quelli che manifestavano dubbi sull' intervento militare per liberare la Libia, prefigurando il caos e un esodo biblico di profughi, erano ballisti patentati. Come sia andata a finire la campagna tripolitana del nostro amico Gad è cosa nota. Ma ho in mente anche quando il simpatico collega di Repubblica, che ha una casa nella campagna del Monferrato, scriveva che la Lega era un partito minoritario, «destinato a rimanere tale», per lo meno in Piemonte.
Anche in questo caso abbiamo visto la notevole capacità di preveggenza del fine analista politico che è in lui, prova ne sia che alle ultime elezioni Salvini da quelle parti ha raccolto il 37 per cento. L' elenco delle infallibili previsioni potrebbe continuare, ma forse è il caso che vi spieghi perché mi occupo di lui. Ieri, sulla prima pagina del giornale che abbandonò perché il compenso che gli veniva offerto non era all' altezza di un giornalista del suo rango (salvo poi rientrare perché nessuno gliene aveva offerto un altro), Lerner ha pubblicato una lunga intervista a Umberto Bossi. Il colloquio era sintetizzato da un titolo che era tutto un programma: «Salvini sbaglia. Il nazionalismo fa perdere la Lega».
Le parole del vecchio leader sono state raccolte mentre il Senatùr guardava in tv la partita fra Galles e Italia, in cui i rugbisti inglesi le hanno suonate agli azzurri per 42 a 0.
Bossi ha una simpatia per il Galles, ma di sicuro non ne ha molta per Salvini e dunque Lerner ne ha approfittato per girare il coltello nella piaga. Al vecchio leader è riuscito a cavare frasi che sembrano prefigurare una fuga di massa dalla Lega, dove i militanti non sopporterebbero che l'ex ministro dell' Interno abbia cancellato l'insegna del Nord dalla ragione sociale.
«Molti sono già andati via, ma sbagliano prospettiva». Perché anche se soffrono non è finito il mondo, un recupero è possibile, assicura il Senatùr. Ma a Lerner non basta stuzzicare Bossi sulle modifiche al logo padano: vuol fargli dire chiaro e tondo che ora la Lega deve modificare altro, in particolare la guida. Cambiare leader, gli chiede astuto il nostro Gaddino. «Evidentemente anche cambiando leadership», gli risponde quell'altro. Ma Lerner non è contento, per cui affonda il colpo: «Scusi se mi permetto, ma vederla qui, isolato e affaticato, mi ricorda il destino di un altro leader della prima Repubblica: Bettino Craxi. Gemonio è la sua Hammamet?».
Servita su un piatto d'argento e di perfidia, non poteva mancare la risposta giusta: «Mi hanno messo ai margini, è vero, ma io posso e voglio rientrare. Mi batterò finché avrò forze per la libertà e l' autonomia dei nostri popoli. Ricevo pressioni enormi da altri partiti che vorrebbero farmi passare dalla loro parte. Ma io sono nato e morirò leghista».
Per Gad però non è sufficiente neppure questo, perché mica può mollare la presa ora che il vecchio leone si è lasciato andare ai rimpianti.
«Dopo la sconfitta elettorale della settimana scorsa, crede davvero che nella Lega si possa riaprire una discussione interna?». Diamine, uno che in Emilia Romagna ha triplicato i voti rispetto a cinque anni prima vuoi che non venga messo sotto processo con una discussione a porte chiuse? Ovvio che sì e Bossi, spingendosi sulla sedia a rotelle, non si tira indietro: «Guai se non succedesse. La base del Nord è in fermento.
Bisogna che qualcuno trovi il coraggio di darle voce, perché altrimenti se ne andranno via in tanti. Su di me possono contare».
Già mi pare di vedere il ghigno di Lerner per essere riuscito a far dire al Senatùr quello che aveva sul gozzo. E mi pare di vederlo, lui e il suo direttore, mentre in prima pagina fanno il titolo grosso, con scritto: Il vecchio Bossi: «Caro Salvini così sbagli tutto». Certo, chi ha lasciato il partito al 4 per cento e con un debito di 49 milioni, che ogni volta a Repubblica si affrettano a ricordare, è la persona giusta per dare le lezioni a un altro che in cinque anni il partito lo ha portato al 32.
E Gad è la persona giusta per consentire al vecchio leader di impartire la predica al suo successore. Non è forse sua la prefazione all'Idiota in politica, un libro del 2011 che si riprometteva di descrivere «l'antropologia della Lega Nord» e invece descriveva l'antropologia di Bossi? Con il titolo «Il predone del Nord», Lerner accompagnava i lettori immaginando l'espulsione del fondatore, il cui nome era già stato cancellato dal «bollettino del partito», ossia dalla Padania.
«Difficilmente tornerà a comparirvi. Fine ingloriosa dell'Idiota in politica, che idiota certo non era». «Trattarlo come un deficiente che firma i bilanci senza accorgersene è un trucco che non funziona più», scriveva a proposito dei soldi incassati grazie al finanziamento pubblico. Tralascio le spiegazioni sulla «repentina crisi del movimento leghista» e quelle «sull'inadeguatezza culturale del populismo al governo». Mi limito a osservare che riesumare Bossi per colpire Salvini, oltre al cinismo mostra, ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l' acume politico di un tizio che da Lotta continua è passato a Gianni Agnelli e Carlo De Benedetti senza azzeccarne mai una, ma sempre insegnando agli altri come gira il mondo.
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Lega Congress, Bossi: "Just help the South 'at home', otherwise they overflow here like Africans" - Repubblica Tv
Lega Congress, Bossi: "Just help the South 'at home', otherwise they overflow here like Africans" – Repubblica Tv
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24 hours after Umberto Bossi's declarations on the southerners, the hashtag #terroni is trending topic on Twitter, through which users express disdain and anger for what was said yesterday by the 'Senatùr' during the League Congress. To provoke the indignation, in addition to the words of Bossi, the fact that the current League secretary Matteo Salvini has not dissed from those words.
"It…
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Ebbene sì: anche Salvini e Maroni hanno usato i soldi rubati da Bossi
Ebbene sì: anche Salvini e Maroni hanno usato i soldi rubati da Bossi (un pezzo da leggere con attenzione e ritagliare di Giovanni Tizian e Stefano Vergine per l'Espresso) Cinque anni fa, quando tutto ebbe inizio, Umberto Bossi usò un’immagine biblica per spiegare il suo intento. «Ho fatto come Salomone: non ho voluto tagliare a metà il bambino», disse mentre si apprestava a lasciare le redini del partito a Roberto Maroni. Erano i giorni in cui i giornali pubblicavano le prime notizie sullo scandalo dei rimborsi elettorali leghisti, quelli incassati gonfiando i bilanci e usati per pagare le spese personali del Capo e della sua famiglia, come la laurea in Albania del figlio Renzo o le multe del primogenito Riccardo. Il senso della metafora bossiana era chiaro: piuttosto di dividere la Lega tra chi sta con me e chi contro di me, il Senatùr si diceva pronto a lasciare pacificamente il potere al suo storico rivale. Da allora in poi l’intento di chi è succeduto a Bossi, prima Maroni e oggi Salvini, è sempre stato quello di differenziarsi, di creare compartimenti stagni tra il partito dell’Umberto e quello di oggi, tanto che all’ultimo raduno di Pontida al fondatore non è stato nemmeno concesso il tradizionale discorso dal palco. Gli immigrati al posto dei meridionali, il nazionalismo in sostituzione del secessionismo. Pure un nuovo marchio, Noi con Salvini, dotato di satelliti sparsi dal Centro al Sud e rappresentato da personaggi della destra, come in Calabria, o vecchi democristiani votati all’autonomia, come in Sicilia. Nuovi volti (per modo di dire) e nuovi ideali sostenuti con forza proporzionale all’incedere delle inchieste giudiziarie sui fondi elettorali. Se è vero che negli ultimi anni molto è in effetti cambiato all’interno del Carroccio, c’è qualcosa che è rimasto segretamente invariato. Roberto Maroni preferisce non dirlo, Matteo Salvini lo nega categoricamente. Insomma, gli eredi del Senatùr sostengono di non aver visto un euro di quegli oltre 48 milioni rubati da Bossi e Belsito. «Sono soldi che non ho mai visto», ha scandito di recente l’attuale segretario federale commentando la decisione del Tribunale di Genova di sequestrare i conti correnti del partito dopo la condanna per truffa di Bossi. I documenti ottenuti da L’Espresso dimostrano però che esiste un filo diretto tra la truffa firmata dal fondatore e i suoi successori. Tra la fine del 2011 e il 2014, infatti, prima Maroni e poi Salvini hanno incassato e usato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore. E lo hanno fatto quando ormai era chiaro a tutti che quei denari rischiavano di essere sequestrati. Per scoprire i retroscena di questo intrigo padano bisogna tornare al 5 aprile del 2012. E tenere a mente le date. Quel giorno, a poche ore dalla perquisizione della Guardia di Finanza nella sede di via Bellerio, a Milano, Bossi si dimette da segretario del partito. È la prima scossa del terremoto che sconvolgerà gli equilibri interni alla Lega. A metà maggio diversi giornali scrivono che a essere indagato non è solo il tesoriere Francesco Belsito, ma anche il Senatùr. Il reato ipotizzato è quello di truffa ai danni dello Stato in relazione ai rimborsi elettorali. Il primo di luglio Maroni viene eletto nuovo segretario del partito. E quattro mesi dopo, il 31 ottobre, passa per la prima volta alla cassa. Come certifica un documento inviato dalla ragioneria del Senato alla Procura di Genova, quel giorno l’attuale governatore della Lombardia riceve 1,8 milioni di euro. È il rimborso che spetta alla Lega per le elezioni politiche del 2008, quelle vinte da Berlusconi contro Veltroni. Il primo di una lunga serie. Da qui in poi a Maroni verranno intestati parecchi bonifici provenienti dal Parlamento. A fine 2013, cioè al termine del mandato di segretario, Bobo avrà così ricevuto 12,9 milioni di euro. Tutti rimborsi relativi a elezioni comprese tra il 2008 e il 2010, quando a capo del partito c’era Bossi e a gestire la cassa era Belsito. Insomma, proprio i denari frutto della truffa ai danni dello Stato. Che cosa cambia quando Salvini subentra a Maroni? Niente, se non le cifre. A metà dicembre del 2013 Matteo viene eletto segretario del partito. L’inchiesta sui rimborsi elettorali intanto va avanti, e a giugno del 2014 arrivano le richieste di rinvio a giudizio: i magistrati chiedono il processo per Bossi. Un mese e mezzo dopo, il 31 luglio, Salvini incassa 820mila euro di rimborsi per le elezioni regionali del 2010. Perché allora il segretario della Lega e aspirante candidato premier per il centro-destra continua a sostenere che lui quei soldi non li ha mai visti? E se li ha visti, come poteva non sapere che erano frutto di truffa? Due mesi dopo aver incassato gli oltre 800 mila euro, Salvini e la Lega si costituiscono infatti parte civile contro i compagni di partito. Si sentono vittime di un imbroglio, di una truffa che ha sfregiato il vessillo padano. E vogliono essere risarciti. La nuova dirigenza è dunque consapevole della provenienza illecita del denaro accumulato sotto la gestione di Bossi. Ma il 27 ottobre, solo venti giorni dopo l’annuncio di costituirsi parte civile, Salvini fa qualcosa che appare in netta contraddizione con quella scelta: ritira altri soldi. Questa volta la somma è piccola, poco meno di 500 euro: l’ultima tranche di rimborso per le elezioni regionali del 2010. La sostanza però non cambia. Sono denari ottenuti con la rendicontazione gonfiata firmata da Belsito. Fatto di cui a quel punto è dichiaratamente convinto anche Salvini. Il quale, due giorni dopo l’ultimo prelievo, riceve persino una lettera dallo storico avvocato di Bossi, Matteo Brigandì. «Ti diffido dallo spendere quanto da te dichiarato corpo del reato», si legge nella missiva con la quale la vecchia guardia lancia un messaggio chiaro al nuovo gruppo dirigente: voi ci accusate di aver rubato quattrini, allora sappiate che i soldi che avete in cassa sono il profitto della truffa, e usarli vuol dire diventare complici del reato. Il denaro, più che l’ideologia, è dunque il collante tra l’epoca di Bossi, l’interregno di Maroni e il presente firmato Salvini. Le tre età del partito della Padania intrecciate attorno a una vicenda che tutti vogliono dimenticare in fretta. Talmente in fretta da ritirare persino la costituzione di parte civile davanti al giudice. Già, perché solo un mese dopo essersi dichiarato vittima della truffa targata Bossi-Belsito, Salvini fa marcia indietro. Come a dire: chiudiamola qua, scordiamoci il passato e andiamo avanti. Una scelta travagliata, non da tutti condivisa. All’interno della Lega, infatti, nei primi mesi del 2014, c’era chi voleva mostrare pubblicamente la rottura col passato. Altri, invece, parteggiavano per la politica della rimozione. In questo contesto matura l’accordo di conciliazione”con l’avvocato di Bossi, nel quale la Lega rinuncia a costituirsi parte civile. A un patto però: il legale di fiducia del Senatùr avrebbe dovuto accantonare ogni pretesa di denaro che il partito gli doveva, circa 6 milioni di euro. Infine, a Bossi sarebbe andato un lauto vitalizio. Tutto risolto, dunque? Macché. Salvini e Maroni vengono meno al patto. E danno mandato all’avvocato Domenico Aiello, legale del governatore lombardo, di procedere con la costituzione di parte civile. Uno smacco al vecchio amico Bossi, a cui poco dopo segue un altro colpo di scena. A novembre durante l’udienza preliminare contro B&B, Aiello ritira l’atto di costituzione. In pratica la Lega non chiede più i danni per la truffa. Un’idea di Salvini, motivazione ufficiale: «Non abbiamo né tempo né soldi per cercare di recuperare soldi che certa gente non ha», spiegò l’europarlamentare appena eletto segretario del Carroccio. Una mossa che sorprese persino il governatore della Lombardia, Maroni, che con Aiello aveva fatto il possibile per chiedere i danni agli imputati leghisti. La sensazione di chi il partito lo frequenta da venti e passa anni è che sia stata una ritirata strategica, per rappacificare le opposte fazioni ed evitare rivelazioni scomode. Soprattutto in merito ai soldi lasciati in cassa da Bossi, quelli finiti al centro delle inchieste di tre procure. I bilanci della Lega raccontano, infatti, meglio di qualsiasi dichiarazione politica che cosa è successo in questi anni ai soldi dei Lumbard, o meglio di tutti i contribuenti italiani. Il primo dato evidente è che le cose andavano molto meglio, almeno dal punto di vista finanziario, quando sulla plancia di comando c’era Bossi. Con lui al vertice i bilanci degli ultimi anni si sono infatti chiusi sempre in positivo. Le cose cambiano nel 2012, quando arriva Maroni: per la prima volta la Lega chiude i conti in rosso, con una perdita di 10,7 milioni di euro. L’anno seguente, il primo interamente firmato da Bobo, le cose vanno persino peggio: il bilancio evidenzia una perdita di 14,4 milioni. Colpa della diminuzione dei rimborsi elettorali e del calo delle donazioni private, si legge nei resoconti padani. Ma non è solo questo. Nonostante i dipendenti diminuiscano, i costi sostenuti dalla Lega aumentano. In particolare alcune voci, come quella denominata “spese legali”, per cui il partito arriva a sborsare oltre 4,3 milioni di euro tra il 2012 e il 2014. Un bella somma, oltretutto senza neppure essersi costituita parte civile nel processo contro Bossi e Belsito. Com’è possibile allora aver speso tutti quei soldi in avvocati? I bilanci non lo spiegano, ma un documento ottenuto da L’Espresso aiuta a capire meglio come sono andate le cose. È un contratto datato 18 aprile 2012. Bossi si è dimesso da due settimane e il Carroccio è retto dal triumvirato Maroni-Dal Lago-Calderoli. Sono loro ad affidare la consulenza legale allo studio Ab di Domenico Aiello, già avvocato personale di Maroni e in ottimi rapporti con il magistrato milanese che sta seguendo l’inchiesta, Alfredo Robledo. Nel contratto si specifica che la consulenza riguarderà proprio i procedimenti penali che coinvolgono Bossi e i rimborsi truccati. Si tratta delle indagini in corso a Milano, Napoli, Genova e Reggio Calabria, ciascuna segnalata con il relativo numero di fascicolo. Un lavoro ben pagato: per Aiello la tariffa sarà di 450 euro all’ora, costo che sale a oltre 650 euro se si aggiungono - come da prassi - spese generali, contributi previdenziali e imposte. Insomma non male per l’avvocato calabrese che, qualche anno dopo, Maroni piazzerà nel consiglio d’amministrazione di Expo, mentre la moglie, Anna Tavano, finirà per un periodo in Infrastrutture Lombarde, società controllata direttamente dalla Regione. Va detto che Aiello, così come la moglie, ha un curriculum di tutto rispetto. Tra i suoi clienti più celebri, oltre a Bobo Maroni spicca l’ex presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua. Poi ci sono gli incarichi negli organismi di vigilanza: Consip, Siemens, Conbipel, Veolia e la Sparkasse di Bolzano. In quest’ultima banca il presidente del Consiglio di amministrazione si chiama Gerhard Brandstätter. Brillante avvocato del Sudtirolo, che con Aiello, nel 2011, ha fondato lo studio associato AB, lo stesso scelto dalla Lega. Con Maroni traghettatore, le camice verdi apriranno anche un conto “easy business” e un conto deposito presso la banca altoatesina, depositando in totale qualche milioncino. È il periodo in cui si tentava di mettere al sicuro il patrimonio del partito, dalle cordate bossiane e forse anche dai giudici. Matura così l’idea, poi tramontata, di creare un trust in Sparkasse per blindare quasi 20 milioni. I bilanci non confermano solo questo. Spiegano anche perché oggi i conti del partito sono a secco. E quale la strategia scelta per evitare il sequestro effettivo dei soldi. Nel 2015, quando è Salvini a comandare, la ricchezza della Lega cala, infatti, vistosamente. Il patrimonio netto passa da 13,1 milioni dell’anno precedente a 6,7 milioni. Il motivo è spiegato chiaramente nella relazione sulla gestione finanziaria: i soldi del partito sono stati trasferiti alle sezioni locali, 13 in tutto, dotate nel frattempo di codici fiscali autonomi. È così ad esempio che due giorni prima di Natale la sezione Lombardia, fino ad allora sprovvista di risorse finanziarie, diventa titolare di un patrimonio da 2,9 milioni di euro. Custoditi per lo più su conti correnti bancari e postali. Una partita di giro, insomma. Il risultato? Al termine del 2016 la Lega aveva una disponibilità liquida di soli 165mila euro, mentre le sue 13 sezioni locali messe insieme registravano somme per 4,3 milioni. La nuova architettura finanziaria non ha però impedito ai magistrati di sequestrare le ricchezze del Carroccio. Come ha dichiarato lo stesso Salvini, al momento non è stato bloccato il conto corrente della Lega nazionale, ma quelli delle sezioni locali. «Un punto su cui daremo battaglia in sede legale», assicura una fonte del Carroccio che non vuole essere nominata. C’è però ancora una questione da risolvere. Il tribunale di Genova, nei giorni scorsi, ha deciso di bloccare il sequestro. I giudici hanno annunciato di aver congelato poco meno di 2 milioni. Eppure, come detto, alla fine dell’anno scorso sui conti della Lega c’erano 4,3 milioni. Mancano dunque all’appello oltre 2 milioni. Possibile che la Lega li abbia spesi in questo 2017. O anche che siano stati trasferiti su altri conti. Un’ipotesi, questa, impossibile da verificare. Perché “Noi con Salvini”, il movimento creato tre anni fa dal nuovo leader del Carroccio per conquistare il Centro-Sud, non ha mai pubblicato un bilancio. Dubbi e interrogativi sollevati dai nemici interni del leader in felpa. Salvini potrà dire che a lui certe questioni “politichesi” non interessano e che preferisce parlare di immigrazione, euro, lavoro. Ma all’interno del suo partito i bossiani non dimenticano. E i mal di pancia iniziano a diventare veri e propri tumulti silenziosi. Pare che siano persino pronti a muoversi autonomamente per le prossime elezioni politiche. Una forza che ruberebbe al Capitano il 2-3 per cento. Del resto non è facile disfarsi del Senatur, fu il primo a dare avvio a una tipica usanza leghista: scaricare i compagni di partito che osavano mettere in dubbio la sua autorità. Bossi fece così con l’ideologo della secessione Gianfranco Miglio. Con la stessa moneta lo hanno ripagato Maroni e Salvini. E ora sotto a chi tocca.
(un pezzo da leggere con attenzione e ritagliare di Giovanni Tizian e Stefano Vergine per l’Espresso) Cinque anni fa, quando tutto ebbe inizio, Umberto Bossi usò un’immagine biblica per spiegare il suo intento. «Ho fatto come Salomone: non ho voluto tagliare a metà il bambino», disse mentre si apprestava a lasciare le redini del partito a Roberto Maroni. Erano i giorni in cui i giornali…
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Processo d’appello a Bossi e famiglia a rischio se la Lega non querela il Senatùr
Processo d’appello a Bossi e famiglia a rischio se la Lega non querela il Senatùr
Il processo d’appello al Senatur imputato e già condannato in primo grado con il figlio Renzo, ‘Il Trota’, e con l’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito per aver usato i fondi del partito per spese personali, rischia di fermarsi. Il processo milanese ‘The Family’ è stato fissato per il prossimo 10 ottobre ma, per effetto …
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Scrivi Corso Stati Uniti, leggi Soho. I cinque migliori caffè letterari della zona industriale
di Lorenzo Innocenti
Tappa imprescindibile per patiti di psycho-design ed epilazione laser a basso impatto ambientale è corso Stati Uniti.
Corso Stati Uniti scorre libero e incontrastato nel cuore più industriale e cementizio della città, vicino geograficamente, forse, ma moralmente distantissimo tanto dai fasti vezzosi del centro storico, quanto dai villini pentafamiliari delle zone immediatamente limitrofe e più o meno prestigiose.
Corso Stati Uniti non somiglia ai normali spazi del nostro quotidiano: è un'esperienza selvaggia e brutale che sfiora il misticismo; un'esperienza fatta di Tir multiarticolati mugghianti, lanciati a folle corsa lungo le sconfinate praterie sbocciate dagli accordi di Schengen... di motel dai nomi floreali (Tulip Inn, Ibis) e dal grigiore supersonico... di pranzi aziendali liofilizzati... di aziende dalle denominazioni impossibili (Sticar, Geico, Cerved, Viger, Crei, Dever, Manens-Tifs... frutto di una lingua nuova, di etimologie non certo latine e nemmeno lontanamente indo-europee, ma commerciali, post-fordiste, materialisticheggianti).
Corso Stati Uniti è il lato nascosto del nostro benessere, l'equivalente di ciò che il decrepito ritratto ad olio nascosto in soffitta rappresentava per l'anima del fu Dorian Gray.
Lo sapevi che per farti funzionare Whatsapp sul telefonino c'è bisogno di questo?
Lo sapevi che per se vuoi i cerchi in lega questi devono esistere?
Si princìpi l'itinerario dalla rotondina che spartisce il traffico in parti eguali tra la Strada dei Vivai, l'Interporto e via Lisbona.
Lo si faccia a piedi, mossi dalla consapevolezza che soltanto pochissimi esseri umani, prima di noi, hanno solcato questi stessi marciapiedi così creativamente dissestati ed arredati con disinvolutura Boehemien Chic.
Non trascorrerà molto tempo prima che, aldilà del bel vialone alberato (che fa molto Ostia per altro, molto città di mare) appaja la sagoma turrita e finemente architectural della MG Tower, uno dei tanti centri direzionali della zona.
L'incontro, di per sé discretamente psichedelico, ci riconduce comunque verso schemi in qualche misura conosciuti, rassicurantemente legati a quella che è la nostra esperienza empirica: torre, palazzo, commercio, infissi in pvc, cemento...
La stessa scritta Pizzeria, il Menù griffato Coca Cola, l'addobbo “Buone Feste” dimenticato da chissà quanti Natali all'ingresso della verandina...
Ogni cosa qui è conosciuta, sì.
E c'è anche spazio per la Storia, per quello che è stato prima dell'italica rivoluzione industriale, prima che il mondo cambiasse così tanto da non poterlo più riconoscere.
Ma poi bastano pochi passi in via della Ricerca Scientifica per farci smarrire ogni riferimento col conosciuto, con l'esperito, col fenomenico.
Un passo di Cent'anni di Solitudine rende bene la sensazione che ci si sentirà agitare dentro, addentrandosi nello stradone: “[...] molte cose erano prive di nome e per citarle occorreva indicarle col dito”.
Ad aumentare il senso di disagio concorrono i ripetuti richiami a morti violente...
e questo fiume malato, costretto tra due rive di cemento armato.
Si risalga faticosamente la via, ora, aggrappandosi con ogni residua stilla d'energia alla scrittina vintage appoggiata alla cabina elettrica, che ci riporta ai bei tempi del Senatùr, di Alba Parietti, di Drive In e il governo ladro ed Eia Eia Alalà... al lato più intellegibile, insomma, del nostro passato nazionale.
Ci si aggrappi alla cabina, o perlomeno alla scritta, dunque, prima di accarezzare con lo sguardo il multicentro maxidirezionale megatronico...
un torpedone di vite...
e varie altre amenità.
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Bossi chiede l’affidamento in prova ai servizi sociali per evitare il carcere
Dopo la condanna a un anno e 15 giorni per vilipendio al capo dello Stato, l’avvocato del Senatùr depositerà oggi l’istanza
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Bossi stronca Salvini: Sta facendo una c… pazzesca Non è la prima volta e forse non sarà neanche l'ultima che il senatùr prende di mira Salvini.
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Umberto Bossi diffidato dalla Lega: non può usare il simbolo
L’amministratore Centemero ha inviato una mail al comitato nordista del Senatùr La Lega per Salvini premier ha diffidato il comitato nordista promosso da Umberto Bossi dall’uso dei simboli del partito. L’amministratore e tesoriere Giulio Centemero ha chiesto al comitato di cessare la promozione tra i propri iscritti. E ha poi inviato una segnalazione al Garante della Privacy su una presunta…
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"Non ci ha battuto FdI ma l'astensionismo, per questo dobbiamo tornare al bossismo"
“Non ci ha battuto FdI ma l’astensionismo, per questo dobbiamo tornare al bossismo”
Il leghista Ciocca, a cui Bossi ha dato il compito di organizzare il Comitato del Nord, parla del nuovo progetto e sostiene… Per recuperare l’emorragia di voti che c’è stata alle ultime elezioni la Lega deve tornare al “bossismo”, alle idee del suo “ideatore, fondatore e presidente a vita”: il Senatùr Umberto Bossi. Un ‘… Read MorePolitica, AttualitàToday
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“UMBERTO BOSSI ERA CONSAPEVOLE DELLE APPROPRIAZIONI DI DENARO” - LO SCRIVE IL TRIBUNALE DI MILANO NELLE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA A 2 ANNI E 3 MESI PER L'EX SENATÙR: “È STATO CONCORRENTE, SE NON ADDIRITTURA ISTIGATORE, DELLE APPROPRIAZIONI DI DENARO PUBBLICO PER COPRIRE SPESE DI INTERESSE SUO E DELLA SUA FAMIGLIA”
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