#ubriaconi al bar
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Interessante come il gegno liquidi con quattro cazzate deliranti non supportate da nulla un fenomeno ampiamente studiato in accademia di cui si contano migliaia di articoli
Ah ma già... l'accademia mainstream... infatti lo aspettano a tenere una lezione di sociologia a Harward, poi anche una di termodinamica, specificatamente sulla legge di Boltzmann per negare il cambiamento climatico a Stanford e infine una di letteratura inglese a Oxford dove esporrà la sua teoria su come "boring as fuck" sia scorretto e vada invece preferito "boring as a fuck".
Ci sarà una cazzo di ragione per cui io non posso andare a tenere una lezione a ingegneria biomedica e di solito si studi prima l'algebra elementare e poi il calcolo differenziale e per altro in posti e con compagni e docenti diversi.
Però ci tocca sentire il solito ubriacone che pensa che l'internet sia il bar.
Nell'aprile scorso, la giornalista inglese Elle Hunt (...) decise di riportare su Twitter (...) una questione emersa durante una conversazione spensierata e propose un sondaggio: se il film Alien potesse essere considerato un horror. Rispondendo a un utente, espose la sua concisa posizione – «no, perché un horror non può essere ambientato nello Spazio» – e, dopo aver letto alcune obiezioni, mise da parte lo smartphone.
Il giorno dopo, Hunt (...) scoprì che il sondaggio aveva ricevuto 120 mila voti e che la sua opinione era stata citata da migliaia di persone, tra cui il regista Kevin Smith, che se la prendevano con lei (...). Molti le chiedevano di scusarsi (...). Quel sondaggio era finito tra gli argomenti “di tendenza” negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
(...) Negli ultimi anni, alcune riflessioni intorno ai social media hanno descritto (eventi come questo) – tipica di molte piattaforme social – come “collasso del contesto”, l’effetto prodotto dalla coesistenza di molteplici gruppi sociali in unico spazio. «Prendere pubblici diversi, con norme, principi e livelli di conoscenza diversi, e radunarli tutti in un unico spazio digitale per farli coesistere porta prevedibilmente a conflitti regolari e potrebbe, su scala nazionale, persino renderci più radicalizzati», ha scritto recentemente su The Verge il giornalista Casey Newton (...).
Il risultato (...) è che un individuo con un seguito moderatamente ampio, a prescindere dal contenuto delle sue affermazioni, venga frainteso da «persone apparentemente determinate a fraintenderlo». (...)
«I giorni in cui potrai dare un’immagine di te differente agli amici, ai colleghi di lavoro e alle altre persone che conosci finiranno probabilmente in breve tempo», disse il CEO e fondatore di Facebook Mark Zuckerberg nel 2010, descrivendo come una «mancanza di integrità» la scelta di avere più identità. (...)
Quanto capitato a Hunt è certamente non grave, se confrontato con casi di offese e molestie espresse sui social network e in grado di rovinare la vita delle persone. Ma è proprio il fatto che sia un caso abbastanza familiare e non eccezionale, a renderlo particolarmente significativo: «un perfetto esempio delle dinamiche dei nostri social media rotti, che sembrano sempre più progettati per disumanizzarci, polarizzarci e renderci tutti infelici».
(...) Sotto questo aspetto (resta da capire se) le frequenti espressioni di intransigenza e intolleranza presenti su Twitter siano da inquadrare come una manifestazione della cosiddetta cancel culture o come un esempio di «fallimento della piattaforma».
via https://www.ilpost.it/2021/09/18/collasso-contesto-social-network/
Esempio interessante (btw, anche del verginellismo nel pubblicare una opinione very silly, e del non attendersi i dovuti buuh, anche se davvero troppi nel suo caso).
I soloni del Post ovviamente non concludono col buon senso di dire: LA GENTE STA MALE. Preferiscono aziendalmente dar la colpa "al sistema" (tuitter) che non possono più "moderare" e alla gente "de destra" che "offende" (i Portatori di Verità).
Io invece affermo che il collasso del contesto è tipico di chi abbia già collassato il contesto accettando di credere a narrative sinistre. VEDI CANCEL CULTURE. Affermo cioè che i media sono di sinistra perché han bisogno di un pubblico di sinistra, altrimenti NON diventerebbero pervasivi e sostitutivi della vita nel mondo reale. Unicuique suum.
#context collapse#ubriaconi al bar#internet non è il bar#twitter#elon musk#social network#collasso del contesto
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Andare in bici di mattina presto mi riempie sempre il cuore, mi toglie soprattutto tanta ansia di dosso. Mi fa fare pace con una città che a volte detesto. È bello vedere i diversi paesaggi, il mix di edifici con architetture diverse come un grande mosaico. Soprattutto è bello godersi la convivialità delle persone, di tutti i tipi. Mi piace osservarle mentre passo, per quei brevi attimi in cui incrocio le loro vite. Dai vecchietti seduti sulle panchine che giocano a carte o che leggono, ai gruppetti al bar che fanno colazione. Gli ubriaconi più mattinieri sul lungo Po; i ragazzi che fanno già delle consegne di prima mattina; chi corre, chi porta a spasso il cane. Un ragazzo che suona la batteria in un parco. I bambini spensierati che giocano o che si godono il giretto in bici sul seggiolino. Indugio a guardare i balconi, perché ci sono pezzi di storie ovunque se uno sa guardare, e mi piace da morire. C'è sempre un angolo che non conosco di cui mi accorgerò. Ogni tanto ci sono personaggi così unici che sembrano usciti da un libro o da un film e vorrei fermare il tempo e disegnarli. All'incrocio, verso il ritorno, ho persino incontrato a caso mio fratello , in macchina , mi fa " Ehi ragazza!!", presa di sorpresa gli grido un ciao. E realizzo in questi momenti così leggeri e casuali che non c'è nulla di così grave per cui debba stare male, non c'è motivo di soffrire. E ringrazio di essere viva.
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The Umbrella Academy 4: l'ultima apocalisse per gli anti-eroi Netflix
Luther, Diego, Allison, Klaus, Cinque, Ben, Viktor tornano per salvare il mondo un'ultima volta… o forse tornano per distruggerlo (definitivamente)? Di sicuro, saranno ancora l'antitesi dell'epica!
The Umbrella Academy si è imposta fin da subito per essere la serie dei supereroi di Netflix. Del resto, se oggi "non hai una serie sui supereroi in catalogo, non sei nessuno". Bisognava però fare un ulteriore passo avanti, e la scelta è ricaduta su una generazione che rappresentasse il profondo disagio sociale dei millennial. Un gruppo di ragazzi e ragazze con nulla in comune se non il manifestarsi di poteri sovrumani e una nascita nello stesso identico giorno da madri diverse.
I giovani membri della Umbrella Academy
L'eccentrico miliardario Reginald Hargreeves li adotta (o meglio, paga le madri per averli) e ne fa degli esperimenti viventi per formare una sgangherata squadra di supereroi, che manca così di affetto (se non quello della madre-robot e del maggiordomo-scimpanzé) e di un'unità consolidata come nucleo familiare. Ideata da Steve Blackman e sviluppata da Jeremy Slater basandosi sul fumetto originario omonimo di Gerard Way e Gabriel Bá, pubblicato negli Usa da Dark House e in Italia da BAO Publishing, la serie arriva all'ending, dopo due anni dalla precedente.
The Umbrella Academy: Apocalisse o Salvataggio?
Ritroviamo i nostri sei anni dopo, senza poteri
Ciò che ha contraddistinto la serie Netflix, finora, è che i nostri protagonisti erano tanto gli eroi quanto i villain della storia. O meglio, coloro che causavano involontariamente la fine del mondo per poi doverlo salvare. La quarta ed ultima stagione, la prima non ispirata ad uno dei volumi originari cartacei, prova a ribaltare le carte in tavola, non utilizzando lo stesso identico meccanismo delle annate precedenti, che al terzo giro di boa aveva già fatto storcere il naso a molti spettatori per la ripetitività e per l'allungamento del racconto. Così gli autori optano per soli sei episodi (il formato seriale corrente, contro i dieci dei precedenti capitoli) e la storia riparte sei anni dopo gli eventi della precedente, per arrivare come tempistiche al 2024, anno della pubblicazione delle puntate. Ritroviamo i supereroi non più tali, senza poteri dopo aver ri-allineato la linea temporale, alle prese con le proprie vite separate le une dalle altre: ancora una volta mediocri e insignificanti.
Una sequenza particolarmente emozionante
Luther (Tom Hopper) ha definitivamente perso Sloane, l'amore della sua vita dalla Sparrow Academy, e si consola vivendo nei resti fatiscenti di quel maniero mentre fa il ballerino professionista (ovvero uno spogliarellista nome d'arte Spaceman in ricordo della sua missione sulla luna). Viktor (Elliot Page) si è ricostruito una vita in Canada aprendo un bar e servendo adorabili ubriaconi ogni giorno. Diego (David Castañeda) e Lila (Ritu Arya) sono ufficialmente una famiglia, sposati con tre figli (dopo la prima sono arrivati due gemelli), lui fa il corriere lei la casalinga, entrambi sopraffatti dalle loro vite suburbane. Allison (Emmy Raver-Lampman) ha ritrovato sua figlia Grace, ha ricominciato a fare l'attrice, ma non riesce a fare il salto di qualità dagli spot pubblicitari, mentre ospita Klaus (Robert Sheehan), sobrio da tre anni, ora germofobico e terrorizzato praticamente da qualunque cosa includa l'uscire di casa. Infine Cinque (Aidan Gallagher) è un agente della CIA che sta seguendo una pista su un gruppo segreto che sembra essere a conoscenza delle varie linee temporali e della Umbrella Academy.
Setta o Squadra?
Le new entry più apprezzate: Jean e Gene, un nome una garanzia
Il gruppo è coordinato da una coppia quanto mai sopra le righe (come del resto tutti i personaggi dello show) interpretati dalla vera coppia nella realtà Megan Mullally e Nick Offerman, perfettamente a proprio agio nei panni di questi cospirazionisti senza scrupoli e allo stesso tempo romanticamente coinvolti. Ben (Justin H. Min) della Sparrow Academy e oramai parte dell'Umbrella Family esce di prigione dopo cinque anni per una truffa di criptovalute e sarà proprio lui a coinvolgere la "famiglia" in un'avventura alla fine del mondo. I personaggi si dimostrano dei disadattati come persone "normali" tanto quanto lo erano come supereroi: la questione non sono i poteri, ma il fatto che nessuno, a partire dal terribile "padre" Reg (Colm Feore), abbia insegnato loro come stare al mondo e come essere una famiglia, in qualsiasi linea temporale.
Proprio il multiverso in stile TVA dell'MCU la fa da padrone in questi ultimi sei episodi: l'altra new entry della stagione è la misteriosa ragazza interpretata da Victoria Sawal che sembra essere la chiave della storyline principali, che risponderanno a sorpresa ad alcune domande lasciate in sospeso nel corso della serie. Questo è l'aspetto narrativo più interessante di questo epilogo, da apprezzare per la brevità che permette alle varie linee narrative dei protagonisti di non perdere tempo in chiacchiere e diventare meno ridondanti: si prova ad unire i puntini disseminati fin dal ciclo inaugurale, lasciando però perplessi sul gran finale per alcune scelte che virano maggiormente sul lato fantasy/sci-fi piuttosto che su quello umano.
Una serie sui supereroi, o forse no?
Uno dei tanti bellissimi poster della meravigliosa campagna promozionale dell'ultima stagione
Parlare di supereroi in modo differente sembra essere la chiave per intrattenere il pubblico sempre più distratto e volubile delle piattaforme, e The Umbrella Academy sembra averlo capito. La tematica familiare è stata ampiamente analizzata e in questo epilogo trova il punto focale, continuando a proporre protagonisti fortemente respingenti che non si sopportano nemmeno tra loro, anche se hanno imparato col tempo a volersi bene. Il tempo è l'altra chiave di lettura di questo canto del cigno seriale di uno dei prodotti più iconici e riconoscibili degli ultimi anni, perché a livello visivo la stagione è sempre curata fin nei dettagli: dalla regia alla fotografia fino alla colonna sonora estremamente pop, dagli effetti speciali ad una campagna promozionale senza precedenti, dato che la stagione era già pronta ma l'uscita avrebbe dovuto coincidere col tempo effettivo racconto.
Conclusioni
In Conclusione quella di The Umbrella Academy è una storia di supereroi alla fine del mondo, ancora una volta, ma per motivi differenti che provano ad unire le storyline di tutte e quattro le stagioni e con una partenza senza poteri che ci mostra il disagio quotidiano dei protagonisti. Proprio come quello di ognuno di noi a stare in un mondo che è sempre più sull’orlo del collasso, senza bisogno di metafore climatiche e geopolitiche.
👍🏻
Il punto di partenza: gli Umbrella senza poteri.
Le new entry, soprattutto la coppia Mullaly-Offerman.
Il provare ad unire i precedenti capitoli per rivelare storie non dette.
L'aspetto visivo sopra le righe e la colonna sonora.
👎🏻
L’epilogo meno familiare e più fantascientifico.
Il minor numero di episodi rende alcuni passaggi troppo frettolosi.
#the umbrella academy#hargreeves siblings#five hargreeves#the hargreeves#ben hargreeves#tua s4#the umbrella academy season 4#recensione#series review#review
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Parigi
Parigi, la rossa. Ci sono stata con Hajar, questo weekend. Flixbus, 8 ore all'andata e 8 a ritorno (+ imprevisti): una giornata nella città dell'amore. Tranquilla, silenziosa, dall'aria fresca, quasi pulita. Parigi è la città in cui vivrei da domani. La raffinatezza dei locali, dei palazzi, dei negozi... la persone non mi sono sembrate così maleducate, anzi! Quanto amo la loro lingua! Forse 5 anni fa avrei dovuto provare direttamente a Parigi... il cibo, a parte la zuppa di cipolla e i cornetti, devo ammetterlo, non è niente di che; ma il pane a tavola te lo portano, e questo la dice lunga sulla loro cultura culinaria.
La Tour Eiffel mi ha ricordato anni e anni fa, quando ci sono salita con la mia famiglia.
Le bateau mouche, Marco, e la sua ossessione per le barche; e il giro sul battello mi è piaciuto di più sapendo che non era una scelta sua, quella di attraversare la città in barca.
Les Champs Elis��es, Fabiano, il suo vestire bene per impressionare se stesso allo specchio e gli altri. Lui che continua ad impressionare me. Gli ho preso una scatola di cioccolatini a peso, pesante come quello che provo. Le crepes tradizionali, in quel ristorante tutto in legno, e la voglia di essere lì con lui, sorseggiando vino rosso e mangiando tutto quello che ci va (senza badare alle mie intolleranze).
Il Moulin Rouge, visto da fuori, in tutta la sua gioia proibita. Anche lì, ci ho immaginati insieme, a guardare lo spettacolo, cenando, mentre ci stringiamo la mano eccitati sotto il tavolo.
Il Bar di Amelie, Le Cafe des deux moulins, un bar che doveva raccontare la mia storia, ridotto ad un ritrovo di ubriaconi squattrinati...
La scalata di Montmartre, che ricordavo molto più difficile da fare; Hajar è stata la compagna adatta a intraprendere questa mini avventura nella grande avventura di Parigi in un giorno. Lei che ha affrontato divorzio, operazione allo stomaco, lavori e case cambiate mille volte. Io che ho chiuso una storia tossica dopo 5 anni, le persone che ho perso, lavori e case cambiate mille volte. Le nostre scalate.
Siamo entrate nel Sacre Coeur come nel nostro cuore, in silenzio, con rispetto; ne abbiamo respirato l'odore, l'incenso della nostra anima consumata, ma libera. Eravamo libere in quella chiesa, sulla cima della città più romantica del mondo. Abbiamo guardato Parigi affacciandoci al belvedere, sotto la pioggia, mentre la Tour Eiffel luccicava spavalda sorridendoci. E noi le abbiamo sorriso, salutandola.
La cena a lume di candela, zuppa di cipolla, boef bourgignon, mousse al cioccolato, pane e vino rosso; una coppia di musicisti sullo sfondo rosso, "La vie en rose", io riflessa nello specchio a sinistra.
Quanto più vieni a contatto con la morte, tanto più senti forte la vita che ti batte addosso.
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Ma Mattarella che ne dice di Salvini? di Giulio Cavalli Lasciamo perdere Di Maio e i Cinquestelle, ormai zerbini del Capitano leghista pur di non dover tornare ad essere cittadini normali, ma il presidente della Repubblica Mattarella, quello che dovrebbe garantire la tenuta democratica del Paese, non ha niente da dire sui comportamenti del ministro dell’interno? Per capirsi, ieri il leader leghista è riuscito nel giro di pochi minuti a infilare una serie di provocazioni che sembrano degne del peggior prodotto della peggior specie di un clan di ubriaconi in un bar di provincia. Durante la sua conferenza stampa convocata al Papeete Beach (una conferenza stampa convocata in spiaggia, come se fosse il gioco aperitivo da villaggio turistico, roba da Paperissima sprint) ha battibeccato con il giornalista di Repubblica Valerio Lo Muzio colpevole di avere documentato il giretto in moto d’acqua della Polizia di suo figlio. «Lei che è specializzato – ha detto Salvini – vada a riprendere i bambini, visto che le piace tanto». «Mi sta dando del pedofilo?», è stata la replica del giornalista. E poi, come uno strafottente bulletto di periferia l’ha invitato a «fare un giro in pedalò», che è un po’ come quando a scuola ci si diceva «ti aspetto fuori», per intendersi. Una scena penosa di un ministro che vorrebbe essere il Putin padano e invece risulta solo un bambino mai cresciuto e viziato. Poi, poco dopo, intervistato da Sky Tg24, Salvini twitta: «Ma vi pare normale che una zingara a Milano dica “A Salvini andrebbe tirata una pallottola in testa”? Stai buona, zingaraccia, stai buona, che tra poco arriva la RUSPA». Zingaraccia. Ha scritto (e detto) zingaraccia. Vomitando tutta la pece che contiene. Sputando bile per un controllo che ha perso ormai da tempo. Roba da vomito. Allora mi sorgono alcune domande. Ad esempio, il Pd che dice che “ormai Salvini è fuori controllo” si è accorto che qui fuori ce ne siamo resi conto da tempo? Cosa ha intenzione di fare? E sopratutto: ma Mattarella trova tutto questo normale? Così, per sapere. Perché il fetore che c’è qui in giro ormai mi sembra sotto il naso e gli occhi di tutti. Basterà aspettare qualche minuto e leggere i commenti a questo articolo, ad esempio.
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I mostri sono entrati nella tua vita, i topi, i tuoi simili, i tuoi fratelli. Dieci, cento, mille mostri. Li individui, li riconosci da impercettibili segni, dai loro silenzi, dalle loro partenze furtive, dal loro sguardo sfuggente, vacillante e spaventato, che appena incrocia il tuo sguardo si volge altrove. Risplende ancora la luce nella notte dagli abbaini delle loro sordide stanze. I loro passi risuonano nella notte. I topi non si parlano, e quando si incrociano non si guardano. Ma sai che quei volti senza età, quelle sagome gracili o flaccide, quelle schiene rotonde, grigie, ti sono accanto in ogni momento, ne segui l’ombra, sei la loro ombra, bazzichi le loro tane, i loro pertugi, hai i loro stessi rifugi, gli stessi asili, i cinema di quartiere che puzzano di disinfettante, i giardinetti, i musei, i caffè, le stazioni, la metro, i mercati generali. Disperazioni come te sedute sulle panchine, disegnano e cancellano ininterrottamente sulla sabbia polverosa lo stesso cerchio imperfetto, lettori di giornali raccattati nei cestini dei rifiuti, erranti che nessuna intemperie può fermare. Hanno i tuoi stessi peripli, altrettanto vani, altrettanto lenti, altrettanto disperatamente complicati. Come te, nelle stazioni sostano indecisi davanti alle piantine della metropolitana, come te, si mangiano i loro panini al latte seduti sulle sponde del fiume. Messi al bando, paria, esclusi, portatori di invisibili stelle. Camminano sfiorando i muri, con la testa abbassata, le spalle spioventi, le mani contratte, aggrappandosi alle pietre delle facciate, con gesti stanchi, da vinti, da mangiatori di polvere. Li segui, li spii, li odi: mostri rintanati nelle loro stanze di servizio sotto i tetti, mostri in pantofole che strascicano i piedi vicino a putridi mercati, mostri con occhi glauchi da lampreda, mostri dai gesti meccanici, mostri farneticanti. Gli passi accanto, li accompagni, ti fai strada tra di loro: i sonnambuli, i bruti, i vecchi, gli idioti, i sordomuti col berretto tirato sugli occhi, gli ubriaconi, i rimbambiti che si raschiano la gola e cercano di trattenere il tremolio intermittente delle guance, delle palpebre; i provinciali persi nella grande città, le vedove, i furbastri, i vecchi decrepiti, i ficcanaso. Ti sono venuti incontro, ti si sono aggrappati al braccio. Quasi che, sconosciuto perso nella tua città, tu non potessi incontrare che altri sconosciuti come te; quasi che, tu solitario, ti vedessi piombare addosso le altre solitudini. Quasi che, il tempo di un bicchiere di vino bevuto al banco, solo potessero incontrarsi quelli che non parlano mai, quelli che parlano da soli. I vecchi pazzi, le vecchie ubriacone, gli esaltati, gli esiliati. Ti si aggrappano ai risvolti della giacca, alle falde, alle maniche, alitandoti in faccia. Ti vengono incontro, a piccoli passi, con quei loro sorrisi da buoni, i loro volantini, i loro giornali, le loro bandiere, i miserabili combattenti delle grandi cause imbecilli, le maschere ossute che partono in guerra contro la poliomielite, il cancro, i tuguri, la miseria, l’emiplegia e la cecità, i canzonieri tristi che chiedono l’elemosina per i loro compagni, gli orfani maltrattati che vendono centrini, le vedove rinsecchite che proteggono gli animali domestici. Tutti quelli che ti si accostano, ti trattengono, ti manipolano, ti sputano in faccia le loro meschine verità, le loro eterne domande, le loro opere buone, il loro cammino autentico. Gli uomini sandwich della fede autentica che salverà il mondo. Venite a Lui, voi che soffrite. Gesù ha detto Voi che non vedete pensate a coloro che vedono. Le carnagioni giallognole, i colletti lisi, quelli che ti farfugliano la loro vita, le loro prigioni, i loro ricoveri, i loro viaggi di fantasia, i loro ospedali. I vecchi istitutori che vorrebbero riformare l’ortografia, i pensionati che credono di aver messo a punto un sistema infallibile per recuperare le cartacce, gli strateghi, gli astrologi, gli stregoni, i guaritori, i testimoni, tutti quelli che vivono con un’idea fissa in testa; i rifiuti, i rottami, i mostri inoffensivi e senili con cui si divertono i proprietari dei bar, versandogli bicchieri troppo pieni che loro non riescono a portare alla bocca, le tardone impellicciate che si scolano dei Marie Brizard, sforzandosi di restare dignitose. E poi tutti gli altri, i peggiori, i sempliciotti, i furbi, i contenti di sé, quelli che credono di sapere e sorridono con l’aria di chi se ne intende, gli obesi, i rimasti giovani, i formaggiai, i decorati; i festaioli un po’ alticci, gli impomatati di periferia, i benestanti, i coglioni. I mostri forti del loro buon diritto, che ti prendono a testimone, ti squadrano, t’interpellano. I mostri con famiglia numerosa, con i loro bambini mostri, i loro cani mostri; le migliaia di mostri bloccati ai semafori; le stridule femmine mostro; i mostri coi baffi, col panciotto, con le bretelle, i turisti mostri rovesciati a mucchi davanti agli orridi monumenti, i mostri della domenica, della domenica, la folla mostruosa.
L'uomo che dorme Georges Perec
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Capitolo V
Non riesco ad abbassare lo sguardo.
L’affresco sul soffitto del corridoio principale del campus attira la mia attenzione per la sua maestosità. E’ curato al punto di sembrare nuovo, è come se mi stesse permettendo di tornare indietro di secoli e avere il privilegio di essere la prima persona al mondo a vederlo.
Due ragazze praticamente identiche mi squadrano, con le loro minigonne nere e due sigarette, sottili come loro, trattenute tra indice e medio. Ovviamente, sono troppo preso da altro per degnarle di troppe attenzioni.
Passo davanti al bar dell’università, un cubo pieno di vetrate gigantesche e pareti rosse. Ricorda vagamente una tavola calda anni ’50, e mi basta intravedere il cartellone dei prezzi per rassicurarmi che sono ancora fuori posto in questo Paese delle Meraviglie della giovane élite zaricciana.
Continuo a ignorare il telefono, che vibra da mezz’ora.
Quando noto davanti a me una bacheca di annunci, mi avvicino. La superficie in legno è tutta rovinata, con diversi fogli mossi dal vento al punto di stropicciarli, se non addirittura strapparli. Numeri di telefono ovunque, pubblicità di eventi e di stanze in affitto a prezzi stratosferici… mi passa per la testa l’idea di lasciare un’implorazione scritta riguardante il mio desiderio di lavorare a Zaricci, ma per una ragione o per l’altra sento come se fossi già stato umiliato abbastanza per oggi.
Una lampadina preme ogni parte del mio cervello, facendomi spalancare gli occhi.
Faccio un mezzo metro indietreggiando e afferrando una copia del mio curriculum dallo zaino.
Mentre entro nel bar, mi accorgo subito dell’aria condizionata destinata a farmi venire un’impressionante pelle d’oca e le diverse televisioni sintonizzate su un programma di musica pop contemporanea. Seppur il pavimento a scacchi nero e bianco e le sedie rosse mi avevano portato all’ipotesi si trattasse di un American Diner, rimango deluso nel notare che è un semplice bar, a dirla tutta abbastanza generico e anonimo, un po’ vintage e un po’ futuristico. Un casino stilistico, si potrebbe dire.
Una signora di mezza età dietro al bancone mi squadra man mano che mi avvicino a lei. Sopra la sua testa si trova una lampadina neon viola, intenta a donarle un’aria piuttosto raccapricciante. Sembra studiare attentamente ogni tremolio delle mie dita, intente a tenere fermo il più possibile questo foglio a colori con una patetica lista di esperienze lavorative che mi sono inventato di sana pianta solo per avere più probabilità di accaparrarmi un colloquio.
A quanto pare ho fatto ripetizioni ai bambini delle elementari e sono catechista da oltre tre anni. Ora come ora mi sembrano due stupidissime e inutili bugie da scrivere su un curriculum, ma sono le uniche posizioni che non mi creerebbero problemi nel caso qualcuno provasse ad indagare sulla veridicità del mio CV. Voglio dire, tutti mentono sul curriculum, anche solo per piccole cose.
Saluto la signora, che grugnisce in modo spazientito, e abbandono il foglio sotto il suo naso. Lo afferra con le sue dita enormi, unte. Vedo degli aloni trasparenti rovinare i bordi della mia candidatura, ma penso sia già buono che questa donna si sia presa la briga di leggerlo.
La ringrazio, e lei appare confusa. Non dice niente. Mi accorgo che non ha ancora parlato da quando sono entrato, e non capisco se è muta o semplicemente maleducata.
Mi giro sui talloni e mi dirigo verso la porta, giusto in tempo per capire che sto arrossendo come un bambino che si è pisciato addosso sullo scuolabus.
Sbircio un’ultima volta dalla vetrata del bar, e noto la signora intenta a servire un ragazzo altissimo con una giacca blu e uno zaino in pelle bianco. Penso a quanto possa essere geneticamente perfetto per non essere inondato dal sudore anche vestito così, e mi sento ancora più minuscolo e insignificante quando vedo che la signora non ha più il mio CV tra le mani.
Forse si è accorta che ho scritto un uragano di stronzate.
Si ingigantisce tutto nei curriculum, però, o così mi ha detto Sami. E, man mano, tutto ciò che hai ingrandito e reso sfarzoso perde di utilità perché cominci a salire di livello, proprio grazie a quelle piccole bugie bianche che ti elevano dalle altre candidature. Eventualmente, sempre secondo Sami, si arriva a un punto in cui non serve più mentire sulla resumee per ottenere il lavoro che si desidera da anni.
Non ne so molto di curriculum e lavoretti vari. Come potrei saperlo, d’altronde? Se si vuole proprio lavorare a Cordello bisogna essere il figlio del macellaio o una ragazza a cui va bene fare la cameriera in nero per dieci ore al giorno ed essere spogliata con gli occhi dagli ubriaconi del bar di paese.
Giuditta lavorava part-time in una pizzeria poco distante da Cordello prima che sua madre, rimasta vedova già da anni, sposasse il signor Moschella, cognome famoso per essere storico nell’élite del nostro paesino. E’ una verità scomoda quel pettegolezzo che girava, ossia che molto probabilmente i genitori stessi avevano vietato a Giuditta di continuare a lavorare mentre studiava per non far apparire l’intero nucleo famigliare meno agiato rispetto agli altri splendidi del quartiere.
I ricchi di Cordello non sono neanche così ricchi se paragonati ai pesci grossi di Zaricci, ma hanno le stesse venature presuntuose, elitarie ed aristocratiche molto impostate che caratterizzano qualsiasi stereotipo riguardante i cittadini benestanti. Essermi fidanzato con uno di loro mi ha proprio fatto sbattere il naso contro il muro che ci sarà sempre tra queste auto-proclamate divinità ultramoderne e i comuni mortali con una Panda del 2004 e un braccialetto in legno attorno al polso invece che un Rolex. Non penso che Sami faccia apposta a farmelo pesare, ma la differenza di background tra noi due è sempre stata un problema. Non amo mi offra le cene o mi regali vacanze, perché mi fa sentire come se fossi un toy-boy. Mi ha fatto sentire più volte come una collana eccentrica che indossa per mostrarsi alle feste dei suoi amici. Mi ha sempre fatto percepire questo mio dovere a sentirmi riconoscente, come se senza di lui finirei ancora nel baratro. A volte mi vedo come il nuovo souvenir dell’occidentale benestante dopo la sua ennesima esperienza di turismo sessuale.
Mi sento esagerato quando il mio cervello canalizza le sue attenzioni su questo fiume di negatività e mancanza di fiducia nell’umanità, ma se c’è una cosa che ho capito dei ricchi che non si sentono abbastanza ricchi è che devono sbattere in faccia a tutti quante belle cose hanno nella loro vita.
Se da una parte sono sempre stato stuzzicato dalle cronache luccicanti de “Gli schifosamente benestanti di Cordello”, è anche vero che l’unico desiderio che ho nello stare in mezzo a loro è potermi permettere di vivere in maniera spensierata, senza sentirmi in colpa per essere andato al McDonald’s per merenda o per comprarmi venti euro di erba dallo spacciatore in stazione ogni settimana.
Vorrei avere più risorse, ma sento di non avere mai i mezzi per ottenerle. I miei genitori mi supportano come possono, ma è difficile quando anche dare venti euro al tuo unico figlio sono una faticaccia.
Ho risparmiato i soldi per le sigarette e le canne per pagarmi la patente, ma che senso ha quando si usa una macchina in tre e non facciamo un pieno da due anni?
Sono colpito da una maledizione che mi tiene fermo a Cordello, le mie gambe si stanno trasformando pian piano in radici e non importa quanto mi dimeni per scappare o urli per farmi aiutare, rimango bloccato nella mia mutazione. Ho passato anni di sacrifici per essere il ragazzino sprovveduto con un curriculum farlocco che vuole essere qualcun altro, ma che non ci riesce.
Sono il ragazzino che non capisce se Sami lo vede come un partner o come una via di fuga, un escamotage dal mio futuro, troppo misero se bilanciato alle mie ambizioni.
Non siamo mai stati veramente felici, io e lui. Ci ho messo mesi e mesi per capirlo, ma non siamo mai stati veramente felici.
E sento le lacrime corrodermi le gote come se fossero acido, perché capisco che sono soltanto un disperato che gira attorno ai suoi problemi a trecentosessanta gradi ma non riesce a muovere un passo per tuffarsici dentro e risolverli. Sami, sotto sotto, è sempre stata la dimostrazione che mi serviva per convincermi che stavo correndo verso la luce, ma ora penso che ci sia soltanto il nulla.
Sono passato dall’essere quel bambino innocente che corre verso la speranza al ragazzo che tiene dei passanti per mano, implorando per ricevere un po’ di calore.
Ma se glielo danno, ha troppo caldo.
╪
Quando afferro il cellulare dalla tasca per controllare l’orario, mi insulto mentalmente.
Ho cercato per ore di non guardare il telefono, perché non volevo sapere niente di Sami e delle sue inutili scuse. Ha fatto un qualcosa di meschino, che in sé non è una novità, ma l’averlo fatto oggi mi crea problemi.
Lo perdono per avermi mentito, per avermi trattato come una scimmietta da circo davanti ai suoi amici di plastica, ma c’è poco da fare: più vado avanti a conoscere Sami, meno riesco a fidarmi di lui. E’ affidabile solo per quel che riguarda se stesso, e se fai parte dei suoi piani bene. Altrimenti, tieniti forte perché non sai dove finirai.
Nel mio caso, sono di nuovo in stazione, che ora studio con aria maniacale. Mancano tredici minuti al mio treno, e se metà del mio cervello vuole che il desolato principe azzurro si materializzi sul suo sfarzoso cavallo bianco, l’altra muore dal mandare all’aria l’unica parte che sembra aver senso della mia vita. Quando butti via qualsiasi stabilità è quando inizi a giocare e a ricostruire. Ricostruirti, da zero.
Riguardo le otto chiamate perse di Sami, i suoi venti messaggi minatori.
E poi, come una margherita in un campo deserto, spunta una nuova notifica.
Giuditta
“Hey, scusa il ritardo, mi si era rotto il telefono!
Comunque bene, succedono un sacco di cose ogni giorno qui.
Sono un po’ persa nel mio, ma per ora tutto bene.”
11:27
Rileggo il messaggio innumerevoli volte, come per ricalcarlo nella mia mente fino a renderlo indelebile.
Giuditta è un orologio svizzero.
Giuditta
“Tu come stai?”
11:28
Mi guardo attorno, è tutto più luminoso.
Rimetto il telefono in tasca, emozionato come un bambino che scopre che andrà a Disneyland.
Salto sulla carrozza del treno e mi siedo, immergendomi nella carovana di pensieri dai colori caldi che si sta riversando tra le pieghe del mio cervello.
Sondaggio: 31 Maggio,12:20 PM
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putin è il capo degli atei, non è Cristo né è il Mahdi xciò non può costringere altri al suo volere....essi vogliono un segno, spero che Dio distrugga la russia perché suo popolo di ubriaconi e mangia porco sono tutti come il loro capo e chi non si oppone almeno con la lingua a putin è un kafir di merda come lui... SIGNORE NON AVERE PIETÀ ALCUNA DI LORO... Inganna chi è giusto che inganni, atei merde comuniste come lui, ne più ne meno.... La. Ikrah fi din Non c'è costrizione nella religione... Questi che hanno bisogno del leader uomo forte è perché essi sono deboli con la moglie i figli o gatti cani perfino dal criceto si fanno mettere i piedi in testa ahahah e riguardo a gay etc Dio li ha creati e Lui solo li giudica come ha fatto in passato... putin è solo carne e sangue non conta un beneamato caxxo nell universo ma uomini scemi dicono No è forte fa il bagno freddo e ha le bombe nucleari etc e questa sarebbe la potenza che voi temete? Di uno con un cancro in fase terminale ahahah ammazza quanto siete conigli.... (at Don Vito's Cats Bar Home) https://www.instagram.com/p/CfcvSHTDqQN/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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«No, non m'interessa discutere. Tu vuoi solo vincere, non stare a sentire le ragioni di qualcuno. Me ne vado io. Se vuoi attaccare briga, vai davanti al bar con gli altri ubriaconi disperati».
Tu sei ubriaca di te stessa, però.
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Cacciari ormai ha la stessa credibilità dell’oroscopo e degli ubriaconi che fanfaronano al bar tra la gazzetta dello sport e una partita a carte. Patetico🤡
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Io sono così. Sai, mi diverte esserlo. Passo dalla felicità di chi ha appena trovato l'unica cosa che avrebbe voluto in tutta la vita, alla tristezza di chi l'ha appena persa. Sono strana, sai. Piango e rido, scherzo e taccio, parlo talmente tanto da perdere poi le parole. Sono selettiva. Non parlo con tutti, non a tutti permetto l'entrata esclusiva nel mio Club, chiamato anche "la mente di giulia stefanelli", che immagino un po' come un vecchio locale, con musica di sottofondo e persone strane e incomprese all'interno, luci soffuse e persone strafatte con pensieri sulle nuvole, altre invece innamorate e che si strappano i vestiti da dosso in un angolo al buio, ma agli occhi di tutti. Un bar per emarginati sociali. Ubriaconi seduti al bancone pensanti e confusi, pieni di parole da buttar fuori, pieni di urla, di pensieri... ma con una sola e fatidica frase... "un altro, grazie". Mi sono sempre chiesta: un altro di cosa? magari un altro pugno per la sofferenza, magari un qualcosa che ti butti ancora più giù. Spogliarelliste che si nascondo dietro tette e lingerie sexy e tutto per un poco di denaro, quelle che hanno paura anche solo ad essere guardate da un pervertito seduto dalla davanti, eppure lo fanno a testa alta, lo fanno e basta. Persone che scopano solo per necessità di farlo, come se fossero in un bordello. Solo per un po' di carne, per un po' di potere. Artisti che si lasciano escludere non solo da ciò che c'è la fuori, ma anche da ciò che c'è qui dentro... entrando in un club tutto loro, cantando e suonando qualcosa di inascoltato, ma solo per il gusto di dare sottofondo e atmosfera a un ambiente del tutto trasandato. La chiamo UMANITÀ. La chiamo debolezza.
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Vedi, ci sono situazioni in cui esistono i toni di grigio e situazioni in cui ci sono valori di soglia.
È un mondo difficile, una vita incerta.
Per esempio una delle mie soglie per dire che uno è un cretino è quando scrive che 500 morti al giorno sono una cazzata e che poi al limite saranno caduti dalle scale.
Il problema è che bisogna contrastare le cazzate pericolose perchè hanno conseguenze.
Di certo non mi diverto a leggerle, preferirei un mondo diverso dove appunto queste puttanate fossero al massimo ristrette a pochi bar di periferia tra ubriaconi.
Ne abbiamo di citatori di Popper oggi?
Tra le azioni ci sono anche quelle di diffondere coglionerie pericolose via internet. Non è una questione di giudizio morale sulle persone, è una questione di causa effetto. Gente che spara cazzate -> comportamenti irresponsabili -> più morti ed economia in sofferenza per più tempo a causa del protrarsi dei blocchi. Che tu eventualmente segua le regole o abbia la percezione di farlo è un altra cosa.
Il modo di dire dei tedeschi non lo hai capito, ne hai capito come funziona Tumblr.
Ma mi raccomando aggrappati forte al fatto che abbia scritto “irrisposte”.
BBC News: Covid-19: What’s the harm of ‘funny’ anti-vaccine memes?
BBC News - Covid-19: What’s the harm of ‘funny’ anti-vaccine memes?
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┊𝐴𝑑𝑟𝑖𝑎𝑛 𝐻𝑢𝑛𝑡 & 𝐸𝑙𝑒𝑎𝑛𝑜𝑟 𝐽𝑎𝑛𝑠𝑠𝑒𝑛 ┊Rᴀᴠᴇɴғɪʀᴇ﹐ ₆.₀₄.₂₀₁₉ ┊#ravenfirerpg
‘‘ Dovresti andartene. ‚‚
――――――
Dopo una giornata come quella, Adrian sedeva da solo in uno dei locali della città, mentre sorseggiava, di tanto in tanto, una birra fresca. In quell'ultimo periodo era teso il veggente e la cosa era abbastanza evidente per chiunque lo conoscesse un po'. Dopo quanto era successo con quel caos cittadino si chiedeva cosa fosse realmente accaduto, trovando strano che fosse una semplice rivolta cittadina. No, qualunque cosa fosse successa, era sicuro fosse in qualche modo collegata alla disgrazia che aveva investito Ravenfire lo scorso inverno, solo che per quanto si sforzasse, i ricordi relativi a quell'ultima catastrofe avvenuta un mese fa risultavano poco chiari e nitidi. Non ricordava neanche chi gli avesse provocato tutte le lesioni che si era trovato sul corpo ed alcuni lividi non se ne erano ancora andati del tutto. Una delle cose sulle quali Adrian aveva pieno controllo era la sua mente e il non riuscire a ricordare bene lo mandava in bestia, lui, che era colui solito arrivare alla soluzione quando tutti gli altri non avevano ancora chiaro il problema. Perso in quelle riflessioni, alzò lo sguardo distrattamente notando una ragazza di una bellezza provocante e non si fece scrupolo ad osservarla, neanche quando lei gli disse quelle parole.
« Perché dovrei? Sono appena arrivato e mi sto gustando la mia birra. Ti dà fastidio la mia presenza tesoro? »
Era solito usare quel tono con chiunque avesse davanti, non era una persona che aveva paura Adrian eppure qualcosa in quella ragazza gli diceva di essere cauto e di non spingersi troppo oltre.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Dal giorno della sagra cittadina molte cose erano cambiate, ma una fra tutte era il fatto che finalmente Eleanor aveva acquisito quella consapevolezza di che cosa fosse realmente. Scaltra ma con quel sorriso sempre affabile e provocatorio, la Janssen sentiva la forza scorrerle nelle vene, sentiva la brama di sangue investirla nei momenti meno opportuni, eppure alcuni ricordi di quella sera andavano e venivano. Taluni fotogrammi apparivano di tanto in tanto nella sua mente, ma il potere che aveva sentito nel tenere in mano quella dannata mazza da baseball era ancora decisamente vivido. Vaghi, tuttavia, erano i ricordi delle persone che avevano incrociato il suo cammino, o meglio le motivazioni delle sue gesta, ma quegli occhi scuri che ora puntavano dritto sul suo volto, li ricordava perfettamente. Il corpo di Eleanor s'era teso, come una corda di violino, in piedi di fronte al giovane che sembrava avere uno sguardo curioso piuttosto che spaventato. Possibile che non ricordasse alcunché? Il locale in cui si trovavano erano uno dei più famosi in città, meta il più delle volte delle sue uscite ogni qualvolta sentiva il bisogno di allontanarsi dalla tranquillità dei libri, ma mai una volta quel viso aveva fatto capolino in quell'ambiente. « Bellezza... » Mormorò la giovane Janssen con un tono di voce pressoché sprezzante, avvicinandosi poi pericolosamente a lui poggiando i palmi delle mani sul tavolo di legno che li divideva. Cercò i suoi occhi, cercò di leggere una qualche scintilla che potesse raccontarle che cosa stesse provando in quel momento il giovane davanti a lei ma nulla di tutto ciò servì. Sentiva il bisogno di allontanarlo, eppure agli occhi del giovane lei era una perfetta sconosciuta. Solo quando non vide alcunché nel suo sguardo si allontanò e prese posto di fronte a lui senza nemmeno chiedere se fosse la benvenuta. « Tu non hai idea di chi sia io, non è vero? Credo allora che le presentazioni siano d'obbligo. »
Adrian Malachai K. Hunt
Adrian si ritrovò a chiedersi perché quella ragazza fosse venuta in modo diretto verso di lui, come se già lo conoscesse. Il veggente avrebbe sicuramente ricordato la conoscenza di una giovane così piacente allo sguardo, ma nella sua mente non raffigurava il suo ricordo. In più continuava ad avere quella strana sensazione di mantenere un certo freno e una certa distanza, come se dietro quella grande bellezza si nascondesse qualcosa di estremamente pericoloso, che lo avrebbe avvelenato. Ma il giovane Hunt era uno curioso per natura, in più non era un genio in emozioni e sensazioni, dunque non diede ascolto più di tanto a quanto percepiva, permettendole di sedersi di fronte a lui, sorridendo con una leggera malizia. « E' un nuovo modo per provarci? Comunque inizio io, sono Adrian Hunt. » La sicurezza in sé stesso era probabilmente una dote con la quale Adrian era nato e che era aumentata a dismisura negli anni, senza che lui ci mettesse del particolare impegno. Sapeva di avere un aspetto gradevole e di piacere a prima vista. Che poi molti lo reputassero strano per i suoi modi di fare era assodato, così come tanti altri trovavano del gran fascino in Adrian e in questi suoi atteggiamenti. « Sei qui per noia o per il posto? Devo dire che è abbastanza noto per quanto stasera sia abbastanza noioso, o almeno, lo era. » Faceva parte di lui flirtare, gli veniva naturale un po' come respirare e in quel momento era anche la cosa che lo divertisse in quella noiosa serata, che forse era appena diventata più interessante del previsto.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Ragione ed istinto, il più grande dei dilemmi stava avvenendo in quel momento, nel rumore di quel locale che sembrava essere ora ovattato alle orecchie della Janssen. Rimanere e continuare quella conversazione che era ancora del tutto acerba, o gettare la spugna ed allontanarsi cercando per una volta di essere altruista, perché in fondo era di questo che si trattava. Eppure quando l'esperimento decise di sedersi di fronte al ragazzo, sapeva esattamente che cosa aveva prevalso: l'istinto. Una volta preso posto di fronte a lui, ella inclinò appena il capo mentre un sorriso sornione e disinvolto fece capolino sulle di lei labbra. Adrian, questo era il suo nome, non aveva alcuna idea di chi lei fosse e questo le dava un assoluto vantaggio. « Sono Eleanor Janssen. » Si presentò con voce ferma, decisa e quegli occhi che non avevano perso nemmeno un movimento del suo interlocutore, ma soprattutto l'esperimento sapeva esattamente come comportarsi. Non allungò la mano in una stretta, non azzardò alcun movimento, fatta eccezione per quel muovere le labbra suadenti. Trasudava ricchezza con i suoi abiti firmati, eleganza, ma anche potere, un potere che derivava dalla sua aura e dalla sua sicurezza, ma nonostante ciò sapeva che avrebbe dovuto andarci cauta. « Nessun nuovo modo di provarci, anche se... » Lasciò in sospeso la sua frase lasciando che fosse il suo sguardo a parlare per lei. Gli occhi saettarono sulla sua figura, apprezzando ogni dettaglio prima di riprendere a parlare con un sorriso ora decisamente più audace. « ... devo ammettere che mi piace ciò che i miei occhi vedono. —— Ad ogni modo, potrei dire lo stesso, la serata è diventata decisamente più interessante. Potrei chiedere lo stesso a te, non credi? Cosa ti porta, in questo sabato sera, ad essere così solitario? »
Adrian Malachai K. Hunt
Il cognome della ragazza era familiare alle orecchie di Adrian. Aveva sentito nominare i Janssen, erano una ricca famiglia di Ravenfire, non originari della città, ma ci vivevano. Però non aveva mai conosciuto la figlia, almeno fino a quel momento. Eleanor era la classica ragazza cosciente di quello che poteva offrire e delle sue doti e ne stava dando prova anche in quel momento con Adrian, che di certo non si faceva problemi o non si mostrava timido di fronte a quella conversazione che per lui non era un problema avere, specie con una ragazza comunque così sicura di sé e piacevole alla vista. « Eleanor è un bel nome, ha un qualcosa di nobile, non trovi? » Il giovane Hunt aveva letto spesso dei libri che trattavano delle radici dei vari nomi e di fronte alla conoscenza del nome della giovane gli era venuto spontaneo fare quel commento. Lo aveva anche fatto, però, al fine di indagare sulla sua vita e scoprire qualcosa in più, cosa che Adrian Hunt cercava sempre di fare su chiunque in città. La dialettica era il modo migliore per estorcere più informazioni possibili, soprattutto se la persona in questione poteva sentirsi libera di parlare, quasi appoggiata, e di fare quante più confessioni possibili. Era anche in questo modo che il veggente riusciva ad essere informato su quanto accadeva in città, più o meno. « Come biasimarti, madre natura è stata molto buona con me e il mio aspetto ne è la conferma. » Adrian era da sempre stato molto sicuro sul suo aspetto fisico, sapeva di essere un bell'uomo, piacente all'altro genere e questo gli aveva sempre dato campo libero con le ragazze e le donne della città, divertendosi come poteva. Ma non avrebbe fatto lo stesso con Eleanor, perché qualcosa gli diceva di non andare oltre. « La noia mia cara, la noia è una brutta compagnia che ti porta anche a sedere in un bar lercio circondato da ubriaconi pur di non ritrovarti da solo in una stanza, vittima dei tuoi pensieri. »
Eleanor Dahlia H. Janssen
Lo sguardo era scivolato lungo la sua figura come se potesse apprezzarne ogni dettaglio. Eleanor era il tipo di persona che avrebbe potuto osservare ogni particolare e memorizzarlo, ma senza mai dare nell'occhio, ma quell'occasione era assolutamente diversa. Entrambi si stavano studiando, assaporando le risposte dell'altro, nonostante entrambi lo stesso facendo per due motivi differenti. Eleanor voleva vederci chiaro, e per farlo, l'unica strada era quella di intavolare una conversazione e scoprire quanto ricordasse di quella sera di tante settimane prima. Il sorriso audace della Janssen divenne più sfrontato nel sentirlo complimentarsi sul suo primo nome di battesimo ma quel loro conversare nascondeva qualcosa di più. « Cresciuta nella luce è il suo significato... Ma sì, potrebbe anche avere origini nobili. Sembra infatti che tu sia piuttosto informato, no? » Alzò un angolo delle labbra mostrando un sorriso accondiscendente. Era tempo di giochi, e la Janssen non avrebbe mai rinunciato ad una sfida. Si appoggiò allo schienale della sedia, in una posizione appena più scomposta. Era arrogante, o semplicemente consapevole della sua bellezza, ma questo lato del suo carattere non passò inosservato all'esperimento. « A quanto pare è stata generosa anche con la tua parlantina e la tua arroganza... Qualità senz'altro che apprezzo. » Eleanor era sempre stata saccente con il prossimo, spesso attirando le antipatie dell'interlocutore in questione, risultando arrogante e subdola in talune occasioni eppure mai una volta se n'era pentita. Sapeva apprezzare quegli atteggiamenti ma sempre con quell'equilibrio che necessitava. « La noia, tuttavia, è anche quella che ti fa fare incontri piacevoli nei posti meno opportuni, e ti fa riscoprire qualità che si danno spesso per scontate, come ad esempio una buona conversazione, non trovi? »
Adrian Malachai K. Hunt
Adrian sorrise, alzando lo sguardo quando la ragazza svelò il significato di quel nome che lui conosceva in ogni caso, proprio per questo era un nome regale o comunque nobile e il fatto che lo portasse Eleanor, figlia di una delle famiglie più ricche della città, ne era la prova, anche se sul crescere nella luce aveva comunque qualche dubbio. C'era qualcosa di oscuro in quella ragazza e più le parlava, più se ne rendeva conto. « Non è arroganza essere sicuri di quello che si conosce e dirlo e per quanto riguarda il parlare, sei tu che hai dato inizio a questa conversazione. » Sollevò le spalle sicuro di sé, lo era sempre Adrian e neanche in quel momento, nemmeno di fronte alle sensazioni che percepiva, avrebbe abbassato la guardia o le difese con Eleanor. « Trovo che tu abbia ragione su questo punto, mia cara. » Finì di bere, lasciando dei soldi sul tavolo, più di quanto avrebbe dovuto pagare, alzandosi. In altre situazioni sarebbe rimasto lì a parlare con quella giovane, ma aveva dei cristalli da analizzare e delle cose da capire. « Ora, se non ti dispiace, dovrei andare, ma ti auguro comunque una piacevole serata, mia cara Eleanor. » Sorrise dandole le spalle e uscendo da quel locale, tornando al suo negozio mentre pensava a quello strano incontro con la giovane e alle sensazioni che aveva percepito in merito.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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L’uomo nel dipinto
Un freddo pomeriggio di Novembre un giovane pittore passeggiava per i mercati d’arte della città. Il vento portava con se una fredda brezza, che inumidiva tutto ciò che incontrava. Teneva le braccia conserte per stringere più a sé il cappotto che indossava. D’un tratto si fermò a fissare un quadro in vendita, rimasse colpito. Le pennellate erano talmente perfette che gli facevano dimenticare che ciò che stava osservando non fosse reale. Chiese di chi fosse e quando era stato fatto. Il negoziante spiegò che i quadri non erano suoi e che sapeva ben poco di quelli senza firma. “Di questo le so dire che apparteneva ad un anziano signore che non volle nulla in cambio Lo lasciò qui qualche settimana fa dicendoci che sapeva sarebbe finito in buone mani.”
Il giovane ragazzo affascinato dal mistero che avvolgeva quella meraviglia, decise di comprarlo. Lo appese davanti la sua scrivania, non riusciva a fare a meno di fissarlo. La semplicità e la grazia di quella donna dipinta con così estrema cura gli faceva pensare a quanto qualcuno aveva amato il reale soggetto del dipinto. Passava le ore a dipingere fissando il suo nuovo quadro. Lo ispirava e gli faceva dipingere scenari di pace e tranquillità, con un’armonia che mai era riuscito a dare ai suoi quadri.
Come poteva nessun’ altro averlo già comprato? Possibile nessuno si fosse accorto della sua incantevole e pura bellezza?
Cosa aveva portato il pittore a liberasene così, senza firmarlo, senza lasciargli un minimo della gloria che la sua opera meritava?
Una mattina si mise nella sua mansarda, pronto per dipingere ancora, aprì le tende della sua piccola finestra, lasciando entrare abbastanza luce da illuminare l’intera stanza. Montò con cura il cavalletto e preparò i colori. Iniziò a fissare la meraviglia dipinta davanti a lui, gli mancò per un secondo il respiro. I secondi divennero ore, la luce che entrava dalla finestra faceva brillare il bianco vestito della donna dipinta che sembrava quasi muoversi. Si può amare così tanto da riuscire a dipingere in quel modo?
Preparando un bozzetto a matita con la testa rivolta verso la tela, girò lo sguardo verso la bella di bianco vestita, gettò la matita a terra ed uscì di corsa dalla stanza. Ammirare le sue grazie non era più abbastanza, doveva scoprire chi lo avesse dipinto e chi fosse tutta quella grazia raffigurata.
Tornò come prima cosa dal negoziante a chiedere più informazioni sul pittore. “Come era vestito? Ha detto qualcos’altro? Qualcuno può dirmi dove trovarlo?”
Non ottenne nulla dai negozianti, ma dal bar di fronte, seduto ad un tavolino fuori, un signore gli confessò di aver passato del tempo ad ammirare lo stesso quadro e che fosse quasi sicuro di aver già visto quelle pennellate e quello stile in altri quadri anonimi in una delle gallerie della città.
Così iniziò la ricerca. Girò per tutte le gallerie alla ricerca di un dipinto che lo riportasse a quello da lui acquistato. Cominciò dalle più importanti gallerie, dove però non trovò nulla se non grandi firme o famosissimi anonimi. Nessuno si chiedeva più chi fossero quegli anonimi. Il fatto stesso di trovarli in un importante museo o galleria dava già loro una certa riconoscenza. Era da tempo che non entrava in quei posti, si perse tra le mille sfumature e gli innumerevoli stili di pittura, senza trovare nulla di utile, nulla che lo avvicinasse a quello che stava cercando.
Perse giorni e giorni, smise di dipingere, non si dava pace, tale bellezza non poteva non essere riconosciuta a nessuno.
Sconsolato, rattristito dal fatto che qualcuno avesse fatto qualcosa di grande senza volersene prendere il merito, passeggiava per le piccole gallerie amatoriali con ancora viva la speranza di trovare qualche collegamento a quello che cercava.
La cosa che più lo tormentava era che, oltre a non aver desiderato alcuna riconoscenza per quel quadro, il pittore lo avesse addirittura abbandonato nella strada, dove un qualunque turista o uomo d’affari avrebbe potuto comprarlo per poi lasciarlo appeso ad una parete dove nessuno avrebbe potuto ammirarlo. Era proprio per questo che a tenerlo appeso in camera non gli bastava più.
Vide d’un tratto un quadro in cui lo stile era molto simile a quello appeso in casa sua. Iniziò ad osservarli: tramonti, navi in pieno mare, donne e uomini dipinti in diversi momenti della giornata.
Il pittore, era un signore di mezza età che se ne stava seduto su una sedia di fianco ai suoi quadri, con un cappello ed un quaderno per le bozze in mano.
Il giovane non chiese nulla sul suo dipinto ma fece domande generiche sullo stile e le sue ispirazioni. Il Pittore che non si alzò mai dalla sedia, confessò di essersi ispirato ad alcuni quadri che aveva visto nella casa di un anziano signore qualche anno prima, che lo avevano colpito a tal punto da fargli cambiare stile. Si fece raccontare il più possibile, capendo che non era quello l’artista che stava cercando, ma chiese molto a proposito della casa dove aveva visto quei quadri.
Riuscì a trovare la casa. Era una casa grande, su una strada che portava fuori città, non ce ne erano altre nelle vicinanze quindi non poteva aver sbagliato. Era tutta di legno, molto vecchia, tenuta piuttosto male. Bussò una, due, tre volte ma nessuno aprì la porta. Provò ancora ed ancora nei giorni seguenti, ma mai nessuno aprì la porta. Tornò anche a parlare con Il pittore che lo aveva indirizzato li, ma non lo trovò più. D’altronde gli amatori non espongono sempre negli stessi posti.
Erano ormai mesi che cercava, decise di abbandonare la sua ricerca.
Si rimise a dipingere sempre ispirato da quell’anonima bellezza. Passarono anni ed il giovane divenne un uomo adulto, riuscito ormai a diventare qualcuno nel mondo dell’arte. Espose in grandi mostre, conobbe i più grandi dell’epoca e con il tempo entrò a farne parte anche lui. Sapeva che tutto era dovuto a quell’acquisto fatto in giovinezza. Se non avesse comprato quel quadro, non avrebbe mai trovato così tanta ispirazione. Oltre le sue bellezze, erano la cura e l’amore che l’autore aveva dedicato a quel dipinto,a renderlo cosi unico.
Partecipava a tantissimi incontri in città e fuori, doveva i migliori pittori del momento si riunivano per discutere su come l’arte fosse cambiata e su come stesse cambiando. Secondo lui, questa era più un’occasione per alcuni di parlare solo di loro stessi e bere vino, ma era convinto di avere sempre molto da imparare, anche da quegli artisti ubriaconi. Un pomeriggio si trovò per caso a passare davanti a quella porta alla quale anni prima aveva bussato invano e dove nessuno mai aveva risposto. Li dove, quel pittore amatoriale gli aveva confessato di aver preso ispirazione nei suoi dipinti, che tanto gli ricordavano la bella nella sua stanza.
Sorridendo, decise di tentare ancora, a distanza ormai di anni, tanti anni. Bussò due tre volte, ma di nuovo nessuna risposta. “La casa è abbandonata da anni ormai” Disse ad alta voce un ragazzo dall’altra parte della strada. Gli chiese come facesse lui a saperlo, e scoprii che il giovane forse appena maggiorenne era il nipote della coppia che aveva vissuto li. Quando si presentò al ragazzo, quello riconobbe il suo nome e capì che stava parlando con uno dei pittori più in voga in quel momento.
Il pittore gli offrì da bere, incerto sulla sua età lo portò a prendere del tè.
Seduto col ragazzo al tavolo del bar iniziò a fare domande su chi abitasse li prima. Il ragazzo raccontò che quella era la casa dove i suoi nonni materni avevano abitato tanti anni prima. Lui non li aveva conosciuti, ma sapeva che il nonno non avesse abitato sempre li. La mamma gli aveva raccontato che in giovane età la nonna si era ammalata di un brutto malore, e che il marito gli era stato vicino fino al suo ultimo respiro. Pare non abbia fatto entrare nessuno in quella casa mentre lei era malata e che lui a malapena mangiava, per non lasciare mai la stanza dove la sua amata riposava. Dopo la morte della moglie chiuse la casa, ed andò a vivere in un piccolo appartamento dove dopo pochi mesi anche lui morì. Il pittore gli raccontò la sua storia e di come avesse cercato per anni chi aveva dipinto il quadro che tanto lo aveva ispirato. il ragazzo confessò di non sapere nulla a riguardo, anche se sapeva che il nonno era stato un pittore e gli spiegò di non sapere nulla di un quadro messo in vendita.
“Vuoi vedere l’interno della casa?” chiese il giovane. Il pittore accettò, con timore. Entrarono, i mobili della sala erano completamente ricoperti di polvere, le poltrone mangiate e logorate dal tempo. “ Vieni “ il ragazzo lo portò in una stanza vuota con solo quadri appesi, ma tutti ricoperti da teli. Tolsero insieme il telo al primo, poi al secondo, e così via a tutti e cinque i dipinti. Il pittore rimase pietrificato. In quella stanza c’ erano non uno, ma cinque dipinti che raffiguravano la stessa splendida donna in pose diverse. Poteva vedere e riconoscere lo stesso stile e la stessa cura del quadro che per anni aveva tenuto in casa. L’unica differenza era che questi quadri errano tutti rovinati dal tempo e dalla polvere, mentre lui il suo lo aveva tenuto in condizioni impeccabili, restaurandolo di tanto in tanto.
Su un comodino vide una foto con entrambi i coniugi, seduti allo stesso tavolo. La fissò, la fissò a lungo. “ Devo andare “ disse. Tornò a casa senza dare troppe spiegazioni.
Nessuno lo vide più per mesi. Chiunque lo conosceva si stava chiedendo cosa fosse successo. Non apriva a nessuno, né tantomeno rispondeva a chi bussava alla sua porta. Tra chi diceva fosse impazzito e chi pensava fosse scappato, nessuno sapeva realmente cosa stesse accadendo.
Dopo qualche mese uscì di casa di prima mattina con un grande telo tra le mani. Tutti potevano capire che stava portando con sé un quadro. Aveva con sé anche una valigetta.
Senza nemmeno rivolgere lo sguardo verso chi lo riconobbe, si avviò. Raggiunse di nuovo la casa abbandonata. Si mise davanti la porta ed aspettò. Dopo qualche ora ora quando vide passare di nuovo quello stesso ragazzo che lo aveva portato dentro la prima volta.
“ Devo poter entrare da solo questa volta” Disse lui, il ragazzo aprì la porta e lo lasciò entrare.
Rimase chiuso dentro per ore. Qualche giorno dopo il ragazzo bussò alla porta, aveva portato con anche la mamma con sé sta volta, dopo averle raccontato tutto. Il pittore aprì la porta; indossava un camice da lavoro completamente sporco. Aperta la porta, fissò le due figure a lui, “Grazie” Disse sorridendo e se ne andò, avviandosi verso la strada principale.
Tentarono di richiamarlo, ma erano troppo intimoriti da cosa fosse accaduto all’interno. Nella sala dove tutti i mobili erano sporchi e rovinati, su ogni parete c’ era uno dei vecchi quadri. Erano stati tutti rimessi a nuovo. Risplendevano di colori vivi ed armoniosi. Entrarono così nella stanza dove prima c’erano i cinque quadri. Ora ce ne erano solo due: quello che il Pittore da giovane aveva comprato, e quello che aveva appeso sul muro di fronte, un quadro raffigurante il marito, il padre e il nonno. Aveva preso spunto dalla foto e lo aveva ridipinto, seduto ad una scrivania con lo sguardo rivolto fisso davanti a lui. Aveva ricreato perfettamente l’immagine dell’uomo che continua a fissare la sua amata. Sotto la fotografia aveva lasciato una lettera.
“ Mi sono reso conto grazie a lui, di quanto fino a poco tempo fa non avessi compreso l’arte. L’arte non è un quadro ben fatto, non è dargli un significato, non è saperlo spiegare. Questa è l’arte. Amare tanto al punto da far trasudare dalle vernici l’amore senza limiti che chi dipinge prova per il suo soggetto. Io che dipingo e vengo riconosciuto per quello che faccio, vanto una gloria che forse non mi spetta. Dipingo perché amo l’arte, ma non ho mai amato tanto da poter dipingere i miei sentimenti. Vostro padre ha dipinto l’amore. In quella tela di fronte a lui non ha dipinto nessuno, se non il puro e semplice amore che ha provato per sua moglie fino la fine dei suoi giorni. Non ha chiesto il merito perché nessuno, se non lui stesso, avrebbe potuto concepire tanta passione e tanta sofferenza. Penso che solo lui meriti la possibilità di godere ancora di tutto l’amore che ha dato e ricevuto, ecco perché ho voluto dipingerlo ed appenderlo li davanti a lei. È questo il più grande riconoscimento che possa essere fatto a qualunque pittore,in vita o meno; continuare a gioire della bellezza dell’amore.”
Ps. Ho voluto firmare il mio quadro nel caso troviate inopportuno il mio gesto, in modo che possiate rendermelo, venderlo o buttarlo.
Da quel giorno non ci siamo mai più separati, siamo stati trovati insieme ed insieme siamo stati spostati in quella stanza dove giorno dopo giorno potevamo ammirarci. La nostra storia, me esclusa, non la conosce nessuno. Non è mai stata voluta raccontare per non crearne un mito. Siamo rimasti in quella vecchia casa per tantissimi anni. Da molto tempo ormai io mi sono risvegliata una notte, ed ho atteso il momento in cui anche tu lo avresti fatto. Finalmente è accaduto, dopo anni ed anni, dopo che qualcuno ci trovò e ci mise in esposizione in quell’edificio. Uno davanti l’altro ancora una volta. Dal giorno in cui mi hai lasciata in quel mercato ho sognato di rivederti, ma quando quel giovane pittore mi comprò, persi ogni speranza. Mai avrei pensato che la cura, la passione e l’amore con le quali mi avevi dipinta potessero scaturire in lui la voglia di trovarti. Ed io che giorno dopo giorno aspettavo che lui ti riportasse da me.
Maledetto sia il pittore che non ha dipinto un se stesso, ed appeso nella nostra stessa stanza. Noi due, uno davanti l’altro siamo la sua più grande opera, ma nessuno lo sa, nessuno rende gloria alla sua più brillante ed amorevole idea. Certo, siamo innegabilmente due bei quadri, ma uno senza l’altro è solo la metà di un’opera incompiuta. Ti ammirano, senza sapere chi tu sia, e ne riconoscono solo la sua firma. Lo stesso vale per me: vengo ammirata per la bellezza della tua arte, ma nessuno sa chi mi abbia dipinta, nessuno sa che il pittore, mio amante e marito è lì appeso davanti a me.
Ogni notte ti vedo risvegliarti, vedo che mi fissi con occhi pieni d’amore, capisco che tu non sai chi io sono, ma ami me, ami quello che rappresento, e che probabilmente dentro di te rappresento. Non sai di essere l’uomo che mi ha amata fino alla fine dei miei respiri, lo stesso al quale io ho ricambiato tanto amore, non so bene come tu non possa ricordarmi, forse perché sei opera di qualcun altro. Mi basta sapere che sei li, innamorato ed incantato nel guardarmi.
il giorno che mi portarono via, non solo distrussero la più bella opera di questo mondo, ma crearono di nuovo quel vuoto gelido che avevo già provato quando rimasi tra i vecchi quadri di quel mercato. Questa volta so che anche tu starai provando quella terribile sensazione di incompletezza, perché questo siamo se separati, incompleti.
Questa crepa sul mio vestito, impercettibile, ma tanto profonda è in realtà la crepa che nel cuore mi si è formata la notte in cui mi sono risvegliata e non ero più lì con te.
Ho sofferto ancora una volta, ma sempre con la speranza di rivederti, di ritrovarti. E così è: il destino questa notte si è mostrato ancora ed ha dato segno a noi di non volerci abbandonare. Così ti ha riportato qui da me, di nuovo. Ed è questo che siamo, la più grande opera d’arte di sempre, che solo il destino conosce e non può fare a meno di riunirci ogni volta per poterne godere la bellezza per l’eternità.
Fine
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Tanto per cambiare
Venerdì. Mi sveglio con un bisogno atavico di motivata distrazione. Sono bagnato fradicio. Le giornate stanno diventando troppo lunghe e l’alcol e le canne la sera non mi fanno più effetto. In hangover duro, la testa pe(n)sante e le gambe molli. Odio l’estate. Da sette giorni ho messo da parte ansiolitici e sonniferi. Ogni tanto riesco a non pensare, ingoio due, tre, quattro, cinque o sei bicchieri di Campari come fossero acqua, quasi a voler inscenare una sorta di rituale sciamanico. Devo esorcizzarla a tutti i costi questa paura. Mi ritrovo a biascicare come i vecchi ubriaconi che affollano i bar di periferia e penso a quanto sia stretta e allo stesso tempo ingombrante questa città, troppo borghese e ipocrita, avvolta da un velo di squallore così palese da provocarmi ribrezzo. Odio questi aperitivi estivi dove si conversa amabilmente del nulla, mentre io dall'alto della mia scarsa indulgenza osservo questi subumani vantarsi delle proprie vite perfette, calcolate al millisecondo, senza nemmeno una macchia da mostrare. Siate folli per Dio, abbiate la consapevolezza di essere solo inutili soprammobili! Eterno coglione, sentimentale d’accatto che piange e cerca di nascondere le lacrime quando Marta legge dell’amore di due giovani partigiani e penso che l’amore sia proprio una bella cosa se fosse semplice da vivere. Ma così non è, non per me almeno. Che cazzo è l’amore semplice? Io che continuo a pensare alla mia Aguzzina, che temeva le facessi del male. Che otto giorni ha minacciato di denunciarmi per stalking. Bagatelle per un massacro. Che schiaffo a mano aperta, uno di quelli che lasciano cicatrici più o meno evidenti come quando mi lasciò venti euro nel portaoggetti della macchina perché le avevo offerto la cena. La gentilezza incompresa che si scontra con la mentalità commerciale buona per mercanteggiare i sentimenti mi provoca un terribile senso di nausea. Eppure stavo bene quando mi infilavo in mezzo alle sue gambe per dare sfogo ai miei cinque sensi. “Avevamo una buona intesa sessuale, ma non siamo abbastanza complici”. Quanto mi manchi stupida troia bugiarda, non t’avessi mai incontrata sul mio cammino. E’ vero, mi avevi messo in guardia. Con te avrei solamente sofferto e così è stato. Chissà perché ho accettato comunque di prendere parte a questo squallido gioco al massacro nonostante avessi una brutta mano. Non sono mai stato un buon giocatore di poker, non ho mai bluffato, anzi. Mi sono sempre giocato tutto e subito fino a rimanere nudo con un verme. Daniela tu lo sai perché? Dimmelo tu. Cazzo ti pago cinquanta euro a seduta, potrei sputtanarmeli in altro modo questi maledettissimi soldi, cosa aspetti a darmi delle risposte? Era meglio la solitudine rispetto a questa merda. Questo tanfo che mi toglie l’aria, la sofferenza del vivere rannicchiati nei propri silenzi, no non ti disturberò più. Hai la mia parola per quanto possa valere. Eppure per un po’ continuerò a leggerti con cadenza ciclica, regolare. Questo mi distingue da un qualunque spalatore di sterco. Non l’hai capito fino in fondo. O forse sì. Quant'è bello ricominciare a sfoggiare facce di circostanza miste ad un’insolita abilità nell'ingannare il tempo. Non so perché continuo a pensarti nonostante questo. Forse per tutto questo o niente di tutto questo. Quando cazzo si spegnerà questo interruttore? Stasera me ne vado a Venezia tanto per cambiare. Altro giro, altra corsa.
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Noi amici ci troviamo ci scoliamo mezzo bar Poi ci parliamo delle cose incomprensibili E i pensieri metafisici ci portano lontano Sopra i cieli in fondo al mare in mezzo al blu
Disperati intellettuali vitelloni Poi ci girano i coglioni Colpa della società
Poi concetti universali sono quasi sempre quelli Che ci portano le mani tra i capelli A cercare nella testa quegli omaggi Che ci lasciano le moglie fidanzate o giù di lì
Disperati intellettuali cornutoni Poi ci girano i coglioni Colpa della società
Poi usciamo nella notte a tirar sassi alle stelle Che a colpirle sembra che splendan di più E le nostre auto parcheggiate poi spariscono nel nulla O diventan grandi più di bmw
Disperati intellettuali ubriaconi Poi ci girano i coglioni Colpa della società
Budello di su' mà
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