#è una legge della fisica
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A COSA FA MALE IL PORNO
Il titolo è fuorviante ma siccome cerco di tenerli corti per il colpo d'occhio incuriosente (non è proprio clickbait ma quasi), in realtà l'argomento è estremamente serio e si riaggancia al mio precedente post sul patriarcato dei 'cari amici uomini'.
Il porno, così come lo si (dovrebbe) intende(re), è la rappresentazione visiva di una manifestazione fisica, nello specifico della sessualità e in genere dell'affettività: ci si sofferma in modo evidente sull'atto del copulare o su pratiche che orbitano comunque intorno alla sfera genitale o paragenitale.
Premettendo che LA CONSENSUALITA' sta alla base di qualsiasi pratica - anche la più estrema - e che questo mio ragionamento ha pure valore indicativo di una mia intuizione senza alcun giudizio (TL;DR fate tutto quello che volete con il/la vostro/a partner se maggiorenne e capace di decidere per sé) ho notato che il porno mainstream offre TANTISSIMO MATERIALE su pratiche sessuali in cui la donna, per quanto immagino e spero consensuale, viene degradata e umiliata dalla controparte maschile, con tanto di mascara colato per lacrime e secrezioni varie, difficoltà respiratorie per dita strette attorno alla gola oppure oggetti e parti di corpo infilati a lungo in gola e posizioni un po' troppo costrette.
Per carità, io lo so che chi mi legge lo fa come gioco di ruolo in cui la propria partner è consenziente e consapevole di recitare un ruolo limitato nel tempo e che poi la vita prosegue nel rispetto reciproco
MA
vista L'ENORME QUANTITA' di materiale video con tali modalità che, senza scomodare canali specifici, sembrano comunque essere la norma, non vi sembra che il ruolo dell'attrice, dell'esordiente o della semplice persona che fa il video amatoriale sia quello DI SODDISFARE IL DESIDERIO DELLO SPETTATORE MASCHILE DI AVERE UNA DONNA SOTTOMESSA A TUTTE LE PROPRIE FANTASIE DI CONTROLLO E DI DOMINIO?
Lo dico perché io ho ricevuto questa impressione e anche se non mi addentrerò mai nel ginepraio del vietato (lol) ai minori di 18 anni, mi chiedo come una persona giovane possa codificare per sé una sessualità rispettosa del consenso se praticamente non esiste il concetto di educazione sessuale/affettiva e questi è demandato a contenitori di porno dove un 80% di video dipinge il ruola della donna in questo modo.
Nessuna soluzione diretta e/o immediata, per carità, e soprattutto nessuna censura o proibizione, però se esistono video che provengono da un sito (forse ora chiuso) che si chiama ex-gf e che alcune donne hanno sentito il bisogno di inaugurare un genere che si chiama 'porn for ladies', forse un problema di percezione e di educazione a monte esiste.
Grazie degli eventuali contributi ben ragionati ma tenete i coltelli nei foderi perché io comunque sarò sempre più veloce a estrarre e a rovesciarvi le budella sulle scarpe <3
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🇫🇷 FRANCIA. APPROVATO L'"EMENDAMENTO PFIZER" Silenziosamente, il Parlamento francese ha approvato mercoledì scorso un emendamento all'art. 4 della legge sulla "Lotta alle derive settarie", che introduce una pena fino a tre anni di reclusione e un'ammenda fino a 45.000 Euro per chiunque critichi i vaccini a mRNA o le terapie geniche. L'"emendamento Pfizer" come è stato ribattezzato dal deputato Florian Philippot, leader del partito Les Patriots, di fatto equipara la libera scelta di trattamento a una "deriva settaria" e criminalizza chiunque sconsigli trattamenti medici che siano "evidentemente idonei" sulla base delle attuali conoscenze mediche:
È punita con un anno di reclusione e un'ammenda di 15.000 euro la provocazione ad abbandonare o ad astenersi dal seguire un trattamento medico terapeutico o profilattico, allorché tale abbandono o astensione venga presentato come benefico per la salute delle persone interessate quando invece, allo stato delle conoscenze mediche, ciò sia chiaramente suscettibile di comportare gravi conseguenze per la loro salute fisica o psicologica, tenuto conto della patologia di cui soffrono.
È punibile con le stesse sanzioni la provocazione ad adottare pratiche presentate come aventi scopo terapeutico o profilattico nei confronti delle persone interessate allorché è evidente, allo stato delle conoscenze mediche, che tali pratiche espongono le stesse ad un rischio immediato di morte o di lesioni tali da comportare mutilazioni o invalidità permanente.
Quando alla provocazione prevista dai primi due commi abbiano fatto seguito gli effetti, le pene sono aumentate a tre anni di reclusione e a 45.000 euro di multa.
Quando tali reati siano commessi attraverso la stampa scritta o audiovisiva, per quanto riguarda l'individuazione dei responsabili si applicano le specifiche disposizioni delle leggi che regolano la materia.
Fonte: Sénat Français
Giorgio Bianchi
Fine della libertà di cura...
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Ora super polemica perché mi è capitato l'ennesimo video in cui si parla di obesità e body positivity. A seguito una lunga e sgrammaticata polemica, quindi taglio il post per non intasare la dash di chi non è interessato
Viene detto che, essendo un corpo obeso non sano, allora scrivere sotto al post di una persona obesa "sei bellissim*", non è body positivity ma un modo per normalizzare e istigare l'obesità. [Che già cosa vuol dire normalizzarla e istigarla, non so, cioè se io penso che una persona obesa sia bella non significa che costringo qualcuno con il coltello alla gola ad ingrassare.] E quindi, secondo loro, commentare sei obes*/ciccion* e insulti a riguardo non è grassofobia o cyberbullismo, ma semplicemente sottolineare una cosa ovvia.
Comunque questo discorso è di base stupido per diversi motivi
non hai il diritto di giudicare né tantomeno insultare qualcuno
essere grassi o obesi non significa essere brutti, se a te non piace va benissimo, ma il tuo giudizio è personale e non una legge oggettiva che deve valere per tutti
nessuno istiga nessuno a fare niente, semplicemente chiunque ha il diritto di apprezzare e mostrare il proprio corpo indipendentemente dal peso
nascondersi dietro al "non è salutare" è pura ipocrisia perché non sai il motivo per cui la persona in questione è obesa (potrebbe essere a causa di una malattia fisica o mentale), la tua convinzione che obesità = mangiare troppo dimostra quanto tu sia stupido ed ignorante. E no, fare la battuta che si sfonda di mc non fa ridere.
inoltre, se davvero ci tieni a fare il paladino della salute, oltre a commentare le persone obese che semplicemente esistono, commenta anche chi fuma o beve alcolici. Vai sotto i loro post a preoccuparti per la loro salute e ad insultarli "per il loro bene". Ah no, questo ovviamente non viene fatto, perché probabilmente sei la prima persona a bere/fumare ed avere uno stile di vita poco sano in generale.
E comunque sì, scrivere insulti a persone che non si conoscono, è bullismo, nient'altro che questo. Giuro che se potessi catapultarmi dall'altro lato dello schermo degli esseri che scrivono ste cose (tra l'altro sentendosi anche tanto bravi ed intelligenti), gli tirerei una craniata.
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Amore è pietà, è voglia di salvare qualcuno. Essere non solo rilevante, ma fondamentale nella sua vita. Farla diventare, da notte, giorno.
È porsi al di sopra delle sue più grandi paure: la malattia, la morte, il dolore insensato. È additargli il cielo e farsi cielo.
Come disse Leopardi, amore è "alta pietà". Professori sorridevano sul fatto che lui alle donne chiedesse pietà e di questa si contentasse.
Se avessero capito, avrebbero avuto un brivido o sarebbero caduti a terra come morti.
Non tutti tollerano la luminosità della luce di Dio. Altri la respirano e giocano con gli atomi e l'energia nel suo paradiso come i bambini immemori fanno castelli di sabbia.
La pietà di Gesù per l'uomo, il suo scandaloso amore che non tutti comprendono, è lo stesso amore che pervade il tutto come una legge chimico-fisica.
L'amore chimico, l'amore fisico: quale vergogna? Atomi e molecole si organizzano, pianeti gravitano. Non sei tu dissimile da loro, tu che vuoi restituita la tua vita da altri, che puoi vivere solo in loro unione.
Pavese che si dispera di non riuscire ad essere autonomo e accontentarsi della solitudine e della meschina rivalità, è più né meno una particella nel vuoto che tenta di organizzarsi in una forma di vita.
Io che nutro i piccioni e faccio per loro la differenza, che ho quest'impudenza di voler essere la vita per qualcuno, sono come tutto il resto. I bisogni, i disagi, i dolori sono fatti per far emergere la pietà dell'amore e dell'unione, sono l'anti-decomposizione dell'esistente.
Il bello in tutto ciò è che la fuga nella morte - la morte vera, la dimenticanza - non è contemplata. L'essere è e non può non essere. E non ha che un'unica soluzione, un unico stato di riposo, come ogni piccolo atomo, molecola, formica e uomo che contiene.
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(...) era stato un ministro spagnolo ad aprire e ostilità, pensando di fare lo spiritoso insinuando che (il presidente argentino Javier) Milei fa uso di sostanze stupefacenti. Conoscendo il personaggio, è esattamente come dare un cazzotto a Tyson, riceverne la prevedibile risposta e poi lamentarsi che il detto Tyson “mena”.
Più precisamente, il ministro dei Trasporti e della mobilità sostenibile (sic) Óscar Puente Santiago a una tavola rotonda ha raccomandato ai giovani "di essere se stessi" e, scherzando, ha aggiunto che «ci sono persone molto cattive che, essendo se stesse, sono arrivate in alto». E giù la citazione di Trump e del presidente argentino. (...) E poteva forse finire lì.
Ma poi ha insistito: «Ho visto Milei in TV -.. Quando è uscito, non so in che stato e prima di ingerire o dopo aver ingerito quali sostanze, ma è uscito per dire quello che aveva detto, qualche giorno prima... io ho detto: “È impossibile che vinca le elezioni”».
La risposta ufficiale della Casa Rosada è stata energica (...): «Il governo di Pedro Sánchez ha problemi più importanti da affrontare, come ad esempio le accuse di corruzione mosse contro sua moglie (...).», si legge nella nota ufficiale. La signora Sanchez è indagata con l'accusa di “spaccio di influenza e corruzione economica”. (...).
Ma la risposta del governo argentino ha riguardato anche il livello politico (...). «Pedro Sánchez ha messo in pericolo l’unità del Regno, accordandosi con i separatisti e portando alla dissoluzione della Spagna; ha messo a rischio le donne spagnole consentendo l'immigrazione clandestina di coloro che minacciano la loro integrità fisica; e ha messo in pericolo la classe media con le sue politiche socialiste che portano solo povertà e morte», continua la dichiarazione.
«Noi argentini abbiamo scelto di cambiare il modello che ci ha portato miseria e decadenza. Lo stesso modello che applica nel suo paese il Partito Socialista Operaio Spagnolo. Ci auguriamo che il popolo spagnolo scelga presto di nuovo di vivere in libertà», ha concluso. Il presidente di Vox Santiago Abascal, ha peraltro definito «molto moderata» la risposta di Milei agli «insulti molto gravi» di Puente (...).
via https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/39228038/pedro-sanchez-javier-milei-drogato-corrotto.html
Gioco, set, partita.
Trovo il tentativo di far lo spiritoso del ministro "della mobilità sostenibile" spagnolo una sorta di confessione di profonda inadeguatezza generica, applicabile a gran parte del mileu sinistro globale (i minus hanentes son piatti uguali ovunque). Noi sinistri schick, par dire, non capiamo un cazzo (le elezioni Milei le ha vinte), quindi insultiamo credendo di esser spiritosi.
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La bellezza femminile è oggettivamente di livello superiore. Punto.
Bisogna dirlo a gran voce, perché la verità va urlata: parlando meramente di bellezza fisica ed estetica, il confronto tra donne e uomini è impietoso. Non c’è proprio gara. È un fatto, dai, non possiamo nasconderci dietro un dito. La bellezza femminile è superiore, universale, unica. Non ce n’è. Le persone intelligenti lo ammettono, le altre utilizzano congiunzioni per cercare di giustificarsi (“ma…”, “però…”). No, nessun però, è così e basta. Qualcuno potrebbe lanciare la provocazione, molto al limite: “Quindi le donne, anche quelle etero, sono tutte potenzialmente lesbiche?”. No, non è così semplice. Un conto è l’amore per la bellezza, un altro sono i gusti sessuali. Riconoscere la beltà di una creatura (o semplicemente di una parte del suo corpo), non significa necessariamente avere il desiderio di approcciare sessualmente ad essa. Sarebbe una soluzione banale, fuorviante, e non sempre corrispondente al vero. Io penso semplicemente che una ragazza veda la bellezza delle sue omologhe così come si può mirare a un bellissimo bosco, al mare, a un’opera d’arte. E sì, certe femmine possono attirare lo stesso livello di attenzione. Ma se io, da maschio etero, posso avere il desiderio di accarezzarle quelle gambe, o di sfiorarla quella vagina, per una ragazza anch’essa etero tutto ciò non è certamente legge. Ci sono troppe dinamiche che intercorrono, nel mezzo. Dipende dall’umore, dalla sensazione specifica che quella persona scaturisce, e anche dalla “temperatura corporea”. In senso assoluto, ritengo che quando si tratta della bellezza femminile, nessuno possa davvero sentirsi al sicuro. Né che si tratti di uomini, né di donne. Si possono raggiungere vette così alte, tali per cui tutto diviene realmente possibile. A esserne colpito per primo, e inevitabilmente, è certamente lo sguardo. Lì non si scappa. Se ti capita a tiro il bellissimo fondoschiena di una giovane ragazza, magari parzialmente o totalmente scoperto, come fai a non guardarlo? Qui entriamo nell’ambito dell’impossibilità di passare oltre. Ed è qui che bisogna interrogarsi con se stesse, in modo assolutamente sincero, per capire dove nasce e muore quell’ammirazione. Per comprendere che non esiste solo il sesso (affatto!), ma anche e soprattutto la bellezza in senso pieno, assoluto, invitante. M’immagino un mondo in cui il secondo fine non esista, o quantomeno non sia dato per scontato. Un mondo in cui in spiaggia una ragazza possa andare da un’altra e dirle semplicemente: “Hai un fondoschiena pazzesco, complimenti. Lo sto guardando da un po’”. Senza che si pensi niente, senza che si faccia niente. Una risata, un ringraziamento, e basta. Solo sincerità, solo ammirazione. Gli epiloghi lasciamoli solo alle fantasie, senza scollarsi troppo dalla realtà. Però ecco, mi spiace uomini ma in questo senso non esistete proprio. Vi salva in parte solo il pene (e solo quando è particolarmente bello), ma in tutti gli altri casi le ragazze vincono a mani basse. Fatevene una ragione, accettate la verità.
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IL KARMA NELLE RELAZIONI
“Mai confondere una relazione basata sulle dinamiche psicologiche con una relazione basata sull'amore e sulla condivisione.
Condividendo, il proprio amore lo si amplifica, perché ciò che senti è roba tua; ciò che provi, viene da te, non dall'altro.”
Questo so che interessa a molte persone:
Come si distinguono le relazioni karmiche dalle altre relazioni?
Se devo spiegarlo da un punto di vista oggettivo, la verità è che tutte le persone con cui entri in contatto (che non sia un semplice incrocio di sguardi per strada ovviamente), ma con tutte le persone con cui hai a che fare o interagisci, conservano del karma.
Perché, da un punto di vista che spiegano i maestri, il caso non esiste.
Tu non incontrerai mai quella persona in Cina, in Giappone, in America se non avete instaurato una connessione karmica precedente.
Questo significa che alle volte puoi incontrare persone, magari anche solo per una serata e non vedervi mai più, ma neanche quello sarà frutto del caso:
vi siete incontrati con persone con cui hai già avuto un contatto.
Ecco, lì si parla di karma neutro o karma piacevole, dove non c’è un gran positivo ma neanche negativo.
Ma essenzialmente non esiste un incontro che non sia karmico, in un modo o nell’altro.
In gergo, più che altro, per karmico intendiamo karmico negativo, karmico pesante, ma non dimentichiamo che c’è anche il karma positivo, e che quindi esistono relazioni dove si è fatto un percorso di vita, di amore, di condivisione, anche di crescita assieme, per cui prima o poi ci si rincontra, non per forza come amanti, alle volte, (spiegano i maestri, ma ho anche avuto modo di verificare attraverso varie metodologie), anche come figli, genitori, parenti e amicizie in cui eravamo in altri tipi di legami.
Quello che conta è che ci si rincontra per continuare il nostro percorso.
Una volta eri uomo, una volta eri donna, una volta eri figlio, una volta eri padre, una volta eri amico, una volta amante, non ha importanza.
Quello che conta è che ci si rincontra nella nostra grande famiglia spirituale, quello che accennavo nell’ultima lezione.
Ciò che crea più sofferenza invece sono le relazioni karmiche negative, quelle sono più urgenti da sciogliere.
Ed esistono tantissime relazioni di karma da trasformare.
Il che vuol dire che abbiamo dei debiti karmici.
Cosa significa debito karmico?
Significa che dentro di noi c’è una parte di memoria in cui è rimasto bloccato qualche cosa che non abbiamo risolto, chiarito e che è rimasto lì.
Facendo un esempio molto pratico, ipotizziamo che al momento di lasciare il corpo io lo lasci pieno di rabbia, risentimento verso una persona.
Una delle leggi karmiche (simili alle leggi dell’entropia) non accetta che ci siano troppi pieni e troppi vuoti a livello energetico, cioè il karma vuole che tu riporti il tuo sistema energetico in perfetto equilibrio, per una sorta di legge dell’entropia karmica.
Il karma è molto simile alle leggi della chimica e della fisica, non accetta grossi pieni e grossi vuoti, vuole un equilibrio naturale – dinamico ma pur sempre equilibrio. Ci deve essere movimento, ma non squilibrio.
Quindi, se io mi porto dietro una grande rabbia, un grande risentimento, succede che attirerò un partner che mi tirerà fuori proprio queste caratteristiche, perché sono dentro di me, ben nascoste, molto in profondità, ma ci sono.
Questo lo vedremo meglio dopo, ma per avere un assaggio, devi sapere che non possiedi solo la memoria a breve termine e quella a lungo termine, hai anche una memoria molto molto più profonda, chiamata memoria esserica o memoria karmica.
Qui conservi un magazzino di memoria karmica dove ci sono tutte le cose rimaste in sospeso da sciogliere, che prima o poi, in qualche corpo-vita dovrai affrontare.
Quindi noi incontriamo persone, in parte per continuare un percorso, in parte perché dobbiamo sciogliere dei nodi, rivivere delle situazioni già vissute, con le solite dinamiche che portano sofferenza.
Ecco perché abbiamo parlato precedentemente delle cinque ferite karmiche, per studiarle ma anche perché sono connesse poi ad altre ferite e ad altre ancora.
Ma non ci interessa tanto far raccolta di ferite, quanto capire i meccanismi e come lavorarci sopra, ovviamente.
Stiamo tutti recitando il nostro ruolo karmico
Ora voglio illustrarti un po’ cosa avviene quando il karma si intromette nelle relazioni o nelle semplici interazioni che hai con le persone.
Qualsiasi persona: Tuo marito, tua moglie, tua madre, tuo figlio, il carabiniere che ti ferma per strada, il tuo collega al lavoro, il tuo superiore al lavoro, il tuo migliore amico, l’uomo che hai appena conosciuto al bar…
Apriamo il sipario.
Perché non ti accorgi, ma nella vita insceniamo continuamente atti teatrali.
“Teatro? Io non recito, io sono me stesso!”
Vero?
Sbagliato.
Noi recitiamo eccome.
Siamo attori-marionette, mossi dai fili invisibili del karma.
Cioè da tutto il materiale inconscio al nostro interno.
E ogni relazione non diventa più un piacevole scambio, una condivisione spinta dalla spontaneità del cuore, ma una dinamica.
Un gioco di potere, in cui ognuno ha un ruolo da interpretare e cerca di rispettare il suo copione per ottenere qualcosa dall’altro.
Inconsapevoli del proprio potere personale interiore, le persone cercano di conquistarlo al di fuori di loro. Con la manipolazione e la forza. A volte dirette e ben visibili, a volte più nascoste e subdole.
E noi non abbiamo alcun tipo di controllo su questi giochi di ruolo.
È il karma che ci fa recitare in modo automatico questi personaggi.
Personaggi che alterniamo in base alle situazioni e alle persone che abbiamo di fronte.
Tengo a precisare che il gioco dei ruoli richiede almeno due persone.
Di solito con una tematica in comune.
Proviamo a scoprirne qualcuno. Vedi se hai mai avuto a che fare con questi personaggi o se li hai interpretati tu stesso…
Il dominatore e la vittima.
Questi sono i classici ruoli in cui uno si abbassa e uno si alza. Li abbiamo ben descritti nella ferita del carnefice e della vittima. E qui abbiamo un uso completamente sbagliato del terzo chakra. Il chakra del nostro potere personale.
Il giudice.
Cosa fa un giudice? Semplice, lui sputa sentenze. Questo personaggio tenta di darsi un tono e controllare tutti grazie alla sua arma preferita: il giudizio. Invece di costruirsi una vita felice e soddisfacente per se stesso, si dedica a svalutare quella degli altri. “Se abbasso gli altri, io sarò sempre più alto ai loro occhi.”
Il colpevole.
Il colpevole si nutre di pane e senso di colpa. Un po’ perché si sente sbagliato davvero, un po’ perché così può suscitare qualche forma di pietà da parte degli altri. E chi si sente sempre sbagliato e in colpa, troverà sempre qualcuno che continuerà a sminuirlo e a punirlo. A volte lui stesso, a volte un bel giudice magari…
Il manipolatore.
Il manipolatore non ha il coraggio di esporsi e tenta di ottenere quello che vuole con mezzi indiretti. Mezzi più subdoli.
Spesso facendo passare l’altra persona per il carnefice. Non conosce altri modi. Questa persona ha un grave problema a esporre i suoi bisogni.
Il malato.
Altro stratagemma per avere potere o attenzione sugli altri passando per vittima.
Mi viene in mente l’esempio di alcune mamme che appena il figlio tentava di andare via di casa si ammalavano di colpo. Spesso qui c’è una somatizzazione, di solito dell’ansia.
Il mendicante.
Colui che elemosina e pretende attenzioni, affetto e sostegno. Anche se sa che non è carino, non riesce a farne a meno. “Mi ami? Vado bene?”. Lo fa anche in maniera più abusiva, attaccando e tormentando l’altro “Non mi porti mai lì, non mi chiami mai, non fai mai questo e quello”... Sempre forme di elemosina perché hanno grandi buchi d’amore che non sanno come zittire.
Il dipendente.
Il dipendente si appoggia. Non vive bene senza l’altro o senza quello che l’altro gli dà. Non sa stare in piedi sulle sue gambe, non si ama e non si conosce. E spera che l’altro non cada o cadrà anche lui di conseguenza.
L’anti-dipendente.
L’opposto della medaglia. Colui che non ha bisogno mai di niente e di nessuno. Fa tutto da solo, sta bene da solo, le emozioni sono solo debolezze. Questa persona, in realtà, ha più bisogno d’amore degli altri. Indossa un’armatura e non capisce che la vita è uno scambio, che l’amore e l’intimità sono importanti. È fondamentale diventare inter-dipendenti, non chiudersi pur di non dipendere da nessuno.
Il non meritevole.
Si autosabota, si autopuinsce proprio perché in fondo è sicuro di non meritare felicità e amore. È condizionato dal senso del dovere. Arriva a strafare e va oltre i suoi limiti, per dimostrare di essersi meritato anche lui qualcosa dopotutto.
Il salvatore, il guru, il prete.
Colui che vuole salvare tutti. Colui che spesso lo fa controllando le persone. Si crede il detentore della verità assoluta. Pensa di fare del bene e di essere d’aiuto agli altri con il suo controllo, ma non è altro che uno stratagemma per avere potere e influenza su tutti, spacciandosi per buono.
L’altruista, il soccorritore.
Questo è il classico ruolo di crocerossina. Mi viene in mente la classica donna che di solito attira a sé sempre uomini con problemi seri, come l’alcool, la droga ecc.. O l’uomo che attira sempre donne drammatiche, depresse e in crisi. Qui a volte non c’è sempre una ricerca di un potere subdolo, ma più di un sentirsi utili e necessari, così da garantirsi attenzione e sostegno reciproco.
Il buffone, lo sciocco del villaggio.
L’hanno etichettato da piccolo così e non avendo altri modi per essere visto o accettato, non riuscendo a farsi riconoscere in positivo, accetta di farsi riconoscere in negativo. E qui c’è una persona che vorrebbe appunto farsi accettare per quella che è e fa quello che sembra aver funzionato: sminuirsi e umiliarsi.
“Con me si divertono, mi vedono. Meglio che niente”.
Il martire.
Colui che si sacrifica per gli altri per poi segnare sul suo taccuino chi gli deve un favore di ritorno. ”Ho fatto tanto per te, quindi ora tocca te, me lo devi…”
Anche questo è un atteggiamento da abusatore che tenta di farsi passare per vittima. Più dai dal cuore , meno ti importa cosa ricevi in cambio. Ti senti libero e di solito ti ritorna il doppio.
Chi dà per ricevere, chi dà e si lamenta perché non riceve, sta comprando l’affetto di qualcuno. Ha ancora un buco d’amore da colmare.
Il rinunciatario.
Il classico “vorrei ma non posso”. Questa persona ha sempre una scusa a ogni soluzione che trovi. Nega continuamente l’evidenza. “Si tu hai ragione, sì è vero, ma…” Qui c’è tanta confusione mentale. Ci si è radicati talmente tanto nelle proprie convinzioni e fissazioni mentali che la persona boicotta se stesso e ogni tua risposta, con la scusa del “e se invece fosse così?”. Nemmeno si dà il tempo di vedere cosa gli stai dicendo. Non vuole cambiare perché ne ha paura. L’ignoto lo terrorizza.
Il vagabondo.
È quello che salta da una parte all’altra e non si ferma mai. Fa un corso, poi ne fa un altro, poi un altro ancora. Continua a cambiare e non va mai fino in fondo. Non conclude mai nulla. Non riesce a costruire niente. E questo perché ha paura di entrare in profondità.
Il fanatico, il rigido.
Quello che va avanti per dogmi e regole. Ha ragione solo lui e gli altri non capiscono niente. Anche qui si cerca di darsi un tono in qualche modo, con le proprie conoscenze o la propria moralità. E allo stesso tempo ci si nasconde dietro a tutti questi preconcetti, sempre per paura di cambiare.
Il caotico.
Lui ovunque va crea confusione. Crea confusione nei rapporti, la crea nel lavoro ed è convinto di avere tutto sotto controllo. “Io sono chiaro e preciso.”
“E allora perché è tutto un caos qui?”
“Ovviamente sono i miei colleghi che non sanno fare il loro lavoro. Anzi hai ragione li ho già cambiati 3 volte in questo trimestre, ma evidentemente non ho ancora trovato quelli giusti”.
Il padre/la madre di tutti.
Sono diversi dal guru, perché non si ergono sopra tutti, non siedono sul trono. Semplicemente interferiscono nella vita degli altri.
Pensano di avere più esperienza e dicono agli altri come devono vivere. Hanno la mania di consigliare, gli altri sono tutti bambini per loro. “Non capisco perché non vengono mai a trovarmi, io li voglio solo aiutare”.
È un atto d’amore programmare la vita di tutti…
Ce ne sono moltissimi, ma questi sono i più frequenti.
Attenzione perché non sono dinamiche psicologiche, ma psichiche.
Cioè hanno a che fare con l’energia di un individuo. Avvengono a livello profondo, inconscio, come meccanismo di difesa al risveglio.
Sono ruoli che ci lasciano automatici, nel sonno, altamente reattivi, inconsapevoli e pericolosi e ovviamente creano sofferenza.
Il bello è che noi non ci accorgiamo di nulla. Assolutamente nulla.
Siamo subito pronti a dare la colpa agli altri per come ci trattano e per le loro mancanze nei nostri confronti e non osserviamo mai come ci siamo posti noi.
Non vediamo che abbiamo semplicemente messo in atto una bella scenetta teatrale che ormai conosciamo a menadito.
Rileggendo questi ruoli ti è capitato di ritrovarti in uno di loro?
Ti sei rivisto?
Hai rivisto altre persone che interpretano questi personaggi?
Bisogna essere onesti e non nascondersi. E nemmeno sentirsi in colpa e giudicarsi. Altrimenti si riconferma che siamo di nuovo nei panni di uno di quei personaggi che non conoscono amore e gioia.
Accettare con amore, perdonarsi, sono passi fondamentali del risveglio per una buona vita.
Per sganciarsi da questi ruoli è necessario liberarsi dentro.
E anche se l’altro tenta di riportarti lì, tu non ci caschi più; la tua anima è troppo forte, molto più forte del karma.
ROBERTO POTOCNIAK
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IL POTERE DI FARE
Vi siete mai chiesti perché ci sono persone che riescono in tutto, ovunque mettano le mani, e persone che sono sempre bloccate in ogni loro iniziativa?
Non è una questione di intelligenza e nemmeno di consapevolezza, ma solo una questione di karma.
Il potere di fare e di attrarre le cose viene spiegato della medicina tibetana.
Esistono cinque energie fondamentali strettamente legate al nostro karma: l’energia vitale, che è legata alla salute fisica e che dipende da come abbiamo trattato il nostro corpo nelle precedenti incarnazioni; l’energia psichica, a cui è legata la forza della mente e delle psiche, che dipende da come abbiamo usato la mente e le emozioni nei confronti degli altri e di noi stessi; l’energia della fortuna, e cioè la capacità di attrarre quello che ci serve, collegata al modo in cui abbiamo saputo aiutare gli altri, e in fine l’energia del potere, cioè la capacità di mettere in moto le cose, un’energia che dipende da quanto abbiamo saputo mettere in moto processi evolutivi nelle vite altrui.
La buona notizia è che anche se scarseggiamo di alcune di queste energie karmiche alla nascita, possono essere caricate durante la nostra vita mediante le nostre azioni, esattamente come una carta di credito.
Quindi più aiuteremo gli altri, più aiuteremo noi stessi. Più metteremo in moto processi virtuosi nella realtà, più questi processi ci verranno restituiti.
È una legge dell’universo e non può essere elusa.
Ovviamente però il gioco non funziona se facciamo del bene a qualcuno con l’intenzione di ricevere il premio, perché essa risulterebbe comunque un’azione egoistica e non altruistica: quando si parla di Spirito, non è tanto l’azione, quanto l’intenzione che conta.
DAL VOLERE AL POTERE. HAI MAI TIRATO CON L’ARCO?
Quando iniziai con i miei primi gruppi di meditazione - allora eravamo tutti tra amici - le prime difficoltà che incontrai furono quelle legate all’organizzazione.
Dovevamo trovare un giorno che andasse bene per tutti e questo, regolarmente, si rivelava un impedimento.
A quel punto, decisi di tagliare la testa al toro e fissai il giorno io. Decretai che il mercoledì sarebbe stato il giorno dedicato alla meditazione. Pensai che probabilmente mi sarei ritrovato da solo, ma decisi comunque di procedere in questo modo. Il mercoledì successivo non mancava nessuno all’appello. Tutti erano riusciti a venire, senza particolari problemi.
Negli anni a venire mi capitò più volte di dover organizzare qualcosa e capii quanto fosse importante fissare una data, prenotare una sala o una stanza d’albergo con larghissimo anticipo per direzionare l’energia in quel punto e permettere all’universo di fare altrettanto.
Questo perché siamo ogni giorno immersi in un oceano infinito di variabili e navighiamo nell’energia caotica che ci trasporta di corrente in corrente, senza mai essere direzionata.
Fissare un punto nello spazio-tempo, significa prenotare il posto di cui abbiamo bisogno ed è così per qualsiasi obiettivo ci poniamo, anche quando si parla di grandi obiettivi e non solo di questioni organizzative.
Per raggiungere qualsiasi obiettivo nella vita sono necessari una grande centratura abbinata alla direzione. È esattamente come accade nello sport del tiro con l’arco.
Devi posizionarti nel modo corretto, essere centrato e in perfetto equilibrio, non oscillare.
E poi, guardare il bersaglio. Il bersaglio è là e dal momento in cui scocchi la freccia il tuo intento deve essere tutto lì, la tua energia deve essere tutta nel tiro.
Detto questo, ci sono infinite variabili che dividono te dal tuo obiettivo. Ma se manterrai fermo l’intento e lascerai fare il resto all’universo, avrai una buona possibilità di colpirlo.
Diverso è quando siamo troppo concentrati sul bersaglio, in questo caso, perdiamo la centratura, proprio perché siamo troppo proiettati nel futuro e ci perdiamo il momento presente. L’obiettivo, in un qualche modo riesce a distoglierci da noi stessi e non siamo più in grado di mantenerci stabili.
Il segreto del tiro con l’arco, come quello della capacità di centrare i nostri obiettivi della vita, è quello che ritroviamo nell’insegnamento dello Zen, nel paradosso in cui io cerco di raggiungere qualcosa, ma senza cercare di raggiungerlo.
Nel libro di Eugen Herringel “Lo zen e il tiro con l’arco” si parla proprio di questo. Un’azione, quella dello scoccare la freccia, che quando si compie non è mai qualcosa di totalmente individuale, ma che fa sua una compartecipazione dell’universo intero, e che pertanto ci fa dire, a bersaglio colpito, non “ho tirato”, ma “si è tirato”.
Detto questo, come si fa ad avere una buona centratura e un intento fermo e stabile come un buon arciere? Innanzitutto dobbiamo non essere troppo frammentati per focalizzare l’energia in quel punto e non disperderla nelle azioni multiple dei nostri Io. In secondo luogo, dobbiamo lavorare sui nodi energetici che ci mantengono bloccati in una certa situazione.
Se infatti paragoniamo la vita ad una corda percorsa da cinque o sei nodi, vediamo subito come il percorso che ci è possibile compiere scorrendo con le dita la corda, è unicamente quello che va da un nodo all’altro.
Ogni volta che arriviamo a un nodo, torneremo indietro e ripercorreremo sempre lo stesso sentiero. In questo si trova la causa della ripetitività della vita, il motivo per cui ci accadono sempre le stesse cose, quella condizione che Nietzche definiva come “l’eterno ritorno dell’uguale”.
Ma sappiamo anche che lavorando sui nodi dal punto di vista energetico e bypassando la dimensione materiale, possiamo riuscire a scioglierli e a passare oltre, percorrendo un altro tratto di corda, che non avevamo potuto percorrere fino ad allora. In quel tratto di corda ci sono nuove possibilità e nuovi futuri possibili.
Cose che pensavamo che non avremmo mai potuto raggiungere.
Ci sono nuovi bersagli e nuovi obiettivi, archi più sofisticati e frecce più performanti, perché ora abbiamo fatto un salto, quello che probabilmente non eravamo riusciti a compiere in moltissime vite.
WAKE UP è il Percorso di Crescita Personale e Relazionale.
Info scrivi a [email protected]
ROBERTO POTOCNIAK
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“Non c'è niente di strano o misterioso nell'idea che la tua immagine mentale diventi una realtà fisica. È il funzionamento della Legge Universale. Genevieve Behrend art by Aeppol ********************* “There is nothing strange or mysterious about the idea of your mental image becoming a physical reality. It is the operation of the Universal Law. Genevieve Behrend art by Aeppol
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KANT
di Sebastiano Maffettone
Domani, 22 aprile, Immanuel Kant compie 300 anni (1724-2024). Ho usato il tempo presente non a caso. Perché, che lo si sappia o no, Kant vive ancora in mezzo a noi. Meglio, le sue idee e le sue teorie sono parte integrante del nostro patrimonio intellettuale. Lo si vede chiaramente dalla nostra comune ideologia, dalle più rilevanti ipotesi filosofiche che hanno popolato il secolo ventesimo e l’inizio del nostro, e in sostanza dal nostro modo di pensare nel suo complesso. Non è facile argomentare decentemente una tesi come questa. Certo, si può dire che Kant era un genio assoluto, si può sostenere che ha messo insieme profonde intuizioni sul suo tempo con una tecnicalità filosofica perfettamente compiuta, oppure ancora che egli ha incarnato come nessuno lo spirito della modernità di cui siamo ancora – volenti o nolenti – figli riluttanti. Tutto vero, beninteso.
Ma, non appena si cerca di sostenere qualcosa di simile alla luce dei suoi scritti, interpretazioni generali come questa mostrano la corda. E per varie ragioni. La prima è banale e ineliminabile: leggere Kant è complicato, quasi impossibile senza una guida. Non puoi, intendo, prendere i suoi testi più importanti e, pur armato di buona volontà, sperare da solo di capire ciò che il filosofo sostiene. Innanzitutto, perché il nostro tratta problema estremamente astratti e complessi, del tipo di come sia possibile la conoscenza e che cosa vuol dire essere liberi. In secondo luogo, perché Kant non aveva il dono di una scrittura persuasiva e gradevole, come per esempio lo sono quella di Rousseau e quella di Hume. Certo, la sua prosa è ardua perché, come detto, si arrampica su cime abissali, ma è difficile negare che l’autore ci metta del suo. Il tedesco di Kant è indubbiamente ostico, come del resto i suoi primi lettori non esitarono ad affermare.
Kant, diciamo la verità, era un tipo strano. Metodico fino all’esasperazione e prussiano nell’animo, così lontano non solo dalla mia immaginazione mediterranea ma anche dalle esperienze di vita degli altri filosofi della modernità. Cartesio, Hobbes, Spinoza, Locke e compagnia avevano avuto vite movimentate, ed erano stati costretti all’esilio per ragioni diciamo così ideologiche. Kant, invece, come molti sanno, non si era mai mosso dalla sua Königsberg, ai suoi tempi cittadina mercantile fiorente nella Prussia Orientale ora – con il nome sovietico di Kaliningrad (sic!) – centro di un exclave russo sul Baltico che rischia di essere un pericoloso corridoio bellico nel prossimo futuro. La sua vita era scandita da ritmi sempre uguali. Lo svegliava il fedele servitore Lampe prima delle 5, poi studiava e preparava le lezioni che avrebbe tenuto all’Università Albertina di Königsberg, dopo di che consumava l’unico pasto del giorno (talvolta in compagnia), e nel tardo pomeriggio faceva la famosa passeggiata quotidiana rigorosamente in solitario (quella su cui si dice i locali regolassero l’orologio). Al ritorno, leggeva fino a quando arrivava l’ora di andare a dormire. Era genericamente stimato dai suoi concittadini anche se la sua carriera accademica era stata lenta e faticosa, ed era finito a 80 anni nel 1804 dopo una vecchiaia fertile di studi e pubblicazioni.
Se si dovesse scegliere una frase tra le tante che Kant ha lasciato impresse nella nostra memoria, direi di partire da quella che ci invita a prendere in considerazione due fondamentali universi quello del «cielo stellato sopra di noi» e quello della «legge morale dentro di noi». Dal complesso rapporto tra di loro, discende il nucleo dell’opus kantiano. Quest’ultimo è senza dubbio costituito in primo luogo dalle tre Critiche, Critica della ragion pura (1781, seconda edizione rivista 1787), Critica della ragion pratica (1788), Critica del Giudizio (1790). Ciò, anche se Kant era un genio poliedrico, in grado di esprimersi ad alti livelli su temi di fisica, matematica, diritto, astronomia, antropologia, geografia, teologia e via di seguito. E anche se –oltre alle Critiche – Kant ha scritto molti altri lavori di enorme importanza filosofica, tra cui quelli dedicati alla politica e alla religione.
Nelle sue opere, emerge – come mai altrove – lo spirito dell’Illuminismo, con la sua fede nel progresso e la fiducia nella scienza (a cominciare dalla fisica di Newton), ma col passare del tempo anche la pacata consapevolezza dei suoi limiti e un’apertura al clima culturale che sarebbe seguito. Se, in tutto ciò, un concetto dovesse farci da guida direi che è quello di «autonomia». L’autonomia kantiana riguarda sia la conoscenza teoretica che la vita pratica ed è il vero faro che illumina il percorso della modernità.
Nella Critica della ragion pura si trova l’essenziale della filosofia teoretica di Kant, che riguarda il mondo come è. Nella Critica della ragion pratica – ma anche nella tarda Metafisica della morale (1797) - il nucleo della filosofia pratica di Kant che riguarda il mondo come dovrebbe essere. In entrambi i casi, sia pure in maniera diversa, il soggetto dà leggi a sé stesso, cosa che poi corrisponde al concetto di autonomia di cui si diceva. Nella Ragion pura il nucleo del ragionamento kantiano coincide con la cosiddetta «rivoluzione copernicana», che fornisce la riposta alla fondamentale domanda sul come possiamo conoscere a priori la struttura del mondo sensibile. La risposta suggerisce che il mondo sensibile, o mondo delle apparenze, è in fin dei conti costruito dalla mente umana tramite una complessa interazione di materia che riceviamo dall’esterno e di forme apriori che derivano dalle nostre capacità cognitive innate. Si tratta di una nuova visione costruttivista dell’esperienza, che costituisce davvero una rivoluzione nel campo del pensiero (come quella di Copernico a suo tempo). Lo strumento analitico principale in questo tour de force è costituito dall’idealismo trascendentale, che all’osso è la dottrina secondo cui noi facciamo esperienza solo delle apparenze attraverso le forme a priori di spazio e tempo, mentre le cose in sé restano inconoscibili. In questo modo, Kant toglieva certamente autorità alla metafisica, ma – come ebbe a dire lui che aveva avuto una profonda educazione religiosa ispirata al pietismo – lasciava al tempo stesso più spazio alla fede.
Se la filosofia teoretica di Kant concepisce l’autonomia come capacità squisitamente umana di fornire l’apparato a priori che consente l’esperienza, la stessa autonomia gioca un ruolo ancora più centrale nella filosofia morale di Kant. La legge morale è – come ci hanno raccontato a scuola – basata sull’imperativo categorico, ed è fondata sul lavoro della ragione là dove la conoscenza poggia sull’intelletto. Anche qui, sullo sfondo c’è l’idealismo trascendentale, ma in questo caso non ci accontentiamo delle apparenze ma entriamo nell’ambito delle cose in sé. Se non altro perché la natura è altro da noi, mentre la moralità è squisitamente umana. La ragion pratica così concepita aiuta a comprendere la fondamentale libertà che abbiamo avuto in sorte. Naturalmente, di ciò non possiamo avere una pura consapevolezza teoretica, ma dobbiamo partire da un profondo sentire che consente a ognuno di noi di avvertire la legge morale, secondo la dottrina detta del «fatto della ragione».
A questo punto, il disegno complessivo della critica sembra essere inevitabilmente condannato a un dualismo, che non può che stridere con la mentalità sistematica di Kant. Da un lato c’è il determinismo della natura, dall’altro la libertà dell’essere umano. Scopo della Critica del Giudizio, è proprio il tentativo di superare questo dualismo tra teoria della conoscenza e il dominio della pratica. L’unità del progetto viene raggiunta, in quest’opera, introducendo una terza opzione cognitiva, che fa capo alla capacità riflessiva del giudizio. Tramite tale capacità noi concepiamo la natura nel suo complesso come dotata di scopo. Il giudizio estetico, la scoperta cioè del bello e del sublime nell’arte e nella natura, rivela un’armonia ultima tra il gioco dell’immaginazione e il creato. Consentendo, così, di pensare la natura come frutto di un disegno intelligente e come coerente con i nostri scopi. Soprattutto, sono gli organismi viventi che suggeriscono una finalità intrinseca all’esistenza e alla realtà.
Tutto ciò, oltre a essere complicato per chi non sa e semplicistico per chi sa, ha l’ovvio difetto di apparire scolastico. Kant può risultare, letto in questo modo, come un continuatore particolarmente sofisticato del razionalismo illuministico dei Leibniz e dei Wolff, capace di temperarlo con il lascito dell’empirismo britannico di Locke e Hume. Per capire che non è così, basta guardare alla differenza tra la filosofia che lo precede e quella che lo segue, a cominciare da Hegel e Marx. Per non parlare dell’eredità enorme lasciata da Kant nella filosofia del secolo ventesimo, un secolo in cui tutte le grandi scuole di pensiero – dalla fenomenologia all’esistenzialismo e al positivismo logico – sono in fin dei conti derive dell’opus kantiano. Ma non basta, perché la filosofia del linguaggio dopo Wittgenstein, la filosofia sociale e politica di Habermas e Rawls e la riflessione sul postmoderno non sarebbero neppure immaginabili senza partire dalla rivoluzione del pensiero apportata dal genio di Königsberg.
Dirò di più, credo sia impossibile per noi eredi del progetto incompleto della modernità trovare il bandolo delle nostre idee senza tornare a Kant. Con il compito, direi ovvio, di doverci confrontare con un mondo sociale mutato in cui certi passaggi razzisti, sessisti e classisti di Kant che pure ci sono, non hanno (o non dovrebbero avere?) più cittadinanza. E con una realtà ontologicamente trasformata dalla condizione digitale in cui siamo immersi, dalle guerre (da rileggere ora il saggio kantiano del 1795 su La pace perpetua) e con un pianeta in cui l’Occidente, di cui il nostro era chiara espressione, non rappresenta più l’avanguardia della civiltà. Ma anche per questo compito futuro il lascito di Kant resta fondamentale, un punto di partenza filosofico senza il quale sarebbe impossibile capire il nostro essere nel mondo.
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Newton, Popper, la Scienza e i vaccini.
Per 20 anni ho insegnato Fisica prima di passare a un ruolo dirigenziale.
Provo a ritornare umilmente in cattedra perché non sopporto più che si faccia impunemente strame della Scienza per ragioni ideologiche.
Premessa
NEWTON
Tutti conoscono, almeno per sentito dire, la Legge di Gravitazione Universale di Newton.
In sintesi "tutte i corpi si attraggono in proporzione alle loro masse e in proporzione inversa al quadrato della loro distanza".
Matematicamente la Forza di attrazione è pari a:
(*) F= G M1xM2/(R^2)
G, costante di Gravitazione Universale
M1 e M2 le masse dei due corpi
R, la distanza tra i centri dei due corpi.
Questa legge, come tutte le leggi scientifiche, è valida fino a prova contraria.
FALSIFICAZIONISMO POPPERIANO
Affinché una teoria possa dichiararsi "scientifica" è necessario che sia sempre possibile sottoporla a prove sperimentali 'cruciali' che potrebbero "falsificarla" (NON "verificarla").
Per capirci, prendiamo il caso della Forza di Gravità, La legge di Newton può essere sottoposta a controllo sperimentandola, ad esempio, considerando il corpo M1 come la terra, e il corpo M2 come una qualsiasi massa disponibile,
In questo caso la forza di gravità corrisponde al peso di M2.
Se succedesse di trovare un corpo M2 che non è attratto dalla terra (M1) con la forza calcolata secondo la formula (*), avrei falsificato la legge di gravità. A quel punto l'ipotesi di Newton cadrebbe miseramente.
Al momento, questo non è ancora successo.
PUNTO FONDAMENTALE
Ogni esperimento che non falsifica una legge, si dice che la 'corrobora', non che la 'verifica'. La verità di una legge scientifica è sempre "provvisoria". C'è sempre il rischio che una prova empirica la possa falsificare facendola cadere.
APPLICAZIONE DEL METODO SCIENTIFICO AI VACCINI
Sottoponiamo ora ai Vaccini il metodo scientifico discusso in precedenza.
Prendiamo l'ipotesi 1:
"Il vaccino immunizza dall'infezione COVID"
DOMANDA 1: E' una ipotesi scientifica?
La risposta è SI' perché si può sottoporre a controllo empirico.
Domanda 2: Esistono dati empirici che la falsificano?
Si, perché sappiamo per certo che molti vaccinati si contagiano, anche dopo più dosi.
1a Conclusione:
L'ipotesi "Il vaccino immunizza da dall'infezione COVID" è una ipotesi scientificamente accettabile ma è FALSA.
Ipotesi 2:
"Il vaccino salva dalla malattia grave"
E' un ipotesi scientificamente accettabile?
Sì perché ci sono dati empirici per controllarla
Prendiamo il caso gravità estrema, la morte.
Esistono casi di persone vaccinate che sono morte?
Purtroppo sì!
Perciò
l'ipotesi 2 "il vaccino salva dalla malattia grave"
è un'ipotesi scientificamente accettabile ma FALSA
Ipotesi 3
"Il vaccino non ha controindicazioni gravi".
L'ipotesi è scientificamente accettabile?
Sì perché abbiamo evidenze empiriche documentate degli effetti.
L'ipotesi "Il vaccino non ha controindicazioni gravi"
è empiricamente falsificata perciò è FALSA.
SINTESI FINALE
Per quanto detto sopra, le ipotesi sono scientificamente valide ma hanno questo esito:
Il Vaccino immunizza -- FALSO
Il Vaccino salva dalla malattia grave --FALSO
Il Vaccino non ha controindicazioni gravi--FALSO
Non c'è altro da aggiungere.
ADDENDUM
Qualcuno obietta che bisogna fare un ragionamento statistico. Cioè il vaccino fa cilecca solo poche volte e ancora meno è letale.
Quindi vaccinarsi è come una roulette russa con un proiettile carico e tanti a salve.
Se foste informati bene lo premereste il grilletto?
- Fortunato Nardelli
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Dell’ombra mi piace la sua capacità anti-intuitiva di sopravvivere anche al buio. È sufficiente che il buio
non sia assoluto, vuoto, e l’ombra rimane. Suppongo che le ombre moriranno solo alla fine dei tempi,
quando la luce avrà esaurito tutti i suoi scopi. Ma è una cosa difficile da immaginare e le cose
inimmaginabili fanno paura.
Mi piace pensare che, contro ogni legge della fisica, anche le cose intangibili abbiano un’ombra e mi piace ipotizzare le forme, di quelle ombre. Che ombra può avere un sentimento? La rabbia, per esempio, avrà un’ombra ferina, l’amore un’ombra ectoplasmatica. E gli addii, che ombra hanno? Voglio credere che sia un’ombra a forma di nontiscordardimé, o di cipresso. È tutto un grande gioco di ombre, insomma. E, come la sagoma dei morti di Hiroshima, spesso l’ombra rimane per tanto tempo, nei luoghi vissuti da chi l’ha generata, come a dire che il passato è tutto uno spettacolo di ombre cinesi sgorgato da mani che non sono più lì. E lo sforzo di seguire l’ombra, per arrivare alla mano che l’ha creata, è tra quelli più vani.Ogni vita passata è una storia di ombre. Alla fine, questa è la verità più grande che, mi sembra, un’ombra possa insegnarmi.
Stefano Marino
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Il momento più proficuo per le letture è il mattino: vicino alla colazione un buon libro ci sta sempre, soprattutto se ti alzi presto e hai tutto il tempo per muoverti con tranquillità. Il livello di concentrazione è più alto, la voglia di parlare quasi zero, il silenzio tutto intorno, quasi nessun movimento. Ancora più della notte, dove a leggere e a stare all'inpiedi sembra di violare chissà quale legge non scritta, il mattino è una riappropriazione del proprio tempo e della propria libertà di movimento, sia fisica che mentale.
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La vibrazione nella fisica quantistica significa che tutto è energia. Siamo esseri vibranti su certe frequenze. Ogni vibrazione è equivalente a un sentimento e nel mondo "Vibrazionale", ci sono solo due specie di vibrazioni, positive e negative. Ogni sensazione ti fa trasmettere una vibrazione positiva o negativa.
1° - * PENSIERI *
Ogni pensiero emette una frequenza nell'universo e questa frequenza torna all'origine, quindi nel caso, se hai pensieri negativi, scoraggiamento, tristezza, rabbia, paura, tutto questo ti ritorna. Ecco perché è così importante che ti prenda cura della qualità dei tuoi pensieri e impari a coltivare pensieri più positivi.
2° - * LE PERSONE *
Le persone intorno a te influenzano direttamente la tua frequenza di vibrazione. Se ti circondi di persone felici, positive e determinate, entrerai anche tu in questa vibrazione. Ora, se vi circondate di gente che si lamenta, pettegolezzi e pessimista, state attenti! Infatti, possono ridurre la tua frequenza e quindi impedirti di usare la legge di attrazione a tuo favore.
3° - * LA MUSICA *
La musica è molto potente. Se ascolti solo musica che parla di morte, tradimento, tristezza, abbandono, tutto questo interferirà con ciò che stai provando. Fate attenzione al testo della musica che ascoltate, potrebbe ridurre la frequenza di vibrazione. E ricorda: attrai esattamente ciò che senti nella tua vita.
4° - * LE COSE CHE GUARDI *
Quando guardi programmi che trattano disgrazie, morti, tradimenti, ecc. Il tuo cervello accetta questo come realtà e rilascia un'intera chimica nel tuo corpo, che influenza la tua frequenza di vibrazione. Guarda le cose che ti fanno sentire bene e ti aiutano a vibrare ad una frequenza più alta.
5° - * L’ATMOSFERA *
Che sia a casa o al lavoro, se passi molto tempo in un ambiente sporco e disordinato, influenzerà anche la tua frequenza di vibrazione. Migliora ciò che ti circonda, organizza e pulisci il tuo ambiente. Mostra all'universo che sei adatto a ricevere molto di più. Prenditi cura di quello che hai già!
6° - * LA PAROLA *
Se dichiari o parli male su cose e persone, influisce sulla frequenza delle vibrazioni. Per mantenere alta la frequenza, è fondamentale eliminare l'abitudine di lamentarsi e parlare male degli altri. Quindi evita drammi e bullismo. Assumiti la tua responsabilità per le scelte della tua vita!
7° - * LA GRATITUDINE *
La gratitudine influenza positivamente la frequenza delle vibrazioni. Questa è un vizio che dovresti integrare ora nella tua vita. Iniziate a ringraziare di tutto, per le cose belle e per quelle che ritenete brutte, grazie per tutte le esperienze vissute. La gratitudine apre la porta perché le cose belle accadano positivamente nella tua vita.
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“Quando eravamo noi ad emigrare”. La strumentalizzazione di un luogo comune per giustificare il racket dell’immigrazione
Quante volte abbiamo sentito lo slogan “quando eravamo noi ad emigrare” per giustificare il traffico di esseri umani nel Mediterraneo? Infinite volte tra un morto e l’altro sulle spiagge. Ma perché “quando eravamo noi ad emigrare” non morivamo sul bagnasciuga? Forse perché “quando eravamo noi ad emigrare” in cerca di lavoro oltreoceano non ci affidavamo a violenti criminali. Non pagavamo al Caronte di turno cifre esorbitanti per farci poi buttare a mare. Non viaggiavamo su imbarcazioni che a malapena galleggiavano. Non compivano improbabili traversate senza cibo, acqua e servizi igienici. Perché “quando eravamo noi ad emigrare” è uno slogan infame e criminale? Per cominciare: “quando eravamo noi ad emigrare” vi erano delle apposite leggi sull’emigrazione. Per chi volesse approfondirle: Legge 30 Dicembre 1888 n. 5866, Regio Decreto 10 Gennaio 1889 n. 5892, Regio Decreto 10 Luglio 1910 n. 375, Regio Decreto 13 Novembre 1919 n. 2205, RR. Decreti 28 Aprile, 18 Giugno e 23 Ottobre 1927 nn. 628, 1036 e 2146. O ancora la legge del 9 aprile 1931 n° 358.
Le emigrazioni erano regolate. Non si sbarcava di notte su uno spiaggia qualunque. L’Autorità preposta era la Direzione generale degli italiani all’estero facente parte del Ministero degli Affari Esteri con organi periferici come l’Ispettorato dell’emigrazione, istituiti dei porti di imbarco degli emigranti. Inoltre vi erano, nei principali centri di emigrazione, non improvvisati lager, funzionari e personale consolare. Regi Commissari, scelti tra gli ufficiali della Regia Marina, erano imbarcati a tutela degli emigranti, non aguzzini senza scrupoli. Quindi lo slogan “quando eravamo noi ad emigrare” va completato con: “vi erano delle leggi a nostra tutela”. Cosa che, sfortuna loro, oggi non hanno i disperati che attraversano il Mediterraneo: nessuna legge e nessun commissario a bordo. Inoltre nessuno poteva vendere biglietti d’imbarco senza possedere la patente di vettore di emigranti, cioè non era sufficiente essere uno spregiudicato trafficante di uomini. Tale patente veniva concessa solamente agli armatori che disponevano di piroscafi aventi le qualità prescritte dalla legge a tutela della sicurezza, dell’igiene e del buon ordine, non natanti in grado di percorre appena poche miglia prima di affondare. La patente era vincolata ad una cauzione per garanzia dell’adempimento degli obblighi del vettore, non imbarcazioni di ONG inadatte al trasporto di persone.
I vettori non potevano rilasciare biglietti d’imbarco ad emigranti italiani non forniti di passaporto e non potevano effettuare l’imbarco se non nei porti nei quali non fosse presente l’Ispettorato dell’emigrazione. I prezzi dei biglietti di terza classe dovevano essere approvati dal Governo ogni quattro mesi, il 1° Gennaio, il 1° Maggio e il 1° Settembre e pubblicati entro 15 giorni prima della loro applicazione. I vettori non potevano modificarli o percepire dagli emigranti compensi di qualunque genere per eventuali favoritismi. Quindi gli emigranti non si dovevano indebitare per viaggiare, fare collette nel loro paese di origine e lasciare in cauzione/riscatto la famiglia in balia di organizzazioni criminali. Lo Stato si faceva carico degli accertamenti di carattere sanitario e nella determinazione delle provvidenze igieniche relative agli emigranti, che comunque non potevano ottenere il passaporto senza presentare il certificato di un ufficiale sanitario che attestasse la loro sana costituzione fisica e l’immunità da malattie contagiose. Dunque insieme agli emigranti non vi erano portatori di malattie e nuove epidemie. Giunti al porto d’imbarco tutti gli emigranti dovevano passare una duplice visita medica e compiere obbligatoriamente una serie di pratiche igieniche e profilattiche: bagno, vaccinazione, disinfezione del bagaglio, ecc. Queste cautele servivano a ridurre al minimo la reiezione degli emigranti nei porti di arrivo per cause d’ordine sanitario che, oltre ad evitare danni agli interessati, costituiva un punto d’onore per l’organizzazione del servizio di emigrazione italiano. A bordo dei piroscafi venivano distribuiti gratuitamente dei manualetti relativi ai più comuni mestieri (falegname, muratore, cementista, scalpellino, ecc.) e per gli interessati vi erano anche dei brevi corsi pratici. Non vi erano quindi disperati in cerca di fortuna o di qualche reddito di cittadinanza.
Ai datori di lavoro che intendevano assumere gli emigranti occorreva avere ottenuto una speciale autorizzazione, alla quale doveva essere allegato il contratto di lavoro sottoscritto dalla persona per conto della quale si compiva l’assunzione. Il contratto doveva contenere l’obbligo per l’imprenditore di provvedere all’assicurazione contro gli infortuni secondo la legge italiana, anche se in paesi nei quali l’assicurazione non era obbligatoria. Non quindi lavoratori in nero schiavizzati a 3 Euro al giorno nelle piantagioni di pomodori. L’Ente preposto all’emigrazione poteva rifiutare o ritirare le patenti e le licenze per evitare l’afflusso di emigranti in luoghi dove non vi fossero condizioni eque e soddisfacenti o dove ripetutamente fossero state violate le leggi in materia di emigrazione. Non afflussi continuativi e incontrollati di uomini per i quali il paese di arrivo non ha nemmeno i posti letto per farli soggiornare prima di una “collocazione”. Non dimentichiamo nel 1933 l’intervento del senatore prof. Emanuele De Cillis, all’inaugurazione del IX Corso di coltura coloniale indetto dalla “Società africana d’Italia”: «Chi va in Colonia per cimentare la propria attività nella industria agraria, come in qualsiasi altra, deve essere provvisto di mezzi pecuniari adeguati: nulla è più pericoloso per un Governo seguire la politica diretta ad una colonizzazione di Stato, nulla è meno propizio per una fortuna economica dell’agricoltore che una mancanza di mezzi». Ecco quindi “quando eravamo noi ad emigrare” erano tutelati gli esseri umani, la loro vita, la loro dignità, il loro lavoro. Auguriamo quindi agli emigranti di oggi che presto sia per loro come fu “quando eravamo noi ad emigrare”.
-Alberto Alpozzi
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tanto per ricordare...
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Centrali nucleari in Italia? No, mai! A prescindere.
Nei mesi scorsi si è ricominciato a parlare di centrali nucleari nel nostro paese. Oggi l'argomento non è più proponibile perchè non è più attuale. Oggi il dibattito politico è monopolizzato dal conflitto tra Israele e Palestina e, quando i mezzi di formazione vogliono concedere ai propri lettori e/o telespettatori una pausa, c'è l'attualità della legge di bilancio e altri argomenti più immediati. Ma, appena possibile, di sicuro tornerà attuale e, come negli anni passati, il povero cittadino sarà bombardato da argomenti pro o contro. Un premio Nobel per la fisica (che ne sa poco o niente di economia) dichiarerà che le centrali nucleari sono sicure. Un altro premio Nobel della fisica (che ne sa poco o niente di economia) ci dirà che non esistono centrali nucleari sicure. Seguiranno fior di economisti (che ne sanno poco o niente di fisica) che dimostreranno quanto si utile per l'economia la costruzione di centrali nucleari e altri economisti (che ne sanno poco o niente di fisica) che dimostreranno che alla fine una centrale nucleare non è poi così vantaggiosa per l'economia. E così via. In tutto questo, il povero cittadino ha la possibilità di fare una scelta giusta e ponderata? Parrebbe di no, ma non è detto che sia così.
Confesso che anch'io sono più interessato all'attualità e che, in questi giorni, mi piaacerebbe scrivere, e sicuramente lo farò, del conflitto tra Israele e Palestina. Ma non prima di aver spiegato il mio metodo e i principi che seguo per formarmi un'idea su un tema. Per questo, i miei unici strumenti sono due enti che sono completamente assenti nel sistema di formazione che ci forma tutti i giorni: La Realtà e la Logica. Uso questi due strumnti che, per quello che mi riguarda, sono indispensabili e cercherò di dimostrarlo.
Di cosa ha bisogno una centrale nucleare per funzionare? Sostanzialmente di tre cose: un edificio che la contenga, delle apparecchiature che la facciano funzionare e dei tecnici che siano in grado di usare le apparecchiature. E allora vediamo se noi abbiamo queste capacità e/o possibilità.
Un edificio che la contenga.
Vivo in un paese dove i prenditori, durante il terremoto dell'Aquila, si compiacevano, in telefonate che sono state intercettate, pensando agli affari che avrebbero fatto. Altre intercettazioni ci dicono che, durante il terremoto di Amatrice, c'erano altri prenditori che si sfregavano le mani pensando agli affari e agli utili che ne avrebbero ricavato.
Vivo in un Paese nel quale crollano i ponti e fanno vittime civili perchè non si fa manutenzione che, inevitabilmente riduce gli utili.
Vivo in un Paese nel quale una scossa di terremoto non tanto potente fa crollare un edificio scolastico. Ma non tutto l'edificio. Crolla la parte nuova che era stata costruita da poco su un edificio scolastico preesistente. E così via.
Le apparecchiature.
Vivo in un Paese nel quale un cardiochirurgo importante, primario alle Molinette, viene condannato perchè impiantava nei suoi pazienti valvole che sapeva difettose. Condannato ad un anno o poco più di reclusione e al risarcimento dei danni, è oggi pressochè irreperibile e si gode la vita con i soldi che dovrebbe versare ai pazienti danneggiati e che non hanno ricevuto e mai riceveranno un centesimo. Si vendono e si continuano a fabbricare presidi medici (valvole cardiache, protesi ortopediche eccetera) che si sono rivelate difettose ma che si continuano ad usare.
I tecnici.
Oggi, per fortuna, questo non è più un problema. Abbiamo un "Ministero del Merito".
Oggi, il figlio del famoso divulgatore scientifico diventa divulgatore a sua volta. Il figlio del famoso giornlaio diventa giornalaio a sua volta e così via. Mi colpì, negli anni passati, una vicenda di per sè piccola nel mare di scandali e scandaletti nel quale siamo costretti a nuotare. Se ricordo bene, in Liguria. Un ricercatore aveva copiato pari pari una tesi di laurea e l'aveva presentata come sua. Quando un anonimo giornalaio scoprì la cosa ne seguì il solito can can e la Direzione di quella struttura rispose candidamente che il loro era un ente privato e che, di conseguenza, non erano obbligati a prendere provvedimenti. E il ricercatore rimase al suo posto.
Terminato l'esame della realtà passo alla logica e mi pongo una domanda: "Data questa reltà cosa devo decidere? Posso affidare la mia vita e la vita delle persone che mi sono care a queste persone? A questi prenditori? A questi tecnici?". C'è una sola risposta che la logica mi consente: No.
Ecco perchè nel mio Paese non voglio centrali nucleari. Nè oggi, nè domani. A prescindere da qualsiasi altra considerazione.
twitter @Maledettalogica
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