#Lettera a un bambino mai nato
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“L'amo con passione la vita, mi spiego? Sono troppo convinta che la vita sia bella anche quando è brutta, che nascere sia il miracolo dei miracoli, vivere: il regalo dei regali. Anche se si tratta d'un regalo molto complicato, molto faticoso, a volte doloroso.”
dal libro "Lettera a un bambino mai nato" di Oriana Fallaci
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In fondo, per certa gente, la vera colpa di un uomo e di una donna consiste nell’amarsi in un letto.
|| Lettera a un bambino mai nato - Oriana Fallaci
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"Una volta conobbi uno scrittore che diceva: ciascuno ha la vita che si merita. Come dire che un povero merita di essere povero, che un cieco merita d’essere cieco. Era un uomo stupido, sebbene fosse uno scrittore intelligente. Anche il filo che divide l’intelligenza dalla stupidità è un filo talmente sottile, te ne accorgerai."
~ Oriana Fallaci, "Lettera a un bambino mai nato"
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"Io nell'Unione Sovietica ci sono stata una volta sola perché dopo non mi ci hanno voluto più. Anche quest'anno, l'anno delle Olimpiadi, mi hanno rifiutato il visto come a una criminale. Comunque quella volta vidi cose nient' affatto esaltanti, e non solo nel campo della libertà".
"Intervista con il Potere"
Mi sono sempre chiesta come sia successo che ho scoperto Oriana, così tardi, la risposta mi è stata data da Oriana stessa, nel mio paese è stata semplicemente bandita, è famosa in tutto il mondo, i suoi libri sono stati tradotti in numerose lingue, voi non ne troverò nemmeno uno in russo (Sono anche informata al "Fondo Oriana Fallaci", cercavo in internet, e non un solo libro è in russo.
la mia rabbia non è dovuta a opinioni politiche... ma a quanto sia ingiusto privare milioni di donne russe a conoscere ammirare i suoi capolavori. "Lettera a un bambino mai nato", "Un Uomo", "Un cappello pieno di ciliege", "Insciallah".
Conosciuta e amata in tutto Mondo. Una Donna straordinaria sconosciuta in Russia 😥😥😥❤️
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Lo scorso agosto venni ricevuta in udienza privata da Ratzinger, insomma da Papa Benedetto XVI. Un Papa che ama il mio lavoro da quando lesse "Lettera a un bambino mai nato" e che io rispetto profondamente da quando leggo i suoi intelligentissimi libri. Un Papa, inoltre, col quale mi trovo d'accordo in parecchi casi. Per esempio, quando scrive che l'Occidente ha maturato una sorta di odio contro sé stesso. Che non ama più sé stesso, che ha perso la sua spiritualità e rischia di perdere anche la sua identità. (Esattamente ciò che scrivo io quando scrivo che l'Occidente è malato di un cancro morale e intellettuale. Non a caso ripeto spesso:
«Se un Papa e un'atea dicono la stessa cosa, in quella cosa dev'esserci qualcosa di tremendamente vero»). Nuova parentesi. Sono un'atea, sì. Un'atea-cristiana, come sempre chiarisco, ma un'atea. E Papa Ratzinger lo sa molto bene. Ne "La Forza della Ragione" uso un intero capitolo per spiegare l'apparente paradosso di tale autodefinizione. Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice:
«Ok. (L'ok è mio, ovvio). Allora Veluti si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse». Parole da cui si deduce che nella comunità religiosa vi sono persone più aperte e più intelligenti che in quella laica alla quale appartengo. [...] E così ci incontrammo, io e questo gentiluomo intelligente. Senza cerimonie, senza formalità, tutti soli nel suo studio di Castel Gandolfo conversammo e l'incontro non-professionale doveva restare segreto. Nella mia ossessione per la privacy, avevo chiesto che così fosse. Ma la voce si diffuse ugualmente. Come una bomba nucleare piombò sulla stampa italiana.
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Oriana Fallaci
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La vita è una tale fatica, bambino. È una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele.
Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato, 1975
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Oh, Madre!
Il giorno in cui ho capito che non sarei mai diventata madre avrò avuto nove anni, quando per la prima volta ho tenuto aperto sulle ginocchia un libro di Oriana Fallaci.
Ero in bagno, intenta nel mio passatempo preferito per combattere la stitichezza: frugare nel cassetto della moglie di mio padre, l'unico a distanza ravvicinata dal gabinetto su cui trascorrevo ore e ore in attesa che qualcosa uscisse dal mio corpo.
In mezzo a pile di slip, riviste osé e reggiseni, quel giorno trovai il libriccino galeotto che avrebbe annientato il mio istinto materno: Lettera a un bambino mai nato.
La moglie di mio padre utilizzava il cassetto del bagno per nascondere i suoi segreti più intimi, forse credendo che il senso del pudore avrebbe trattenuto chiunque dal rovistare tra le sue mutande.
Ma io da bambina non sapevo dove il pudore stesse di casa. Vivevo confinata nei muri della mia camera, senza amici e senza infanzia, e il mio unico confronto con il mondo erano i romanzi di Isabelle Allende con descrizioni dettagliate di tutto ciò che accadeva in camera da letto.
La mia famiglia non ha mai amato la lettura, anzi direi proprio che al verbo detestare associassero la parola libro come complemento oggetto. Quindi loro non avevano la più pallida idea di cosa ci fosse tra le pagine di quei libercoli in cui annegavo le mie giornate.
Se un libro è letto da una bambina, significa che è adatto a una bambina, pensavano. E per vent'anni ne sono stata convinta anch'io.
Ma quel pomeriggio, seduta sul gabinetto, mi sorprese leggere il titolo "Lettera a un bambino mai nato" sulla copertina di un libro nascosto tra i calzini e una scatola di preservativi nel cassetto della moglie di mio padre incinta di sei mesi.
Divorai quel libro in una settimana, ringraziando la mia incapacità di andare di corpo come le persone normali per darmi la possibilità di trascorrere impunemente due ore seduta sulla ceramica fredda del cesso, fino a sentire le gambe addormentate e il bacino indolenzito.
Dopo ogni sessione di lettura, riponevo con cautela il libro nel cassetto della mia matrigna, facendo attenzione a incastrarlo perfettamente tra le pieghe dei reggiseni e dei pigiami.
Nessuno della mia famiglia ha mai saputo che a nove anni mi appassionai del racconto di una donna incinta che desiderava abortire, del suo calvario interiore e della lotta contro l'idea che un ammasso di cellule potesse essere ritenuta vita senziente.
A tredici anni mi trasformai in una paladina del diritto all'aborto. Lasciai di stucco la mia professoressa di Italiano quando le consegnai un pamphlet protofemminista sotto forma di foglio protocollo, spacciandolo per il mio elaborato del compito in classe sul testo argomentativo.
Gli altri miei compagni di classe non avevano mai sentito parlare di aborto, tantomeno di Oriana Fallaci, e forse erano fortunati nella loro ignoranza.
Ma io mi consideravo un'illuminata, una prescelta, una donna adulta, perché a tredici anni ero in grado di difendere con sforzi patetici e artefatti il mio sacrosanto diritto a non dare la vita.
Tanto ne ero convinta, che agli esami di licenza media dedicai il mio tema di italiano all'aborto, ancora una volta. Ero ossessionata, ero pazza, ero invasata: dovevo far sapere a tutti gli adulti che io a tredici anni sapevo di non volere figli, che non li avrei mai avuti, che avrei combattuto perché le donne come me potessero scegliere di non averli.
Quando, dieci anni dopo, la mia migliore amica mi informò di essere incinta, la prima cosa che le dissi fu: "Vuoi abortire, vero?".
E alle occhiate scettiche e divertite delle donne più grandi, che ridacchiavano sornione mentre mi ricordavano l'esistenza dell'orologio biologico, io ribattevo con rabbia di chiudere il becco.
Questo fino all'anno scorso, quando una seduta con la mia psicologa esperta di EMDR ha messo un po' di disordine tra i miei piani.
Non avevo mai riflettuto sulla possibile connessione tra il mio rifiuto della maternità e il suicidio di mia madre, ma quella tragica mattina di febbraio la mia terapeuta decise di spiattellarmelo in faccia senza troppi mezzi termini: il fatto che mia madre si fosse uccisa e mi avesse abbandonata non significava che io avrei fatto lo stesso con i miei figli.
Quella fu l'ultima seduta con la mia terapeuta, perché mal tollerai questa inferenza nelle mie decisioni sul mio utero. Non mi interessava sapere quale fosse la causa del mio odio verso la gravidanza e soprattutto non volevo ammettere che la morte di mia madre mi perseguitasse fino a quel punto.
Abbandonata la terapia e accolti gli antidepressivi, ho smesso di mettere in discussione il mio disprezzo per la maternità fino a quando a essersi suicidato non è stato un mio amico.
A quel punto mi sono resa conto che il mio bagaglio di affetti contava già due suicidi nell'arco di vent'anni, una percentuale non da poco considerando che la mia permanenza su questa terra non ha varcato ancora la soglia dei trent'anni.
La morte del mio amico è coincisa con la ricomparsa breve e fugace di mio padre.
Dopo cinque anni di ostinata assenza e disinteresse, mio padre aveva deciso di riallacciare i rapporti con me dopo la scoperta di un tradimento da parte di sua moglie.
Mio padre ritenne quel momento un'ottima occasione per mettermi a parte della storia del mio concepimento.
Così ho scoperto, davanti a un raffinato piatto di uramaki, di essere la classica figlia del "proviamo a fare funzionare questo matrimonio": mia madre aveva fallito il suo primo tentativo di suicidio e aveva confessato a mio padre che avere una figlia l'avrebbe aiutata.
Si vede che non ho svolto bene il mio compito, considerando che dopo sette anni dalla mia nascita la mia cara mamma si fece trovare morta in bagno con una calza di nylon legata al collo.
Mentre il peso di questa rivelazione si sedimentava tra la bocca dello stomaco e la gola, togliendomi la capacità di proferire parola e l'appetito, mio padre rincarava la dose lamentando il suo "non aver fatto nulla di male per meritarsi questa vita" da crocerossina, vedovo e cornuto.
La mia domanda, formulata silenziosamente nelle settimane successive, riguardava piuttosto cosa avessi fatto io di male per meritarmi di essere desiderata, partorita, traumatizzata e abbandonata da mia madre.
Con poca calma e tanta perizia, nei mesi ho messo insieme tutti i pezzi del puzzle che è la mia incapacità di vedermi madre: dal libro letto di nascosto sul cesso al tema sull'aborto, dal consiglio a denti stretti dato alla mia amica al rifiuto del parere della psicologa, fino alla confessione di mio padre.
Il risultato è stato un puzzle oscuro e strambo, in cui alcuni pezzi si incastrano a fatica con gli altri e restituiscono un'immagine grottesca e spezzata. Un'immagine di me che lotta tra l'odio per la mia famiglia, il desiderio di non essere mia madre, il determinismo di un patrimonio genetico malato.
Insomma, un'immagine non troppo lusinghiera. Ma che almeno mi dà ragione dell'irritazione e della saudade che provo quando ascolto le mie coinquiline scambiarsi ogni sera confidenze con le loro madri per telefono, tra risatine e battute.
Questo puzzle sgangherato è una prova ulteriore del mio non voler essere madre, del preferire crepare da sola piuttosto che correre il rischio di dare la vita a una persona solo per traumatizzarla.
Allo stesso tempo, quando guardo questo puzzle, mi rendo conto che il fervore di quella tredicenne che scriveva pagine e pagine sull'aborto era solo un tentativo di rispondere a quell'unica, atroce domanda:
"Oh, madre! Perché mi hai abbandonato?"
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Se nascerai uomo io sarò contenta lo stesso. E forse di più perché‚ ti saranno risparmiate tante umiliazioni, tante servitù, tanti abusi. Se nascerai uomo non dovrai temere d’essere violentato nel buio di una strada. Non dovrai servirti di un bel viso per essere accettato al primo sguardo, di un bel corpo per nascondere la tua intelligenza. Non subirai giudizi malvagi quando dormirai con chi ti piace, non ti sentirai dire che il peccato nacque il giorno in cui cogliesti una mela.
Naturalmente ti toccheranno altre schiavitù, altre ingiustizie: neanche per un uomo la vita é facile, sai. Poiché‚ avrai la barba, rideranno se tu piangi e perfino se hai bisogno di tenerezza. Ti ordineranno di uccidere o essere ucciso alla guerra ed esigeranno la tua complicità per tramandare la tirannia che instaurarono nelle caverne. Eppure spero che sarai un uomo come io l’ho sempre sognato: dolce coi deboli, feroce coi prepotenti, generoso con chi ti vuol bene, spietato con chi ti comanda.
Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato
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Ricordiamolo con questo passaggio di Oriana
Lo scorso agosto venni ricevuta in udienza privata da Ratzinger, insomma da Papa Benedetto XVI. Un Papa che ama il mio lavoro da quando lesse "Lettera a un bambino mai nato" e che io rispetto profondamente da quando leggo i suoi intelligentissimi libri. Un Papa, inoltre, col quale mi trovo d'accordo in parecchi casi. Per esempio, quando scrive che l'Occidente ha maturato una sorta di odio contro sé stesso. Che non ama più sé stesso, che ha perso la sua spiritualità e rischia di perdere anche la sua identità. (Esattamente ciò che scrivo io quando scrivo che l'Occidente è malato di un cancro morale e intellettuale. Non a caso ripeto spesso: «Se un Papa e un'atea dicono la stessa cosa, in quella cosa dev'esserci qualcosa di tremendamente vero»). Nuova parentesi. Sono un'atea, sì. Un'atea-cristiana, come sempre chiarisco, ma un'atea. E Papa Ratzinger lo sa molto bene. Ne "La Forza della Ragione" uso un intero capitolo per spiegare l'apparente paradosso di tale autodefinizione. Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice: «Ok. (L'ok è mio, ovvio). Allora Veluti si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse». Parole da cui si deduce che nella comunità religiosa vi sono persone più aperte e più intelligenti che in quella laica alla quale appartengo. [...] E così ci incontrammo, io e questo gentiluomo intelligente. Senza cerimonie, senza formalità, tutti soli nel suo studio di Castel Gandolfo conversammo e l'incontro non-professionale doveva restare segreto. Nella mia ossessione per la privacy, avevo chiesto che così fosse. Ma la voce si diffuse ugualmente. Come una bomba nucleare piombò sulla stampa italiana.
Oriana Fallaci
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Ogni responsabilità è della donna, ogni sofferenza, ogni insulto. Puttana, le dite se ha fatto l'amore con voi. La parola puttano non esiste nel dizionario: usarla è un errore di glottologia. Sono millenni che ci imponete i vostri vocaboli, i vostri precetti, i vostri abusi. Sono millenni che usate il nostro corpo senza rimetterci nulla. Sono millenni che ci imponete il silenzio e ci relegate al compito di mamme. In qualsiasi donna cercate una mamma. A qualsiasi donna chiedete di farvi da mamma: perfino se è vostra figlia. Dite che non abbiamo i vostri muscoli e poi sfruttate la nostra fatica anche per farvi lucidare le scarpe. Dite che non abbiamo il vostro cervello e poi sfruttate la nostra intelligenza anche per farvi amministrare il salario. Eterni bambini, fino alla vecchiaia restate bambini da imboccare, pulire, servire, consigliare, consolare, proteggere nelle vostre debolezze e nelle vostre pigrizie. Io vi disprezzo. E disprezzo me stessa per non saper fare a meno di voi, per non gridarvi più spesso:siamo stanche d'esservi mamme. Siamo stanche di questa parola che avete santificata per il vostro interesse, il vostro egoismo.
— Lettera a un bambino mai nato, Oriana Fallaci
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"Lettera da un bambino mai nato" di Myriam Ambrosini
Come avevo premesso a inizio marzo, al rinnovo della rubrica dedicata alle donne, l’obiettivo precipuo della nostra rivista è quello di portare avanti riflessioni e approfondimenti relativi all’universo femminile, non relegando solo nel mese di marzo la condivisione di tematiche e argomentazioni volte a far conoscere il volto di tante donne. Tengo a sottolineare la permanenza della rubrica “A…
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L’amo con passione la vita, mi spiego? Sono troppo convinta che la vita sia bella anche quando è brutta, che nascere sia il miracolo dei miracoli, vivere: il regalo dei regali. Anche se si tratta d’un regalo molto complicato, molto faticoso, a volte doloroso.
|| Lettera ad un bambino mai nato - Oriana Fallaci
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89. Lettera a un bambino mai nato
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Esempi (maldestri) di strumentalismo letterario
Questo è un estratto da "Io sono Giorgia", autobiografia firmata Giorgia Meloni. Voglio ricordare, anche per dare un contesto alla pagina fotografata, la giusta polemica sollevata da Selvaggia Lucarelli riguardo il capitolo in cui la Meloni racconta di come sua madre rinunciò ad abortire, lungo la via che portava alla clinica in cui era fissata la visita preoperatoria. La Meloni è nata a Gennaio 1977 ed è scontato che l'episodio risalga al 1976. Il problema è che la 194 è del 1978 e l'interruzione della gravidanza di mamma Meloni non aveva alcuna ratio terapeutica, pertanto l'operazione sarebbe avvenuta clandestinamente: mera logica. Tutti quanti aspettiamo chiarimenti dalla cattolicissima Giorgia. Per adesso la vicenda pare sia affidata ad un avvocato che la sta buttando in caciara, in insulti e leonaggini da tastiera. La solita politica da social network, né più né meno.
Quello che mi ha colpito, per l'ennesima volta, è la facilità con cui gli esponenti di destra - mica solo la Meloni - tendono a citare Oriana Fallaci. Che Oriana Fallaci avesse preso una piega islamofoba e anti-progressista negli ultimi anni della sua vita è un fatto, ma è altresì un fatto che Oriana Fallaci abbia scritto libri e articoli a partire dai 20 anni circa, non dai 65. È un fatto che la sua attività letteraria e le sue idee non si esauriscano nella trilogia de "La rabbia e l'orgoglio". Oriana Fallaci ha combattuto fin da giovanissima ogni forma di repressione e sopruso civile, a partire dalla condizione della donna a fine anni '50, sui cui ruota "Il sesso inutile" (1961). Per tutta la vita si è sempre schierata a favore degli oppressi, contestando il Potere dei dittatori, attaccando alla gola tutti i Fascismi, fossero di destra o di sinistra.
Per tornare alla citazione riportata da Giorgia ("<<Dopo qualche mese mi rotolavo vittoriosa nel Sole>>, per dirla con Oriana Fallaci"), tratta da "Lettera a un bambino mai nato", la trovo quantomeno fuori luogo. Giorgia forse ha dimenticato che Oriana non si è mai schierata contro l'aborto, anche se la protagonista di questo libriccino scelga alla fine di non interrompere la gravidanza. Lettera a un bambino mai nato è un libro sul dubbio: lo straziante dubbio di una donna alle prese con una gravidanza indesiderata.
Tutti ricordano la Meloni prender parte, molto attivamente, al Family Day di Verona. Si affiliò a uno dei congressi più anti-abortisti di sempre. Come possa, la cara Giorgia, citare proprio quel libro e proprio quell'autrice, per corroborare l'evento in cui sua madre rifiutò d'abortire, resta un mistero per me. No, pensandoci bene non c'è niente di misterioso: questa destra scriteriata e violenta e regressiva si approfitta dell'ignoranza della gente, del volgo, per propagandare e ottenere consensi. È da ignoranti circoscrivere la Fallaci al tracollo ideologico che ebbe gli ultimi anni. È rivolto agli ignoranti il suggerimento fuorviante di Giorgia, l'analogia tra sua madre e la protagonista della Fallaci. È da cafoni svilire un libro della levatura di Lettera a un bambino mai nato, solo per ammiccare agli anti-abortisti. È da cafoni, per usare un eufemismo, appropriarsi strumentalmente della Fallaci per la questione diritti/immigrati/islamici/Israele contro Palestina.
Purtroppo, è da vigliacchi che la Sinistra non rivendichi un'autrice così importante, non perché debba condividere ogni sua parola, ma per riconoscerne il portato politico-letterario ai tempi del Vietnam, di Gheddafi, di Khomeini, dei Colonnelli in Grecia, di Arafat, dello Scia d'Iran, di Hussein e, sì, anche dell'aborto. Perché la Fallaci si è battuta per la 194, la Fallaci voleva i diritti civili, la Fallaci ha difeso la Palestina e i poveracci che scappano dalla fame e dalla guerra. Questo ostracismo letterario, lo sbiecare la cultura in cambio di voti è alimrntato soprattutto da destra, ma non solo.
Ad ogni modo, i politici farebbero bene a ricordare che se la Fallaci fosse viva non appoggerebbe nulla di quanto professato dai fratellini d'Italia o dai leghisti e, cara Giorgia, t'avrebbe fatto nera, più nera del tuo fascismo, per l'ipocrisia e la noncuranza e la faccia tosta con cui l'hai citata in questo poco sensato capitolo.
Che amarezza. Che ignoranza, tanta ignoranza.
#oriana fallaci#aborto#Lettera a un bambino mai nato#Giorgia meloni#Fascismo#Politica#Letteratura#Ignoranza
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Non cedere mai alla viltà. È una bestia che sta sempre in agguato, la viltà. Ci morde tutti, ogni giorno, e son pochi coloro che non si lasciano sbranare da lei. In nome della prudenza, in nome della convenienza, a volte della saggezza.
Vili fino a quando un rischio li minaccia, gli umani diventano spavaldi dopo che il rischio è passato.
Non dovrai evitare il rischio, mai: anche se la paura ti frena.
Venire al mondo è già un rischio. Quello di pentirsi, poi, d'esserci venuti.
Oriana Fallaci
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