#Critica Climatica
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falcemartello · 3 months ago
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Do you notice a usual pattern?
Nel 1997, un quattordicenne di nome Nathan Zohner presentò in classe uno studio per vietare l'uso del monossido di idrogeno, elencando queste prove di pericolosità:
-Provoca gravi ustioni quando è sotto forma di gas.
-Corrode e arrugginisce il metallo.
-Uccide un numero incalcolabile di persone ogni anno.
-Si riscontra comunemente nei tumori, nelle piogge acide, ecc.
-Se ingerito, provoca eccessiva minzione e gonfiore.
Chiese ai suoi compagni quanti volessero effettivamente vietarlo.
43 su 50 risposero assolutamente di sì.
Il nome comune del monossido di idrogeno è: ACQUA (H2O)
La bufala era un concorso scientifico per scoprire fino a che punto siamo creduloni.
Non solo Zohner vinse la gara ma in suo onore fu coniato il termine "Zohnerismo" definito come "l'uso di un fatto per indirizzare un pubblico, scientificamente ignorante, verso false conclusioni"
Ogni riferimento a fatti attuali è puramente causale.
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crazy-so-na-sega · 1 year ago
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La scuola sta formando persone abbastanza intelligenti da ripetere accuratamente ciò che viene loro detto e da eseguire gli ordini. E li rende abbastanza stupidi da convincerli che così sono più intelligenti di chiunque altro.
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Critica Climatica
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anchesetuttinoino · 2 months ago
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⚠️ KLAUS SCHWAB SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO❗️
▶️ Klaus Schwab: "Se non lo affrontiamo, il cambiamento climatico potrebbe essere il prossimo grande virus, diciamo, con conseguenze molto più dannose e a lungo termine rispetto al Covid-19".
👉 Critica Climatica
❗️#NDR 》Sono convinto di non essere l'unico a pensare che di dannoso per l'umanità c'è solo questo signore❗️
🔴 Canali del "Gruppo Del Dissenso"
👉  Canale Libertà e democrazia
👉  @liberademocrazia (Chat)
Canali tematici ⤵️
👉  Geopolitica L&D
👉  Salute & Benessere
👉  Economia Finanza
E non solo lui....anche in italí ne abbiamo diversi
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italiani-news · 15 days ago
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profondo-verde · 1 month ago
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Di esseri emotivi, un mondo di sfarzi e venti pezzi di iceberg
Ovvero come l'arte ci aiuta a comunicare la crisi climatica, ma il mondo dell'arte no.
11 maggio 2022
Una vita e mezzo addietro - ovvero quattro anni fa - non avevo la più pallida idea che un giorno avrei scritto articoli sulla crisi climatica. Avevo passato i precedenti otto anni nel mondo dell’arte bolognese, e gestivo una galleria d’arte che io stessa avevo fondato, e che in quella fase della mia vita era il mio orgoglio e la mia spina nel fianco più grande (fig.1). La mia ambizione era di lavorare nell’amministrazione di un qualche museo di arte contemporanea, e - chissà - magari un giorno diventarne direttrice. Poi, nell'estate del 2018, lessi un libro che mi rivoluzionò la vita e che mi fece cambiare prospettiva, residenza e campo di studi - ma questa è una storia a parte che vi racconterò un'altra volta. 
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Fig.1 - Io e Roberto Malaspina, mio carissimo amico nonché codirettore della galleria da me fondata, di fronte l'entrata alla suddetta galleria, nel 2018 -- Narkissos Contemporary Art Gallery 
Fatto sta che io con il mondo dell'arte ho ancora dei legami molto forti; non so se mi azzarderei a chiamarlo ancora "casa", ma sicuramente è un posto dove il telefono si collega automaticamente al Wi-Fi. Non potevo dunque non domandarmi quale fosse il ruolo che l'arte ha nella comunicazione della crisi climatica, o, al contrario, l'impatto che sta avendo la crisi climatica sul mondo dell'arte. Per secoli, l'arte e la vita si sono influenzate a vicenda; da un lato, quelle opere che sono state accolte dalla critica come oscene ma che sono poi passate alla storia come d'avanguardia hanno aperto la strada a nuove correnti di pensiero e a nuovi modi di vedere la realtà. Dall'altro, artistx di tutte le epoche hanno rappresentato i grandi problemi sociali dei propri tempi, dagli incendi alle rivoluzioni e passando per gli stravolgimenti politici; sicuramente, mi sono detta iniziando questa ricerca, la comunità artistica di oggi sarà impegnata a riflettere sulla sfida più grande con la quale l'umanità si sia mai scontrata, no? Beh… a quanto pare, nì. 
Ma andiamo per ordine. Era il 2005 quando Bill McKibben, noto ambientalista statunitense e fondatore dell'associazione 350.org, scrisse: 
Anche se sappiamo [della crisi climatica], non lo sappiamo veramente. Non è registrato nelle nostre viscere, non fa parte della nostra cultura. Dove sono i libri? Le poesie? Le opere teatrali? Le maledette opere liriche? Paragonatelo, per esempio, all'orrore dell'AIDS negli ultimi due decenni, che ha prodotto una sconcertante produzione di arte che, a sua volta, ha avuto un reale effetto politico. Voglio dire, quando un giorno le persone guarderanno indietro ai nostri tempi, il singolo elemento più significativo sarà senza dubbio l'improvviso aumento della temperatura. Ma queste persone faranno un bel po' di fatica a capire cosa tutto ciò ha significato per noi (trad. mia).
McKibben aveva centrato un punto focale: non dobbiamo solo sapere della crisi climatica, dobbiamo saperlo, e dobbiamo farlo tramite la produzione artistico-culturale. L'arte, infatti, sembra riuscire lì dove la comunicazione scientifica fallisce: il sapere acquisito tramite le emozioni attecchisce molto più profondamente rispetto a quello acquisito tramite la logica. Nonostante ci piaccia illuderci che l'essere umano sia un essere completamente razionale, la verità è più vicina all'esatto contrario: siamo prima di tutto esseri emotivi; l'arte, nelle sue diverse manifestazioni, mira principalmente a questa emotività.
"Nelle sue diverse manifestazioni" è un disclaimer necessario che devo fare prima di addentrarmi in questo articolo. Io, per quei fatidici otto anni, ho fatto parte del mondo dell'arte visiva, o più precisamente, del mondo dell'Arte, con la A maiuscola, come noialtri appartenenti a questo mondo siamo altezzosamente abituatx a chiamarlo. È quell'arte che finisce nei musei, per intenderci, quella che si studia nei libri di storia dell'arte, anche se una divisione netta tra questo tipo di arte (pittura, scultura e, più recentemente, installazioni e performance) e il resto del mondo artistico (musica, poesia, danza, artigianato, fumetto ecc.) è non solo - a mio modesto avviso - inutile, ma anche profondamente sbagliata. A un certo punto della storia del mondo occidentale, abbiamo innalzato alcune discipline sopra altre (le Belle Arti sopra le Arti Applicate, ad esempio), e abbiamo dato per scontato, con quella nostra tipica mentalità colonialista che è così dura a morire, che la stessa gerarchizzazione fosse valida anche nel resto del mondo. Abbiamo esportato questa mentalità negli altri continenti, globalizzando e omogeneizzando anche questo aspetto della nostra vita, con musei a Londra, Tokyo, New York, Bangkok e Mosca che sembrano fatti con lo stampino, e che celebrano, seguendo il modello occidentale, solo una minuscola fetta dell'immenso universo artistico.
Ma quella minuscola fetta è quella che conosco io, ed è per questo che parlerò solo di quella. 
Dicevamo. Dal 2005, quando McKibben ha scritto quelle parole, ne è passata di acqua sotto i ponti: l'Accordo di Parigi nel 2015, la nascita di gruppi di attivismo come FFF e XR nel 2018, la fama mondiale di Greta Thunberg. L'attenzione pubblica verso la crisi climatica è salita notevolmente, e l'arte non è stata esente da questa presa di coscienza collettiva. Le mostre a tema ambiente stanno diventando sempre più frequenti, e sempre più artistx cercano di rivolgere l'attenzione del proprio pubblico all'elefante nella stanza. Una delle prime opere nella quale ci si imbatte se si cerca "art and climate change" su Google è Ice Watch del rinomato artista Olafur Eliasson (figg. 2 e 3). In tre diverse occasioni (a Copenhagen nel 2014, Parigi nel 2015 e Londra nel 2018) Eliasson ha esposto in piazza circa una ventina di pezzi di iceberg, ciascuno dei quali si è staccato dalla placca Groenlandese a causa delle temperature troppo alte ed è stato successivamente pescato da Eliasson e un team di geologi e trasportato in container refrigeranti fino al continente europeo. L'intento dell'artista era quello di donare al pubblico la possibilità di toccare, annusare, ascoltare quegli enormi pezzi di ghiaccio e guardarli sciogliersi giorno dopo giorno, per poter capire a un livello più profondo quello che sta realmente accadendo nelle acque dell'artico. Come ha scritto un articolo pubblicato in occasione della terza installazione a Londra, 
Mentre i londinesi si arrampicano sui blocchi, scivolano giù e ascoltano il morbido crepitio della neve che si sta sciogliendo, Eliasson spera che sentano [nel senso di "feel", ndr] - e non solo intellettualmente sappiano - quanto sia sottile il ghiaccio su cui ci troviamo (trad. mia).
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Figg. 2 e 3 -- foto dell'installazione Ice Watch di Olafur Eliasson (Londra, 2018) -- Charlie Forgham-Bailey 
Potremmo discutere di quanto sia giusto o sbagliato trasportare per centinaia di chilometri dei pezzi di iceberg per il solo gusto di vederli sciogliere in piazza (Eliasson sostiene che l'energia spesa per trasportare ciascun blocco di ghiaccio sia equivalente a quella che spenderebbe una persona per un volo di andata e ritorno fino all'Artico, quindi ha più senso portare gli iceberg alla gente piuttosto che la gente agli iceberg), ma tralasciamo per un attimo le polemiche. Quello che al momento mi interessa evidenziare è che un'opera d'arte, al contrario di un grafico o di un report IPCC, ha il potere di trasmettere visivamente non solo un dato, ma anche un'emozione. Prima c'era questo enorme pezzo di ghiaccio, lo vedevo ogni giorno andando a lavoro, era freddo e brillava in tutte le tonalità dell'azzurro sotto i raggi del sole; poi, un paio di settimane più tardi, è scomparso, puff, evaporato nell'aria. È, se ci pensate, una piccola morte. E chissà quanti altri pezzi di ghiaccio identici a questi muoiono lontani dai nostri occhi.
Quindi, tutto perfetto? Il mondo dell'arte, pur con qualche anno di ritardo, ha iniziato finalmente a parlare di crisi climatica e diffonde adesso il verbo alle masse? Beh, se fosse tutto così semplice non starei di certo qui a parlarvene. La realtà, come al solito, è più complicata di così. Ma per comprenderla al meglio, dovremo fare un piccolo excursus nella storia dell'arte contemporanea. 
Il nostro punto di partenza è la Francia della seconda metà dell'800, dove, a seguito della Seconda Rivoluzione Industriale e dell'invenzione di una serie di tecnologie rivoluzionarie (la fotografia, il cinema, la radio, il telefono), gli artisti si trovano davanti a un bivio. A che serve continuare a rappresentare fedelmente la realtà se adesso possiamo semplicemente fotografarla? L'arte si vede costretta a reinventarsi; tutti i movimenti artistici che nascono a partire da quel momento - e che culmineranno successivamente con le avanguardie storiche e lo stravolgimento totale del concetto di arte - sono mossi principalmente da questa necessità. 
I primi sono gli impressionisti: la critica li deride, li chiama pigri perché non sono nemmeno in grado di "finire un quadro". "Sembrano degli schizzi," commenta, storcendo il naso, la gente. Ma la comitiva composta da Monet, Manet, Renoir, Degas e altri se ne infischia; innalzano quello che era un insulto - "impressionisti" - a proprio titolo e ne vanno pure fieri. L'iperrealismo non serve, dicono, perché tanto l'occhio ricompone da solo tutte quelle pennellate di colore in un'unica figura. È molto più interessante cercare di rappresentare gli effetti della luce, del movimento, delle angolazioni insolite. Con la graduale accettazione da parte del pubblico di questo nuovo tipo di pittura, il primo paletto che delimitava ciò che per secoli era stato considerato "arte" viene abbattuto. Da lì in poi, la strada da percorrere diventa praticamente inevitabile. 
Uno dietro l'altro, vengono abbattuti anche tutti gli altri paletti. L'arte deve rappresentare soggetti verosimili - via! L'arte deve essere figurativa - via! I quadri devono essere fatti solo ed esclusivamente con colori su tela - via! La tela va tenuta verticalmente - via! Una volta avviato questo effetto domino, fermarsi diventa impossibile; ogni nuova generazione di artistx si spinge sempre un po' più in là, dissolvendo sempre di più il limite tra cosa può essere considerato arte e cosa no. Yves Klein negli anni '50 si spinge al punto da esibire il vuoto totale: Le Vide non è altro che l'interno di una galleria completamente sgombra. Negli anni '60 diventa sempre più popolare un movimento chiamato Arte Concettuale, che ripudia l'utilizzo di oggetti fisici, reputando sufficiente la sola idea di un'opera - il concetto, per l'appunto. Tutto ciò è molto interessante e sicuramente intellettualmente stimolante, ma ha delle evidenti problematiche sul piano pragmatico: come facciamo a stabilire che cos’è un’opera d’arte e cosa no? Quali artistx sono degnx della nostra ammirazione? E soprattutto, come facciamo a vendere artefatti che non esistono nella realtà fisica? Una volta c'erano criteri ben stabiliti su come giudicare un'opera d'arte (e su come valutarne il prezzo): l'opera doveva essere di determinate dimensioni, rappresentare un determinato soggetto, trasmettere determinati messaggi accuratamente codificati. Adesso che questi criteri sono stati spazzati via, come si fa?
A risolvere la situazione arriva, negli anni '70, il cosiddetto Sistema dell'Arte, teorizzato dal critico nostrano Achille Bonito Oliva (ABO per x amicx). ABO dice che a stabilire il valore di un'opera d'arte non può essere solo l'artista, ma è tutta la rete di figure e di istituzioni che ci ruotano intorno (fig. 4) a doverlo fare. La triade costituita da opera, pubblico e mercato non può funzionare senza uno di questi tre elementi; l'artista viene spodestatx dal suo piedistallo. Le sue opere non sono solamente sue, perché senza una galleria che le esponga, un giornale che le pubblicizzi, unx collezionista che le compri e un museo che le storicizzi non hanno alcun valore. A rendere Le Vide di Klein un'opera d'arte e non una semplice stanza vuota non è Klein stesso, o un valore intrinseco di quel vuoto; è il sistema che ci ruota intorno. Nota a piè di pagina: per tutte quelle persone che sbuffano nei musei d'arte contemporanea pensando: "Potevo farlo anch'io" - ecco, no, non potevate farlo anche voi, perché non avete una rete di supporto che elevi il vostro lavoro a opera d'arte. La tessitura di questa rete è talvolta ancora più difficile della produzione vera e propria delle opere; il mercato dell'arte, per citare di nuovo ABO, è esso stesso un'opera d'arte. 
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Fig. 4 -- Una schematizzazione del Sistema dell'Arte -- Collezione da Tiffany 
Dagli anni '70 ad oggi non è cambiato molto: certo, la produzione artistica si è espansa, inglobando le nuove tecnologie apparse negli ultimi decenni, ma il mercato continua ancora ad essere l'elemento centrale del mondo artistico. Alcunx artistx vi si sono adattatx diventando espertx di marketing e di autopromozione (Jeff Koons, definito "poeta capitalista", ne è l'esempio più eclatante); altrx, come Banksy, cercano pigramente di contrastarlo, facilitando in realtà la fagocitazione da parte del mercato di qualsiasi forma d'espressione, anche quelle che vanno apparentemente contro le sue logiche. Il famoso stencil Girl with Balloon, venduto all'asta nel 2018 per 1,4 milioni di dollari, si è auto-triturato (fig. 5) tramite un dispositivo nascosto nella cornice non appena il martelletto del battitore d'asta ha toccato il tavolo stabilendo il prezzo finale dell'opera (guardatevi questo video, spiega molto bene l'accaduto). Banksy dichiarò in seguito che l'operazione era voluta, e che il titolo dell'opera adesso doveva essere Love is in the Bin. L'acquirente accettò comunque di comprarla, e la rivendette tre anni più tardi per la non insignificante cifra di oltre 16 milioni di dollari. 
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Fig. 5 -- Girl with Balloon dopo essersi triturato a metà, diventando Love is in the Bin -- Jack Taylor / Getty Images 
Questo salto di prezzo è dovuto alla pubblicità che l'opera ha ottenuto dopo la sua autotriturazione: giornali e programmi televisivi ne hanno parlato per giorni, e nel mondo dell'arte l'accaduto era sulla bocca di tuttx. Non è chiaro se l'atto di Banksy fosse una mossa di marketing ben pensata (può essere) o un gesto di spregio per ricordare al pubblico che tutto è distruttibile, persino un'opera da un milione e mezzo di dollari - in fondo, ha iniziato la sua carriera con la street art, un tipo di arte per definizione destinato a perire col tempo e le intemperie. Il mercato però è capace di capitalizzare persino qualcosa che è stato rovinato o distrutto, perché la storia che ci sta dietro è più importante dell'oggetto in sé. Il prezzo di un'opera d'arte, infatti, dipende anche (e, azzarderei dire, soprattutto) da ciò che le ruota intorno: chi l'ha venduta, chi l'ha comprata prima di te, chi ne ha parlato, dove è stata esposta, cosa le è successo. Tutto questo viene riassunto col termine "provenance", che sta a indicare proprio il valore che un'opera acquisisce ogni volta che passa di mano in mano. Inoltre, non è solo l'opera a trarne vantaggio, ma anche chi la vende, chi la compra e chi la espone. Il famoso gallerista Leo Castelli, pioniere del mercato dell'arte contemporaneo, fu tra i primi ad adottare la tecnica della vendita selettiva: se nella sua galleria arrivava un potenziale acquirente che però non avrebbe aumentato il valore delle opere da lui vendute, faceva finta di non avere nulla a disposizione. "Un Rauschenberg? Guarda, li ho finiti tutti, mi dispiace," diceva, mentre magari in realtà ne aveva il magazzino pieno. 
Avere un certo nome, insomma, è di vitale importanza nel mondo dell'arte contemporanea, così come anche avere una fitta rete di conoscenze. Non esagero se dico che circa metà del tempo delle persone che lavorano con l'arte contemporanea è dedicato esclusivamente al cosiddetto networking. Di conseguenza, il mondo dell'arte si è sviluppato intorno a quegli eventi che funzionano da hub: fiere, mostre, aste, biennali, triennali e ancora fiere - se vuoi essere qualcuno, non te ne devi perdere nemmeno una. La vita di unx gallerista, di unx criticx o di unx curatrice o curatore è una serie interminabile di voli aerei, jet lag e spessi cataloghi cartacei che servono non a essere letti ma a testimoniare la propria presenza: Art Basel 2019? C'ero. Frieze 2016? C'ero. Art Miami 2018? C'ero. Biennale di Venezia 2017? C'ero. 
L'insostenibilità del mondo dell'arte, insomma, è intrinseca. Oltre al considerevole numero di voli aerei che vengono presi per partecipare a questo o quel evento, bisogna tenere in considerazione anche la quantità di opere che vengono spedite da una parte all'altra del globo, e tutte le strutture temporanee (padiglioni, stand, showroom) che vengono fabbricate - e poi subito distrutte - ad ogni fiera o biennale. La Gallery Climate Coalition, un'organizzazione fondata da professionistx del settore artistico di Londra, ha sviluppato appositamente un calcolatore online con il quale ciascuna galleria, museo o altra istituzione può calcolare la propria carbon footprint immettendo la quantità di voli effettuati, il peso della merce spedita e altri parametri. L'obiettivo è quello di attirare l'attenzione sull'enorme quantità di emissioni prodotte dal settore artistico e di cercare soluzioni per ridurne l'impatto. Un'analisi, ad esempio, dell'edizione del 2018 della fiera Frieze di Londra, ha mostrato come la fonte principale di emissioni fosse l'utilizzo di generatori a diesel all'interno dei padiglioni; l'anno seguente si è deciso di utilizzare biodiesel derivato da oli vegetali, abbassando la quantità di emissioni prodotte di ben 2,3 volte. Un altro modo per diminuire il proprio impatto sarebbe sostituire le spedizioni aeree con quelle via mare: l'artista Gary Hume ha iniziato a farlo nel 2019, scoprendo che il trasporto marittimo non solo abbassa le emissioni del 96%, ma è anche notevolmente più economico. "Non c'era alcun svantaggio. Mi sono vergognato di me stesso per non averlo fatto prima," ha dichiarato Hume. 
Insomma, delle soluzioni per arginare i danni esistono, e alcune persone le stanno anche adottando; il problema però è che si tratta per l'appunto di un arginamento. Il sistema dell'arte è estremamente impattante per sua natura, e nessuna di queste tattiche riuscirebbe a risolvere completamente il problema. Così come il settore del lusso e della moda, il mondo dell'arte si basa sull'esclusività, sull'eccesso e sulla sfarzosità. Come ha scritto recentemente il NY Times,
Per alcuni, l'idea di un'arte contemporanea attenta all'ambiente è una contraddizione in termini. Il mondo dell'arte è quasi comicamente inadeguato ad affrontare il cambiamento climatico, perché il settore commerciale si basa su una decadenza sfrenata. Lo scorso novembre [2021], in occasione di Art Basel Miami Beach, Dom Pérignon ha lanciato un servizio di yacht concierge che, per 30.000 dollari, consegnava 33 bottiglie d'annata e caviale alle barche ancorate nella baia di Biscayne e alle case sull'acqua su isole artificiali. I galleristi corteggiano gli artisti con cene piene di tartufi grandi come un pugno. I collezionisti premiano i loro consulenti con borse firmate Gucci. Mascherando il consumismo di lusso con ideali elevati, il mondo dell'arte si presta bene alla satira. Di fatto, le operazioni quotidiane di molte gallerie sono costruite intorno a forme più banali di eccesso che sfuggono alla facile parodia ma sono altrettanto perniciose (trad. mia).
Ma Yele - potreste dirmi voi - non avevi detto all'inizio che ci sono artistx che parlano tramite le proprie opere della crisi climatica? Non c'era una presa di coscienza anche nel mondo dell'arte? Sì, senza dubbio; ma è un po' come parlare di presa di coscienza all'interno di una compagnia petrolifera. Certo, BP può rebrandizzarsi come "beyond" petroleum e dedicare parte dei propri investimenti alle energie rinnovabili, ma rimane pur sempre una compagnia petrolifera. L'essenza del mondo dell'arte contemporanea, e in particolare del suo mercato, è ben lontana dai principi di sostenibilità che sono essenziali per mantenere la Terra in uno stato vivibile. 
E se il mondo del mercato dell'arte si macchia di peccati come superbia e lussuria, le istituzioni no-profit, il più delle volte sponsorizzate da colossi petroliferi o altre compagnie altamente impattanti, non sono molto meglio. "Al giorno d'oggi, non sono i Medici a usare l'arte per ripulire la propria reputazione: sono le aziende e i miliardari, compresi i giganti dei combustibili fossili e le banche che li finanziano", scrive The Art Newspaper. "Sebbene negli ultimi cinque anni molte sedi artistiche abbiano abbandonato il marchio delle compagnie petrolifere, alcune, tra cui il British Museum di Londra, hanno ancora accordi promozionali con aziende del calibro della BP, fornendo una parvenza di rispettabilità alle società maggiormente responsabili della crisi climatica". In effetti, molte delle istituzioni culturali (soprattutto negli USA e in Gran Bretagna) sono state sponsorizzate o addirittura fondate grazie ai soldi del petrolio, come ad esempio il Getty Center di Los Angeles, importante centro artistico e culturale, che deve la propria esistenza al magnate petrolifero Jean Paul Getty. Un po' per ripulirsi la coscienza, un po' - diciamoci la verità - per evitare che a qualcuno venga in mente di parlarne male, l'industria del fossile investe regolarmente enormi quantità di soldi nel settore artistico-culturale. Per dirne una, ExxonMobil è tra le aziende più caritatevoli al mondo (nel 2017 ha donato 2,8 milioni di dollari a iniziative artistico-culturali), e allo stesso tempo anche la quarta più inquinante. 
Nonostante, insomma, ci sia un certo numero di artistx che dedicano la propria produzione ai temi dell'ambiente e della crisi climatica (menziono giusto en passant - anche se meriterebbe molta più attenzione - la rete internazionale Ecoart, attiva fin dagli anni '90), rimangono comunque una goccia nell'oceano. Sono l'eccezione e non la regola; è importante parlarne, e sicuramente è giusto notare l'aumento di interesse che suscitano questi temi, ma non bisogna, secondo me, scadere in facili ottimismi che potrebbero farci illudere che stia andando tutto per il meglio. 
D'altronde, di che ci meravigliamo? L'arte è lo specchio della società che la crea. Riflette i suoi principi e i suoi valori, e rende visibili i suoi lati più oscuri. Una società dedita al denaro non poteva che dar vita a un sistema dell'arte dedito al denaro; solo il neoliberismo poteva innalzare il mercato ad opera d'arte. E così come alcunx sporadicx artistx cercano di limitare i danni del mondo artistico, così anche noi ambientalistx cerchiamo di fare il nostro meglio per vivere in maniera sostenibile. Ma in entrambi i casi, direbbero in America, è come sistemare le sedie a sdraio sul Titanic. La nostra carbon footprint individuale, indipendentemente da quanta carne mangiamo o da quanta plastica compriamo, è estremamente alta già solo per il fatto di abitare in un Paese occidentale (è illuminante, a tal proposito, uno studio che dimostra come persino i senzatetto negli Stati Uniti abbiano una carbon footprint alta, perché in un modo o nell'altro partecipano al dispendio energetico generale). 
Sia chiaro: ciò non significa che tutto è perduto e tanto vale vivere la propria vita come se non ci fosse un domani; ogni piccolo gesto conta. Ma finché non afferreremo il toro per le corna e non inizieremo a parlare di vero e proprio cambiamento di paradigma, i risultati che raccoglieremo saranno sempre troppo miseri, sia nel mondo reale che in quello artistico. Quello di cui abbiamo veramente bisogno è un nuovo modo di vivere - e, di conseguenza, un nuovo modo di fare arte. 
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perfettamentechic · 1 month ago
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Giornata Mondiale dell'Orso Polare
🌍 Il 27 febbraio. Giornata Mondiale dell'Orso Polare, un'importante occasione per riflettere sulle sfide che questa specie iconica affronta a causa della crisi climatica. Uniamoci per proteggere il loro habitat. 🐾 #GiornataMondialeOrsoPolare #ProteggiamoGliOrsi #perfettamentechic
Giornata Mondiale dell’Orso Polare: Un Abbraccio di Ghiaccio e Cuore Il 27 febbraio 2025, un giorno dedicato a questi magnifici giganti bianchi che, purtroppo, stanno affrontando sfide sempre più grandi. La Giornata Mondiale dell’Orso Polare è stata istituita per la prima volta nel 2011. Giornata decisa per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione critica degli orsi polari, specie…
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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Crisi climatica: 2024, un anno record per eventi estremi in Italia.
Legambiente denuncia l’aumento del 485% degli eventi meteo estremi rispetto al 2015 e critica l’inerzia del Governo. Necessarie azioni concrete per il 2025.
Legambiente denuncia l’aumento del 485% degli eventi meteo estremi rispetto al 2015 e critica l’inerzia del Governo. Necessarie azioni concrete per il 2025. Un 2024 difficile per l���Italia: il bilancio di Legambiente.L’anno che si conclude è stato segnato da un drammatico aumento degli eventi meteo estremi. Secondo il rapporto dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente, il 2024 ha registrato…
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micro961 · 6 months ago
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Fuori il videoclip di “GREEN POWER” degli Overcardano
Il video che porta la firma di Simone Serafini lancia un chiaro e attualissimo messaggio: “Se la Terra muore io muoio con Lei!”
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GREEN POWER è l’ultimo singolo della band romana OVERCARDANO, pubblicato a giugno 2024. Un brano volutamente “allarmista” che parla della situazione climatica del pianeta che è fortemente critica. Il La che ha fatto scattare il brano è stato sentire per l’ennesima volta su tuti i media che anche questa estate è stata “l’estate più calda degli ultimi 100 anni”. Ma come? Ogni anno la stessa frase, ma allora stiamo andando sempre peggio. Ecco in quel momento abbiamo realizzato che essere a conoscenza di una cosa ed esserne consapevoli sono due cose completamente diverse.
Da qui nasce l’idea di realizzare il bramo musicale ed il relativo video per trasmettere questa consapevolezza.
Guarda il video
youtube
C’è una frase nel ritornello che è l’emblema di questa canzone e dice: “Se la Terra muore io muoio con lei”! Siamo legati al nostro pianeta e se lui muore siamo destinati a morire anche noi, altro che non coinvolti! Il brano è accompagnato da un video molto forte. Il video è stato realizzato da Simone Serafini, regista con una lunga esperienza anche di video musicali. Simone ha dato un grande suggerimento che è stato quello di inserire molti dati numerici sul clima in modo da rendere ancora più concreto il tema e la sua gravità. I dati come tali sono incontrovertibili. A loro volta le immagini sono di due tipi.
Nella prima parte del video le immagini sono molto crude con ghiacciai che si sciolgono, incendi che divampano, livelli del mare che salgono. Ma nella parte finale del brano abbiamo inserito la nostra “visione positiva” in cui traspare la speranza introducendo immagini di un pianeta rigenerato e vivo.
Non è un caso, infatti che in questa versione del brano creata proprio per il video clip alla fine ci sia un coro di bambini che canta il ritornello. Loro sono davvero coinvolti in prima persona perché dovranno vedersela per tutta la durate della loro vita con il tema del clima. Se loro riusciranno a “non restare fermi a guardare” a non “restare fermi ad aspettare” proprio come si canta nel ritornello, allora la Terra sarà salva e in questo modo il brano ed il video di GREEN POWER avranno dato il proprio, seppur piccolo, contributo per il pianeta!
Facebook: https://www.facebook.com/overcardano/
Instagram: https://www.instagram.com/overcardanotheband/
TikTok: https://www.tiktok.com/@overcardanoSpotify:https://open.spotify.com/intl-it/album/3RMDQAvZWm1YWKXJMovRmc?si=l5PqWGhVTRC_VUyjDSGahg
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siciliatv · 10 months ago
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Pergusa: Il Lago è scomparso, allarme di Legambiente
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Il lago di Pergusa, dopo mesi di siccità e una settimana di miasmi insopportabili, è quasi completamente evaporato, lasciando solo una chiazza di fango nero sotto il sole estivo. Questo disastro è attribuito alla grave crisi climatica in Sicilia, ma anche alla mancanza di interventi da parte delle autorità competenti, secondo Giuseppe Maria Amato, referente per la Gestione risorse idriche di Legambiente Sicilia. Amato critica duramente il governo regionale, in particolare il governo Schifani, accusandolo di negligenza. Il lago Pergusa è di proprietà della Regione Siciliana e la riserva naturale è gestita dall'ex Provincia di Enna, ma secondo Amato, le risorse necessarie non sono state fornite. Nel 2023, Legambiente Sicilia aveva ottenuto la convocazione di un tavolo tecnico per affrontare la crisi, ma non ci sono stati progressi concreti. Nonostante le promesse, gli interventi di pulizia dei canali che alimentano il lago sono stati parziali e mal coordinati. Amato sottolinea che l'assenza di un sistema di monitoraggio ambientale ha impedito di comprendere la reale situazione della falda. Se gli enti avessero agito tempestivamente, continua, oggi avremmo almeno i dati sullo stato delle risorse idriche. Read the full article
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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Schlein apre campagna e attacca Meloni: "Male in Europa, governo fragile"
(Adnkronos) - Dentro gli Studios dalle pareti scure e le luci da set si parla di Europa, di lavoro, transizione climatica, diritti, Ue del futuro. Fuori, al sole caldo del dicembre romano, si parla di nomi. Del candidato del Pse che sarà lanciato al congresso di marzo, proprio nella Capitale. C'è chi scommette su Nicolas Schmit, commissario Ue, che domani sarà all'iniziativa dem. E poi delle suggestioni su un ruolo per Mario Draghi. E di quelle su Paolo Gentiloni, 'guest star' della mattinata. Sarà il federatore del centrosinistra? "Povero Paolo, non glielo auguro proprio", dice Carlo Calenda ad HuffPost. E si parla anche di liste e candidature, su cui anche i diretti interessati, gli 'aspiranti' candidati o ricandidati, sanno ancora poco o nulla. A partire dalle intenzioni di Elly Schlein, se sarà in campo o meno. Un membro della delegazione Pd in Europa ha un'idea chiara sull'eventualità: "Se Schlein si candida capolista, commette uno sbaglio. Così facciamo solo il gioco della destra. Le europee non sono un secondo tempo delle politiche. Questa volta meno che mai. Ma se si candidano i leader diventa una competizione tutta interna". Ma il capitolo liste resta sullo sfondo, di la da venire. Prima i temi, il progetto. Da costruire insieme. Ieri è stata lanciata la nuova piattaforma web del Pd. Il resto, ovvero le candidature, viene dopo. Questa l'impostazione della segretaria.  "Ci sono altre forze in cui c'è un capo o una capa che decide. Noi invece costruiamo un progetto per rendere migliore il futuro delle persone e lo facciamo insieme", dice Schlein che salta da un tavolo tematico all'altro. Sono 6 e vanno avanti per tutto il pomeriggio. Segue e ascolta. Anche gli interventi da remoto con cuffioni colorati: oltre 800 gli iscritti. "In altri palchi si susseguono figure per accreditarsi con chi comanda e mostrarsi ubbidienti alla linea di chi comanda. Qua è diverso", la stoccata a Paolo Corsini, al centro della bufera di giornata.   I 'fasti' della festa di Atreju soni lontani dagli Studios della Tiburtina. "Invece di pensare alle loro feste, pensino a dare risposte a oltre tre milioni di lavoratori poveri che avranno ben poco da festeggiare a Natale" dopo l'affossamento del salario minimo, incalza Schlein per cui la 'celebrazione' della destra al potere a Castel Sant'Angelo rischia di essere effimera.  "Perché ho detto che il governo non arriva a fine legislatura? Perché mi sembra che il governo sia molto fragile e stia mancando le risposte sui fondamentali. E non è questione di polemica politica ma contano le condizioni materiali dei cittadini: mi trovate qualcuno che dica di star meglio di un anno e due mesi fa? Non lo trovate. Facciano un bagno di realtà. Capisco che la propaganda è la loro confort zone ma i problemi reali sono un'altra cosa".   E poi l'Italia a trazione Meloni in Ue. "Come si sta muovendo? Male perché questo governo è stato del tutto assente nel negoziato su una tematica così importante per l'Italia come la riforma del patto di stabilità per evitare di tornare all'austerità". Così Elly Schlein parlando con i cronisti al Forum Pd sull'Europa. "Stanno rischiando di farci tornare indietro alla rigida austerità e questo ci preoccupa molto. Hanno sempre scelto gli alleati più sbagliati in Europa. L'Italia è sola e rischia di fare un balzo indietro".  In mattinata al Forum Pd, l'ospite d'onore è stato il commissario Ue, Paolo Gentiloni. Abbraccio con Schlein all'arrivo. L'intervento del commissario è tutto puntato sull'ultimo Consiglio Ue, conclusosi oggi. Parla di "giornata storica" sull'avvio dei negoziati per l'ingresso dell'Ucraina, critica il veto di Orban sul bilancio che vuol dire rinvio degli aiuti a Kiev e spiega che il tema dell'Ucraina sarà spartiacque nella campagna per le europee perché marcherà la divisioni tra europeisti e nazionalisti. E nella prima squadra, il Pd "sinistra europea di governo" siede per diritto: per ambizioni e storia. I cronisti tentano l'approccio con il 'federatore' ma Gentiloni sguscia via. Ma oltre a quello di Gentiloni, tra i capanelli l'altro nome che rimbalza è quello di Mario Draghi. I riformisti dem non hanno gradito la netta chiusura di Schlein alla suggestione di Draghi alla guida dell'Ue. E oggi lo lascia intendere Lorenzo Guerini: "Draghi è una figura che è stata ed è protagonista nella politica d'Europa, le sue decisioni hanno dato un impulso fondamentale in passaggi decisivi per l'Ue, e credo lo possa fare anche in futuro. Dopo di che non lo tirerei per la giacca e non lo invischierei nel chiacchiericcio politico". Per il capodelegazione in Ue, Brando Benifei, e per Andrea Orlando sarebbe non la guida della Commissione ma quella del Consiglio Europeo, il ruolo auspicabile per Draghi. "Per la Commissione -dice Orlando- la partita si gioca in un rapporto con le altre forze politiche e i socialisti devono lavorare perché alla guida della Commissione vada un socialista. Se il Pse fosse il primo partito a livello europeo è legittimo che avanzi una candidatura che sia propria espressione e ci sono nomi che circolano di grande livello". Come quello di Schmit, conferma Orlando. "Nel quadro della scelta del presidente del Consiglio è naturale che tra i nomi che possono essere giocati, quello di Draghi va assolutamente sostenuto, sperando che la Meloni lo sostenga meglio di come ha sostenuto Daniele Franco o di come sembra voler sostenere Draghi". Domani ci sarà la mattinata conclusiva dei lavori del Forum Pd sull'Europa con gli interventi di Romano Prodi e il 'ritorno' di Enrico Letta.   [email protected] (Web Info) Read the full article
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falcemartello · 5 months ago
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Le centinaia di centrali a carbone che la Cina sta costruendo in questo momento per il suo sviluppo, hanno un vita media compresa tra i 50 e i 75 anni. Vuol dire che le useranno fino alla fine di questo secolo.
E noi pensiamo a ridurre le emissioni con le auto elettriche?
E il bello è che queste centrali a carbone serviranno proprio a produrre l'energia necessaria per costruire i pannelli fotovoltaici e le auto elettriche con cui noi europei pensiamo di salvare il pianeta...
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corallorosso · 3 years ago
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Stomachevole Bolsonaro: "L'Amazzonia è una foresta umida, non va a fuoco" Un personaggio spregevole, nemico dell’ambiente e della scienza. Che finge di non sapere quello che ha combinato, come denunciato da tutte le principali organizzazioni internazionali e dalla stessa chiesa cattolica. “L’emergenza climatica è stato l’altro tema del G20: il Brasile è un paese che emette soltanto il 7% di anidride carbonica. Ovviamente noi abbiamo il settore zootecnico che genera anche anidride carbonica, genera emissioni. Però due terzi del territorio brasiliano è assolutamente preservato. Purtroppo in Brasile c'è una guerra di potere, diversamente da chi mi ha preceduto c'è molta critica su di me per quanto riguarda l'Amazzonia. Però l`Amazzonia non prende fuoco, è una foresta umida, prende fuoco soltanto nelle sue zone periferiche, qui ci sono stati disboscamenti illegali che noi combattiamo. Lo facciamo così bene che la stampa non dice più niente su questo": così in un`intervista esclusiva a Sky TG24 il Presidente del Brasile Jair Bolsonaro. globalist
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paoloxl · 6 years ago
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Poco prima di essere obbligati a imbarcarsi, la maggior parte dei giovani centroafricani che veniva deportata attraverso l’atlantico sulle navi dei mercanti di schiavi passava attraverso una cerimonia. Wole Soyinka descrive cerimonie differenti, come bere da una fontana o passare sotto un albero sacro, ma ciò che le accomunava era l’aspettativa che si generasse una perdita della memoria, di tutto ciò che aveva un significato, delle esperienze vissute fino a quel momento. Si diventava schiavi anche dimenticando tutto ciò che aveva a che vedere con la vita precedente.
Ciò che il progetto politico tardo neoliberale sta cercando di realizzare è una sorta di cerimonia dell’oblio planetaria, in cui l’enorme massa di movimenti che si stanno battendo da almeno quattro decenni per la costruzione di un mondo diverso, dimentichi la propria storia per aderire ad un modello che risponde ancora una volta all’impostazione che il capitalismo ha dato all’esistenza. Lasciare tutto, abbandonare il campo, per generare sostenibilità, energie rinnovabili, sviluppo compatibile, in uno scenario in cui la produzione e il commercio del nostro mondo siano ancora la finalità di tutta l’azione umana. Mentre ciò che è emerso con forza nella giornata del 23 marzo a Roma è che dimenticare è impossibile, anche in uno scenario come quello italiano, abituato alla rimozione della memoria. Chi sta lottando da decenni contro un numero smisurato di forme di devastazione ambientale, per difendere la propria vita, non rinuncia a tutto. Soprattutto non rinuncia a ciò che ormai emerge stabilmente dal dibattito critico, cioè che l’intero pianeta è attraversato da conflitti sociali che ormai considerano come nodo centrale del loro discorso politico la difesa della biosfera, la sopravvivenza di varie comunità, l’opposizione ai processi di accumulazione. Tutte queste esperienze stanno diventando un luogo di incontro in cui si sovrappongono i conflitti di singoli territori e la produzione di una forte critica sociale, che inizia a porsi, in modo tangibile, il problema della ricerca di alternative di grande respiro e ha iniziato finalmente a produrre i propri scenari, anticipando in diversi casi alcuni mutamenti del capitalismo globale. La stessa potenzialità si è espressa sabato 30 nella manifestazione di Verona: il movimento femminista sta assumendo a livello planetario la configurazione di un’opposizione originale al tentativo di rilanciare un grande processo di accumulazione sul corpo delle donne. I due campi si dovranno fondere necessariamente, perché l’uno non può esistere senza l’altro, non si può superare la crisi ecologica senza superare la società patriarcale, non si può ripensare la nostra vita dentro le stesse gerarchie che hanno creato il mondo attuale.
Le molteplici esperienze italiane che si sono aggregate attorno al nodo della giustizia climatica e della critica al modello estrattivista neoliberale hanno già ampiamente messo in discussione tutta l’improbabile costruzione ideologica e astratta sullo sviluppo che ha guidato i rapporti tra gli esseri umani e il resto della biosfera negli ultimi secoli. Hanno messo in discussione proprio ciò che ha più bisogno dell’oblio, cioè l’ideologia che sostiene che la conversione del mondo in spazio di produzione e di vendita sia compatibile con la vita e che esistano forme di mediazione realizzabili tra le logiche del mercato e quelle della biosfera, tra lo sfruttamento e la libertà.
Si è trattato anche di una reazione forte, perché l’impossibilità di dimenticare emerge dal carattere evidentemente concreto, palpabile, sensibilmente materiale e ‘prossimo’ delle istanze a cui fanno riferimento tutte e tutti coloro che nella loro quotidianità hanno provato sulla propria pelle, sui propri corpi, la violenza con cui si esprimono le gerarchie di potere, la crisi ecologica, la devastazione di intere aree, la diffusione delle crisi sanitarie. Tutto è stato reso non-dimenticabile.
Le rivendicazioni locali assumono un respiro molto ampio, non solo perché si trovano nello stesso campo di altre su tutto il pianeta, non solo perché, soprattutto nel caso del movimento femminista, hanno assunto una configurazione globale, ma perché si indirizzano verso la critica generale al sistema.
La maggior parte delle lotte ambientali è nata affrontando le questioni proprie dell’economia neoliberale di stampo estrattivista, ma in molti casi è giunta a scontrarsi con gli elementi fondanti del capitalismo. In questo percorso, ci si può riconoscere come soggetti di una stessa dinamica che costruisce un campo comune, che produce qualcosa di nuovo. Soprattutto se quel campo comune riguarda la difesa della vita nella sua forma più pura.
L’articolazione della vita è infatti esattamente il contrario di ciò che viene generalmente rivendicato come sua difesa dalla visione più violenta e reazionaria che abbia prodotto la cultura occidentale. Il vivente non si adatta a schemi stabili e rigidi, ma anzi prospera in tutte le alternative possibili, cerca sempre di ampliare il proprio campo e si rigenera sviluppando forme di protezione e solidarietà. Proprio questo scarto rispetto ai modelli di sviluppo dominanti è un possibile terreno comune di lotta: l’eterodossia della vita contro la trasformazione in valore economico di tutto, contro l’asservimento della biosfera alla spinta uniformante e indifferente della valorizzazione.
Ciò che comincia finalmente a delinearsi è un modo di intendere e praticare la politica completamente nuovo, che sfugge al paradigma moderno e alle nostre esperienze. Le lotte ecologiste e femministe, che abbiamo visto convergere in piazza, dicono che bisogna ricordare e che bisogna farlo a partire dalla vitale concretezza delle tante singolarità del mondo. È un lavoro di tessitura in cui le maglie di una lotta comune si allargano inanellando istanze diverse che si riconoscono come resistenze ad un’unica logica annichilente, quella del capitale e del patriarcato. L’insieme di queste rivendicazioni assume inoltre un carattere tutt’altro che astratto: sono frutto di processi contingenti in cui si sviluppano alleanze strategiche, si attribuiscono responsabilità e si domandano soluzioni o progettualità a venire.
La riuscita delle manifestazioni nazionali sottolinea alcuni passaggi politici, alcuni mutamenti dei movimenti sociali, perché le due piazze parlavano la stessa lingua, così come la parlavano le tante esperienze presenti e perché le rivendicazioni si sono già fuse tra loro, iniziando probabilmente a realizzare un quadro generale da cui nasceranno altre esperienze, altre parole d’ordine e altre prospettive. Quel linguaggio comune potrà essere una base per costruire nuovi scenari e nuove pratiche. Il conflitto politico che questi movimenti cominciano a delineare rende necessario dunque confrontarsi continuamente con tutte le realtà che vogliono costruire un mutamento sociale, ma anche con le basi materiali del vivente: la cura ecologica è già subito inclusa.
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awardseasonblog · 2 years ago
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Quest’anno per la categoria Miglior cortometraggio documentario (#BestDocumentaryShortFilm) troviamo 5 titoli particolarmente supportati dalla critica americana. 5 storie che affrontano le contraddizioni del nostro tempo: dal silenzioso legame tra mondo umano e mondo animale ad una relazione padre-figlia che muta nel tempo, dal tema legato agli effetti della crisi climatica alle estreme conseguenze del pregiudizio razziale, fino al calvario subito da Martha Mitchell per aver scoperchiato il “vaso di pandora" legato allo scandalo Watergate. 1.#TheElephantWhisperers 2.#HowDoYouMeasureaYear? 3.#TheMarthaMitchellEffect 4.#Haulout 5.#StrangerattheGate (LINK nella STORIA) #AwardsSeason #AwardsRace #OscarsRace #RoadtotheOscar #Movies #AwardsRace #BestDocumentaryShortFilm #DocumentaryShort #Oscars2023 #OscarsPredictions #StagionedeiPremi #Migliorcorto #Oscar2023 #FinalPredictions #PrevisioniOscar https://www.instagram.com/p/CpAx6dlsgZe/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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falcemartello · 11 months ago
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Inoltre
E' passato un anno dalla scadenza drammatica prevista da Greta.
Comunico che, non solo non abbiamo cessato di usare fossili, ma ne adoperiamo di più che nel 2018.
Voi come state, avete qualche sensazione di "wipe out"?
(Critica Climatica)
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Incredibile come stiano convincendo una forma di vita basata sul carbonio, che proprio guarda caso il carbonio sia il male da eliminare al più presto.
Vien da pensare che le macchine e la AI abbian già preso il controllo a nostra insaputa e stiano operando la Soluzione Finale stile Terminator Saga. Solo in modo più furbo dei film: senza tante inutili nukes e killer robot, bastano tutti 'sti gretini in giro che convincono gli umani a suicidarsi per sopravvivere (!).
Tutto quel che le macchine e la AI dovrebbero fare per indurlo è manipolare le statistiche: è la Nuova Bibbia ma che dico, il nuovo indiscutibile Corano.
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gaetaniu · 3 years ago
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Un paleoclimatologo scopre un antico circuito di feedback climatico che ha accelerato gli effetti dell'ultimo episodio di riscaldamento della Terra
Un paleoclimatologo scopre un antico circuito di feedback climatico che ha accelerato gli effetti dell’ultimo episodio di riscaldamento della Terra
Un campione di ghiaccio che un tempo conteneva gas metano. Sullo sfondo di un pianeta in rapido riscaldamento, la necessità di comprendere meglio la natura e l’impatto a lungo termine dei cicli di retroazione climatica positiva – processi che accelerano gli effetti del riscaldamento – diventa di importanza critica. Un modo per valutare il ruolo e l’impatto dei processi di retroazione climatica…
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