#CorSera
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Una classe dirigente può esser tale senza avere nessuna delle caratteristiche minime per esercitare dignitosamente questo ruolo? Sicuramente ci si può trovare davanti ad una ruling class inadeguata, ma questo comporta che il Paese disgraziatamente sotto il suo potere sia condannato allo sfacelo. La giornata di ieri ha mostrato un mosaico di avvenimenti che dànno la misura effettiva della nullità – capitalistica, morale, economica, politica, culturale, ecc – di chi controlla questa sfortunata provincia dell’Impero. Andiamo con ordine, prendendo i titoli dal giornale che pretende di essere ancora “il salotto buono della borghesia italiana”. Il quale, fin da ieri mattina, ci invita a spargere lacrime simpatetiche con “il povero” Luciano Benetton, che si è accorto solo ora – 89enne, al momento di ritirarsi in dolce attesa – che il suo gruppo ha registrato perdite choc: «In pochi mesi da 13 a 100 milioni, ora il rosso sarà di 230». E’ appena il caso di ricordare che l’ex “re del maglioncino” è stato a capo di un piccolo impero economico multinazionale, “a gestione familiare”, che ha responsabilità dirette nella repressione dei Mapuche in Patagonia, nel crollo del Ponte Morandi per risparmiare sulla manutenzione (43 morti), accarezzando nel frattempo anche qualche giovane virgulto “democratico” in vena di arrampicate… Il “povero pensionato” accusa naturalmente l’ultimo amministratore delegato da lui stesso scelto con toni entusiatici, e ora se la vedranno con gli avvocati in tribunale. Secondo capitolo. “Morto nel suv con la fascetta al collo Giallo sul marito di FrancescaDonato”. L’eurodeputata un tempo leghista, quando ci istruiva in ogni talk show circa le cirtù salvifiche del neoliberismo condito con privatizzazioni e taglio delle tasse a ricchi ed imprese, nonché del complottismo novax, ha immediatamente sentenziato “Me l’hanno ucciso”. E noi stavolta – l’unica – le crediamo. Angelo Onorato, imprenditore ed ex candidato alle regionali con la Dc di Totò Cuffaro (formazione cui è approdata anche l’eurodeputata) è stato infatti trovato morto strangolato alle tre del pomeriggio dentro la sua auto, sulla parallela dell’autostrada per l’aeroporto di Palermo. Modalità e luogo dell’omicidio lasciano un portone spalancato a ogni ipotesi che riporti alla mafia (anche se I media sono molto cauti, in queste prime ore). Ma la cronaca nera politico-imprenditoriale ci continua a sottoporre i tormenti del “povero Giovanni Toti”, tuttora presidente della Regione Liguria nonostante sia agli arresti domiciliari, descritto con umana compassione dal Corrierone: “Toti, la vita ai domiciliari: l’ansia nella casa di Ameglia con la moglie convalescente e il cane Arold”. Le accuse di corruzione, le intercettazioni, i soldi di Spinelli… Tutto nelle righe dell’articolo, ma è il titolo che deve restare nella testa dei lettori, no?
Ci sarebbe da fare qualche domanda anche sulla morte del rettore dell’università Cattolica di Milano, suicida (ma non viene quasi mai ricordato, tanto meno nei titoli) e senza alcuna spiegazione apparente. Riserbo massimo, nessuna ipotesi, parce sepulto…
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ci sembra più interessante l’unica notizia di critica sociale vero uno degli esponenti peggiori di questa classe dirigente. A Marina di Pietrasanta, titola sempre il Corsera, “Irruzione degli attivisti al Twiga, ombrelloni piantati fra le tende dei vip: «La spiaggia è di tutti»”
Ma chi sono questi attivisti? Di chi è il Twiga?
Bisogna andare a spiluccare nelle pagine interne… E allora si viene a sapere che I primi fanno parte del coordinamento ‘Mare Libero’, che dal 2019 si battono contro la privatizzazione delle spiagge e per “restituire il mare alla collettività”. Hanno montato ombrelloni e sdraio, steso gli asciugamani tra i lettini dello stabilimento, solitamente meta di vip, calciatori e politici. E lì si sono rimasti, tra le proteste di alcuni clienti che hanno rivendicato la “proprietà privata” della spiaggia.
Mal gliene è incolto, però, visto che come spiegano i ragazzi “Piantiamo i nostri ombrelloni in questa spiaggia tornata libera perché le concessioni sono tutte scadute il 31 dicembre 2023. Lo ha deciso il Consiglio di Stato in attesa, come stabilito anche dall’Unione europea, delle gare”.
Quanto ai proprietari del Twiga, beh, sono storicamente gli stranoti Flavio Briatore e Daniela Santanché, ora ministro del turismo. Che è poi a ragione per cui ha venduto le sue quote al socio, anche se un’inchiesta de Il Domani ha verificato che continua a incassare profitti dal Twiga tramite una società creata ad hoc, la Ldd Sas, ditta creata ad aprile 2023 e controllata al 90% da Immobiliare Dani, a sua volta al 95% di Daniela Santanché.
Scatole cinesi, azzeccagarbugli da commercialisti, rapporto osè – mortiferi – con la grande criminalità organizzata, truffe pure e semplici, amministratori pubblici a busta paga…
In mano a questi stanno le nostre vite.
[...]
Una “classe dirigente” di impressionante squallore - Via
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Ieri sul giornalone Corsera, il corsivo di prima pagina di Panebianco propone la guerra termonucleare come una eventualità da non temere. Per lui e quelli come lui sembra solo una partita poker. Il problema è che se avvenisse davvero, in Europa, moriremmo tutti. O li pagano molto o sono matti da legare. O forse tutte due.
Marco rizzo
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I Need To Make A Change!
For a long time I’ve needed out of the construction industry, I’m not meant to be in it I’ve never felt comfortable. Granted it’s not the only thing I’ve ever done but it’s the thing that has been the most consistent in my life, mainly because most of my dad’s side of the family are roofers.
It’s finally time to make the change to something more fulfilling, even though I’ve not got any experience in the digital world I feel I can take that leap and apply my skills to a new field.
Im just sharing the experience of learning and gaining certification’s. I started the Google Cybersecurity Certificate training on Corsera 3 days ago.
The course eases you gently and allows you to build a vocabulary before it really gets going.
I’ll share what I can here, mainly just to get it out my head and converse with myself.
#cybersecurity#learning#artificial intelligence#python#programming#software engineering#machine learning
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il giornalista in bretelle è pronto per Libero (ma l'articolo è tratto dal corsera)
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Discesa in campo
La sinistra 800centesca, ancora legata agli esiti del congresso di Livorno, non aveva, allora, ne, capito/compreso, ancora oggi, il significato della “discesa in campo”.
Orfani della caduta del muro di Berlino, tutta la baracca, sociologi, politici, segreterie etc…, faticano a interpretare gli esiti nefasti del trentennale bombardamento dei programmi spazzatura, dove, al pari del predappiese che affermava: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”, Silvio, ha trasformato la televisione (programmi, contenuti, forma, sostanza), in quello che, Serge Daney – Le Monde 1992, ha correttamente definito: “la television est comparable a une decharge pubblique, a l’incoscient (inconscio) a ciel ouvert”.
Discarica pubblica, inconscio a cielo aperto.
Se il primo ha tratto dall’inconscio la violenza degli italiani (gli stessi che il 25 aprile divennero tutti antifascisti, o, come affermò Churchill: “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani…”), il secondo ha reso la televisione uno strumento di controllo e indirizzo, che nemmeno Pasolini, avrebbe immaginato, o, forse, sospettava: “Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l'adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L'abiura è compiuta. Corsera 9 12 73
Ecco la chiave di successo di Silvio. Rinnegare le culture presenti in Italia, uniformare il pensiero, abiurare la critica verso modelli che, fino alla discesa in campo, trovavano posto in qualche bettola.
E, quindi, il fiorire di modelli comportamentali attraverso un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza, meglio rappresentata dalle parole illuminanti e premonitrici di Pasolini: Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L'antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l'unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l'edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c'è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s'intende, vanno ancora a messa la domenica, in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria).
Ribadisco il mio pensiero, che si volge umanamente a chi lascia questa terra, ma, non mi sottraggo dal commentare le nefaste conseguenze del proprio agire e, degli effetti sulla collettività (inteso popolazione).
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Marta Fascina compra casa dai cinque figli eredi di Silvio Berlusconi
La deputata Marta Fascina ha comprato casa in uno dei palazzi che erano di proprietà di Silvio Berlusconi. La politica 34enne è stata l'ultima compagna dell'ex leader di Forza Italia. Fascina ha concluso l'affare con i cinque figli eredi del Cavaliere. Le parti si sono incontrate a fine luglio nella villa di Arcore e davanti al notaio Arrigo Roveda, lo stesso che si era occupato dell'apertura del testamento. Proprio Silvio Berlusconi ha lasciato a Fascina cento milioni. Al momento la deputata ha incassato un quarto di quella cifra. Il resto le sarà liquidato gradualmente. Fascina si sarebbe presentata alla operazione immobiliare con sei assegni circolari Intesa San Paolo per un totale di 1,2 milioni di euro. In questa cifra sono compresi ventimila euro per i mobili già presenti. A vendere l'abitazione è stata Immobiliare Idra che, al momento della compravendita, è stata rappresentata dal suo amministratore delegato Augusto Barbieri. L'offerta della esponente di Forza Italia era stata presentata a inizio anno. A febbraio infatti c'era stato un passaggio formale nel consiglio di amministrazione Idra. Il rogito è avvenuto, sempre stando a quanto raccontato dal Corsera, il 22 luglio. L'appartamento si trova a Milano 2 (Segrate) ed è grande 250 metri quadrati: è all'interno di una palazzina di dieci piani. È costituito da un ingresso, soggiorno-pranzo, cucina, quattro camere, uno studio, quattro bagni, terrazzo, due balconi, un box di 45 metri quadrati e una cantina. Sembrerebbe che il futuro inquilino sarà il fratello della politica, Claudio Fascina che da qualche tempo lavora nel gruppo Mediaset. Read the full article
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Il vizietto di Papa Francesco svelato all’intervista al CorSera
[[{“value”:” Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, Argentina, ha trascorso gran… L’articolo Il vizietto di Papa Francesco svelato all’intervista al CorSera proviene da Notizie 24 ore. “}]] Read More [[{“value”:”Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, Argentina, ha trascorso gran… L’articolo Il vizietto di Papa…
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Corsera - Derby di rimpianti
Su Corsera: “Derby di rimpianti”. È stato un derby abbastanza british — per lo meno di quando l’Inghilterra era tutto sportellate e zuccate e non i miliardi patinati della Premier — spigoloso e duro, equilibrato e incerto: un tempo per uno, si diceva una volta; il primo della Juve, per pericolosità delle occasioni, il secondo del Toro. Riassunto di Ivan Juric, ancora con il fiatone: «Nella…
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Martedì 19 marzo uscirà l’autobiografia di Papa Francesco, scritta col vaticanista Fabio Marchese Ragona. Dalle anticipazioni del CorSera e di Vatican News non trapela niente che già non sapessimo del primo papa gesuita della storia: abbiamo semai l’ennesima conferma della sua adesione mentale alla teologia del popolo marxisteggiante. Ciò che conta non è salvare le anime, ma liberare gli “oppressi” dall’esclusione: con l’Amoris laetitia ha liberato i divorziati-risposati, con la Fiducia Supplicans sta cercando di liberare gli omosessuali. Comunque sia, come ha notato il giornalista Nico Spuntoni in un articolo che pubblichiamo di seguito, dalle anticipazioni emerge che, per Francesco, la coabitazione in Vaticano col predecessore vivente, Benedetto XVI, non è stata sempre facile.
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In "Virtuose disposizioni" principiavo con una telegrafica elencazione di frasi involontariamente comiche proferite da fotografi non particolarmente addentro alla materia.
Avrei potuto proseguire, e lo faccio qui con una singola ulteriore esternazione:
"una fotografia è fine art quando è stampata su carta costosa".
Si trattava e si tratta, epperò di conversazioni private, prive del beneficio / danno della moltiplicatoria propalazione.
Moltiplicatoria propalazione che è propria dei mezzi d'informazione.
Cartacei, o digitali.
Già, cartacei.
Carta canta villan dorme, dicesi.
E a prescindere dal supporto di riferimento:
scripta manent.
Ma è sempre opportuno destare il villano, o far permanere ciò che si è asserito?
Non quando si commettono errori, evidentemente.
Siamo eddunque approdati all'editoria sì appellata generalista.
Nonchè a quella non.
Sapete, non tutti sono Indro Montanelli.
E, nella specificità fotografica, non tutti sono Gerardo Bonomo.
E certi vizietti sopravvivono ad epoche.
I vizietti di non approfondire, di non documentarsi a sufficienza.
All'estremo e alla radice, di non sapere.
Già, non sapere.
Nel settore generalista il fenomeno - sebbene non scusabile - è almeno comprensibile:
redattori vengono estemporaneamente incaricati di "coprire" ambiti dello scibile non espressione della loro pregressa formazione.
In quello specialista o para/specialista, be', qui siamo al manzoniano scandolo (sì, con la "o").
Rimaniamo allora , se V'aggrada, all'ambito para/specialistico, ove il prefisso greco stempera, annacquandolo, il summentovato manzoniano scandolo.
Due casi separati da sessant'anni, a testimonianza che i succitati vizietti tendono pervicacemente allignare.
Primo caso:
obiettivo considerato luminoso in ragione di una apertura massima attestantesi a f 5,6, direttamente contrapposto ad un "buio" f1,8, definito tale proprio a cagione dell'"esiguo" numero che esprime...
Secondo caso, quello odierno.
Sapete, i costruttori di telefonini sovente si vergognano della superficie sensibile dei sensori che montano, così capita non ne dichiarino l'estensione.
Qualcuno, in un sussulto di trasparenza, nomina risoluzione e densità, così fornendo un indiretto indizio alla disvelazione dell'arcano.
Ebbene, un sito - nel titolo come nel testo - si diffonde sulle peculiarità di un "sensore 35 mm".
Sensore 35 mm?
Sì, d'accordo, nel modo analogico tale cifra designa l'altezza di una pellicola cinematografica, e - per estensione - viene a convenzionalmente indicare il formato Leica in fotografia.
E sì, concedo:
nei droni come nei telefonini può verificarsi l'univoco abbinamento sensore/obiettivo.
Non è questo il caso, epperò.
Nella fattispecie, 35 mm è semplicemente la focale (nemmeno poi quella, invero, facendo invece riferimento ad una equivalenza quanto ad angolo di campo coperto rispetto al 24 X 36 mm) corrispondente all'obiettivo principale.
Che a sua volta è abbinato al sensore principale, di cui però ignoriamo dimensione (salvo procedere con i sunnominati indizi).
Ecco, la necessità di approfondire.
L'imperativo di farlo, quando ciò che si scrive verrà letto dai più, con l'aura d'autorevolezza che ipso facto chi legge attribuisce in dipendenza dal luogo d'origine della propalazione.
Che poi, è una questione di "punta dell'iceberg".
Sì, punta dell'iceberg.
Sapete, molti anni fa - quando marginalmente m'occupavo di critica musicale - qualcuno mi disse che il mio modo di scrivere era assimilabile a quello di Duilio Courir di Corsera.
Niente di più sbagliato!
Duilio era persona in grado di parlare per ore in conferenza - e scriverne in interi libri - a proposito di aspetti anche assai parcellizzati della musicologia, mentre io non avrei retto alla prova dei cinque minuti (nel senso che al sesto minuto mi sarei già trovato imbarazzatamente ...afavellato, ove l'alfa è impietosamente privativa).
Ecco dunque l'importanza della montagna sommersa, piuttosto che di quella incantata (più precisamente, magica, ci stiamo riferendo all manniana "Der Zauberberg"):
saldezza di conoscenza impone che ci sia una montagna - sia d'acqua o di roccia - sotto ciò che scriviamo.
Personalmente sotto il pelo dell'acqua ho giusto un pugno di terra alla portata edificatoria di formiche (purché non termiti, quello per me sarebbe già troppo).
Una qualsivoglia base, epperò, è necessario vi sia.
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Claudio Trezzani
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15 dic 2023 13:46
“AVEVO TUTTO, LE DUE DONNE PIÙ BELLE D’ITALIA, VANONI E SANDRELLI, E NON SENTIVO PIÙ NIENTE” - GINO PAOLI, IN UNA BOMBASTICA INTERVISTA CON ALDO CAZZULLO SUL "CORSERA" RACCONTA I MOTIVI CHE LO SPINSERO A SPARARSI AL CUORE - L’ALCOL, LA DROGA, IL CAZZOTTO DEL "BOSS DEL BRENTA" FELICE MANIERO, TENCO A LETTO CON LA SANDRELLI, LUCIO DALLA ("MAI PENSATO FOSSE GAY. SECONDO ME È POSSIBILE CHE FOSSE IL FIGLIO DI PADRE PIO"), "L’ORGASMO" DEL CIELO IN UNA STANZA, GLI INSULTI AL PUBBLICO ALLA "BUSSOLA", LA MORFINA DI CHET BAKER E ORNELLA VANONI CHE “MI HA INSEGNATO IL SESSO”… - VIDEO
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera - Estratti
Gino Paoli, il miracolo italiano comincia nel 1958 con «Volare» di Modugno, e finisce nel 1963 con la sua «Sapore di sale».
«La scrissi in mezz’ora, come se qualcuno me la stesse dettando. Erano anni meravigliosi, anche gli operai avevano le 1500 lire per andare alla Capannina, e si pensava sarebbe durata per sempre. Io però vedevo già nuvoloni all’orizzonte».
E il primo segnale della crisi furono le dissonanze di pianoforte inserite da Ennio Morricone nell’attacco di «Sapore di sale».
«Un genio, allora non ancora famoso: per averlo dovetti litigare con la produzione. Ma l’inizio tambureggiante si deve alla chitarra basso del fratello di Little Tony».
Nell’anno in cui uscì la canzone forse più bella mai scritta da un italiano, lei si sparò al cuore.
«Avevo tutto, e non sentivo più niente. Le due donne più belle d’Italia, Ornella Vanoni e Stefania Sandrelli, erano innamorate di me. In garage avevo una Porsche, una Ferrari e una Flaminia Touring. Cos’altro potevo avere? Volevo vedere cosa c’era dall’altra parte».
E togliersi la paura della morte?
«La morte non mi fa paura. Il mio amico della vita, Arnaldo Bagnasco, era semmai convinto che fossi depresso per l’incidente stradale in cui era rimasto ucciso un giovane musicista. Io invece penso che la molla decisiva sia stata la guerra».
(…)
Lei Paoli non era comunista?
«Sono convinto che i beni dell’intelletto e della natura vadano messi in comune. Ma il comunismo doveva essere una tappa verso la libertà, l’anarchia. “Anarchie avec une A grande comme amour”, diceva Léo Ferré».
Nel libro c’è anche un ritratto di Léo Ferré.
«La moglie, stanca di tradimenti, lo lasciò, e per sfregio sparò ai suoi due cani. Gli uccise anche la scimmia Pépée, che Léo adorava».
Da ragazzo lei tirava di boxe.
«Mio padre mi disse: se le buschi, il resto te lo do io. Nella Genova del dopoguerra saper fare a botte era una necessità».
È vero che fece a pugni pure con Felice Maniero?
«La criminalità ha sempre costeggiato il mondo dello spettacolo. Maniero stava picchiando una donna. Lo fermai, e mi diede un cazzotto perfetto, bellissimo, dritto al mento. A quel punto gli dissi: andiamo fuori e regoliamo la faccenda. Fu arrendevole: “Quella donna è mia moglie, mentre ero in galera mi ha tradito con i miei amici. Se ora tu e io combiniamo casini, mi riportano dentro...”».
E lei?
«Obiettai che non poteva picchiare la moglie nel locale dove cantavo io; e finì lì. Ma la voce si sparse, Memo Remigi mi disse: “Sei matto Gino a fare a pugni con il capo della mala del Brenta?”. In galera invece sono finito io, ma un’altra volta: picchiai uno che stava bastonando un cane».
Diede mai un cazzotto perfetto pure lei?
«Sì, a un tizio che vedendomi passare si era toccato le palle. Vestivo di scuro, portavo occhiali scuri: girava la voce che portassi sfiga. Lo centrai in pieno volto, poi gli dissi: hai visto? La sfiga è arrivata davvero».
Perché scrive che lo spettacolo è un mondo di m.?
«Perché è tutto apparenza. Oggi peggio di ieri. Ieri avevamo Mina e la Vanoni. Oggi emergono le cantanti che mostrano il culo».
Ha mai fatto a botte per politica?
«Nel luglio 1960 c’ero anch’io nelle strade di Genova. Del governo Tambroni non ci importava nulla. Ma quando sapemmo che in città per il congresso del Msi sarebbe tornato l’ex prefetto Basile, quello aveva compilato le liste dei deportati in Germania, capimmo che dovevamo batterci».
Torniamo alla notte dell’11 luglio 1963. Perché si sparò al cuore?
«Provo con i barbiturici, il Nembutal, annaffiati con il calvados, ma non mi fanno niente. Penso di gettarmi di sotto; ma non voglio dare a mia madre il dolore di vedere un figlio straziato. Mi ricordo di avere due pistole. Faccio le prove sparando con la Derringer calibro 5 dentro un libro bello spesso, e vedo che il proiettile entra in profondità. Così mi corico sul letto, e mi sparo. Non alla testa, sempre per non dare quel dolore a mia madre. Al cuore».
Come è sopravvissuto?
«Il proiettile si fermò nel pericardio. È ancora lì, e mi tiene compagnia; ha anche smesso di suonare al metal detector. Meglio così. Ogni volta spiegavo: ho una pallottola nel cuore. E nessuno mi credeva».
Chi venne da lei in ospedale?
«Ho una foto con Rita Pavone e Teddy Reno al mio capezzale. Ornella passò di notte, per non dare nell’occhio. Nel corridoio Luigi Tenco ripeteva sconsolato: non si fanno queste cose...».
Si disse che lei si era sparato perché aveva scoperto la storia tra Tenco e Stefania Sandrelli.
«Quello accadde dopo. Luigi mi telefonò: “Sono a letto con Stefania”. La presi malissimo e ruppi con entrambi. Se non l’avessi fatto, lui sarebbe ancora vivo. Quella sua telefonata non nasceva da una vanteria maschile, ma da un senso di protezione. Tenco era legatissimo alla mia prima moglie, Anna. Era il suo modo di dirmi che Stefania non era la donna giusta per me».
Com’era Tenco?
«Lui e io ci siamo fatti l’immagine di poeti maledetti perché nei locali, anziché corteggiare le ragazze, ci mettevamo in un angolo immusoniti e tenebrosi, alla James Dean, con il pugno sulla tempia, così (Gino Paoli per un attimo diventa Tenco immusonito). Così le ragazze arrivavano. Non ho mai corteggiato una donna; erano loro a venire da me».
In realtà?
«In realtà Luigi Tenco era un gigantesco cazzone. Divertentissimo. Adorava gli scherzi».
Quali scherzi?
«Il suo preferito era quello della cravatta: si avvicinava sorridendo, ti poggiava una mano sulla spalla, ti faceva parlare, e intanto con le forbici ti tagliava la cravatta. Una volta, dopo aver visto un film su un suicidio, rifacemmo la scena madre su un tetto di Genova: io fingevo di volermi gettare di sotto, lui di trattenermi. Dovemmo smettere perché si era creata una folla in attesa...».
Che idea si è fatto della morte di Tenco?
«Un colpo di teatro non riuscito. Come se avesse voluto imitare me: spararsi, e restare vivo. Andava molto una droga arrivata dalla Svezia, il Pronox, che ti dava un senso di sdoppiamento, come se non fossi più responsabile di te stesso... Appena arrivò la notizia mi precipitai a Sanremo. Il festival andava fermato; e se fossi stato in gara sarei riuscito a fermarlo. Incontrai Lucio Dalla, e lo attaccai al muro».
Perché?
«Avrebbe dovuto ritirarsi. Tanto più che la sua canzone si intitolava “Bisogna saper perdere”. E tanto più che tutti collegavano Lucio a me».
Dalla in effetti ha sempre riconosciuto che fu lei a convincerlo a cantare.
«Avevo semplicemente capito che era un genio. D’estate giravamo a torso nudo su una decapottabile, e si formavano resse per vederci: entrambi pelosissimi, non eravamo un bello spettacolo. Dividevamo la stanza, a volte il letto, senza che mi sia mai venuto il dubbio che Lucio fosse omosessuale. La prima volta che lo portai in uno studio discografico, chiese di abbassare le luci. Nella penombra lo vidi cantare nudo, con le mutande in testa».
Guccini racconta che a Bologna girava una voce: Dalla era figlio di padre Pio.
«Secondo me è davvero possibile. Di sicuro la madre lo lasciava tre mesi all’anno in convento da padre Pio».
Guccini dice pure che la canzone italiana d’autore comincia con «Il cielo in una stanza».
«È la storia di un orgasmo. Poco importa se con una prostituta — io sono della generazione dei casini, dove ebbi la mia iniziazione a sedici anni —, con la donna che ami, o da solo. È la stessa cosa. E mentre inizia è già finita».
Mogol fece cantare «Il cielo in una stanza» a Mina.
«Io ero contrario, la consideravo un’urlatrice. Non avevo capito nulla. Ma è vero che Mina diventa Mina con quella canzone. Quando finì di inciderla scoppiò a piangere».
E Celentano?
«Un bambino di quasi 86 anni. Candido. Mi offrì di entrare nel suo clan. Gli chiesi: chi comanda in questo clan? Adriano rispose: io».
E lei?
«Dissi: no grazie, non potrei stare in un clan dove non sia io a comandare».
L’incontro con la Vanoni?
«Primavera 1960. Avevo già scritto “La gatta”. Sono alla Ricordi, al pianoforte. Alzo lo sguardo e vedo questa splendida donna, la voce sensuale, le mani grandi, che mi chiede di comporre una canzone per lei».
Era Ornella.
«Io le ho insegnato a cantare: senza di me avrebbe continuato con le canzoni della mala con cui lei, di famiglia borghese, non c’entrava nulla. Ornella mi ha insegnato il sesso. Ero pieno di sensi di colpa. Con lei ho imparato a parlare facendo l’amore. Prima andavo a letto con chiunque respirasse; con Ornella ho scoperto la libertà e la naturalezza».
È noto che a lei avevano raccontato che la Vanoni fosse lesbica, e alla Vanoni che lei fosse gay.
«Eravamo in un bar di Milano. Un bar brutto, camerieri scortesi. Glielo chiedo con il cuore in gola: ma a te piacciono le donne? Ornella trema, mi risponde di no, e mi chiede: ma a te piacciono gli uomini? Ci baciamo con passione, la porto in un albergo che frequentavo, pieno di prostitute, e ci chiudiamo in camera».
Lei però era già sposato.
Con Anna. Ero alla Bussola con mia moglie, e arriva Ornella, che la vede, si intristisce, e balla per tutta la sera con Sergio Bernardini, piangendogli sulla spalla. Poi vado in albergo a Viareggio, e scopro che pure Ornella ha preso una camera lì. Presagisco il disastro e chiedo al portiere di svegliarmi alle 7, per tenere la situazione sotto controllo. Ma quel disgraziato non mi sveglia, e quando scendo in giardino per colazione le trovo tutte e due, Ornella e Anna, sedute su un dondolo che mi dicono: “Adesso devi scegliere. O una o l’altra”».
E lei?
«Le ho mandate tutte e due al diavolo, e me ne sono andato».
(...)
Ogni tanto lei insultava il pubblico.
«Alla Bussola inizio il concerto con “Non andare via”, la mia versione del capolavoro di Jacques Brel. Il pubblico rumoreggia: “Fai le tue canzoni!”. Lo accontento, e poi lo mando a quel paese: “Imbecilli! Se non capite Brel, non capite neppure me”. In platea c’erano Agnelli e Moratti. Presagisco un altro disastro».
Invece?
«La sera dopo c’era una folla enorme, non si riusciva a entrare. Tutti i borghesi erano lì per farsi insultare da Gino Paoli».
Altre volte cantò dando le spalle al pubblico.
«Comincio “Il cielo in una stanza”, e tra una strofa e l’altra un tizio in prima fila grida: Chiove a zeffunno! “Quando sei qui con me…”. E quello: Chiove a zeffunno! “Questa stanza non ha più pareti…”. Chiove a zeffunno! Dovetti fermarmi e chiedergli: si può sapere cosa vuoi? Voleva una canzone napoletana – chiove a zeffunno vuol dire piove a dirotto – che non avevo mai sentito. Me ne andai».
Poi arriva il ’68, e lei si ritira dalle scene, sul serio.
«Era una falsa rivoluzione. Non mi apparteneva. E mio padre mi aveva insegnato che, quando non si ha niente da dire, si deve tacere. Così mi ritirai a Levanto, dove aprii un locale».
E si diede alla droga.
«Ne ero diventato prigioniero. Per due anni. Avevo iniziato con un canna, per recuperare la voce. Poi ho provato cose sempre più pesanti. Ma quando hanno arrestato il mio pusher, ho smesso. Non per virtù; per necessità».
Con l’alcol è stata più dura.
«Per vent’anni mi sono scolato una bottiglia di whisky al giorno. Ora, come vede, non bevo neppure il pigato».
Nel libro però rimpiange di non aver salvato la persona che amava di più.
«Mio fratello Guido — un fisico, intelligentissimo — sprofondò nell’alcol senza che io me ne accorgessi».
E nella sua vita entrò la donna che ora è sua moglie, Paola.
«Aveva quindici anni. La respinsi: non volevo finire di nuovo in galera. Tornò quando ne aveva compiuti sedici. All’epoca avevo una donna in ogni città: Paola le affrontò tutte. La rivale più pericolosa, quella di Torino, quasi una fidanzata, la mise in fuga sguainando un coltello a serramanico».
È vero che dai discografici si faceva pagare in case?
«Era l’unico modo per non dissipare tutto. I primi concerti me li pagavano in contanti, io infilavo i soldi in un sacco e lo rovesciavo sul tavolo di casa: chi voleva si serviva. Firmai il primo contratto a Milano con la Ricordi, uscii dalla Galleria, c’era una bancarella di tartufi che cominciai a sgranocchiare come caldarroste. Poi entrai in una concessionaria d’auto e comprai una Austin-Healey 3000, con il cambio all’inglese che non sapevo usare. Feci mezza Milano-Genova in prima; a Voghera fusi il motore. Le piace questa casa?».
Dal terrazzo si vede la Liguria da Portofino a Bergeggi.
«Metà me l’ha comprata la Rca, l’altra metà la Cgd. Altrimenti non mi sarebbe rimasto nulla».
Anche Califano cominciò la sua carriera grazie a lei.
«Un talento pazzesco, purtroppo rovinato dalla droga».
Come Chat Baker.
«In Versilia aveva trovato un medico che gli passava farmaci con la morfina. Solo che doveva bucarsi più volte al giorno. Andò in crisi, non si trovava un angolo di pelle dove iniettargli il metadone: alla fine lo bucarono qui, sotto l’occhio, e lo salvarono».
Come trova la Meloni?
«Piccola, dura, tosta. Sono contento che ci sia una donna a Palazzo Chigi. Dovremmo eleggerne di più».
Perché?
«Perché sono più intelligenti. Vale anche per i cani, sa? Io ho solo femmine: Nana, una bulldog; Lula, una labrador; Leila, una lupa cecoslovacca».
E a sinistra chi le piace?
«La Schlein è un mistero: non conosco la sua storia, non capisco come guida il partito. Trovo interessante Greta Thunberg. La barca affonda, e a bordo ci siamo tutti».
Grillo?
«È un amico. Come Antonio Ricci e Renzo Piano. E gli amici non si giudicano. È un idealista che voleva davvero fare qualcosa per il Paese; come l’abbia fatto, è un altro discorso».
Gino Paoli con Beppe Grillo nel 2014 sul palco del Politeama Genovese, a Genova, per una serata ricordo per l’autore televisivo Arnaldo Bagnasco (Ansa)
L’anno prossimo lei compirà novant’anni.
«Festeggerò abbracciando il Cristo degli abissi, nel mare di San Fruttuoso. Fino al Covid lo facevo ogni estate, in apnea. Ora ricomincio».
L’aldilà esiste?
«Non ne ho la certezza, ma la convinzione sì. Un fiore muore e rinasce. Perché noi no? Ma della nostra coscienza che sarà? È da quella notte del luglio 1963 che vivo con questa curiosità».
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Corsera, il figlio di #LaRussa denunciato per #violenzasessuale
#tfnews #cronaca #7luglio #denuncia #news #italia #presidentedelsenato #leonardoaphace
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"Il cartoon cult inventato da Go maki"
No ma io dico, quando scrivi un articolo del genere, ti informi? Apri Wikipedia? Ti metti a cercare su Google?
Go maki? Sul serio?
Ma poi leggete qui:
«In realtà Il grande Mazinger è solo una parte della storia. Nato nel 1974 è in realtà uno spin-off di Mazinga Zeta, comparso a fumetti nel 1972 e in versione animata l'anno successivo».
Juzo Kabuto diventa "l'autore" di Mazinga Zeta. L'autore.
Non il progettista e il creatore, no.
L'autore.
È un sequel diretto, non uno spin-off. Ma come cazzo danno a scrivere minchiate su una cosa così semplice?
Se lo dovesse leggere @abatelunare gli prende un coccolone.
#articoli di cui non si sentiva la necessità#corsera#chissà su cose complesse che cosa scrivono#mazinga#great mazinger
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I Fubini del Corrierino
I Fubini del Corrierino
In Italia esiste un cosiddetto ordine dei giornalisti, al quale peraltro ho versato il mio obolo per non so quanti anni, il quale dovrebbe tutelare la professione e prendere adeguati provvedimenti verso gli iscritti “che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionale”, cosa che nei casi più gravi prevede l’espulsione. Tuttavia non ho sentito alcuna presa di…
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È morto il giornalista Mario Sconcerti
È morto il giornalista Mario Sconcerti
AGI – Si è spento oggi improvvisamente il giornalista Mario Sconcerti, 74 anni, storico editorialista del Corriere della Sera. Lo rende noto proprio il Corriere con un articolo in apertura del sito. Sconcerti era ricoverato da qualche giorno in ospedale per alcuni accertamenti di routine. “Fino a venerdi’ – ricorda il Corsera – ha continuato a dare il suo contributo di idee al nostro giornale di…
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Corsera Bergamo - Un’Europa più amica, Gasp non parla
Su Corsera Bergamo – Un’Europa più amica. L'Atalanta, anche grazie al ranking ed al buon pareggio di Lisbona avrà più chance di arrivare in Champions, la strada è lunga, ma ora sotto con la Juve.source
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