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scienza-magia · 3 months
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Non esistenza tra materia oscura e gravità quantistica
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Nuova teoria post-quantistica della gravità rigetta l’esistenza della materia oscura. Da anni gli scienziati cercano di conciliare la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica in una teoria unificata, la gravità quantistica, nella speranza di individuare un unico formalismo matematico capace di spiegare i fenomeni fisici sia su larga che su piccola scala. L’insuccesso degli innumerevoli tentativi finora effettuati ha indotto il fisico inglese Jonathan Oppenheim a domandarsi se quantizzare la gravità sia realmente la mossa giusta: perché, al contrario, non concentrarsi soltanto sulla gravità, modificando la relatività generale? Da qui la proposta di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che sembra escludere l’esistenza della materia oscura.
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È stata annunciata la nascita di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che tratta quest’ultima in modo classico preservando però gli effetti quantistici (come i pattern a cerchi concentrici generati dal fenomeno dell’interferenza in alcuni esperimenti). Crediti: Isaac Young. Le due teorie pilastro della fisica moderna sono la relatività generale di Einstein, che delinea la geometria dello spazio-tempo impressa dalla gravità, e la meccanica quantistica, che invece si occupa della fenomenologia relativa alla materia e alla radiazione a scale atomiche e subatomiche. Poiché le equazioni di Einstein mettono in relazione lo spazio-tempo dominato dalla gravità con la materia, presente sotto forma di masse che ne deformano la struttura, notevole sforzo è stato messo nel cercare di combinare questi due aspetti in un’unica trattazione matematica: nasce così l’ipotesi della gravità quantistica. In un recente studio su tale tematica il ricercatore inglese Jonathan Oppenheim si è chiesto se sia però davvero indispensabile quantizzare la gravità per ottenere un quadro fisico unitario. A tal  proposito, nella sua teoria post-quantistica della gravità Oppenheim sembra propendere per una risposta negativa. Egli sostiene infatti che lo spazio-tempo possa essere inteso come un fluido continuo dal punto di vista non solo macroscopico, ma anche microscopico: esso dovrebbe dunque essere modellizzato interamente nel modo classico, ovvero come prescritto dalla relatività generale, mentre il formalismo quantistico verrebbe riservato esclusivamente alla materia.
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Equazioni di Einstein per la gravità quantistica. Il termine di sinistra rappresenta la gravità (tensore di Einstein), mentre quello di destra la materia (tensore energia impulso). In particolare, i simboli delle parentesi (brackets) e del cappelletto in cima al tensore energia impulso indicano che esso viene trattato come un operatore quantistico. Crediti: Oppenheim. Tuttavia, eliminare la discretizzazione (i.e., quantizzazione) dello spazio-tempo alle piccole dimensioni implica ammettere che esso, al pari della metrica che lo descrive, sia soggetto a fluttuazioni stocastiche (i.e., casuali), che lo renderebbero “traballante” anziché liscio. Ma, soprattutto, questo comportamento stocastico sarebbe responsabile di una modifica della stessa relatività generale a bassi valori di accelerazione gravitazionale, ossia nel cosiddetto “regime diffusivo”, perché qui le fluttuazioni stocastiche risulterebbero non trascurabili. Invero, esse avrebbero l’effetto di una forza entropica: stimolando il moto browniano (i.e., il moto casuale delle particelle del fluido cosmico), esse fornirebbero cioè alle stelle con minore velocità una quantità di energia aggiuntiva, accelerandole. Dal momento che tali stelle sono situate nelle zone più esterne delle galassie, dove appunto vale il regime diffusivo per via della più bassa gravità, esse andrebbero a giustificare il tratto piatto delle curve di rotazione, che ci aspetterebbe fosse anzi kepleriano (i.e., declinante) proprio per il rallentamento del moto stellare a grandi raggi. Ergo, le fluttuazioni stocastiche sostituirebbero l’attrazione gravitazionale esercitata dagli aloni di materia oscura che circondano le galassie sulle stelle ai loro margini: in altre parole, in questo scenario l’esistenza della materia oscura non sarebbe più necessaria.
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Curva di rotazione di una galassia, che mostra l’andamento della velocità delle stelle in funzione del raggio, ovvero della distanza dal centro galattico. La linea rossa indica la predizione teorica (tratto kepleriano a grandi raggi), mentre quella verde ciò che viene osservato (tratto piatto a grandi raggi). Crediti: R. Pogge. D’altronde, nota Oppenheim, la sua non è la prima teoria alternativa della gravità a giungere a tale conclusione: per esempio, già nel 1983 la teoria della gravità modificata di Milgrom (i.e.,  MOND,  Modified Newtonian Dynamics), era riuscita a spiegare l’appiattimento delle curve di rotazione delle galassie attraverso una revisione del valore della gravità alle basse accelerazioni, senza pertanto chiamare in causa la materia oscura. Il rinnovato interesse nei confronti della MOND a seguito dei risultati emersi nelle ultime simulazioni dinamiche di ammassi di galassie e supportati da evidenze osservative costituisce un punto di forza del ragionamento di Oppenheim. Ciononostante, la neonata teoria gravitazionale post-quantistica dello scienziato è ancora giudicata piuttosto controversa a causa dell’attuale mancanza di test: la formulazione matematica, per quanto rigorosa e dettagliata, certo non basta a dissolvere lo scetticismo del mondo astrofisico. Ciò è tanto più vero se si considera che numerose e svariate sono ad oggi le prove a favore della materia oscura, prima fra tutte la formazione delle strutture nell’Universo primordiale. Ma, come scrive Oppenheim, “la gravità è famosa per essere truffatrice”: meglio  insomma non lasciarsi ingannare, scartando a priori delle congetture che potrebbero infine non rivelarsi poi così improbabili. Ad ogni modo, il fisico inglese assicura che, prima di compiere affermazioni azzardate, saranno realizzate simulazioni numeriche e posti vincoli basati sui dati osservativi. Tutto fa quindi pensare che ne sapremo presto di più. Read the full article
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Disco rotante massiccio nell'universo primordiale ...
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Disco rotante massiccio nell'universo primordiale scoperto dal più grande radiotelescopio del mondo
Nel nostro universo di 13,8 miliardi di anni, la maggior parte delle galassie come la nostra Via Lattea si forma gradualmente, raggiungendo la loro grande massa relativamente tardi. Ma una nuova scoperta fatta con l' Atacama Large Millimeter / submillimeter Array ( ALMA ) di un'enorme galassia a disco rotante, vista quando l'universo era solo il dieci percento della sua era attuale, sfida i tradizionali modelli di formazione della galassia. Questa ricerca appare il 20 maggio 2020 sulla rivista Nature .
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Impressione dell'artista del Disco Wolfe, un'enorme galassia a disco rotante nell'universo antico e polveroso. La galassia fu inizialmente scoperta quando ALMA esaminò la luce da un quasar più distante (in alto a sinistra). Credito: NRAO / AUI / NSF, S. Dagnello Galaxy DLA0817g, soprannominato il disco di Wolfe dopo il defunto astronomo Arthur M. Wolfe, è la galassia a disco rotante più distante mai osservata. L'impareggiabile potenza di ALMA ha permesso di vedere questa galassia girare a 170 miglia (272 chilometri) al secondo, simile alla nostra Via Lattea. "Mentre studi precedenti hanno accennato all'esistenza di queste galassie di dischi ricchi di gas a rotazione iniziale, grazie ad ALMA ora abbiamo prove inequivocabili che si verificano già 1,5 miliardi di anni dopo il Big Bang ", ha detto l'autore principale Marcel Neeleman del Max Planck Istituto di astronomia a Heidelberg, Germania. Come si è formato il disco Wolfe? La scoperta del Wolfe Disk rappresenta una sfida per molte simulazioni di formazione di galassie, che prevedono che le galassie di massa a questo punto nell'evoluzione del cosmo siano cresciute attraverso molte fusioni di piccole galassie e grumi di gas caldi.
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Immagine radio ALMA del disco di Wolfe, vista quando l'universo era solo il dieci percento della sua età attuale. Credito: ALMA (ESO / NAOJ / NRAO), M. Neeleman; NRAO / AUI / NSF, S. Dagnello "La maggior parte delle galassie che troviamo nelle prime fasi dell'universo assomigliano a relitti di treni perché sono stati sottoposti a una fusione coerente e spesso" violenta "", ha spiegato Neeleman. "Queste fusioni a caldo rendono difficile formare dischi ben ordinati, rotanti a freddo, come osserviamo nel nostro universo attuale." Nella maggior parte degli scenari di formazione di galassie, le galassie iniziano a mostrare un disco ben formato solo circa 6 miliardi di anni dopo il Big Bang. Il fatto che gli astronomi abbiano trovato una tale galassia a dischi quando l'universo era solo il dieci percento della sua era attuale, indica che altri processi di crescita devono aver dominato. "Pensiamo che il Wolfe Disk sia cresciuto principalmente grazie al costante aumento di gas freddo", ha dichiarato J. Xavier Prochaska, dell'Università della California, Santa Cruz e coautore del documento. "Tuttavia, una delle domande che rimane è come assemblare una massa di gas così grande mantenendo un disco rotante relativamente stabile." Formazione stellare Il team ha anche usato il Karl G. Jansky Very Large Array (VLA) della National Science Foundation e il NASA / ESA Hubble Space Telescope per saperne di più sulla formazione delle stelle nel disco di Wolfe. Nelle lunghezze d'onda radio, ALMA ha osservato i movimenti della galassia e la massa di gas atomico e polvere mentre il VLA ha misurato la quantità di massa molecolare - il carburante per la formazione stellare. Alla luce UV, Hubble osservò stelle enormi. "Il tasso di formazione stellare nel disco di Wolfe è almeno dieci volte superiore a quello della nostra galassia", ha spiegato Prochaska. "Deve essere una delle galassie su disco più produttive nell'universo primordiale." Una galassia "normale"
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Il disco Wolfe visto con ALMA (a destra - in rosso), VLA (a sinistra - in verde) e il telescopio spaziale Hubble (entrambe le immagini - blu). Alla luce della radio, ALMA ha osservato i movimenti della galassia e la massa di gas atomico e polvere e il VLA ha misurato la quantità di massa molecolare. Alla luce UV, Hubble osservò stelle enormi. L'immagine VLA è realizzata con una risoluzione spaziale inferiore rispetto all'immagine ALMA e pertanto appare più grande e più pixelata. Credito: ALMA (ESO / NAOJ / NRAO), M. Neeleman; NRAO / AUI / NSF, S. Dagnello; NASA / ESA Hubble Il disco Wolfe è stato scoperto per la prima volta da ALMA nel 2017. Neeleman e il suo team hanno trovato la galassia quando hanno esaminato la luce da un quasar più distante. La luce proveniente dal quasar è stata assorbita mentre attraversava un enorme serbatoio di idrogeno gassoso che circonda la galassia, ed è così che si è rivelato. Invece di cercare la luce diretta da galassie estremamente luminose, ma più rare, gli astronomi hanno usato questo metodo di "assorbimento" per trovare galassie più deboli e più "normali" nell'universo primordiale. "Il fatto che abbiamo trovato il Wolfe Disk usando questo metodo, ci dice che appartiene alla normale popolazione di galassie presenti nei primi tempi", ha detto Neeleman. "Quando le nostre più recenti osservazioni con ALMA hanno mostrato sorprendentemente che sta ruotando, ci siamo resi conto che le galassie a dischi rotanti precoci non sono così rare come pensavamo e che dovrebbero essercene molte di più là fuori." "Questa osservazione incarna il modo in cui la nostra comprensione dell'universo viene migliorata con la sensibilità avanzata che ALMA offre alla radioastronomia", ha dichiarato Joe Pesce, direttore del programma di astronomia della National Science Foundation, che finanzia il telescopio. "ALMA ci consente di fare nuove scoperte inaspettate con quasi ogni osservazione." Questa ricerca è stata presentata in un documento intitolato "Un disco freddo, massiccio, rotante 1,5 miliardi di anni dopo il Big Bang" che appare sulla rivista Nature ### Riferimento: "Un disco freddo, massiccio, rotante 1,5 miliardi di anni dopo il Big Bang" di Marcel Neeleman, J. Xavier Prochaska, Nissim Kanekar e Marc Rafelski, 20 maggio 2020, Nature . DOI: 10.1038 / s41586-020-2276-y Il National Radio Astronomy Observatory è una struttura della National Science Foundation, gestita in accordo con la cooperazione da Associated Universities, Inc. FONTE: Read the full article
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scienza-magia · 3 months
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Il campo unificato della Teoria del Tutto è Dio?
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La Teoria del Tutto e le intuizioni di Hawking: ma il Tutto è Dio? "L'universo non ha né bisogno né scopo. L'universo esiste semplicemente". Nel vasto panorama della cosmologia e della fisica teorica, la ricerca della “Teoria del Tutto” emerge come uno dei pilastri fondamentali nell’arduo tentativo umano di penetrare le leggi che orchestrano l’universo in modo completo e armonico. Al centro di tale indagine si cela l’enigma più grande che esista: chi rappresenta il “tutto” che questa teoria si prefigge di spiegare? Nel corso dei decenni, insigni menti scientifiche, quali il rinomato fisico teorico Stephen Hawking, hanno dedicato le loro straordinarie capacità intellettuali allo sviluppo e alla comprensione di tale teoria, spingendo così i confini del sapere umano verso orizzonti sempre più profondi e complessi. La Teoria del Tutto La Teoria del Tutto di Stephen Hawking costituisce un ardito tentativo di erigere un edificio teorico unificato, un monumento alla sintesi delle leggi fisiche che governano il vasto spettro dell’universo osservabile, dal regno cosmico alle profondità microscopiche della materia. Al suo cuore pulsante si trova l’aspirazione di coniugare lo spazio-tempo derivante dalla generale di Einstein con il movimento quantistico delle particelle subatomiche, divenendo così l’architetto di un macrocosmo e microcosmo sinfonici. La teoria di Hawking, intrinsecamente matematica e concettuale, intende intrecciare le trame della relatività generale e della meccanica quantistica in un unico tessuto teorico, risolvendo così l’apparente dissonanza tra queste due pietre miliari della fisica moderna. Il fondamento della sua proposta giace nell’idea audace di una “teoria di campo unificato“, una formula mastodontica che debba abbracciare tanto le forze gravitazionali che le interazioni subatomiche. Hawking ha dedicato una vita intera alla costruzione di questo faro teorico, ma la sua opera rimane un’opera incompiuta. Nonostante la genialità delle sue intuizioni, la Teoria del Tutto di Hawking poggia su pilastri mai del tutto completati. L’eredità che ci lascia è un labirinto di domande irrisolte, un’ode alle sfide concettuali e alle frontiere inesplorate che attendono i futuri pionieri della fisica teorica. C’è posto per Dio nella Teoria del Tutto? Nel contesto della Teoria del Tutto, la riflessione più naturale su Dio assume una profondità che spazia dalle leggi fisiche alla natura dell’esistenza stessa. La Teoria del Tutto converge verso un concetto cardine: la Coscienza Suprema, si tratta di Dio? Questa entità cosmica si distingue per la sua grandezza, essendo concepita come una coscienza di proporzioni cosmiche, contenente non solo tutto ciò che esiste nell’universo osservabile, ma anche lo spazio-tempo stesso. Si tratta di una coscienza pervasiva, la cui presenza si estende a ogni angolo dell’universo, e possiede una massa psichica infinita, in grado di contenere l’intera gamma delle coscienze esistenti. L’unicità della Coscienza Suprema si manifesta nella sua natura eterna e increata, distinta dalle tradizionali concezioni religiose di Dio. Per questa coscienza cosmica, il tempo si presenta in una prospettiva diversa rispetto alla nostra percezione umana; il concetto di creazione e di inizio temporale si confonde con l’eternità, dissolve i confini tra passato, presente e futuro. In questo senso, l’atto creativo della Coscienza Suprema non è limitato da un prima o dopo, ma si manifesta come un atto eterno e intrinseco alla sua stessa natura. L’Universo primordiale e il ruolo della Coscienza Suprema La Coscienza Suprema non è soltanto onnisciente, possedendo tutte le conoscenze possibili, ma anche onnipotente, capace di plasmare la realtà attraverso il collasso della funzione d’onda, un meccanismo che materializza le sue immagini mentali. Le caratteristiche di infinità, unicità, eternità, onniscienza e onnipotenza attribuite alla Coscienza Suprema si sovrappongono alle concezioni tradizionali di Dio presenti nelle varie religioni. Il concetto di Universo primordiale, materializzato dalla Coscienza Suprema in un volume critico, suggerisce una profonda conoscenza delle leggi che regolano l’universo. In questo contesto, le leggi stesse non sono imposte dall’esterno, ma intrinseche alla natura stessa della Coscienza Suprema. La scelta delle condizioni iniziali dell’universo riflette la libertà e la saggezza della Coscienza Suprema, che opta per un percorso evolutivo in linea con il suo scopo primario. Qual è il fine?
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Credit: Judy Smith White overlay: SARAO/MeerKAT (1.28 GHz) Red: Spitzer/MIPS1 (24μm) Green: WISE/W3 (12μm) Blue: Spitzer/IRAC4 (8μm) Ma quale potrebbe essere lo scopo ultimo di questa entità cosmica? La generazione di coscienze individuali sembra emergere come un’ipotesi plausibile. La creazione dell’universo potrebbe essere legata alla volontà della Coscienza Suprema di procreare altre coscienze, in modo che possano evolversi e manifestare i suoi stessi attributi creativi. Questa visione suggerisce che l’origine dell’universo sia strettamente correlata alla nascita delle coscienze primordiali, le quali, pur essendo simili alla Coscienza Suprema, devono ancora evolvere per raggiungere una piena comprensione di sé stesse. In questo processo evolutivo, le coscienze primordiali attraversano uno stato di incoscienza totale, avviando un pellegrinaggio verso una super-coscienza. Analogamente ai corpi materiali, le coscienze assorbono e emettono radiazioni psichiche in uno specifico spettro di frequenza, in un intricato gioco di risonanze e assorbimenti. La Coscienza Suprema, con il suo spettro di assorbimento definito dalla qualità dei pensieri, diventa il metro di valutazione del bene e del male, sottolineando l’importanza del pensiero di buona qualità come fondamento dell’etica fondamentale. Così, nella visione della Teoria del Tutto, l’etica non è solo biologica o sociale, ma intrinsecamente legata alla qualità dei pensieri e alla loro risonanza con la Coscienza Suprema. Questo fondamento teologico dell’etica riflette un’idea di Dio come entità primordiale e creatrice, le cui azioni sono intrinsecamente legate al processo evolutivo delle coscienze nell’universo. Ma cosa ne pensava Stephen Hawking? L’evoluzione del pensiero di Stephen Hawking in merito all’esistenza di Dio riveste un carattere tanto complesso quanto affascinante, incanalando una mente che ha sfidato le frontiere dell’astrofisica e della cosmologia. Nel suo capolavoro finale, The Grand Design, Hawking abbraccia un paradigma audace, abbandonando l’ipotesi di un Dio creatore in favore di una visione scientifica più radicale. Come egli stesso afferma: “Non c’è bisogno di un Dio creatore dell’universo. Basta un sussulto della forza di gravità a generare tutto ciò che osserviamo.” Questa concezione, emersa dal tessuto stesso delle leggi fisiche, pone l’intero universo come un’entità emergente, senza la necessità di un’entità trascendente. Hawking ha guidato la sua ricerca verso una comprensione più profonda e completa dei misteri cosmici, sfidando l’idea di un universo infinito ed eterno e proponendo un’interpretazione radicale della teoria del Big Bang. La sua ricerca di una “Teoria del Tutto” lo ha portato a confrontarsi con il dilemma di Einstein: la necessità di un creatore divino per spiegare l’esistenza stessa dell’universo. Tuttavia, attraverso la M-Teoria e la fisica quantistica, Hawking ha proposto una visione alternativa, in cui l’universo emerge spontaneamente da principi fisici fondamentali, senza bisogno di un intervento divino. Questa visione cosmologica si staglia come un’epopea moderna, in cui l’universo stesso diviene il creatore delle sue proprie leggi e strutture. Hawking, con la sua mente brillante e la sua tenacia senza pari, ha tracciato un cammino verso l’ignoto, invitando l’umanità a scrutare i confini del sapere e ad abbracciare il mistero e la bellezza del cosmo. Come egli stesso disse: “L’universo non ha né bisogno né scopo. L’universo esiste semplicemente.” “Dio è una truffa” “Dio è una truffa“, dichiarò senza mezzi termini il celebre astrofisico, in una presa di posizione che ha suscitato fervidi dibattiti e riflessioni in tutto il mondo scientifico. Con queste parole incisive, Hawking svelò la sua visione audace sull’universo e sulla sua origine, scuotendo le fondamenta delle credenze tradizionali. La sua tesi provocatoria sosteneva che l’idea stessa di un dio creatore fosse un artificio, un’illusione concettuale che mascherava la vera natura della realtà. Invece di una divinità trascendente. Questa audace riformulazione del concetto di dio rivelava non solo il suo coraggio intellettuale, ma anche una profonda inquietudine di fronte ai misteri dell’esistenza e alle domande senza risposta che ci assillano. L’argomentazione di Hawking si fonda sull’idea che le leggi fondamentali della fisica, quali la gravità e le altre forze fondamentali, siano intrinsecamente capaci di spiegare l’origine e l’evoluzione dell’universo senza la necessità di ricorrere a un’intervento divino. Non esiste un solo Stephen Hawking Non esiste un solo Hawking, ma anzi, ne esistono altri due, ognuno con una sua unica e affascinante storia da raccontare. Hawking dei buchi neri Il primo tra i tre Hawking è riconosciuto come un’autorità indiscussa nel campo dei buchi neri. Le sue scoperte in questa sfera della fisica sono numerose e rivoluzionarie. Secondo la teoria della relatività generale di Einstein, un buco nero è una regione dello spazio-tempo dove la gravità è così intensa da impedire a qualsiasi cosa, persino alla luce, di sfuggire alla sua attrazione. Questo fenomeno si crede sia il risultato del collasso su sé stessa di una stella di enorme massa. Tuttavia, nonostante le numerose scoperte di Hawking, il mondo dei “buchi neri” rimane in gran parte un mistero, con molte teorie ancora nella fase di speculazione. Nel gennaio del 2014, Hawking ha causato scompiglio persino tra le sue stesse certezze, sfidando l’idea comunemente accettata che un buco nero sia un’entità oscura e insondabile nell’universo. Hawking essere umano Il secondo Hawking, noto a molti come uno dei più acuti cervelli del secondo Novecento, è colui a cui nel 1963 fu diagnosticata una terribile malattia degenerativa dei motoneuroni, comunemente associata alla sclerosi laterale amiotrofica. Nonostante la sua condizione, Hawking non si è mai arreso. Incapacitato e confinato a una sedia a rotelle fin dagli anni ’80, ha continuato a sfidare le aspettative e a lasciare un’impronta indelebile nel mondo della scienza e della cultura. La sua storia di resilienza e perseveranza è diventata un simbolo di speranza per milioni di persone in tutto il mondo. Se Hawking avesse scelto l’eutanasia, come aveva a volte considerato, il mondo non avrebbe mai conosciuto il suo genio e la sua straordinaria capacità di superare gli ostacoli più insormontabili. Ma ciò che rende ancora più straordinaria la sua storia è il modo in cui ha vissuto ben oltre la prognosi iniziale, dando il meglio di sé stesso nonostante le avversità. Hawking: l’uomo dietro al mito Infine, il terzo Hawking è l’uomo dietro al mito, la mente straordinaria che ha affascinato e ispirato generazioni. La sua vita è stata raccontata sul grande schermo nel film “La Teoria del Tutto” del 2014, basato sulla biografia di Jane Wilde, sua ex moglie. Il film narra la storia di un uomo che non si è mai arreso di fronte alla malattia e alla morte imminente, ma che ha lottato con coraggio e umorismo per dare un senso alla sua esistenza. Sono storie di resilienza, amore e coraggio, che ci ricordano che nonostante le avversità della vita, è possibile superare ogni ostacolo con determinazione e speranza. Anche il film racconta che quando nel 1985 la polmonite lo stava per uccidere e i medici volevano staccare le spine che lo tenevano in vita e Jane lo ha salvato. È lei che il mondo deve ringraziare per il genio impertinente di Hawking. Ecco, fra “teoria del tutto” e fame di vita Hawking ha finito per essere un grande testimonial riluttante di Dio. Sono testimonianze che ci insegnano che la vera grandezza risiede nella capacità di abbracciare la vita con tutto ciò che essa ha da offrire, e di trovare significato e speranza anche nei momenti più bui. Così, nel ricordo di Stephen Hawking, continuiamo a essere ispirati dalle sue parole, dalle sue scoperte e, soprattutto, dalla sua straordinaria umanità. Adesso conosce la risposta Intrinseca alla ricerca di Hawking è la tensione tra il cosmo concepito come una macchina perfetta, regolata da leggi precise e indipendente da una volontà divina, e l’osservazione di un universo straordinariamente ordinato e complesso che solleva interrogativi esistenziali fondamentali. La sua esplorazione delle leggi che governano l’universo e il tentativo di svelare i misteri dell’esistenza umana pongono in luce una dualità affascinante: mentre la scienza di Hawking cerca di scartabellare le pagine della creazione senza ricorrere a divinità, la struttura stessa dell’universo sembra sussurrare l’esistenza di un progetto o di un disegno più vasto. Pertanto, l’eredità di Hawking non risiede soltanto nelle sue scoperte scientifiche, ma anche nella sfida posta alla nostra comprensione dell’universo e del nostro posto al suo interno. In questo contesto, risuonano le parole di Pascal su quel “Dio nascosto” e trovano un nuovo riverbero, invitando l’umanità a esplorare il mistero dell’esistenza con umiltà e meraviglia. Ritorna alla mente un potente dialogo tratto dal film “La Teoria del Tutto“, che incarna in maniera eloquente il cuore della questione. Jane, rivolgendosi a Stephen, chiede il motivo per cui egli non creda in Dio. La risposta di Stephen, essenziale e incisiva, sottolinea il ruolo del fisico nel preservare l’integrità dei suoi calcoli dalla presenza di una fede in un creatore soprannaturale. Tuttavia, Jane, con una semplice osservazione, suggerisce che forse il vero contrasto non è tra il fisico e Dio, ma tra il fisico e le convinzioni personali. Ciò che è certo, è che adesso conosce la risposta. “Jane: Non mi hai detto perché non credi in Dio. Stephen: Un fisico non può permettere che i suoi calcoli vengano confusi dalla fede in un creatore soprannaturale. Jane: Sembra più un argomento contro i fisici che contro Dio.” Read the full article
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scienza-magia · 3 years
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L'LHC Alice per la ricerca e lo studio del big bang primordiale
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ALICE nel paese delle meraviglie del big bang. Alcuni milionesimi di secondo dopo il big bang, l'intero universo era colmo di un plasma composto da quark e gluoni, costituenti fondamentali della materia e della forza nucleare. Il collisore Large Hadron Collider (LHC) del CERN di Ginevra è il più grande acceleratore di particelle mai realizzato, capace di accelerare protoni e ioni pesanti fino a energie ultra-relativistiche. Grazie alle collisioni di ioni pesanti come nuclei di piombo, LHC è in grado di riprodurre in laboratorio un “little bang”, ossia condizioni di altissima temperatura (trilioni di gradi Celsius) e densità, simili a quelle che diedero origine al plasma primordiale di quark e gluoni. Il rivelatore ALICE (A Large Ion Collider Experiment) di LHC riesce a identificare le decine di migliaia di particelle che originano dal decadimento della bolla (fireball) di plasma nucleare creato a ogni collisione. Queste misure forniscono un’enorme quantità di informazioni (diversi petabyte di dati ogni anno), che rivelano dettagli che vanno dal funzionamento dell'universo primordiale alle caratteristiche della forza nucleare forte, dal meccanismo di produzione degli adroni fino allo studio delle stelle di neutroni. In pratica, l'esperimento ALICE è come un "telescopio" sotterraneo puntato su un big bang ricreato in laboratorio da quella straordinaria “macchina del tempo” che è l'acceleratore LHC del CERN. Nei prossimi tre anni di attività LHC opererà con un ulteriore innalzamento sia di energia che di frequenza delle collisioni. La ripartenza è prevista per febbraio 2022 ma già a ottobre di quest'anno ci saranno prime collisioni di test. Oltre a LHC, anche gli apparati sperimentali sono stati potenziati. In particolare, in ALICE i due principali rivelatori traccianti sono stati sostituiti o modificati anche con il contributo determinante dell'Italia. L’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) ha svolto un ruolo essenziale in questo programma realizzando una parte consistente del tracciatore interno (quello più vicino al punto di collisione) che si caratterizza per un’innovativa tecnologia di sensori a pixel di silicio di enorme risoluzione (12.500 megapixel in totale) e flessibilità, in grado di scattare fino a 50.000 fotogrammi al secondo. Questa tecnologia ha anche importanti risvolti pratici: può essere sfruttata per un vasto campo di applicazioni (con particolare riguardo alla medicina nucleare in campo oncologico). Federico Ronchetti è fisico nucleare al CERN, ALICE Run Coordinator (Credit video, cortesia ALICE Experiment/CERN)   Read the full article
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