#solo per dire che è bello che questa gente che ha del seguito soprattutto con persone giovani non si faccia problemi a essere se stessa
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omarfor-orchestra · 9 months ago
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domenico è palesemente queer. imho. imho.
Io stavo pensando al fatto che comunque ha cominciato boh a vestirsi in un certo modo, a sembrare più a suo agio anche giocando con i vestiti e con le cose dopo un certo momento, come se avesse capito qualcosa ad un certo punto. Ovviamente questo qualcosa potrebbe pure essere che ognuno può fare il cazzo che vuole e che inscatolarsi nel binarismo non serve a niente, dal punto di vista puramente estetico.
Però. Però.
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un-mei-no-akai-ito · 4 months ago
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Un insoddisfacente mondo.
Vivo nel mio mondo perché questo in cui siamo non mi soddisfa.
Preferisco essere definita emarginata socialmente, al posto di essere omologata con gli altri, in un mondo dove ormai l'apparenza e l'aspetto di una persona, contano di più del suo animo, del suo io interiore.
Sento che non faccio nemmeno parte di questa generazione.
Odio le fotografie, seppur la maggior parte di esse raccolgano i ricordi più belli di una persona, ma non riesco a restare "ben in posa" per la foto. Mi sento a disagio.
Non ho mai amato uscire la sera, ho sempre preferito quei momenti tranquilli sul divano "Netflix & Chill" come dicono gli americani, O magari leggendo un buon libro.
Non mai piaciuto questo "ostentare ciò che si ha" che è un po' la base dei social media.
L'idea di diventare famosa tramite social, non mi è mai passata per l'anticamera del cervello e, sinceramente, anche, come avevo io, un profilo dove pur non mettendoci la faccia, ma ne facevo comunque parte, mi sentivo dipendente a tal punto di passare il tempo a fare home/profilo tantissime volte in pochissimi minuti.
Questo mondo allontana, ma non unisce, fa sentire più soli che mai, perché fa sentire diversi, anche inconsciamente.
Smisi definitivamente di avere social all'età di sedici anni, durante la mia permanenza in vacanza a casa di mia cugina.
Restai da lei per quasi due mesi, e all'epoca lei si era appena trasferita in un nuovo appartamento e ci hanno messo qualche giorno i signori della compagnia a metterle la linea telefonica.
Ricordo che inizialmente per me era impensabile non avere social e soprattutto non vedere quello che pubblicavano le mie influencer preferite, così i primi giorni furono bruttissimi emotivamente (guardate che schifo la dipendenza).
Intanto i giorni passavano e avevo preso il giro di uscire (perché lei è sempre riuscita a farmi uscire dalla mia tana) 🐻 spesso la sera, e durante il giorno lei lavorava e io restavo con mia zia e dormivo.
Ormai avevo preso questo "giro" di usare i miei gb solo per WhatsApp e mandare qualche messaggio di risposta, a quei 4 gatti che mi scrivevano, tra cui mia mamma. E iniziava a piacermi un sacco questa cosa.
Avevo un sacco di tempo libero, potevo dormire e fare poi, colazione con calma, senza avere la "frenesia" di vedere quello che faceva la gente, la sera prima.
Potevo passare il tempo a guardare il mare fuori dalla finestra con le cuffiette alle orecchie. E "scattare foto con gli occhi" che è poi, il ricordo più bello.
Leggere in attesa della cena, con in sottofondo le onde del mare, senza avere lo stress delle notifiche da dover leggere o i messaggi da dover rispondere immediatamente.
A seguito del mio rientro a casa, qualche giorno dopo, cancellai i profili social, ad eccezione di Pinterest, che è una applicazione che mi ha sempre accompagnata, fin dal giorno, o poco più della fondazione.
In assenza dei social ci ho guadagnato molto in fatto di tempo libero, ma soprattutto anche di ansie e preoccupazioni mentali.
Certo purtroppo, il giudizio di altre persone su di me è ancora attivo e spesso mi ferisce, ma almeno non ho la tentazione di andare a controllare tale profilo x e vedere se ha pubblicato qualcosa su di me, eventualmente, anche se io non conosco tale persona.
Seppur purtroppo, resto ansiosa di carattere, i pensieri intrusivi spesso e volentieri, mi fanno visita e mi fanno stare male, mandandomi letteralmente in paranoia per ogni minima cosa vista o ricordata o che era stata pubblicata, o che magari avevo l'intuizione che fosse stata pubblicata su di me.
Nonostante questo ripeto, resto debole, ma sicuramente ora sono più forte di prima. O almeno, lo sono in parte.
Tutto questo mi serve per dire che, non sto criticando le persone che hanno i social e che li usano abitualmente, ma dico semplicemente che è una abitudine mia, che a me non è più piaciuta e che a me personalmente ha fatto bene mentalmente.
Ad eccezione però, di Tumblr. Tumblr è un social che non ce l'ho mai fatta ad abbandonarlo totalmente. Questo social mi permette di esprimermi attraverso la scrittura, che è il mezzo che preferisco in assoluto, e nel quale, sicuramente, riesco meglio.
E nel quale si sta bene "nascosti nell'ombra."
Qui non serve l'esporsi, serve il tuo vero io, serve chi sei dentro tu, e nient'altro. Solo tu, la scrittura e il tuo nuovo diario virtuale.
@un-mei-no-akai-ito // @un-mei-no-akai-ito (Dom 21.07.24 h02:43)
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mybittersweet · 2 years ago
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Incontro
Subito è partito un abbraccio lungo. Quello che ho desiderato da tanto tempo. Quell'abbraccio che lui sempre ha voluto darmi.
"Bimba" - ho sentito vicino al mio orecchio - " è bellissimo, finalmente, avere la possibilità di toccarti"
"Posso dire lo stesso"
Sentivo il suo respiro sul mio collo. Poi un bacio leggero. Mi ha guardato e mi ha baciato la fronte. C'era molta tenerezza nel suo sguardo. 
"Andiamo, facciamo un giro. Spero che non sia molto stanco dopo il viaggio "
"Portami tu. Qui sei di casa. E no, non sono stanco. Soprattutto dopo averti vista."
Mi ha sorriso. Mi piace quando lo fa. Mi fa sentire bene e spensierata. 
Le strade del centro storico erano piene di persone che volevano approfittare di quella bella giornata di maggio. Si sentiva il rumore delle onde dietro il muro antico. Nell'aria si sentiva l'odore dell'estate che stava per cominciare. Mi ha seguito tra la gente tenendomi per mano. Ci siamo fermati vicino alla gelateria in una piazzetta. 
"Io cioccolato e pistacchio. E tu che gusti prendi?"
"Menta. Prendo solo questo."
La panchina era calda e il gelato troppo buono. Mi ha guardato attentamente come se stesse decidendo cosa fare o cosa dire. E poi la sua mano è partita verso le mie labbra per pulirle dal gelato che era rimasto. Ha leccato il pollice.
"Sinceramente volevo pulirti le labbra con la mia lingua però ho pensato che sarebbe stato inappropriato con tutta questa gente in giro" 
"Lo farai dopo"
Abbiamo preso la strada verso il b&b che aveva prenotato per questi tre giorni. La camera era molto carina e accogliente. Con le persiane che fanno entrare quel poco di luce che serve per vedere bene l'altra persona. 
"Vieni qui. Fatti baciare."
Ha messo le sue mani sulle mie guance. Mi ha baciato dolcemente ma la mia risposta era più passionale e la sua lingua è entrata nella mia bocca. Mi stringevo a lui e sentivo le sue mani esplorare il mio corpo.
"Voglio vedere la mia bimba godere. Voglio sentirti gemere"
"Voglio godere con te "
Tutto quel tempo di attesa mi aveva fatto crescere la voglia. Volevo le sue mani, la sua bocca e il suo sguardo addosso a me. Volevo, finalmente, fargli sentire come riesce a farmi godere. Mi ha tolto la maglietta continuando a baciarmi il collo. 
"Hai un seno bellissimo. Voglio tuffarmici dentro"
"Fallo"
Con un gesto ho accompagnato la sua testa verso il seno ancora con il reggiseno. Lo ha afferrato con le mani toccando i miei capezzoli duri. Stuzzicarli. Ho chiuso gli occhi. Sentivo soltanto come mi apre il reggiseno e lo toglie. Come lecca e poi succhia il mio capezzolo. Prima uno e poi l'altro. Fino a farmi male. Mi ha baciato di nuovo. Ho messo la mano sopra i suoi pantaloni.
"Come sei duro"
"Mi ecciti da morire"
Ci siamo spogliati rimanendo solo con le mutande.
"Voglio che ti stendi sul letto "
Obbediente, sono andata verso il letto e mi sono sdraiata sulla schiena. Si è avvicinato. Mi ha guardato. E si è sdraiato vicino a me. Le sue mani esploravano il mio corpo caldo e eccitato. Le labbra baciavano ogni parte che potevano raggiungere sentendo giù. Ogni tanto tornava su per baciarmi le labbra. Accarezzavo la sua testa.
"Voglio sentire come sei bagnata "
Ha spostato le mie mutandine e ha messo le sue dita tra le labbra bagnate. Non ho potuto trattenere un gemito. Era bello sentire le sue dita mentre mi guardava.
"Che brava bimba"
Con queste parole mi ha tolto le mutande e  allargato le mie gambe mettendosi in mezzo. Mi sono alzata un po' per guardarlo. Guardavo come mi baciava e leccava il mio interno coscia avvicinandosi alla fica. Le dita stuzzicavano il mio clitoride. Sentivo la lingua calda sulle labbra che affondava. La bocca che succhiava il clitoride. Voleva sentirmi gemere sempre di più e ha messo due dita dentro. Piano. Dentro e fuori. Con la lingua sul clitoride e l'altra mano che mi stringeva il seno. Mi faceva impazzire. Avevo tanta voglia.
"Ti voglio dentro di me"
"Prima la mia bimba deve venire e poi potrà avere il resto."
Ha continuato a leccarmi aumentando la velocità con le dita e la lingua. Dandomi qualche schiaffo sul clitoride fradicio. Non riuscivo più a resistere. Ho spinto la sua testa su di me, subito prima che il mio corpo cominciasse a tremare. Ho stretto le lenzuola con le mani. Questa volta potevo dire il suo nome ad alta voce mentre stavo venendo.
"Sei bellissima quando vieni. Bel visino soddisfatto "
"Mi hai fatto impazzire "
Mi ha baciato e ho sentito il mio sapore dalle sue labbra.
"Mettilo dentro. Ti prego."
Mi sentivo ancora tremare dopo questo orgasmo intenso.
"Lo vuoi dentro? Dimmelo bimba. Voglio sentire."
" Voglio il tuo cazzo dentro. Voglio che mi fai gridare."
Ha tolto le mutande e appoggiato la punta sul clitoride. Lo ha bagnato e spinto dentro. Una sensazione stupenda. Un gemito ancora, forte. Mi ha stretto la testa tra le mani mentre spingeva tutto dentro. Piano. Il suo respiro si è fatto pesante e i miei gemiti aumentavano. L'ho baciato. 
Il suo cazzo mi faceva impazzire. Ho sorriso, mordendomi le labbra.
"È bello vederti sorridere. Come in quel video. Però adesso sorridi a me. Sei mia."
"Si..."
Sempre più veloce, più forte. Il mio seno si muoveva e lui lo afferrava con la mano, mordendomi la spalla. Mi guardava, guardava come godevo. Come ogni movimento mi faceva gemere sempre più forte.
"Girati. Mettiti sulle ginocchia."
Ho fatto come mi ha detto e la prima cosa che ho sentito è stato un schiaffo forte sul mio culo che mi ha fatto un gridare. Poi un altro. Mi ha preso per i fianchi per farmi avvicinare a lui. Un bacio su ogni natica. Ha strofinato il suo cazzo sulle mie labbra bagnate prima di metterlo dentro. Ha preso le mie mani e le ha bloccate dietro la schiena. La mia faccia schiacciata sul cuscino. Altri schiaffi e subito dopo un movimento veloce che mi ha fatto gridare. Usava le mie mani come una leva per sbattermi ancora più forte. Poi si è fermato. Ha baciato la mia schiena.
"Guardami"
Mi sono girata verso di lui. Un colpo forte. Poi un altro. E un altro ancora.
"Sei troppo bella per stare in silenzio "
"Allora fammi gridare!"
Ha ricominciato con il movimento veloce. Dentro e fuori. Il contatto visivo mi eccitava sempre di più. Sculacciate, il suo modo di chiamarmi "bimba", il suo cazzo dentro di me. Avevo voglia di tutto questo. Di lui e di noi insieme in questa stanza.
" Ti dispiace se vengo dentro?"
"Non mi dispiace "
"Allora te la riempio "
Vedevo che non riusciva più a resistere. I suoi gemiti più forti e il cazzo che pulsava dentro di me. Lo ha tirato fuori e istintivamente mi sono girata per pulirlo e succhiarlo un po'. Mi ha tirato su e ci siamo baciati.
"Adesso mettiti come prima"
Mi sono rimessa nella stessa posizione e ho sentito la sua lingua a leccarmi da dietro. Succhiare i nostri umori mischiati. E farmi venire di nuovo.
Dopo si è messo vicino a me.
"È bellissimo vederti venire"
"È bellissimo venire per te"
"È stata una decisione giusta venire a trovarti!"
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pangeanews · 4 years ago
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“Lui si porta i libri di Kafka ma poi studia solo ogni cu*o che passa”. Le hit dell’estate più rarefatta del secolo, ovvero: sull’analfabetismo della musica italiana (che spacciano per indagine socio-artistica)
Ci si attendeva tonnellate di romanzi claustrofobici incubati durante la clausura anticontagio (arriveranno, dategli tempo) e di film ambientati nella cattività degli zoo per umani che sono diventate le città (purtroppo a quello di Enrico Vanzina ne seguiranno altri), così nel frattempo sono tornate le canzoni. Anzi le hit, come sono chiamate quelle produzioni che dovrebbero durare quanto gli assorbenti e invece diventano la colonna sonora delle stagioni.
Ci sono sempre state le hit, ma quelle imposte dalle radio durante l’estate post Covid – la più rarefatta e sospesa dell’ultimo secolo – oltre a rinsaldare i nostri vincoli affettivi con la mediocrità sembrano aver individuato la loro funzione sociale: sono diventate il piccone con cui demolire quel che resta della lingua italiana, il machete con cui smembrarla a beneficio di una comunicazione orizzontale, istantanea, indistinguibile e quindi informe. «Senza studiare, senza fiatare, basta intuire che è anche troppo, colpo d’occhio è quello che ci vuole, uno sguardo rapido» scriveva Ivano Fossati (Il battito, 2006), preconizzando la necessità di sintonizzare le nostre frequenze filologiche su onde sempre più elementari, catacombali: «Dateci parole poco chiare, quelle che gli italiani non amano capire, basta romanzi d’amore, ritornelli, spiegazioni, interpretazioni facili – diceva Fossati – ma teorie complesse e oscure, lingue lontane servono, pochi significati, titoli, ideogrammi, insegne, inglese, americano slang». Si argomenta spesso della crisi della letteratura, del vuoto intorno al cinema e della mancanza di coraggio dell’arte italiana, ma la verità è che dalla musica pare non ci si possa aspettare altro che disgregazione, chiacchiericcio, volgarità più o meno esplicite, analfabetismo a rigorosa misura di social. Ma guai a scambiarla per sottocultura, al contrario questa potrebbe essere la nuova frontiera della dignità autoriale con cui viene chiesto di fare i conti agli interpreti del nostro tempo, e chi non risponde «presente» o è tagliato fuori o è un dinosauro (come chi scrive).
*
La morte di una lingua.
Per brevità (ovvero banalità), velocità di trasmissione e universalità del messaggio, le canzoni post Covid sono diventate l’espressione più allarmante della deriva del Paese e della Lingua, nonostante questa rimanga tra le più belle, complesse e tradotte al mondo. Ma forse è proprio questo il demonio contro cui combattere, il padre nobile e ingombrante da abbattere. Forse alle nuove generazioni di produttori e compositori non va giù proprio questo, l’insopportabile paragone con un passato impietoso sotto troppi aspetti: nobiltà della missione, qualità del prodotto, straordinaria ricchezza artistica, inarrivabile varietà di proposte, mercato che oggi semplicemente non c’è. Va da sé che l’unica espressione culturale con cui ingaggiare un confronto, nel tentativo di riuscire a vincerlo, per paradosso è proprio l’ignoranza. Volendola tracciare con una parabola, la flessione della ricerca linguistica all’interno delle canzoni moderne, si dovrebbe scavare un fossato, interrarsi in un bunker atomico. Indifendibile, squallida, quasi sempre sessista anche se nessuno dei Benpensanti della Domenica lo fa notare. A larghi tratti analfabeta, quasi sempre composta da una manciata tra sostantivi, aggettivi e pronomi (massimo dieci, sempre gli stessi), ampiamente intrisa di offese gratuite, nomi e marche importati da lingue straniere. Né militante né consunta, né vissuta né scaltra. Una lingua traslucida, abbandonata per eccesso di frequentazione. Una lingua al consumo, usa e getta come le carte prepagate. Una lingua fantasma, nemmeno codice di riconoscimento. Avvertimento lampeggiante, segnale di insipienza riconoscibile da tutti e da lontano. Una lingua svenduta al massimo ribasso, umiliata come se di null’altro si potesse parlare che di stronzate, perché alla gente ignorante (stando al marketing alla base della concezione di questi capolavori) bisogna rivolgersi con cose ignoranti (ecco perché una signora che storpia il nome scientifico del ceppo di un virus su una spiaggia italiana, mixata e debitamente masterizzata fa più download di Alberto Angela). E in questo deserto nessuno chiede uno sforzo di creatività, nemmeno a quelli che invece avevano colpito – o ci avevano provato – per la loro audacia. «E comunque si balla, come bolle nell’aria. E si tagga la faccia, che è riaperta la caccia. E comunque si bacia, l’italiana banana…» canta Francesco Gabbani nel Sudore ci appiccica, mentre Diodato fotografa la solitudine che ci siamo lasciasti alle spalle con «lo vedi amico arriva un’altra estate, e ormai chi ci credeva più, ché è stato duro l’inferno ma non scaldava l’inverno, hai pianto troppo questa primavera» (tratto da Un’altra estate). Non fanno meglio Ermal Meta e Bugo, con Mi manca: «E mi manca aspettare l’estate, comprare le caramelle colorate. E mi manca (mancano, sarebbe plurale) le strade in due in bici. Mi manco io, mi manchi tu. E mi manca una bella canzone (sinceramente, anche a noi!)».
*
Bene intesi, nessuno pretendeva la chiave d’interpretazione dell’umanità. Ma forse è proprio dentro la musica, nelle note più spensierate di questi testi privi di urgenza e tensione morale, che la pandemia sembra aver riposto tutte le banalità che ha succhiato infilando una cannuccia sulle nostre teste. «Blocco a volte sembro ancora triste, il testo è vero sai che mamma è fiera, fumo sopra ai sedili di un Velar, penso a quando il successo non c’era – Shiva in Auto blu – fa i soldi appena diciottenne, in qualche modo sotto quelle antenne, in quanti cambiano lo sai anche tu…», con un seguito quasi mai inferiore ai 20 milioni di follower. Che la lingua non esista più lo si capisce da gemiti, monosillabi e vomiti che ormai sono diventati testo e non pretesto, overdose di egocentrismo, autoerotismo più esasperato di quello di certi scrittori. «Lui si porta i libri di Kafka – profetizza J-Ax nella sua Bibbia estiva, quella di quest’anno si chiamava Ostia lido – ma poi studia solo ogni culo che passa». E poi la ricostruzione delle giornate tipo in cui riconoscersi tutti, non solo gli adolescenti ai quali questi pezzi sarebbero destinati. «Mi chiedi com’è passare le giornate a stare sul divano, con un caldo allucinante che mi scioglie, non dormo più la notte, ventilatore in fronte, e questa casa sembra proprio un hotel – scrive Giulia Penna in Un bacio a distanza –. Latine, il bel Paese, pizza pasta e mandolino, tu portami del vino, ché forse in questo pranzo non t’arriva manco il primo».
*
Come nei decreti “Mille proroghe” in cui insieme alla manovra finanziaria finiscono anche le sanatorie sui profilattici scaduti, in questa deriva consumista sono finite umiliazioni («ay papi non mi paghi l’affitto (…) Mamma lo diceva, sei carino ma non ricco»: Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini, La Isla); icone di plastica («tu fra queste bambole sembri Ken, ti ho in testa come Pantene»: Baby K e Chiara Ferragni, Non mi basta più);l’ostentazione della povertà («Nelle tasche avevo nada, ero cool, non ero Prada»: Mahmood, Sfera Ebbasta e Feid, Dorado); e la nemesi, sotto forma di insofferenza verso gli eccessi di comunicazione («Te lo spacco quel telefono, oh-oh, l’ho sempre odiato il tuo lavoro, oh»: Elodie, Guaranà).
*
Ferie d’Agosto.
In una memorabile scena del bellissimo film con cui Paolo Virzì ha anticipato di almeno un ventennio il funerale politico del Paese, cioè Ferie d’Agosto, Ennio Fantastichini (capo famiglia di Destra) dice a Silvio Orlando (capo delegazione di Sinistra) queste parole: «La verità è che nun ce state a capì più un cazzo manco voi, ma da mo’…». Che non solo è vero, ma fotografa alla perfezione la saturazione di un pubblico in cui chi prova a dire «no» è condannato all’emarginazione, alla solitudine, alla gogna. «Se c’è una cosa che mi fa spaventare, del mondo occidentale, è questo imperativo di rimuovere il dolore. Secondo me ci siamo troppo imborghesiti – dice Dario Brunori in Secondo me – abbiamo perso il desiderio, di sporcarci un po’ i vestiti, se canti il popolo sarai anche un cantautore, sarai anche un cantastorie, ma ogni volta ai tuoi concerti non c’è neanche un muratore».
*
Certo non mancano le eccezioni, taluna musica riesce ancora a incarnare l’essenza di una missione a cui non solo i chiamati all’appello rispondono (cit. Leo Longanesi). Così come non mancano le ambizioni, le lezioni di scienza e coscienza di chi mette insieme la musica al più antico insegnamento degli umani, il sapere (penso al progetto Deproducers, lo straordinario tentativo di deprodurre, appunto, la musica attraverso l’ausilio della scienza); ma si tratta di oasi che al cospetto delle cover patinate, delle tracce inascoltabili imposte dalla tv e dalla pubblicità, dinanzi al muro di intolleranza al bello eretto soprattutto da alcune etichette musicali, non arriva alla grande platea. E non ci arriva perché non racconta una mutazione, non arriva perché non riesce a essere antidoto a tutto il peggio prodotto in questi anni, segnatamente in questi mesi.
*
A pensarci bene la pandemia non c’entra, al contrario come noi è costretta a subire questo strazio. La verità è che la cifra stilistica media, l’asticella della dignità, la percezione del gusto e l’estetica condivisa hanno perso qualsiasi ritengo, hanno rinunciato a ogni freno inibitore, così ciò che fino a venti anni fa era meno dello scarto delle bobine oggi è diventato esperimento, ricerca scientifica, derivato d’introspezione, indagine socio-artistica. E a nulla valgono gli impietosi paragoni col passato, quando provando a spiegare alle nuove generazioni la sofferenza da cui proveniamo lo si fa con una canzone di Francesco de Gregori («meno male che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare, se no la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare, dove tra la ragazza e la miniera apparentemente non c’è confine, dove la vita è un lavoro a cottimo e il cuore un cespuglio di spine», da La ragazza e la miniera), perché nessuno ha più tempo per ascoltare questi dinosauri. La missione è quella di favorirne l’estinzione, aprendo le porte di un mondo digitale, inespressivo e anaffettivo in cui la canzone – intesa come esperienza/fenomeno – riveste la stessa utilità dei prolungamenti delle unghie: umiliare la natura, nasconderne i prodigi. Come i bari fanno col talento.
Davide Grittani
* Davide Grittani (Foggia, 1970) ha pubblicato i reportage “C’era un Paese che invidiavano tutti” (Transeuropa 2011, prefazione Ettore Mo e testimonianza Dacia Maraini) e i romanzi “Rondò” (Transeuropa 1998, postfazione Giampaolo Rugarli), “E invece io” (Biblioteca del Vascello 2016, presentato al premio Strega 2017), “La rampicante” (LiberAria 2018, presentato al premio Strega 2019 e vincitore premio Città di Cattolica 2019, Nicola Zingarelli 2019, Nabokov 2019, Giovane Holden 2019, inserito nella lista dei migliori libri 2018 da “la Lettura”del Corriere della Sera). Editorialista del Corriere del Mezzogiorno, inserto del Corriere della Sera. Dirige la collana “Dispacci Italiani (Viaggi d’amore in un Paese di pazzi)” per l’editore Les Flaneurs. 
L'articolo “Lui si porta i libri di Kafka ma poi studia solo ogni cu*o che passa”. Le hit dell’estate più rarefatta del secolo, ovvero: sull’analfabetismo della musica italiana (che spacciano per indagine socio-artistica) proviene da Pangea.
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pleaseanotherbook · 5 years ago
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Preferiti del mese #2: Febbraio
Questo febbraio mi è volato via dalle dita, con la velocità del fulmine, tanto gennaio mi aveva prosciugato di energie, tanto febbraio me ne ha ridate, nonostante tutto. Sono in “quarantena” preventiva da lunedì, il che significa lavorare da remoto e non vedere nessuno da lunedì e sto un po’ andando ai matti. Capisco l’emergenza, le misure per contenere la diffusione, capisco tutto ma lo smart working è divertente per un po’, poi lo lascio a qualcun altro. Pensavo che sarebbe stato meraviglioso, visto che ho bisogno dei miei spazi, della mia indipendenza, ma non avere contatti con qualcuno se non tramite pc per giorni e giorni consecutivi non fa per me e non fa neanche per il tipo di lavoro che faccio. Confronti e brain storming vis a vis è sicuramente molto importante. Fare pausa pranzo davanti al pc, alzarsi solo per andare in bagno, stare sempre in video conferenza è una vita che non voglio fare, non in maniera continuativa. Una mia vecchia bio recitava “Sono un animale sociale solo con le persone che mi piacciono”… beh in questa settimana di reclusione ho capito che no, sono un animale sociale e basta. Per fortuna venerdì sera sono uscita con le mie amiche (grazie Belle!) perché sennò avrei sclerato veramente male.
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, dallo scorso mese ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
MUSICA
Quando mi fisso con una band è difficile uscire dal loop di ascolto ossessivo, è per questo che a Febbraio ho praticamente consumato le tracce di Fuori dall’Hype – Ringo Starr dei Pinguini Tattici Nucleari, ma soprattutto mi sono innamorata di Cancelleria. È una canzone che parla della rivolta sociale delle Matite, quando le Gomme decidono di scioperare, e della repressione sanguinosa operata dalle Biro, che finisce in questo modo:
Perché nel libero stato di Cancelleria
Restarono solo le biro
Che cantarono e festeggiarono per la vittoria
Ma com'è piccola, ma com'è fragile
Ma com'è viscida e al contempo labile
Questa borghese morale ablatoria
Cantaron vittoria
Rigonfie di boria
E dormiron tranquille nei loro morbidi letti
Almeno finché
Almeno finché
Almeno finché non arrivarono i bianchetti
È una canzone potentissima, che arriva dritta al punto grazie alla potenza di Riccardo Zanotti (innamorata completa di lui) e il cui video è una piccola meraviglia.
Ma a febbraio raga è uscito Map of the soul: 7 dei BTS che naturalmente sto consumando, collezionando tutti i video di performance che stanno uscendo, scambiando gif, foto e commenti al limite dell’isterico con le mie compagne di avventura nel mondo del kpop. E vi dico che hanno partecipato al Jimmy Fallon show e che Fallon è completamente cotto di loro e i video… beh sono stradivertenti.
Il mio preferito è Jin ma naturalmente tutti hanno un posto speciale nel mio cuore. Le mie canzoni preferite dell’album restano Moon (il solo di Jin), Filter, My Time, Inner Child e 00:00. L’ossessione è dietro l’angolo. Spero che non venga annullato il tour. Spero di riuscire ad andare al tour.
Tumblr media
Menzione speciale per Diodato, scoperto after festival di Sanremo che ho praticamente seguito solo su Twitter e di cui sto ascoltando tantissimo La lascio a voi questa domenica, canzone che parla di uomo finito sotto un treno di domenica e di come reagisce la gente senza sapere niente di quest’uomo.
LIBRI
Questo mese ho letto veramente pochissimo, e quando dico pochissimo intendo pochissimo. Ma sto leggendo Le disobbedienti di Elisabetta Rasy, edito da Mondadori che racconta alcune vicende biografiche di sei pittrici donne, di varie epoche e di varie correnti artistiche e delle loro difficoltà di emergere. La terza storia è quella di Berthe Morisot una pittrice contemporanea di Manet. Ma voi vi immaginate partecipare ai salotti in casa Manet con Zola, Degas, Astruc e altri intellettuali? Sarebbe a metà tra il sogno e l’incubo perché immagini l’inadeguatezza?
FILM & SERIE TV
Niente film anche questo mese se si esclude “Un principe tutto mio” che ho trovato per caso su Amazon Prime Video e che ho rivisto per l’ennesima volta in un attacco di nostalgia adolescenziale. La protagonista è Julia Styles, l’attrice di Save the last dance (altro caposaldo della mia adolescenza insieme a Quel pazzo venerdì). Ah questi film anni duemila!
Per il resto ho ripreso a vedere drama, lo so, lo so, ormai è un pezzo che sono caduta in questo tunnel. Merita una menzione sicuramente Jugglers 16 episodi da un ora divorati in quattro giorni (c’era un weekend in mezzo).
Tumblr media
BEAUTY
Raga ho trovato il mascara della vita. Si tratta del Subliminal X Volume Mascara di Astra e vi assicuro che fa delle ciglia pazzesche. Costa meno di sei euro ma fa il suo lavoro più che egregiamente. Dalle foto non si nota, ma vi assicuro che davvero il mascara più bello che abbia utilizzato da un po’.
Tumblr media
È da gennaio che ho iniziato ad utilizzare un nuovo siero, il Siero viso purificante di Biofficina Toscana che ha molto migliorato la mia pelle insieme a tutto il resto della mia routine. Tra l’altro è un sacco rinfrescante e veramente poco appiccicoso.
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CIBO
Questo è un format che fa informazione ma devo dire che questo mese non ho mangiato niente che meriti davvero una menzione. Voglio solo citare la moussaka che ho mangiato venerdì sera al ristorante greco qui a Torino, il Greek Lab. Mi sogno ancora quella che ho mangiato ad Atene. La serata ovviamente è finita con un cocktail e tante tante chiacchiere e risate, il modo migliore per combattere lo stress.
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RANDOM
Questo mese ho iniziato ad organizzare un viaggio di marzo e ho approfondito una funzionalità di Google Maps quella di poter costruire la tua mappa personale. È una funzione davvero super comoda perché non solo puoi condividerla con chi vuoi, puoi anche personalizzare icone, segnare percorsi e creare davvero la tua mappa. Io ho scoperto questa funzionalità grazie a Amaranth ma si è rivelata davvero utile per i nostri vari pellegrinaggi in giro per la città.
Ah la tecnologia.
E voi, quali sono i vostri preferiti del mese?
Raccontatemelo qui sotto.
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darthreset-blog · 6 years ago
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Sanremo 2019, serate 4-5
Quante cose da dire. Ho deciso di accorpare le ultime due serate perché non credevo che un post dedicato esclusivamente alla finale sarebbe stato utile, considerando che i brani li ho ascoltati tutti diverse volte e quindi ho un’opinione ben chiara di tutti i partecipanti. Ci tenevo però a dire la mia sui duetti e sulla classifica finale, quindi: presenterò gli artisti in ordine di arrivo, darò un commento finale sul loro Festival con un breve accenno al duetto e poi vi dirò dove si piazzano nella mia classifica personale con un numero tra parentesi.
24) Nino D’Angelo e Livio Cori: il brano era sicuramente debole e l’ostacolo linguistico italiano-napoletano non ha facilitato le cose. Il duetto con i Sottotono ha leggermente migliorato le cose, donando modernità al pezzo. (23°)
23) Einar: anche questo pronosticabile, quasi annunciato. Brano spento e prevedibile, tenuto a galla da Sergio Sylvestre nella serata dei duetti. (21°)
22) Anna Tatangelo: canzone banalmente sanremese, anche se ben eseguita sul palco e che nel duetto con Syria guadagna molti punti. (22°)
21) Patty Pravo con Briga: anche qui era facile pronosticare la brutta posizione: i cantanti non hanno mai mostrato armonia o complicità e il brano era semplicemente attempato. Giovanni Caccamo nella quarta serata non ha migliorato lo scenario. (24°)
20) Negrita: credo sia banale dire che da loro ci si aspettava di più, anche se era chiaro che difficilmente sarebbero arrivati in posizioni di rilievo. Ma la loro musica è interessante, e quindi forse era lecito aspettarsi di vederli almeno nella prima metà della classifica. Bene Enrico Ruggeri la quarta serata, ma veramente ottimo Roy Paci. Il pezzo paga un’inconsistenza complessiva. (14°)
19) Nek: uscito più che sconfitto da un Festival da cui chiedeva poco e niente, destinato (come hanno detto tutti incluso me stesso) a spopolare alla radio i prossimi giorni. E’ stato un piacere ascoltare la sua canzone, personalmente parlando, anche se non condivido la scelta di rallentarla nel duetto con Neri Marcorè. (10°)
18) Federica Carta e Shade: se possibile, dopo le prime sere, sembravano destinati ad arrivare ancora più in basso. Il duetto con Cristina D’Avena sembrava non avergli fatto bene. Non saprei dire se possano dirsi soddisfatti o meno. Nelle sue interviste Shade sembrava contento, va detto. Sta crescendo come artista e a quanto pare va bene così. Brava anche Federica, mi è piaciuta, anche se mi ci è voluto un po’ per farmi apprezzare il loro brano. (11°)
17) The Zen Circus: insensato immaginare che il palco sanremese si sarebbe dimostrato adatto alla loro musica, hanno comunque ricevuto diversi complimenti sul web. Considero molto valida la loro esperienza sanremese, peccato per la serata duetti in cui la presenza di Brunori Sas, a mio parere, non ha accresciuto il valore del loro brano, di per sé coraggioso e affascinante. (5°)
16) Paola Turci: la prima parola che mi viene in mente è: “deludente”. Dopo l’ottimo brano del 2017 era lecito aspettarsi di più, ma purtroppo non è ciò che abbiamo ottenuto. Nella serata duetti, però, con Beppe Fiorello la performance è stata ottima. Tuttavia il brano era debole in partenza e quindi una sola buona esibizione non può bastare. (18°)
15) Francesco Renga: anche lui banalmente sanremese, le sue performance lo distaccano da Anna Tatangelo, la sua curiosa uscita al Dopofestival sulla bellezza delle voci maschili e femminili ha suscitato non poche perplessità. Il duetto con Bungaro non è male, migliora la canzone ma non abbastanza. (19°)
14) Motta: vincitore (discusso e discutibile) del premio come miglior duetto, ha presentato un brano che cattura dopo diversi ascolti. E’ sicuramente un artista di talento, ma personalmente sia da solo che con Nada non mi ha impressionato abbastanza. (12°)
13) Ex-Otago: circondati quasi dall’indifferenza, non mi aspettavo di trovarli qui, ma più in basso. Il loro pezzo non è brutto, ma passa inosservato, e l’intervento di Jack Savoretti non lo ha migliorato. (16°)
12) Ghemon: ci son rimasto male, ritengo che il suo fosse un pezzo valido e meritasse un piazzamento migliore. Si tratta di un incontro tra generi interessante e fresco, mi dispiace sia finito nell’ombra. La sua performance con Diodato ed i Calibro 35 è stata probabilmente una delle mie preferite di tutto il Festival. (2°)
11) Boomdabash: giudizio sospeso fino a giugno. Solo allora verificheremo il vero successo di questo brano. I Boomdabash hanno il merito di aver portato atmosfere nuove a Sanremo. Bene con Rocco Hunt e i Musici Cantori di Milano. (15°)
10) Enrico Nigiotti: molto cantautorale, molto sanremese, molto personale, anche troppo, il suo brano sembra più adatto ad essere cantato in solitudine con la propria chitarra che “di fronte” a dieci milioni di persone. Paolo Jannacci e Massimo Ottoni aggiungono qualcosa al brano, ma non molto. Ha vinto il Premio Lunezia per il valore musical-letterario del brano. (20°)
9) Achille Lauro: lo dico, lo ammetto, lo confesso: avrei preferito vederlo più in alto. Il suo è uno dei pezzi più discussi del Festival, se parli di droga, di auto, se sia una nuova “Vita spericolata”, se sia il simbolo della trasgressione delle nuove generazioni, se sia l’ingresso all’Ariston dell’onda trash che va per la maggiore qui in Italia da un anno a questa parte. Io penso che sia solo una bella canzone rock cantata da un ragazzo con personalità e che non ha paura di esporsi. L’ho davvero apprezzato, e l’esibizione fuori di testa insieme a Morgan è sul podio dei migliori momenti del Festival. (8°)
8) Arisa: molto brava e alternativa nel portare un brano così scanzonato e leggero. Ci voleva, ed è una scelta che alla fine a Sanremo paga, se non altro perché permette di sfuggire dai soliti canoni. Davvero molto bella l’esibizione con Tony Hadley. (9°)
7) Irama: sembrava potesse arrivare sul podio. Aveva grande seguito tra il pubblico, il suo brano era bello e trattava un tema importante. Bravissima Noemi nel duetto, ma dove c’era lei è mancato lui. Peccato. Comunque deve ritenersi soddisfatto, la sua canzone ha fatto breccia nel cuore di molti. (7°)
6) Daniele Silvestri: mi dispiace Daniele, non ce l’abbiamo fatta. Il suo brano, l’ho detto già, era il mio favorito: intelligente, moderno, cupo, ben eseguito. L’aggiunta di Manuel Agnelli (presente nella versione ufficiale) non sono sicuro giovi alla dinamicità e ritmicità della canzone, anche se la rende ancora più scura e dolorosa. Anche in questo caso, ottimo il riscontro di pubblico, con la speranza che ora tutti possano conoscere Rancore, che molti amanti del rap non esitano a definire il miglior esponente italiano del genere. Si è portato a casa diversi premi: Premio Sergio Bardotti per il miglior testo, Premio della Critica Mia Martini, Premio Sala Stampa Lucio Dalla. (1°)
5) Simone Cristicchi: teoricamente da questo punto in poi dovrei essere sempre insoddisfatto perché tutti gli artisti si sono piazzati meglio del mio preferito, ma non è così. Ce ne sono diversi per i quali capisco il miglior piazzamento. Cristicchi è uno di questi. La sua poesia in musica è un piacere per le orecchie e il cuore, e le sue esibizioni con gli occhi lucidi hanno commosso quasi tutti. Scegliere Ermal Meta per il duetto è stata una mossa giusta, visto che entrambi sono sembrati perfettamente a loro agio nell’interpretazione del brano. Ha vinto il Premio Giancarlo Bigazzi alla miglior composizione musicale (assegnato dall’orchestra) e il Premio Sergio Endrigo alla miglior interpretazione. (6°)
4) Loredana Bertè: tra le proteste del pubblico (giustificabili) Loredana è finita fuori dal podio. Questo non toglie che la sua carica e la sua forza siano state tra le caratteristiche che hanno contraddistinto questo Festival. Molti avrebbero voluto vederla premiata come riconoscimento alla carriera, ma lei ha detto che questi giorni sono stati bellissimi lo stesso. Lo sono stati anche per noi che l’abbiamo ascoltata, sia da sola che con Irene Grandi. (4°)
3) Il Volo: e chi l’avrebbe mai detto? Si sa che hanno un gruppo di ammiratori piuttosto specifico, ma non sembrava dovessero arrivare lontano, complice l’aver portato un brano troppo simile a quello con cui avevano vinto nel 2015. Quando è stato rivelato che erano sul podio si è diffuso il panico: erano la variabile impazzita, i preferiti di coloro che giudicano come prima cosa il “bel canto”. Non hanno vinto, l’hanno presa bene. Complimenti per il podio, grazie per aver partecipato. In questo Festival non si giocavano niente, ma sono riusciti a stabilire il loro ruolo di esponenti di spicco della musica italiana soprattutto all’estero. Decisamente interessante il duetto con Alessandro Quarta. (13°)
2) Ultimo: tempo per me di beccarmi l’odio delle appassionatissime fan del giovane romano. La sua ballata farà nascere tantissime coppie nei prossimi mesi, e in generale le sue canzoni saranno la colonna sonora di molte storie d’amore negli anni a venire. Ha fatto ciò che sa fare e lo ha indirizzato a chi sapeva lo avrebbe apprezzato. Stradominatore del televoto, dato per favorito da chiunque, dai bookmakers ai giornalisti alla gente in mezzo alla strada, neanche potevo crederci quando ho sentito che il vincitore non era lui. Non che sperassi nel suo annunciato trionfo, non faccio parte della demografica a cui si rivolge, ma è stata una sorpresa di grandi proporzioni. Il suo brano si è fatto apprezzare poco per volta, per quanto mi riguarda. Fabrizio Moro ha rischiato di buttare tutto all’aria cantando nella sua solita terribile maniera, ma il pubblico pare non essersene accorto. Sicuramente non era la mia canzone preferita, ma vederla in cima come sembrava ovvio dovesse succedere non mi avrebbe dato fastidio. Parentesi sulla conferenza stampa post-serata: sono convinto che Ultimo non volesse mancare di rispetto a Mahmood e sia stato ingenuo a cadere nella provocazione dei giornalisti che volevano chiaramente una polemica da cavalcare. Ulteriore appunto: rispetto tantissimo lui e la sua musica, ma la sua fanbase morbosa e appiccicata mi irrita, nello stesso modo in cui lo faceva quella degli One Direction qualche anno fa. Ha vinto il Premio TIMmusic (per il maggior numero di streaming, ulteriore prova che da casa preferivano lui). Direi che è arrivato il momento di considerarlo ufficialmente un artista di qualità e un nome importante della musica italiana almeno per il prossimo pugno di anni, fino a quando il cuore dei suoi sostenitori non verrà rubato da qualcun altro. (17°)
1) Mahmood: posso dirmi contento, e mi levo subito il peso di menzionare anche gli altri riconoscimenti che ha avuto: Premio Enzo Jannacci alla migliore interpretazione e Baglioni d’oro durante il Dopfestival, premio consegnato all’artista più apprezzato dagli altri partecipanti alla gara. Che dire di lui e della sua canzone? E’ probabilmente quella che guarda più avanti di tutte, ha il suono del 2019, è allineata con quelle che sono le sonorità di questo periodo. Il mix di influenze è una marcia in più, così come lo è il testo. Tra le cose migliori del Festival annovero l’orchestra che esegue i clap durante il ritornello (idea di Dardust, come rivelato in conferenza stampa), che mi ha ricordato l’edizione 2017 in cui i Professori intonavano “alé” durante “Occidentali’s Karma”. Mi è sempre piaciuta l’idea dell’orchestra che prende parte al brano in maniera alternativa dal normale accompagnamento. Quando l’hanno proclamato vincitore non ci credeva neanche lui, e probabilmente gli ci vorrà qualche giorno per capire tutto. Essere ospitato in ogni trasmissione durante la prossima settimana non lo aiuterà. La sua vittoria (merito soprattutto delle giurie, che hanno sovvertito quanto risultava dal televoto, in cui era terzo) è una buona cosa anche in prospettiva Eurovision: difficilmente avremmo potuto proporre un brano più adatto alla manifestazione continentale. Era tra i miei prediletti, ma già vederlo arrivare alla fase a tre è stato bizzarro. Sono felice per lui, ma da adesso in poi viene il difficile. “Vincitore di Sanremo” è una grossa etichetta da tenere, nel corso della carriera. Una critica che gli muovo è aver scelto Guè Pequeno nella serata dei duetti: sembrava assente e poco coinvolto durante l’esibizione. Ha vinto la modernità, ha vinto l’alternativa al classico brano da Sanremo, ha vinto la creatività. Ha vinto Mahmood. *clap clap* (3°)
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robertchi-blog1 · 7 years ago
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Riassunto dell’itinerario in breve: 5 giorni
Volo: Milano Orio al Serio / Porto
Porto – Fatima – Lisbona (giorno 1)
Lisbona: MATTINA:  Giardini Amalia Rodríguez – Parco Edoardo VII – Av. de Liberdade – Praca Rossio – Elevador de Santa Justa –  Bairro Alto, Baixa, Praca do Commercio; POMERIGGIO  Praca do Martim Moniz – Miradouro de Nossa Senhora do Monte – Castelo de Sao Jorge – Alfama – Chiesa di Santa Engracia –  SERA: Bairro Alto   (giorno 2)
Lisbona:  MATTINA: Ponte del 25 Aprile, Monumento alle Scoperte, Torre di Belem;  POMERIGGIO: Parco delle Nazioni, Acquario Oceanografico di Lisbona –  SERA: Barrio Alto  (giorno 3)
Lisbona – Cabo da Roca – Nazarè – Porto (giorno 4)
Porto: giro in sightseen bus per il poco tempo a disposizione e rientro a Bergamo (giorno 5)
Nella primavera dell’anno scorso, prima di iniziare a scrivere questo blog, ho fatto un viaggio molto bello, ormai reso classico dai voli Ryanair; la destinazione di cui molti amici mi hanno parlato bene è infatti Porto; Non ero mai stato in Portogallo, ma, prima di prenotare ho deciso di non fermarmi solo in questa città come meta ma di girare un po’.
eccovi quindi il mio itinerario Porto – Lisbona – Porto di  5 giorni.
Eh si, se avete qualche giorno perché limitarsi ad una città piccola come Oporto quando potete con 10 euro al giorno noleggiare un Auto e muovervi un pochino lungo il Portogallo?
Atterriamo al mattino a Porto, ma la nostra destinazione principale per i primi giorni è Lisbona, quindi dopo aver sbrigato tutte le pratiche del noleggio auto imbocchiamo l’autostrada E1 verso sud; in realtà l’obiettivo è di arrivare a Lisbona entro le 18:00 facendo una tappa lungo il percorso, visto che l’autostrada passa per Fatima; facciamo quindi la prima tappa per visitare il Santuario costruito sul luogo dove nel 1917 i pastorelli portoghesi Lucia, Jacinta e Francisco iniziarono a vedere la Madonna.
Siamo fortunati, la giornata è bella e il santuario non è preso d’assalto, c’è molta gente ma è vivibile, facciamo un giro nella chiesa, e nella grande piazza e accendiamo un cero; questo luogo così mistico, va visitato di sicuro se siete in zona e rimarrete colpiti dall’aura di misticismo e fede di cui è intriso.
Ci rimettiamo in strada direzione Lisbona che raggiungiamo anche prima del previsto . Calcolate che la distanza Porto – Lisbona è di 320 km più o meno quindi non vi ci vuole molto. A Lisbona, ho trovato un appartamento molto carino in un quartiere tranquillo appena fuori dal centro, con garage, dove poter lasciare l’auto per un paio di notti; a Lisbona non vi serve, dato che la rete metropolitana e di trasporti pubblici è molto efficiente.
L’appartamento è stata un ottima soluzione – economico, bello, ben arredato e in ottima posizione: qui il link dell’appartemento su booking.com http://www.booking.com/Share-i5KfqN 
Usciamo a fare un giro per il centro dirigendoci nella zona di Baixa per cenare e fare due passi e rientriamo prima di mezzanotte in metrò.
GIORNO 2:
All’indomani facciamo colazione in appartamento avendo fatto un po’ di spesa in un supermercato sotto casa e ci incamminiamo verso il centro passando per i Giardini di Amalia Rodríguez con il suo punto panoramico (dovete tenere conto che Lisbona è una citta che si trova su varie colline ed è quindi tutto un saliscendi anche molto ripido, ma è anche ricca appunto di miradori, delle terrazze panoramiche, da cui godere di una vista della città circostante dall’alto).
Continuiamo la camminata attraverso Parco Edoardo VII e Avenida de Liberdade (la via dello shopping e delle boutique di lusso), ci incantiamo a guardare alcuni tram caratteristici di questa città che si inerpicano su per le ripide salite della città, passiamo per alcune piazze fino all’Elevador de Santa Justa che altro non è che un ascensore in ferro del 1900 con terrazza panoramica che serviva ad unire la parte bassa a quella alta del Bairro Alto. Giriamo su e giù per queste caratteristiche viuzze del centro senza una meta ben precisa, e attenzione, non perché non sappiamo dove andare, ma, proprio perché Lisbona per certi versi va proprio visitata così, perdendosi e girando a casa tra le sue vie. Riscendiamo dalle viuzze del Bairro dove abbiamo già deciso di passare la serata in quanto è in queste vie che si svolge l’animata vita notturna di questa città, e ci ritroviamo nella grande Praça do Commercio. Qui in zona mangiamo un panino prima di dirigerci in Praça do Martin Moniz perché da qui c’è la partenza del tram 🚋 storico 28 che si inerpica su per i colli della città antica . Arrivati alla partenza però ho due problemi, il primo è che c’è una folla di turisti allucinante e quindi già immagino che sul tram si starà come le sardine e difficilmente si potrà godere di una bella vista; il secondo problema è invece la mia caviglia che inizia a dolorare (mi hanno levato il gesso in seguito ad una frattura circa due settimane prima, e quindi dopo i km di questa mattina zoppico) . Trovo subito però la soluzione a me più congeniale, sul marciapiede opposto una ragazza di fianco al suo tuc tuc mi guarda e mi sorride come avesse già capito cosa stavo pensando. Mi fa segno di raggiungerla e dopo una breve contrattazione ci offre un giro di 2 ore e mezza con lei come guida del tuc tuc e guida turistica e con un itinerario di diverse tappe su per i colli della città antica, seguendo in parte lo stesso percorso del tram 28. Inoltre ci avvisa che nel percorso farà diverse tappe dove possiamo smontare a fare delle foto o visitare il luogo. Sarebbero 70 euro a gruppo, noi siamo in due e riusciamo a scendere il prezzo a 50 euro. Vista la bella giornata calda, e la mia caviglia dolorante devo dire con il senno di poi che questi sono stati i 25 euro (la mia quota) meglio spesi della mia vita; montiamo e viaaaa si parte. Gabriela è una ragazza molto spigliata alla guida e con un ottima conoscenza della storia e delle curiosità della città e quindi ci allieta nel percorso con cenni storici e aneddoti. Nel giro saliamo verso il Castelo de Sao Jorge e facciamo una tappa al Miraduro de Nossa Senhora do Monte punto più alto della città (devo dire che Senza tuc tuc visto quanto è ripida la salita, non ci saremmo mai arrivati). Gabriela, ci offre una limonata fresca prima di ripartire passando per la Chiesa di Santa Engracia (che i portoghesi chiamano la loro S.Pietro, vista la somiglianza con la chiesa vaticana) e scendendo verso il quartiere di Alfama . Facciamo qualche altra tappa prima di ritornare al punto di partenza. Alla fine ci abbiamo messo tre ore, ma abbiamo visto un sacco di cose, col minimo sforzo (la mia caviglia ringrazia😜) e alla fine lasciamo pure una mancia a Gabriela.
Rientriamo per una doccia e un riposino in appartamento e usciamo sul tardi per cenare e vivere un po’ di vita notturna di questa città. Andiamo quindi nelle stradine del Barrio Alto, piene di pub, bar, birrerie e piene di gente che si diverte. Ceniamo in un piccolo ristorante di tapas e ci beviamo un paio di birre in alcuni rumorosissimi locali. Devo dire che la vita notturna di Lisbona, è molto movimentata e divertente.
GIORNO 3: 
Ci svegliamo l’indomani con calma, e con il metrò scendiamo verso piazza del commercio da dove prenderemo un trenino verso la zona di Belem.
Scesi dal trenino, camminiamo lungo il Tago, da qui si gode di una vista stupenda sul Ponte del 25 Abril uno dei luoghi più famosi di Lisbona ed è un ponte che ricorda il Golden Gate Bridge di San Francisco. Continuando la passeggiata verso la famosa Torre de Belem passando per il monumento alle Scoperte . Pranziamo in uno dei tanti ristorantini con tavoli all’aperto, con il tempo per essere aprile siamo fortunatissimi, sole e caldo.
il pomeriggio dovremo spostarci a qc km da qua dall’altra parte della città al Parco delle Nazioni, zona dell’Expo  Universale del 1998, e definita la zona più futuristica della città. Qui facciamo visita al famoso Oceanario, davvero molto bello.
siamo soddisfatti, abbiamo visto la città in lungo e in largo, e devo dire che Lisbona è una di quelle mete che non mi sono mai venute in mente prima, ma che da oggi è per me una delle capitali più belle d’Europa.  Quindi quando pensate a cosa visitare e vi viene in mente Parigi, Londra, Berlino, pensateci meglio perchè Lisbona è molto molto meglio (per quanto anche le altre città siano belle) ed è anche molto più economica.
GIORNO 4:
La mattina salutiamo il padrone di casa a cui abbiamo riconsegnato le chiavi, e risaliamo sulla nostro Fiat Punto a noleggio; guardando la cartina ho deciso che per oggi invece di rientrare lungo l’autostrada fatta all’andata, di fare una variante lungo oceano e di fare due tappe, la prima a Cabo Da Roca e la seconda  a Nazarè prima di arrivare a Porto meta del nostro ultimo giorno prima di rientrare a casa.
Cabo da Roca: è il punto più occidentale del continente Europeo, ed altro non è che una stupenda scogliera a picco sull’Oceano Atlantico, che nulla ha da invidiare alle Cliffs of Mohar irlandesi.  Mentre sto facendo alcune foto, sento qualcuno che mi chiama, e non posso fare a meno che pensare che il mondo è proprio piccolo: incontro infatti qui per caso alcuni miei compaesani; quattro chiacchiere e poi via di nuovo verso Nazarèdove abbiamo letto se il mare è mosso si possono vedere le onde più alte del Mondo. Facciamo tappa alla praja do Northe, la giornata è stupenda, la spiaggia bellissima, ma mai visto il mare così calmo in vita mia, quindi niente onde, ma comunque un panino in spiaggia per pranzo ci stà.
ci rimettiamo in marcia e raggiungiamo il nostro hotel a Porto verso le 17:00. Lasciamo le nostre cose e facciamo subito un giro in centro.
Porto è una città piccolina, famosa soprattutto per le sue cantine di vino e con un centro storico davvero affascinante: il quartiere Ribeira è appunto la zona centrale ricca di antiche case, strette vie acciotolate e numerosissimi ristoranti e bar.
Le numerose cantine di Vino, dall’altra parte del fiume, dove si produce il Porto appunto.
Mangiamo in un ristorante lungo il fiume, e assaggiamo alcuni vini locali tra cui il Porto che tra un bicchiere e l’altro si fa notte. L’indomani, non abbiamo molte ore, nel pomeriggio dobbiamo tornare in aeroporto, quindi anche a causa della mia solita caviglia, decido per la prima volta in vita mia di prendere uno di quegli autobus turistici aperti sopra che fanno tutto il giro della città. Riusciamo così a vedere Porto stando comodi, prima di rientrare, e devo dire che sono sempre più convinto di aver scelto il giro giusto, Lisbona da visitare con calma e bellissima, e Porto per quanto molto carina non merita più di un paio di giorni al massimo.
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Questo il mio primo approcio con il Portogallo, ma devo dire che mi ha piacevolmente stupito, per la sua bellezza, per la gente, per la vita, tanto che ho deciso di tornarci quest’estate per fare un po’ di mare nella zona Sud, in Algarve.
e voi ? siete mai stati in Portogallo? che ne pensate?
Summary of the itinerary in brief: 5 days
Flight: Milan Orio al Serio / Porto Port – Fatima – Lisbon (day 1)
Lisbon: MORNING: Amalia Rodríguez Gardens – Eduardo VII Park – Av. De Liberdade – Praca Rossio – Elevador de Santa Justa – Bairro Alto, Baixa, Praca do Commercio; AFTERNOON Praca do Martim Moniz – Miradouro de Nossa Senhora do Monte – Castelo de Sao Jorge – Alfama – Church of Santa Engracia – EVENING: Bairro Alto (day 2)
Lisbon: MORNING: 25th April Bridge, Monument to the Discoveries, Belem Tower; AFTERNOON: Nations Park, Oceanographic Aquarium of Lisbon – EVENING: Barrio Alto (day 3)
Lisbon – Cabo da Roca – Nazarè – Porto (day 4)
Porto: tour in sightseen bus for the short time available and return to Bergamo (day 5)
In the spring of last year, before starting to write this blog, I had a very nice trip,  in fact, the destination of which many friends have spoken to me very well is Porto; I had never been to Portugal, but, before booking, I’ve decided not to stop only in this city as a destination but to go around a little bit.
so here is my itinerary Porto – Lisbon – Port of 5 days.
Oh yes, if you have a few days why limit yourself to a small city like Porto when you can rent a car with 10 Euro /day and move a little along Portugal?
We land in the morning in Porto, but our main destination for the first days is Lisbon, so after hurrying all the car rental practices we take the E1 highwayto the south; in reality the goal is to arrive in Lisbon by 18:00, making a stop along the way, as the highway passes through Fatima; there we make the first stop to visit the Sanctuary built on the place where in 1917 the Portuguese shepherds Lucia, Jacinta and Francisco began to see the Madonna.
We are lucky, the day is beautiful and the sanctuary is not crowded, we walk around the church, and in the large square and light a candle; this place so mystical, should be visited for sure if you are in the area and you will be struck by the aura of mysticism and faith that is soaked.
We get back on the road towards Lisbon that we reach even earlier than expected.
The apartment was a great solution – cheap, nice, well furnished and in a great location: here the link of the apartment on booking.com  http://www.booking.com/Share-i5KfqN
We go out for a walk around the center heading into the Baixa area for dinner and take a walk and return before midnight in the subway.
DAY 2:
The next day we have breakfast in the apartment having done a little ‘shopping in a supermarket under the house and we walk towards the center through the Amalia Rodríguez’s garden with its vantage point (you have to keep in mind that Lisbon is a city that is on various hills and is therefore all a steep up and down, but it is also rich of the so called  miradori, the panoramic terraces, from which to enjoy a view of the surrounding city from above).
We continue the walk through  Edoardo VII Park and Avenida de Liberdade (the shopping street and luxury boutiques), we are enchanted to watch some characteristic trams of this city that climb up the steep hills of the city, we pass through some squares until ‘Elevador de Santa Justa which is nothing more than a 1900 iron elevator with a panoramic terrace that served to connect the lower part to the high one of the Bairro Alto. We turn up and down these characteristic alleys of the center without a precise goal, and attention, not because we do not know where to go, but, just because Lisbon in some ways goes so well visited, getting lost and wandering through its streets. We descend from the alleys of Bairro where we have already decided to spend the evening as it is in these streets that takes place the animated nightlife of this city, and we find ourselves in the great Praça do Commercio. Here in the area we eat a sandwich before heading to Praça do Martin Moniz because from here there is the departure of the historic tram 28 which climbs up the hills of the ancient city. Arrived at the start but I have two problems, the first is that there is a crowd of tourists waiting to climb in the tram, and so I already imagine that on the tram will be like the sardines and you can hardly enjoy a nice view; the second problem is instead my ankle that starts to ache (I have removed the plaster after a fracture about two weeks before). But now I find the solution most congenial to me, on the sidewalk opposite a girl next to her motorcycle tuc tuc looks at me and smiles as she already understood what I was thinking. She beckons me to join her and after a short bargaining she offers us a two and a half hour tour with her as a guide to the tuc tuc and tour guide and with an itinerary of different stages on the hills of the ancient city, following in part the same path of the tram 28. It also warns us that in the path will make several stops where we can take off photos or visit the place. It would be 70 euros per group, we are two and we can get down to 50 euros. Given the beautiful hot day, and my ankle ache I must say with hindsight that these were the 25 euros (my share) better spent my life;
Gabriela is a very sensible girl  with an excellent knowledge of the history and the curiosities of the city and therefore she gladdens us on the path with historical notes and anecdotes. In the ride we climb to the Castelo de Sao Jorge and make a stop at the Miraduro de Nossa Senhora do Monte highest point of the city (I have to say that Without tuc tuc, seen how steep the climb, we would never have arrived there). Gabriela, offers us a fresh lemonade before leaving again through the Church of Santa Engracia (which the Portuguese call their St. Peter, given the similarity with the Vatican church) and descending towards the Alfama district . We make a few more stops before returning to the starting point. In the end it took us three hours, but we saw a lot of things, with the least effort (my ankle thanks) and at the end we leave a tip to Gabriela
We return for a shower and a nap in the apartment and go out late to have dinner and live a bit ‘of nightlife in this city. So we go in the streets of the Barrio Alto, full of pubs, bars, pubs and full of people having fun. We have dinner in a small tapas restaurant and drink a couple of beers in some very noisy places. I must say that Lisbon’s nightlife is very lively and fun.
DAY 3:
The day after we reach with the subway the Commecio square from where we will take a train to the Belem.
Once out of the train, we walk along the Tagus, from here you can enjoy a wonderful view of the 25th April Bridge one of the most famous places in Lisbon and is a bridge that recalls the Golden Gate Bridge in San Francisco. Continuing the walk to the famous Belem’s Tower passing  the Monument to the Discoveries. Lunch in one of the many restaurants with outdoor tables, with the time to be April we are lucky, sun and heat.
In the afternoon we will have to move  from here on the other side of the city to the Park of Nations, area of ​​the Universal Expo of 1998, and defined the most futuristic area of ​​the city. Here we visit the famous Oceanarium, very beautiful, worht a visit.
We are satisfied, we have seen the city far and wide, and I must say that Lisbon is one of those destinations that I have never thought of before, but that today is one of the most beautiful capitals in Europe for me. So when you think about what to visit and you can think of Paris, London, Berlin, think better because Lisbon is much much better (although the other cities are beautiful) and it is also much cheaper ..
  DAY 4:
In the morning we say goodbye to the landlord to whom we have handed the keys back, and we go back to our rented Fiat Punto; looking at the map I decided that for today instead of returning along the same highway of the first day, to make a long ocean variant and to make two stops, the first in Cabo Da Roca and the second in Nazarè before arriving in Porto our last day before returning home.
Cabo da Roca is the westernmost point of the European continent, and is nothing more than a beautiful cliff overlooking the Atlantic Ocean, which has nothing to envy to the Irish Cliffs of Mohar. While I’m taking some pictures, I hear someone calling me, and I can not help but think that the world is really small: in fact I meet some of my fellow citizens here; a chat and then off again to Nazarè where we read if the sea is rough we can see the highest waves in the world. We stop at the praja do Northe, the day is beautiful, the beautiful beach, but never seen the sea so calm in my life, so no waves.
we get going again and we reach our hotel in Porto around 17:00. We leave our belongings and immediately take a ride downtown.
Porto is a small town, famous above all for its wine cellars and with a really fascinating historical center: the Ribeira district is precisely the central area full of ancient houses, narrow cobbled streets and numerous restaurants and bars.
  The numerous wine cellars, on the other side of the river, where the Port is produced.
We eat in a restaurant along the river, and taste some local wines including the Port that night falls between one glass and another. The next day, we do not have many hours, in the afternoon we have to go back to the airport, so also because of my usual ankle ache, I decide for the first time in my life to take one of those tourist sightseen buses all the way around the city. So we can see Porto being comfortable, before returning, and I must say that I am more and more convinced that I have chosen the right round, Lisbon to visit calmly and beautiful, and Porto, however pretty, does not deserve more than a couple of days maximum.
This is my first approach to Portugal, but I must say that I was pleasantly surprised, for its beauty, for people, for life, so much so that I decided to come back this summer to do a little ‘sea in the South , in the Algarve.
and you ? have you ever been to Portugal? what do you think?
Porto – Lisbona, 5 days for a small Spring’s adventure (Scroll down for the English version) Riassunto dell'itinerario in breve: 5 giorni Volo: Milano Orio al Serio / Porto���
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writerfisico92 · 6 years ago
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Progenie - Racconto Breve
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Parte 1 – Cosa è? 
“Signori, vorrei che questo incontro fosse breve, ma il più esaustivo possibile. Sono stato ragguagliato solo parzialmente su alcuni i dettagli quindi vorrei che partiste dal presupposto che io sia all’oscuro di tutto e che quindi non tralasciaste alcun particolare che ritenete importante. Prima di cominciare vorrei fugare quello che so essere il dubbio di tutti in questo posto. Non intendiamo, almeno per ora, divulgare al pubblico questa notizia, motivo per cui rimarrete tutti vincolati alla massima segretezza. Questa è senza alcun dubbio la più grande scoperta del genere umano, e se gestita male e senza la necessaria avvedutezza potrebbe portare a nefaste conseguenze.” Il generale Tallman non aveva perso tempo e aveva cominciato a parlare appena dopo essere entrato nella sala dove si sarebbe dovuto tenere il briefing, ancor prima di sedersi. Tirò indietro lievemente la larga poltrona, vi ci affondò dentro, ma prima di ricominciare a parlare volle essere certo che quanto aveva detto fosse chiaro a tutti: “qualcuno ha qualcosa da obbiettare?” chiese perentoriamente a tutte le persone nella sala.
 Il dottor Sneider, l’astrofisico, annuì timorosamente con la testa. Il dottor Lee, il chimico, si limitò a restare impassibile. La biologa, la dottoressa Sokolova, pareva, col suo solito fare da bastian contrario, voler rispondere al generale ma anche lei non disse nulla.
 Ricevuto il tacito assenso da tutti i presenti, Tallman riprese. “Bene, dottor Sneider, può riassumere tutto quello che sappiamo sul ritrovamento dell’oggetto.”
 “Con piacere, signore. L’oggetto in questione è stato recuperato a circa trentamila chilometri dalla terra. Con ogni probabilità è entrato nel sistema solare su una traiettoria molto inclinata rispetto alle orbite planetarie ed è giunto in orbita al nostro pianeta dopo una fionda gravitazionale con Giove.”
“Una manovra voluta?” chiese il generale, intuendo già la risposta
“È altamente improbabile che l’oggetto in questione fosse casualmente su una traiettoria del genere, con ogni probabilità è stato programmato per seguirla.”
 “Programmato?”
“Esatto, qualcuno lo ha mandato qui.” Ad intervenire era stata la Sokolova, spazientita per quanto i due i ci stessero impiegando ad arrivare al nocciolo della questione. Il generale la ignorò e tornò a rivolgersi a Sneider.
“Da chi? Dove?”
“Non ne abbiamo idea ovviamente signore, con ogni probabilità, vista la sua traiettoria, l’oggetto non è partito da nessun sistema stellare nel raggio di tremila parsec dal nostro, più di questo non possiamo dire.”
 “C’è da temere qualcosa nell’oggetto in se? O per il futuro”
“Ma per favore…” commentò sarcasticamente la Sokolova
 Tallman fece finta ancora una volta di non sentirla: “Dottor Lee, cosa ha da dire lei?”
L’uomo, il più avanti con l’età nella stanza, volle schiarirsi la voce per bene prima di cominciare a parlare. “L’oggetto consisteva in un ellissoide con l’asse più lungo di centoventicinque centimetri circa. La composizione esatta del materiale ci è ancora ignota, sembra si tratti di una lega di Alluminio, Bario, Zinco e Platino.”
 Parte 2 – Chi è? 
“Veniamo alla parte più interessante.”
“Forzando l’apertura dell’oggetto è stato trovato al suo interno quello che sembra a tutti gli effetti un organismo biologico.”
“Che forma ha?”
“Sembra un incrocio tra un polpo e un trilobite, signore” intervenne la Sokolova
“Come?”
“Un trilobite signore, sa uno dei primi animali passati dalla vita acquatica a quella terrestre, somiglia a…”
“Dottoressa! Non stavo chiedendo a lei, sentirò presto cosa ha da dire. Dottor Lee continui pure”
“Si, signore. Al di là della forma la cosa più notevole è la composizione del, ecco, dell’essere, è a base di carbonio”
“Sensazionale per voi scienziati suppongo, non molto per me. Ditemi, se era composto di carbonio allora è stato possibile utilizzare la datazione al carbonio-14 per stimarne l’età?”
“Purtroppo non è così semplice signore. Qui sulla terra il carbonio-14 è prodotto dalla reazione tra i raggi cosmici e l’azoto presente nell’atmosfera, questo ne determina la sua frazione su questo pianeta. Ora, non possiamo sapere se, sul pianeta di origine dell’alieno il carbonio-14 venga prodotto dallo stesso processo o da qualcos’altro. Anche ammettendo che il processo sia il medesimo non possiamo ugualmente sapere quanto siano intense le radiazioni della stella di quel pianeta o quanto azoto e quanto carbonio vi siano presenti. In altre parole la datazione al carbonio-14 è totalmente inutilizzabile”
“Quindi non possiamo datarlo.”
“Tuttavia…” fece Sneider introducendosi nel discorso
“Tuttavia?”
“Ecco signore. Anche senza poterlo datare è comunque possibile, attraverso l’orbita che ha seguito, ricostruire un minimo tempo di viaggio.”
“E questo tempo sarebbe?”
“Novecentomila anni circa, signore”
“Novecentomila anni?”
“Si, è una stima per difetto signore, più realisticamente dovremmo parlare di almeno una decina di milioni di anni, forse molto di più. Ma ecco, certamente non meno di novecentomila.”
“Accidenti…” fece Tallman, lasciandosi scappare un sincero commento sulla cosa.
“Credo che questo basterebbe, signore, a scongiurare gli eventuali e inutili isterismi della gente su una ‘invasione aliena’”
“Come detto, dottoressa Sokolova” prese Tallman accigliato “la cosa non ci deve riguardare, giacché non è ancora stato deciso di rendere pubblica la vicenda. E visto che è così tanto desiderosa di parlare, bene, è il suo turno, parliamo approfonditamente dell’alieno!”
“Bene signore” fece la dottoressa, visibilmente meno adirata ora che poteva finalmente parlare “le ho già detto della sua forma. È già stato detto anche che la sua chimica è a base di carbonio, ma non finisce qui. Le analisi sulla sua struttura interna che abbiamo condotto hanno rivelato la presenza di quelli che sembrano essere una specie di organi e forse, ma non ne siamo sicuri, un sistema circolatorio. La cosà più interessante però è che l’essere è dotato di un simil sistema nervoso, non sappiamo bene ancora cosa lo compone ma ha un notevole numero di connessioni, confrontabili con le nostre…”
“Vuol forse dire che potrebbe essere intelligente?”
“Beh signore, potrebbe esserlo stato sì.”
“Beh, per calcolare con precisione una traiettoria che lo ha portato fin qui da decine di migliaia di anni luce”, fece Sneider per dar voce ai suoi pensieri, “doveva certo avere conoscenze superiori alla nostre.”
“Questo non mi rassicura affatto, siamo sicuri che l’alieno sia, ecco, non più vivo?”
“Ma… si signore, siamo certi, avendo viaggiato per milioni di anni” fece la Sokolova all’inattesa domanda.
“E siamo sicuri che presto non ne arriveranno molti altri?”
“Per fare cosa? Conquistare la terra… ma mi faccia… signore tutto ciò è ridicolo e senza senso”
“Dottoressa, moderi il linguaggio! Bisogna sempre pensare alle evenienze peggiori.”
“Le ripeto quello che le ho detto. Parlando scientificamente, chiaro si intende, la sua ipotesi è senza senso.”
 Parte 3 - Perché è qui? 
“Bene, visto che crede di sapere tutto dottoressa, risponda lei a una domanda. Il dottor Sneider dice che la traiettoria dell’oggetto che ha portato qui l’alieno era stata programmata, lei concorda?”
“Certo, è praticamente impossibile che seguisse una rotta tanto fortunata da farlo finire nell’orbita terrestre casualmente.”
“Bene” fece Tallman soddisfatto “allora mi dica, visto che siamo tutti concordi sul fatto che il suo obbiettivo fosse realmente arrivare qui, cosa è venuto a fare?”
 La Sokolova non aveva una risposta, ma non ebbe nemmeno tempo per pensarci, una forte bussata risuonò sulla porta chiusa della stanza. Il generale, seccato per l’interruzione, si volse verso di questa e in maniera riluttante invitò chi stesse bussando ad entrare.
Una donna con camice addosso e una pila di fogli nelle mani entrò di corsa, senza nemmeno chiudersi dietro la porta. “Devo subito riferirvi una cosa!” fece esagitata, senza badare a chi vi fosse nella stanza
“Scusi, lei è?” chiese Tallman visibilmente irritato
La donna, indecisa se dire quello che era venuta a dire o rispondere alla domanda non aprì bocca.
“È la dottoressa Annette Stevenson signore, la genetista del team di studio” intervenne la Sokolova a rompere il silenzio. “Annette, prendi un bel respiro e dicci con calma quello che devi dirci.”
 “Ecco, va bene, andrò con ordine. Insieme al team di microbiologi abbiamo svolto un analisi più approfondita dell’essere. L’essere sembra presentare una specie di struttura cellulare, non troppo dissimile dalla nostra. Dopo l’analisi preliminare ci siamo concentrati sull’analisi cellulare. Le cellule dell’essere, similmente a quelle presenti qui sulla terra, erano dotate di una specie di nucleo. All’interno di questo abbiamo trovato una informazione genetica ben codificata.”
“Vuol dire, dottoressa, che anche quell’essere era dotato di DNA?” chiese Tallman, credendo di aver capito il punto
“Si signore, un DNA composto anch’esso, come il nostro, da basi azotate”
“Molti, prima di questo ritrovamento, fantasticavano di forme di vita totalmente inconcepibili per noi qui sulla terra” fece Sneider, intervenendo nel discorso, “ma a quanto pare dobbiamo concludere che la vita può organizzarsi solo in alcuni modi. Questo essere ha una chimica basata sul carbonio, come la nostra, ha un sistema nervoso con qualche similitudine con il nostro, ma soprattutto, a quanto ci dice la dottoressa, è composto da cellule, a loro volta dotate di nucleo, nel quale sono codificate, come per gli esseri qui sulla terra, le informazioni genetiche. Questo dovrebbe anche farci presumere che quell’essere fosse, in qualche modo, capace di riprodursi. Tutto questo è molto interessante.”
“Non è solo questo dottore” fece la Stevenson, desiderosa di poter ricominciare a parlare
“In che senso”
“Quello che voglio dire è che: sarebbe bello concludere che la formazione della vita ha dinamiche simili dovunque avvenga, che ci sia una specie di set di requisiti da soddisfare perché un essere possa essere definito vivo. Ma qui la storia è molto diversa, c’è molto di più!”
“Arrivi al punto” fece spazientito Tallman
“Ecco, tutti gli esseri viventi sulla terra hanno degli antenati comuni, le prime cellule che vivevano nel brodo primordiale di questo pianeta miliardi di anni fa, motivo per cui, mappando i dna di una qualsiasi specie vivente su questo pianeta è possibile trovare delle sequenze genetiche in comune o simili, rimaste da quegli antichi antenati comuni.”
“Si va bene, e con questo dottoressa?”
“L’essere che abbiamo ritrovato dentro la strana ellissoide. L’essere di cui abbiamo studiato cellule, nuclei e sequenza genetica, beh, quell’essere, proveniente da chissà quante migliaia di anni luce di distanza, ha quelle stesse sequenze geniche in comune con tutti gli esseri di questo pianeta!”
“Cosa, tutte in comune?”
“Si, quasi tutte. La probabilità che questo possa succedere, cioè che una vita su un altro pianeta sviluppi casualmente queste sequenze è astronomica, è praticamente impossibile.”
 “Cosa sta cercando di dirmi dottoressa?”
“È chiaro, quell’essere ha avuto origine qui, come tutte le altre specie viventi di questo pianeta!”
“Cosa? No, impossibile!” fece Tallman scioccato
“Cosa vuole sostenere dottoressa?” fece Sneider, per la prima volta infastidito “che una razza si sia evoluta a tal punto sulla terra tanto da lasciarla e compiere un viaggio di milioni di anni per colonizzare chissà quale punto sperduto del cosmo? È assurdo”
“Io so per certo solo quali sono i risultati dei miei esperimenti dottore” fece la Stevenson pacificamente “ma i risultati non mentono”
“Siete sicuri di poter escludere che sia una casualità?” fece Tallman per cercare di riprendere in mano il discorso
 “Siete tutti fuori strada!” fece la dottoressa Sokolova balzando in piedi, come colta da un’improvvisa epifania
“Ci illumini lei dottoressa, visto che crede di aver capito tutto” fece Tallman sarcasticamente
“Non capite? Non riuscite a capirlo? Una razza intelligente che si sia sviluppata su questo pianeta? Centinaia di milioni di anni fa? Avrebbe sicuramente lasciato delle tracce, una civiltà intelligente produce molte cose nella sua storia, noi ne siamo la prova. Non avrebbe senso, ne avremmo sicuramente trovato qualche testimonianza”
“Ma i dati…” fece timidamente la Stevenson
“I dati dicono che noi e quell’essere abbiamo un antenato in comune. Ma non siamo tutti originari di questo pianeta, siamo tutti originari del suo!”
“Cosa, sta farneticando dottoressa?” fece Tallman non capendo.
“Panspermia” suggerì Sneider, comprendendo il ragionamento della collega.
“Esatto” fece la Sokolova, senza fermarsi “Esatto. Pensateci, una razza intelligente spunta su un pianeta, raggiunge un punto di sviluppo tecnologico tale da avere i mezzi per inviare degli oggetti lontanissimo, facendogli compiere viaggi di centinaia di milioni di anni. Magari al contempo questa civiltà acquisisce i mezzi anche per studiare e mappare regioni della galassia distantissime, così si fa un’idea dei pianeti potenzialmente abitabili in queste presenti. Dopo di ché decide di far sviluppare la vita su questi pianeti e invia degli organismi unicellulari ibernati su questi mondi, gli unici in grado di poter tornare in vita una volta giunti a destinazione. Questi,  poi, sviluppandosi ed evolvendosi, danno poi in un certo senso alla luce i loro discendenti.”
“Assurdo…” fece Sneider spalancando la bocca, sempre più convinto dall’ipotesi.
“Si, ma perché?” fece Tallman ancora frastornato.
Ma la dottoressa non ammetteva interruzioni “Perché? Il perché non è importante in questo momento! Non so, si credevano onnipotenti? Magari si erano resi conto, studiando milioni di pianeti, che la vita era una cosa così improbabile che una volta formatasi meritava di essere diffusa. Non saprei, è irrilevante. Quello che conta è che questa è l’unica ipotesi plausibile, per quanto assurda.”
 “Si ma, come spiega l’essere che abbiamo ritrovato?”
“Posso solo azzardare e fare ipotesi. Ma forse, passati miliardi di anni, reputavano probabile, o quantomeno possibile, che su questo pianeta si fosse sviluppata una forma di vita intelligente, e così ci hanno, volontariamente, inviato quell’essere. D'altronde l’oggetto ha fatto una fionda gravitazionale su Giove dopo un viaggio di svariati milioni di anni solo per giungere qui, è chiaro che fosse su una traiettoria prestabilita, che qualcuno volesse farlo arrivare da noi. E badate bene, non farlo arrivare sulla terra, ma in orbità, cosicché solo una eventuale razza intelligente presente sul pianeta avrebbe potuto recuperarlo. Si, sono portata a pensare che quello che ci è arrivato è una sorta di regalo proprio per noi!”
“Si, ma perché?” chiese ancora Tallman
“Seguendo il ragionamento…” la Sokolova, già in piedi si mosse per recuperare, al centro del tavolo, una delle foto dell’alieno, posate li prima da Snieder “lo hanno fatto perché sapessimo, finalmente, chi sono i nostri progenitori.” Dopo aver guardato con attenzione la foto la girò verso il resto dei presenti “Mi sembra uno scambio equo dopotutto, noi ora abbiamo capito quali sono le nostre origini e loro hanno, in un certo senso, hanno conosciuto la loro progenie.”
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sherifawadmeetingvenus · 4 years ago
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Gianluca Vannucci
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di Sherif Awad Nella mia famiglia non c’è mai stato nessuno particolarmente interessato al cinema, al teatro o alla recitazione in generale. Al liceo quando non avevo fatto i compiti o studiato saltavo la scuola e andavo nella videoteca della mia città a vedere i film che hanno fatto la storia del   cinema. Da ragazzo divoravo film su film. Mi piacevano molto e come modello mi ispiravo a James Dean, Steve McQueen, Paul Newman, Marlon Brando, Robert Redford, Warren Beatty e tanti altri, in generale seguivo molto la recitazione dell’actor’s studio, in Italia considero un Maestro il compianto Gian Maria Volonté. Poi durante l’università (mi sono laureato in giurisprudenza a Urbino e sono diventato in seguito avvocato), ho capito che volevo fare l’attore e che non sono riuscito a reprimere questo desiderio. Così a metà del mio percorso universitario ho deciso parallelamente di scendere a Roma per studiare una settimana al mese con il mio maestro di recitazione e appena mi sono laureato, tre giorni dopo la mia laurea sono andato a vivere a Roma, dove vivo tuttora.  Ho scelto di studiare a Roma con uno degli allievi che ha avuto Lee Strasberg, Michael Margotta. A lui devo tanto, non avendo fatto nessuna accademia di recitazione, ha lavorato interamente su una tabula rasa, tale era il mio background quando sono andato a studiare nella sua scuola a Roma, l’Actor’s Center, che purtroppo oggi non esiste più. -Mi sono sempre chiesto che cosa sia la celebrità, e sono arrivato a questa conclusione: la celebrità è quella condizione che porta, attraverso la tua presenza, le tue azioni ed opinioni, a poter influenzare la società, nel bene o nel male. Detto questo con le mie opere e interpretazioni vorrei dare un apporto o comunque un contributo positivo nella società di oggi. Ovviamente il mio obiettivo è focalizzato nel migliorare e progredire a livello nazionale, tuttavia se avessi l’opportunità di poter lavorare anche a livello internazionale, sarebbe fantastico. -Purtroppo le difficoltà nel mio ambiente lavorativo sono legate al fatto che siamo veramente tanti attori in Italia e molto spesso ci si trova a essere selezionati e ottenere il lavoro grazie alla proprie conoscenze personali. Non è sufficiente studiare tanto ed essere perfetti per il ruolo, a volte è necessario anche un po’ di fortuna, cioè trovarsi al posto giusto al momento giusto. Per non parlare del fatto che se fai parte di un’agenzia influente, hai sicuramente più possibilità di partecipare al casting del progetto. Non si fanno mai abbastanza provini, o meglio, molti ruoli sono già assegnati prima ancora di iniziare a fare il casting. - Stiamo vivendo un momento molto particolare a causa di questa pandemia e sicuramente una volta che ne usciremo le cose non saranno più come prima, ci sono tantissimi film che dovevano uscire e tanti altri che presto saranno pronti e che creano una sorta di ingorgo: centinaia e centinaia di titoli che non si sa ancora se riusciranno ad uscire nelle sale cinematografiche ma è molto più probabile che col passare del tempo finiranno nelle piattaforme tipo Netflix o Amazon Prime. Fortunatamente per noi attori le cose non sono cambiate più di tanto perché facciamo le audizioni tramite i video-provini senza presentarci all’audizione fisicamente, però comunque il fatto che i Set stiano continuando a lavorare e a funzionare, ci permettono di continuare a lavorare, naturalmente con tutti i controlli sanitari del caso. In Italia molto spesso gli attori che lavorano sono sempre gli stessi e la contemporaneità della ripartenza dei Set non ha permesso alle produzioni di poterli assumere contemporaneamente in tutti, e così paradossalmente le produzioni hanno dovuto attingere assumendo anche quei colleghi che lavorano meno, facendo così lavorare un po’ di più tutti, finalmente aggiungerei -Cerco soprattutto di selezionare un progetto dove è importante la storia e dove i personaggi da interpretare siano stimolanti, ho soprattutto un occhio particolare riguardo alle produzioni indipendenti perché è giusto che queste vengano sostenute poiché a volte sfornano prodotti davvero di qualità con una spesa relativamente bassa. Ho avuto personalmente la fortuna di fondare con alcuni colleghi che sono soprattutto dei cari amici una piccola società di produzione, la Almost Famous Production. Questa società ci permette di poter chiedere finanziamenti per realizzare direttamente quelle storie che desideriamo far venire alla luce. Riguardo al resto sono nelle mani del mio agente!! -Venendo da un percorso di studi totalmente estraneo alla recitazione e soprattutto continuando ad aiutare i miei genitori nell’azienda di famiglia, credo di essere perfettamente in grado di mantenere un certo equilibrio tra il mio mestiere di attore e la mia vita privata. Voglio dire che nella vita reale sono me stesso senza filtri, cerco sempre di essere gentile con tutti, anche con chi a volte cerca di provocare o sminuire, anche se ammetto che mi indispone un po’ la superficialità di chi crede che il mestiere che faccio, che ritengo il più bello del mondo, sia soltanto un divertimento perché non si tratta solo di questo: c’è dietro tanto ma davvero tanto studio, molta fatica e anche se i pochi traguardi raggiunti ti danno grande soddisfazione e ti gratificano facendoti capire perché si ama tanto questo mestiere, a volte siamo anche costretti ad ingoiare dei bocconi amari, molto spesso aggiungerei. -Il consiglio che posso dare ai ragazzi di oggi è di spegnere le consolle dei videogames. Bisogna uscire, conoscere, frequentare il prossimo,avere il più possibile relazioni con gli altri: parlare, ascoltarsi, osservare la gente per strada, copiare un tic o un comportamento di una persona che ci incuriosisce.Bisogna guardare tanti film, cercare di vivere pienamente la propria vita in modo che così possiamo trasmettere le nostre emozioni ed esperienze nell’ambito lavorativo, nella nostra recitazione. Ma soprattutto ci tengo a sottolineare che bisogna studiare tanto se si vuole arrivare come attori, studiare anche libri di psicologia umana perché è un mestiere che a che fare con le emozioni e le relazioni con gli altri. Poi una volta fatto tutto questo potete accendere il vostro smartphone e finalmente girare un cortometraggio! -I miei progetti attuali a cui ho partecipato sono una pubblicità molto importante qui in Italia, quella delle Gocciole Pavesi, dove ho interpretato il ruolo di Tarzan e che uscirà nell’anno prossimo. Poi recentemente ho preso parte alle riprese di due progetti: una serie TV intitolata “La Fuggitiva” con Vittoria Puccini diretta da Carlo Carlei e un lungometraggio, la commedia “Per tutta la vita” diretta da Paolo Costella con nel cast tra gli altri Claudia Pandolfi, Filippo Nigro e Ambra Angiolini. Infine ad Aprile con la mia società di produzione, la Almost Famous Production, dopo aver realizzato il nostro primo lungometraggio in cui ho potuto esordire la regia: “Famosi in 7 giorni”, realizzeremo ad aprile il nostro secondo film che si intitola “l’orafo” ed è un thriller-horror dove interpreterò uno dei protagonisti. Nel cassetto ho anche il progetto di realizzare una mia seconda regia di un film sportivo: vorrei raccontare una storia a cui tengo tanto, ispirata a fatti realmente accaduti nel mondo del tennis, sport che pratico sin da quando ero ragazzino. http://dlvr.it/Rwt963 http://dlvr.it/RwtBLk source https://www.sherifawad-filmcritic.com/2021/04/gianluca-vannucci_2.html
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travisjerichomurphy · 4 years ago
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So I drink till the night becomes another day and the day is just another little thing in our way. No one ever chooses to be a flawed design but this life is a joke and death is the punchline. _____
Il 28 Maggio del -purtroppo - lontano 1995, Harold e Doris Murphy annunciano al mondo e alla loro parrocchia di fiducia la nascita del loro angelico pargoletto. Pargoletto a cui verrà dato l'improbabile nome di Travis Jericho. Sembra il preambolo perfetto per una pubblicità della Mulino Bianco e per un certo numero di anni sembrerebbe essere rimasto tale: una casetta bellina in periferia, una vita tranquilla senza troppi fronzoli, le festicciole a pane e Gesù in chiesa and so on. A sette anni gli viene anche recapitata una sorellina. L'unico trauma infantile precoce che potrebbe aver avuto è stato quello di dover fare il chierichetto, che poi con i boccoletti biondi ci stava proprio bene. Visto che sappiamo benissimo che le cose belle durano poco, vi annunciamo la seguente prevedibilissima sventura: nel 2003 la nostra Doris rimane vedova con due figlioletti a carico e senza aver mai ovviamente lavorato per un solo giorno nella sua vita. E tranquilli tutti, continuerà a non lavorare pure in seguito. Campare di carità e sussidi funziona meglio, soprattutto quando devi ignorare la disperazione in liquori da signora perbene. I problemi di 'sto povero figliolo dovrebbero iniziare più o meno nel momento in cui nessuno s'è premurato di spiegargli almeno due paroline sulla morte e per dargli un qualche genere di senso ha cominciato a seppellire le bamboline di sua sorella mentre mammina dormiva stordita sul divano. Giocava ai funerali, faceva domandine creepy in giro, si ritrovava coi vestiti smessi da qualcun altro e nel frattempo ha iniziato a rendersi conto che pure Ems aveva qualcosina che non girava proprio nel verso giusto. Per cui, riassumendo: la (fu) famigliola del Mulino Bianco è ora composta da un'alcolizzata ossessionata da Cristo, un regazzino con la fissa per l'aldilà e una bimba che fa e dice cose totalmente inadeguate al contesto sociale. Peggio degli Addams. Con il passare degli anni, a furia di non trovare risposte sulla natura di tutte queste strane sciagure abbattutesi sulla famiglia Murphy - che diciamocelo, eh, già chiamarsi così è tutto un programma - ha iniziato a convincersi che alla fine della fiera è proprio la vita a fare schifo. Quindi con l'adolescenza è passato direttamente dalla fase dei dubbi a quella del risentimento cieco e becero, perchè se la tua esistenza lascia a desiderare l'unica cosa che puoi fare è renderla un inferno pure agli altri. O almeno era una buona scusa per cominciare a sgraffignare le preziosissime bottiglie di mamma Murphy, a distruggere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro soltanto per il piacere di romperlo, a prendersi a botte con tizi più grandi perchè che gusto c'è quando sei tu a menarle e ragazzate varie ed eventuali. Arriva nella vita di noi tutti quel particolarissimo momento di cui non ci dimenticheremo mai più: la prima sbandata. Già già, l'avvenimento molto speciale che trasforma chiunque in una persona migliore, che tinge il mondo di rosa e che fa sembrare la vita più sopportab... ah, no. Diciamo che almeno ha smesso di bere da solo, il che è un bel passo avanti. La very special person si chiama Nirvana - ma per lui è sempre Van - e dire che ne sia ossessionato è un eufemismo. Ma invece della classica love story commovente da teen drama, trova una persona con cui coglioneggiare giro. Insomma, finalmente ha un'amichetta. Gli ci son voluti diciassette anni, ma ce l'ha fatta! Che ci importa se poi con tutta probabilità ha passato infiniti pomeriggi ad ascoltare I Know It's Over - and it never really began , lo dice pure la canzone oh - degli Smiths over and over and over and over pensando a lei, finchè persino Doris si sarà chiesta che strani problemi avesse il figlio. Un'amichetta, tutto qua. Vuoi mai che 'sti due abbiano rovinato le cose facendo una qualche sciocchezzuola da ubriachi? Macchè. Ebbene, la regia definirebbe la suddetta sciocchezzuola come punto di non ritorno, visto che da qui in poi non s'è capito più niente. Gli ultimi anni di liceo li passa un po' nello stesso modo: fare dispetti alla gente, sorridere come uno scemo davanti ad una certa tipetta che gli piace tanto, cercare di convincere mamma Murphy che per capire perchè la figlia a 11 anni invece di ascoltare i Jonas Brothers crei riproduzioni in legno di coleotteri grandi come palline da golf non serva proprio farla parlare coi preti. E su quel piano è tutto un incavolarsi con chiunque avesse finito per avere a che fare con Ems, non importa se sei un compagnetto che la prende in giro, un insegnante che non la capisce o il nuovo neuropsichiatra di turno: alla fine, in un modo o nell'altro, te lo ritrovi a minacciarti di farti morire lentamente tra atroci sofferenze. Perchè lui è una persona protettiva, eh. Magari nemmeno questo è stato tanto d'aiuto, ma lasciamo perdere. Alla fine delle superiori, decide di indebitarsi a vita per iscriversi all'università nonostante le sfighe varie e il non avere mezzo spiccio da parte. Per cui, si trasferisce a New York dove – guarda che caso – si è trasferita la sua Vannie giusto tre mesi prima. Mica perchè da quelle parti ha gli zii che non se lo filano di striscio. Tanto lo sappiamo come sono le famiglie, tutti bravi a dire che ci saranno sempre finchè davvero non c'hai bisogno. Ma non parliamo di inaffidabilità, considerando che ci ha messo meno di tre mesi di relazione a distanza per infilarsi nelle mutande della sua ex psicomatica – che avrà avuto un radar per presentarsi giusto in tempo, boh. COMUNQUE, sì, New York. Van, l'università, il suo primo monolocale da solo, Van, i primi lavoretti del cazzo, Van, essere stonato per la maggior parte del tempo, abbiamo già menzionato Van? Tutto bellissimo. Nonostante non si sia ancora liberato del pessimismo cosmico, pare che le cose inizino a girare finalmente per il verso giusto. Però che cosa vi avevamo già detto prima? Le cose belle durano poco. Se hai diciotto anni, un innegabile talento per i licenziamenti e stai accumulando debiti universitari per una somma pari al PIL pro capite della Bielorussia può capitarti una sola cosa che sia peggiore del ritrovarsi in loschi affari con la mafia russa: ovvero, mettere l'ammmmore della propria vita in una condizione delicata che chiameremo per brevità gravidanza indesiderata. Come è ovvio che sia, il nostro eroe non soltanto l'ha presa nel peggiore dei modi possibili ma anche reagito nel peggiore dei possibili modi dimostrando per una volta una certa coerenza tra quello che dice e quello che fa. Si è quindi dimostrato all'altezza della sua mancanza di spina dorsale ed ha cercato di lasciare il paese per il confine più vicino, ma poi non è riuscito a fare manco quello ed ha cambiato idea. Già da questo si capiscono molte cose che quindi lasceremo sottintese. Potremmo dilungarci su quanto il suo pessimo comportamento sia stato dettato dai problemi in famiglia, dalla preoccupazione che ti sale quanto nè tu nè tua sorella siete proprio a posto, dalla legge di Murphy che regola la sua esistenza e dal debito pubblico del Cile che grava sulle sue spalle. Ma no, invece confermiamo che è solo un coglioncello codardo che non vuole responsabilità. E nemmeno un figlio, se è per questo. Però tutto è bene quel che finisce bene, e il nostro eroe se ne torna con la coda tra le gambe dalla sua Vannie ripiena. A questo punto, dopo tante peripezie sarebbe bello venire a sapere che l'idea di diventare padre renderà il nostro Travis una persona più matura e socialmente responsabile. Forse per qualche mese ci avrà quasi forse più o meno creduto anche lui. Ma in nove mesi di gravidanza non faceva in tempo a fare un passo indietro che s'esibiva in un triplo carpiato all'indietro e se non ricordiamo male s'è pure infilato nelle mutande della sua ex psicopatica DI NUOVO. Ogni cazzata è soltanto l'ennesima occasione per dichiarare che cambierà, ma poi non cambia manco per niente. Ricordiamo anche che si è quasi perso la nascita di suo figlio perchè è rimasto chiuso nel cesso dell'ospedale. Anche dopo aver dato il benvenuto in questa valle di lacrime a Ian Kevin Murphy – che è e resterà il Murphy più figo di tutti – non è che sia capitato così per caso un qualche miracolo che l'ha portato a trasformarsi in una persona nettamente migliore. Non si può nemmeno dire che ci abbia messo impegno zero, ma è proprio incapace a campà e in queste condizioni l'amore – che poi non riesce nemmeno ad ammettere a meno che non sia proprio ubriaco o disperatissimo – non risolve niente. Si merita almeno una medaglietta di bronzo per non aver abbandonato il nanerottolo e per aver imparato addirittura a volergli bene, ma il premio “Padre dell'Anno” è ancora lontano e ci sono ancora seri dubbi che potrà mai guadagnarselo un giorno. Per il resto, la storia non è mica finita qua. E le scommesse sono ancora aperte.
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levysoft · 4 years ago
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SULL’ANALFABETISMO DELLA MUSICA ITALIANA
Ci sono sempre state le hit, ma quelle imposte dalle radio durante l’estate post Covid – la più rarefatta e sospesa dell’ultimo secolo – oltre a rinsaldare i nostri vincoli affettivi con la mediocrità sembrano aver individuato la loro funzione sociale: sono diventate il piccone con cui demolire quel che resta della lingua italiana, il machete con cui smembrarla a beneficio di una comunicazione orizzontale, istantanea, indistinguibile e quindi informe.
[...] «Dateci parole poco chiare, quelle che gli italiani non amano capire, basta romanzi d’amore, ritornelli, spiegazioni, interpretazioni facili – diceva Fossati – ma teorie complesse e oscure, lingue lontane servono, pochi significati, titoli, ideogrammi, insegne, inglese, americano slang». Si argomenta spesso della crisi della letteratura, del vuoto intorno al cinema e della mancanza di coraggio dell’arte italiana, ma la verità è che dalla musica pare non ci si possa aspettare altro che disgregazione, chiacchiericcio, volgarità più o meno esplicite, analfabetismo a rigorosa misura di social. Ma guai a scambiarla per sottocultura, al contrario questa potrebbe essere la nuova frontiera della dignità autoriale con cui viene chiesto di fare i conti agli interpreti del nostro tempo, e chi non risponde «presente» o è tagliato fuori o è un dinosauro (come chi scrive).
La morte di una lingua.
Per brevità (ovvero banalità), velocità di trasmissione e universalità del messaggio, le canzoni post Covid sono diventate l’espressione più allarmante della deriva del Paese e della Lingua, nonostante questa rimanga tra le più belle, complesse e tradotte al mondo. Ma forse è proprio questo il demonio contro cui combattere, il padre nobile e ingombrante da abbattere. Forse alle nuove generazioni di produttori e compositori non va giù proprio questo, l’insopportabile paragone con un passato impietoso sotto troppi aspetti: nobiltà della missione, qualità del prodotto, straordinaria ricchezza artistica, inarrivabile varietà di proposte, mercato che oggi semplicemente non c’è. Va da sé che l’unica espressione culturale con cui ingaggiare un confronto, nel tentativo di riuscire a vincerlo, per paradosso è proprio l’ignoranza. Volendola tracciare con una parabola, la flessione della ricerca linguistica all’interno delle canzoni moderne, si dovrebbe scavare un fossato, interrarsi in un bunker atomico. Indifendibile, squallida, quasi sempre sessista anche se nessuno dei Benpensanti della Domenica lo fa notare. A larghi tratti analfabeta, quasi sempre composta da una manciata tra sostantivi, aggettivi e pronomi (massimo dieci, sempre gli stessi), ampiamente intrisa di offese gratuite, nomi e marche importati da lingue straniere. Né militante né consunta, né vissuta né scaltra. Una lingua traslucida, abbandonata per eccesso di frequentazione. Una lingua al consumo, usa e getta come le carte prepagate. Una lingua fantasma, nemmeno codice di riconoscimento. Avvertimento lampeggiante, segnale di insipienza riconoscibile da tutti e da lontano. Una lingua svenduta al massimo ribasso, umiliata come se di null’altro si potesse parlare che di stronzate, perché alla gente ignorante (stando al marketing alla base della concezione di questi capolavori) bisogna rivolgersi con cose ignoranti (ecco perché una signora che storpia il nome scientifico del ceppo di un virus su una spiaggia italiana, mixata e debitamente masterizzata fa più download di Alberto Angela). E in questo deserto nessuno chiede uno sforzo di creatività, nemmeno a quelli che invece avevano colpito – o ci avevano provato – per la loro audacia. «E comunque si balla, come bolle nell’aria. E si tagga la faccia, che è riaperta la caccia. E comunque si bacia, l’italiana banana…» canta Francesco Gabbani nel Sudore ci appiccica, mentre Diodato fotografa la solitudine che ci siamo lasciasti alle spalle con «lo vedi amico arriva un’altra estate, e ormai chi ci credeva più, ché è stato duro l’inferno ma non scaldava l’inverno, hai pianto troppo questa primavera» (tratto da Un’altra estate). Non fanno meglio Ermal Meta e Bugo, con Mi manca: «E mi manca aspettare l’estate, comprare le caramelle colorate. E mi manca (mancano, sarebbe plurale) le strade in due in bici. Mi manco io, mi manchi tu. E mi manca una bella canzone (sinceramente, anche a noi!)».
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Bene intesi, nessuno pretendeva la chiave d’interpretazione dell’umanità. Ma forse è proprio dentro la musica, nelle note più spensierate di questi testi privi di urgenza e tensione morale, che la pandemia sembra aver riposto tutte le banalità che ha succhiato infilando una cannuccia sulle nostre teste. «Blocco a volte sembro ancora triste, il testo è vero sai che mamma è fiera, fumo sopra ai sedili di un Velar, penso a quando il successo non c’era – Shiva in Auto blu – fa i soldi appena diciottenne, in qualche modo sotto quelle antenne, in quanti cambiano lo sai anche tu…», con un seguito quasi mai inferiore ai 20 milioni di follower. Che la lingua non esista più lo si capisce da gemiti, monosillabi e vomiti che ormai sono diventati testo e non pretesto, overdose di egocentrismo, autoerotismo più esasperato di quello di certi scrittori. «Lui si porta i libri di Kafka – profetizza J-Ax nella sua Bibbia estiva, quella di quest’anno si chiamava Ostia lido – ma poi studia solo ogni culo che passa». E poi la ricostruzione delle giornate tipo in cui riconoscersi tutti, non solo gli adolescenti ai quali questi pezzi sarebbero destinati. «Mi chiedi com’è passare le giornate a stare sul divano, con un caldo allucinante che mi scioglie, non dormo più la notte, ventilatore in fronte, e questa casa sembra proprio un hotel – scrive Giulia Penna in Un bacio a distanza –. Latine, il bel Paese, pizza pasta e mandolino, tu portami del vino, ché forse in questo pranzo non t’arriva manco il primo».
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Come nei decreti “Mille proroghe” in cui insieme alla manovra finanziaria finiscono anche le sanatorie sui profilattici scaduti, in questa deriva consumista sono finite umiliazioni («ay papi non mi paghi l’affitto (…) Mamma lo diceva, sei carino ma non ricco»: Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini, La Isla); icone di plastica («tu fra queste bambole sembri Ken, ti ho in testa come Pantene»: Baby K e Chiara Ferragni, Non mi basta più);l’ostentazione della povertà («Nelle tasche avevo nada, ero cool, non ero Prada»: Mahmood, Sfera Ebbasta e Feid, Dorado); e la nemesi, sotto forma di insofferenza verso gli eccessi di comunicazione («Te lo spacco quel telefono, oh-oh, l’ho sempre odiato il tuo lavoro, oh»: Elodie, Guaranà).
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Ferie d’Agosto.
In una memorabile scena del bellissimo film con cui Paolo Virzì ha anticipato di almeno un ventennio il funerale politico del Paese, cioè Ferie d’Agosto, Ennio Fantastichini (capo famiglia di Destra) dice a Silvio Orlando (capo delegazione di Sinistra) queste parole: «La verità è che nun ce state a capì più un cazzo manco voi, ma da mo’…». Che non solo è vero, ma fotografa alla perfezione la saturazione di un pubblico in cui chi prova a dire «no» è condannato all’emarginazione, alla solitudine, alla gogna. «Se c’è una cosa che mi fa spaventare, del mondo occidentale, è questo imperativo di rimuovere il dolore. Secondo me ci siamo troppo imborghesiti – dice Dario Brunori in Secondo me – abbiamo perso il desiderio, di sporcarci un po’ i vestiti, se canti il popolo sarai anche un cantautore, sarai anche un cantastorie, ma ogni volta ai tuoi concerti non c’è neanche un muratore».
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Certo non mancano le eccezioni, taluna musica riesce ancora a incarnare l’essenza di una missione a cui non solo i chiamati all’appello rispondono (cit. Leo Longanesi). Così come non mancano le ambizioni, le lezioni di scienza e coscienza di chi mette insieme la musica al più antico insegnamento degli umani, il sapere (penso al progetto Deproducers, lo straordinario tentativo di deprodurre, appunto, la musica attraverso l’ausilio della scienza); ma si tratta di oasi che al cospetto delle cover patinate, delle tracce inascoltabili imposte dalla tv e dalla pubblicità, dinanzi al muro di intolleranza al bello eretto soprattutto da alcune etichette musicali, non arriva alla grande platea. E non ci arriva perché non racconta una mutazione, non arriva perché non riesce a essere antidoto a tutto il peggio prodotto in questi anni, segnatamente in questi mesi.
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A pensarci bene la pandemia non c’entra, al contrario come noi è costretta a subire questo strazio. La verità è che la cifra stilistica media, l’asticella della dignità, la percezione del gusto e l’estetica condivisa hanno perso qualsiasi ritengo, hanno rinunciato a ogni freno inibitore, così ciò che fino a venti anni fa era meno dello scarto delle bobine oggi è diventato esperimento, ricerca scientifica, derivato d’introspezione, indagine socio-artistica. E a nulla valgono gli impietosi paragoni col passato, quando provando a spiegare alle nuove generazioni la sofferenza da cui proveniamo lo si fa con una canzone di Francesco de Gregori («meno male che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare, se no la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare, dove tra la ragazza e la miniera apparentemente non c’è confine, dove la vita è un lavoro a cottimo e il cuore un cespuglio di spine», da La ragazza e la miniera), perché nessuno ha più tempo per ascoltare questi dinosauri. La missione è quella di favorirne l’estinzione, aprendo le porte di un mondo digitale, inespressivo e anaffettivo in cui la canzone – intesa come esperienza/fenomeno – riveste la stessa utilità dei prolungamenti delle unghie: umiliare la natura, nasconderne i prodigi. Come i bari fanno col talento.
Davide Grittani
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giancarlonicoli · 4 years ago
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23 set 2020 19:49
È MORTO IL DOTTOR FRANZ. ERA UN AGENTE SEGRETO, CHE DA PRAGA MANDÒ UN CABLOGRAMMA: ''MORO È IN VIA GRADOLI''. MA QUALCUNO NASCOSE QUEL MESSAGGIO IN UN CASSETTO - IL RACCONTO DI MARCO GREGORETTI LO INCONTRÒ: ''I SERVIZI ITALIANI MI INGAGGIARONO PER PEDINARE I BRIGATISTI CHE SI ANDAVANO AD ADDESTRARE IN CECOSLOVACCHIA. LI HO VISTI CON I LORO ISTRUTTORI, TUTTI AGENTI DEL KGB E CON I TERRORISTI DELLA RAF, DELL’ETA, E QUELLI LIBICI. GLI EX KGB NEL FRATTEMPO SONO DIVENTATI MILIARDARI DELLA MAFIA RUSSA, CHE FINANZIANO E FORNISCONO ARMI AI TERRORISTI OCCIDENTALI''
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Marco Gregoretti per il suo sito, www.marcogregoretti.it
Stanno per iniziare i lavori della Commissione Moro. Questo mio articolo del 2001/2002 racconta l’incontro con l’agente del Sid a Praga. Lo chiamavano dottor Franz e tutti credevano che fosse un dentista MG
Prologo. Cabras, terra di bottarga di muggine e di spiagge colorate, di boschi impenetrabili a picco sul mare e di cuniculi sotterranei scavati dai Fenici. È la Sardegna dell’oristanese: bella e poco turistica. Un sabato di settembre la sala del museo civico si popola di uomini con facce particolari, segnate dall’esperienza, circospette in ogni minima postura. Nascoste da Ray-Ban neri. Molti di questi, sebbene arrivino da diverse parti d’Italia, in passato si sono già incontrati. Si salutano con battute strane, chiamandosi per sigla. Efisio Trincas, il sindaco di Cabras, sta presentando alcuni scrittori locali. Quando pronuncia il titolo “Ultima missione”, l’autore, Antonino Arconte, e la sigla G-71, quelle facce di agenti segreti, di ex agenti segreti, di uomini del controspionaggio italiano, si contraggono come per trattenere un: «G-71, sei tutti noi!». ”Ultima missione” è il libro di memorie dell’agente segreto scovato due anni fa da GQ.
Più di 600 pagine sconvolgenti, con documenti inediti: da Gheddafi a Moro, da Bourghiba a Craxi, da Andreotti a Cossiga, racconta tutte le missioni segrete che lui (soldato della Marina militare, comsubin, gladiatore del super Sid) e altri militari in incognito hanno fatto in giro per il mondo per conto del governo italiano. G71 il suo libro se l’è scritto da solo, si è fatto da solo il progetto grafico, copertina compresa, e l’ha messo on line. Migliaia di copie vendute con il semplice tam-tam. Ammiratori in ogni continente, davvero. Posta elettronica intasata. E uno Stato, quello italiano, che lo perseguita e l’ha “cancellato” perché sa troppo e non vuole stare zitto. Ma questa è un’altra storia…
«Quello è del Sismi…»
Mescolato tra i tanti colleghi ed ex colleghi, vicino al buffet offerto dal comune di Cabras, c’è uno che ha l’aria di essere, oltre G71, il pezzo da novanta. Lo capisci da come tutti “gli spioni” si rivolgono a lui. È sicuramente sardo, ma può sembrare arabo o, perfino, non è uno scherzo, tedesco. Parla il dialetto sardo, si esprime in arabo, conosce un tedesco perfetto, il cecoslovacco, l’inglese, il francese e lo spagnolo. Per gli Stati Uniti è laureato in medicina e fa il dentista. Per l’Italia no: è un abusivo. I modi e il look non sono appariscenti, ma si percepisce il carisma. Avvicinarlo, pur essendo in una sala piccola, è difficile. Capita sempre qualcosa sul più bello: uno che lo chiama, un altro che “involontariamente” lo urta e il bicchiere cade per terra, il cellulare che squilla, ma nessuno risponde.
È lui, poi, che risolve la situazione: «So che le interessa sapere qualcosa sulle nuove Brigate rosse. Che poi sono le vecchie: non è cambiato nulla». Sussurra: «Sono Franz. Il dottor Franz. Per i servizi segreti di mezzo mondo questo nome di battaglia vuol dire qualcosa. Ma qui c’è troppa gente, non mi fido. Ci vediamo domani ad Alghero». Ma chi è il dottor Franz?
«Un bravo dentista», dice lui. Ci vuole proprio una gitarella ad Alghero. Seduti intorno al tavolo della cucina, nell’appartamento di un amico che non c’è, Franz sembra più tranquillo. L’inizio del racconto è assai umano: «Sono entrato nei servizi segreti italiani per amore. Per amore di una donna dell’Est». Fino a quel momento Franz era un mozzo che lavorava sulle navi e guadagnava molto bene per i primi anni Settanta: un milione e mezzo al mese. «D’altronde dovevo mantenere una famiglia numerosa (mamma, due fratelli e tre sorelle), che dopo la morte di mio padre non aveva alcun sostegno».
«Ho visto Franceschini in Cecoslovacchia»
Girando per il mondo conosce la figlia di un colonnello della Stasi, che vive in Cecoslovacchia. «Appena rientravo da un viaggio in nave, la raggiungevo al suo Paese. Così ho imparato la sua lingua e soprattutto a muovermi con grande disinvoltura in uno Stato così vicino, ma anche così lontano». Nel 1974 la proposta indecente. «Ero in via Colli della Farnesina, a Roma. Stavo bevendo qualcosa al bar vicino all’ambasciata. Mi avvicinano due tizi che non conoscevo. Che, invece, di me sapevano tutto. Uno era Antonio La Bruna, incaricato dal Sid di ingaggiare personale civile. Non sapevo che fosse la Gladio. Mi chiedono se voglio collaborare. Se voglio entrare nei servizi segreti. “Ci pensi un paio di mesi”, mi dice La Bruna con garbo, “poi mi chiami a questo numero”».
Franz è un freddo. Passionale, ma freddo. Gli offrivano un milione al mese fisso per fare quella che lui riteneva una vacanza: vivere nel Paese della sua donna. «Dopo due mesi ho accettato. La Bruna mi ha convocato a Roma, in via XX settembre, presso l’ufficio decimo. E mi ha affidato i compiti: pedinare i terroristi che dall’Italia andavano in Cecoslovacchia per addestrarsi. L’ho fatto per cinque anni. Anche dopo il rapimento Moro. Ogni volta La Bruna mi chiamava da un telefono pubblico. Mi convocava. Mi segnalava tipo di macchina, targa e luogo di partenza… Neanche mia madre sapeva nulla».
Per esempio. Il furgoncino targato… parte da Padova alle ore… «Io mi mettevo dietro. Lo seguivo, fino a Linz, alla frontiera austriaca con la Cecoslovacchia. Avevo notizia di chi proseguiva il pedinamento dopo di me, per non rischiare di perdere i terroristi al posto di blocco. Oppure li prendevo io a Ceske Budejovice, la prima città in Cecoslovacchia e gli stavo addosso fino a Brno. I campi di addestramento erano a Carlovi Vari, oppure vicino a Brno, a Litomerice, a ovest di Praga. Ufficialmente erano delle terme. Già, perché magari, dopo qualche rapina fatta in Italia, dovevano riposarsi un po’…».
Una bomba! Francesco Cossiga ha appena detto, a proposito delle Brigate rosse, che non esiste alcuna connessione internazionale, che sono un fenomeno soltanto italiano. Ipotesi confermata anche dalle dichiarazioni di Mario Moretti e di Paolo Persichetti, l’ex Br recentemente estradato dalla Francia. Dottor Franz, ma lei è certo di quel che dice?
«Io li ho pedinati e fotografati. Anche dopo il rapimento e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro. So da chi compravano le armi e l’esplosivo. Li ho visti entrare nei ristoranti popolari, mangiare senape e würstel. Li ho visti che si beccavano qualche cameriera. Non solo per copertura. Li ho visti parlare con i loro addestratori, tutti agenti del Kgb e con i terroristi della Raf, dell’Eta, e quelli libici. Noi seguivamo i loro. La polizia ceka seguiva noi. Come mai? Direi a Cossiga che ho lavorato per il mio Paese in condizioni difficili: pedinare in Cecoslovacchia un terrorista che ha la copertura del Kgb è quantomeno arduo. Non parlo a vanvera: il materiale scritto e fotografico io l’ho regolarmente spedito in Italia o consegnato ad agenti italiani. Uno, Tano Giacomina, è morto in uno strano incidente. Due mesi fa mi ha cercato Franco Ionta (il magistrato che indaga sul delitto Moro, ndr). Ho parlato con un maresciallo dei Ros, il reparto operativo speciale dei Carabinieri. Ma non è successo nulla».
Incredibile: sono documenti che provano l’esistenza di un collegamento tra colonne delle Br e servizi segreti stranieri. E nessuno fa niente. Nomi? «Niet». Franz, dai. «Guardi che è pericoloso. Perché io ho pedinato e seguito gente che non è mai stata arrestata…». Qualcuno di quelli arrestati può dircelo? «Per esempio Alberto Franceschini. L’ho seguito e l’ho segnalato. Quindi non è vero, come è stato detto, che lui arrivava dalla Germania dell’Est. Lui arrivava da Praga. L’ho visto recentemente, in tv. Com’è cambiato: sembra un professore».
Franz a Praga prende una casa in affitto da un dissidente: tra i suoi compiti c’era anche quello di aiutare gli oppositori o i perseguitati dal regime a scappare in Occidente. Per farlo rischia la vita. «Un giorno La Bruna mi dice: scusa, ma perché non metti su a casa tua uno studio dentistico come attività di copertura? Avevo molti pazienti. Anche la mia donna. Che essendo figlia di un generale della Stasi, mi dava un sacco di notizie… Per tutti diventai il dottor Franz. In realtà ero il responsabile della base di Gladio in Cecoslovacchia. La parola d’ordine era: ho male al dente numero…».
«Ieri si chiamava kgb, oggi Mafia russa»
Questo pezzo di racconto è da shock. Sono le 11 di mattina e Franz si è già fumato mezzo pacchetto di sigarette. Nella sua mente investigativa si susseguono i pensieri. Spegne l’undicesima cicca. E dice secco: «È da un mese e mezzo che hanno ricominciato a minacciarmi. A farmi certi discorsetti via e-mail. Fanno così, “loro”. Poi, bum-bum. E tu sei morto. Come è successo a quei due, D’Antona e Biagi. E Landi, quella specie di hacker che aveva scoperto troppo. Suicidato, ma va’… Io i miei figli voglio vederli crescere in diretta. E non dall’alto dei cieli. Non voglio fare una brutta fine ed essere consolato da un ministro che si dimette. Ora mi sono rotto».
Dietro la facciata aggressiva, strafottente e ironica, adesso si legge tanta paura. «Guardi, io lo so per certo: sia D’Antona che Biagi avevano ricevuto un sacco di minacce. Tutti e due stavano indagando sulla provenienza degli attacchi minatori. Avevano scoperto i mittenti. Sapevano chi sono i terroristi e chi li protegge. Ma sono stati fatti fuori». Franz racconta un fatto davvero inquietante che riguarda il presunto strano suicidio (giovedì 4 aprile 2002) del tecnico informatico Michele Landi. «Poco prima di morire aveva mandato un’e-mail a un mio amico che era nei servizi con me. C’era scritto che aveva scoperto la provenienza delle rivendicazioni dell’omicidio Biagi. Arrivavano dal computer di un ministero».
Ecco perché ha paura il dottor Franz: lui sa tutto quello che sapevano le tre persone uccise. E forse anche molto di più. Sa per esempio nomi e cognomi. Conosce le connessioni internazionali. Su un fatto il nostro uomo è certo: «Dietro ci sono sempre gli stessi. Ieri si chiamava Kgb. Oggi si chiama mafia russa. Il terrorismo non può vivere senza una potenza alle spalle. E il disfacimento dell’Urss ha fatto sì che fosse messo in vendita l’arsenale di una superpotenza» .
“Loro” sarebbero ex agenti del Kgb, che nel frattempo sono diventati miliardari della mafia russa, che partecipano al gioco mondiale della destabilizzazione finanziando e fornendo armi ai terroristi occidentali. «Che agiscono insieme ai terroristi islamici: niente è cambiato. Ho visto documenti esplosivi che lo dimostrano. Come quello che riguarda il mitico Sciacallo. Non ci sono nuove Br, nuova Eta, nuova Ira. Ci sono Br, Eta e Ira. Usano le armi di ieri e l’esplosivo di ieri: i kalashnikov e il Semtex, fabbricato, guarda caso, in Cecoslovacchia. L’unica differenza è che hanno stretto un patto d’acciaio tra loro». Tanta paura? «Sì, ma anche lei deve averne: le ho parlato di fatti che non ho voluto dire neanche ai Ros».
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il-giardino-del-castello · 7 years ago
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Il Giudizio dell'Entità: Code: Realize ~Sousei no Himegimi~
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[Certe locandine mi fanno pensare retroscena bizzarri.]
✓ Code: Realize ~Guardian of Rebirth~ [コードリアライズ 〜創世の姫君〜  / Code: Realize ~Sousei no Himegimi~] (12 episodi)
Londra vittoriana. Steampunk. Una ragazza misteriosa vive isolata dal mondo, viene chiamata "mostro" perché il suo tocco è così velenoso da sciogliere cose ed esseri viventi. Lei è bellissima, i design dei personaggi molto gradevoli, le illustrazioni sono stupende. CR sembrava avere tutte le carte in regola per essere un anime quantomeno carino. C'era solo un unico, piccolo, insignificante dettaglio: è tratto da un otome. 
Anime tratto da otome, nella quasi totalità dei casi, si traduce in Rinko Glyoneetah e personaggi maschili apprezzabili che per nessun motivo gravitano attorno ad un'ameba che, se va bene, si limita a piagnucolare il nome del ragazzo di turno e a farsi trascinare dagli eventi come un plancton nella corrente (senza offesa per il plancton). A livello di trama, spesso e volentieri, viene a crearsi un pastrocchio indicibile causa il voler incastrare tutte le route in una manciata di episodi. 
Leggere una trama con così tanto potenziale e saperlo un otome mi lasciò l'amaro in bocca. Ma forse c'era una speranza: forse la trama avrebbe avuto la meglio, forse la protagonista non sarebbe stata troppo Rinko?
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[Il gioco ci tiene a presentarsi bene.]
Lo misi da parte, in attesa di leggere commenti e recensioni, un po' triste, un po' speranzosa. Quand'ecco che... il miracolo! Stando ai pareri di chi l'ha seguito, la protagonista ha un carattere, risulta persino puccia! Il mio lato speranzoso ha preso il sopravvento, mi sono decisa a guardarlo e ho scoperto due cose meravigliose: 1. Cardia ha un carattere, è puccia e s'impegna per poter essere d'aiuto; 2. Per quanto ci siano piccoli approfondimenti sugli altri, Cardia ha un unico love interest (la true route, ovviamente) (sgamabilissimo appena appare) e gli altri ragazzi la vedono solo come un'amica. Forse uno di loro si è preso una cotta per lei, o forse sta solo scherzando, ma rimane sempre sulla falsariga di "cotta per una ragazza dolce e carina".
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[Cardia è una delle protagoniste otome più gnocche di sempre.]
Cardia è un personaggio effettivo: ha una storia, aveva una famiglia - cosa decisamente importante per la trama -, il suo veleno le dà problemi ma impara a sfruttarlo a suo favore, il suo isolamento, per quanto voluto dal padre, è stato infine volontario, dettato soprattutto da vicende traumatiche nel suo passato che nulla hanno a che vedere con lowwoh o trama, ma soltanto lei come persona; è dolce, un po' kuudere, vuole rendersi utile e vuole conoscere il mondo esterno, vuole sentire il calore umano. 
Ma chi sono i bishi che la accompagnano nelle sue curiose avventure in quel di SteamLondon? I fanciulli hanno i nomi di personaggi di opere letterarie e le loro capacità si rifanno, in qualche modo, al loro corrispettivo cartaceo: c'è Arsène Lupin, ladro gentiluomo dalle mille risorse; c'è Impey Barbicane (di Dalla Terra alla Luna), meccanico e inventore; c'è Victor Frankenstine, scienziato e medico; c'è Abraham van Helsing, cacciatore di vampiri; c'è il Conte di Saint-Germaine, misterioso nobile che finanzia la banda protagonista e che appare e scompare a suo piacimento; tra i personaggi secondari figurano anche il vampiro Dracula e il capitano Nemo, pilota di una nave (volante). E poi c’è l’unico personaggio effettivamente inglese Sherlock Holmes, qui Herlock Sholmes per non ben esplorati motivi (forse copyright?), che è l’antenato vittoriano di Gakupo Kamui. 
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[Ha una quarantina di centimetri di capelli in meno, ma è palesemente l'antenato di Gakupo.]
Ricordo che si parla di un otome, quindi oltre a nome e caratteristiche principali non c'è molto altro dei personaggi a cui sono ispirati, né c'è da aspettarselo - se vi indiNIa vedere questa gente trasformata in bishi, shotini, tizi pieni di piercing o Gakupo Kamui, direi che quest'anime non fa per voi. 
Il cast non ha un approfondimento da Fossa delle Marianne, anzi, rimane molto tranquillo: abbiamo lo sborone che in realtà è tsunderissimo (Lupin), l'allegrone (Impey), lo tsundere che si finge kuudere il kuudere (Van), il puccio (Fran) e lo yandere (Saint); non ci si sposta troppo da queste definizioni ma, per com'è fatto l'anime, va benissimo così e tutti quanti si fanno presto apprezzare. 
Da brava Londra vittoriana, tra i personaggi non può mancare la regina Vittoria, qui con un'improbabile quanto visivamente riuscitissima mise da ape regina. 
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Una cosa che mi ha fatto molto ridere di questa Alexandrina Victoria (ci tiene a ripetere il suo nome appena possibile) è che, giustamente, si atteggia da sovrana di un grande impero ma viene fregata da Chiunque. Credo che sia stata fregata da quasi ogni membro del cast, più o meno platealmente - se non è stata fregata, non ha avuto l'ultima parola in un discorso con qualcuno. Alla fine neppure dà fastidio, viene solo voglia di annuire e farle mentalmente patpat - perché lei, nonostante tutto, non si scoraggia e continua a comportarsi da fighissima regina imperiale, come se la vincitrice di tutto fosse sempre lei. Andate così, your majesty! 
Dei personaggi del tutto originali c'è Finis, il principale antagonista - sì, c'è pure papino ma, a conti fatti, quello che più rompe le balle è Finis e sì, è un maschio; Finis che tanto a posto con la testa non ci sta e che devo ben capire perché parli orgasmando. In ogni caso, fa il suo onesto lavoro come antagonista psycho. 
Vista la trama, è ovvio ci siano scene d'azione e per carità, ci sono, eh! ... solo che, ecco, i combattimenti non sono esattamente la principale preoccupazione dei produttori, diciamo così. Però negli scontri più importanti ci si sono impegnati, quindi vanno bene così. 
Visivamente è gran bello - steampunk, vittoriano, tutto colorato... e personaggi in qualche modo ossessionati dai vestiti a righe (?); un miliardo di kudos per il fatto che ci si ponga il problema di dare a Cardia un vestito giusto un pelino meno ingombrante e che le venga effettivamente dato qualcosa di più comodo. Peccato che il budget non sia eterno (anzi), quindi a volte ci sono delle brutte ricadute - anche se nulla di atrocemente troppo allarmante o persistente. 
Unicissimo dettaglio che non mi è granché piaciuto sono le scene/inquadrature harmony. Tuttavia, come dire... 
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[... me l'aspettavo. Tra l'altro, se non fosse così melodrammatica, sarebbe pure bella-]
Comunque, le scene harmony non sono millemila e Cardia e Lupin riescono a fare i piccioncini anche in modo più fine. Non che stiano sempre a tubare, ma sono di quelle coppie perennemente circondate dalle rasserenanti onde dell'amore puro e cast- no, balle, entrambi desiderano tantissimo toccarsi e, spinti da questo, riescono pure a salvare il mondo. Parlano di carezze, di calore umano, ma sappiamo tutti cos'è che vogliono davvero - e in questo non c'è nulla di male. Apprezzo la delicatezza con cui è stato reso, non molti l'avrebbero usata. 
Le voci sono tutte molto adatte; quella di Tetsuya Kakihara (Fran) è molto rilassante (!), quella di Tomoaki Maeno (Lupin) resta abbastanza impressa... soprattutto per gli stizziti "Impey!". E poi ci sono doppiatori che hanno dovuto dar sfoggio di tutta la loro potenza vocale: che siano le risate a miliardi di decibel del capitano Nemo o l'orgasmo perenne di Finis - e qui neanche avevo riconosciuto Yuuki Kaji. Poi, per quanto la voce delicata e trasognata sia adatta, soprattutto all'inizio Saori Hayami fa a Cardia una voce un po' troppo da moribonda: capisco abbia senso, ma mi pare comunque un po' esagerata, in alcuni punti... Per fortuna, con il passare delle puntate, diventa un pochino più decisa - forse anche segno dell'evoluzione del personaggio. 
Non ho giocato/visto la VN, quindi non so quanto della trama sia stato accelerato e come; da totale ignorante, posso dire che lo sviluppo degli eventi mi sembra costruito piuttosto bene e, se le puntate di approfondimento degli altri personaggi sono effettivamente le loro route compresse in uno o due episodi, allora trovo sia stato fatto un lavoro più che decente. Magari le fans di questa o di quella route potranno aver storto il naso, ma io le ho trovate ben inserite e non le ho percepite come strizzate in venti minuti o rushate. 
Discorso diverso per Saint e per l'ultimo episodio. 
Saint è quello che ha meno spazio di tutti, giusto alla fine si viene a sapere di un suo coinvolgimento con una qualche organizzazione che protegge il corso della storia - cosa che fa pensare a qualcosa di ben più grande - ma rimarrà tutto fumoso e Saint, pur partecipando più o meno attivamente alla trama, resta sempre un po' sullo sfondo. 
L'ultimo episodio, al contrario degli altri, si fa sentire come un po' rushato, con alcune scene che, per quanto intuibili, per come sono messe lasciano un po' disorientati. 
Ad esempio, Lupin, Fran e Impey riescono ad atterrare rovinosamente sul Nautilus; nella scena dopo, Cardia fugge da Finis e si imbatte in Lupin. Da solo. Tutto molto bello, ma come sono entrati? Dove sono finiti Fran e Impey (ci vorrà un po' prima che vengano inquadrati mentre piazzano bombe in giro)? Quando si sono divisi? Come hanno fatto a non farsi notare se si sono letteralmente schiantati? Un altro esempio, Lupin precipita da millemila metri; poco dopo, riappare giustificando la sua non-morte con sboronate assortite: non ho problemi a credere che Lupin si sia potuto salvare da un volo (anzi), ma sarebbe stato carino sapere come. Ancora un altro esempio, sul finale, Lupin e Cardia precipitano e piccioneggiano durante la caduta; nella scena dopo, sono magicamente salvi. Poco dopo si lascia intuire che sono stati salvati dagli altri ma... come sono entrati nella nave volante? O si sono fatti il viaggio sopra?
Nessun buco di trama o dafaq? sconvolgente, dunque, solo scene che fanno sbattere le palpebre e che allontanano dalla storia per qualche secondo per mettere insieme quel che non è stato mostrato. Credo che, comunque, sarebbe stato meglio fare 13 episodi, in modo da spalmare il finale in due episodi, piuttosto che stritolarlo in uno. 
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[Sono sicura che, in realtà, il dialogo sia stato così.]
Code: Realize non è, senza dubbio, l'anime del secolo, dell'anno o della stagione. Non ha altra pretesa che offrire una piccola storia fantasy e romantica in un contesto steampunk e trovo ci sia riuscito benissimo: i suoi personaggi e la sua realizzazione mi hanno stupita in positivo, soprattutto considerando la pessima fama che purtroppo si sono fatti gli anime tratti da otome. 
La trama mi ispirava, si è rivelato fatto decentemente (oltre che sopra lo standard dei suoi simili) e devo dire che mi è piaciuto più di quanto pensassi.
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cirifletto · 5 years ago
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Vincent Van Gogh: 8 Strane Vicende Sulla Sua Vita
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Angoli di vita di Vincent van Gogh, uno dei pittori più famosi del panorama artistico. Ma anche simbolo del pittore tormentato. Geniale, folle, visionario. Vincent van Gogh può essere considerato uno dei pionieri dell'arte moderna e contemporanea, il padre dell’Espressionismo e l'emblema dell’artista tormentato. La malattia, l’affetto di suo fratello Theo, l’amicizia burrascosa con Gauguin, la vocazione religiosa, i viaggi solitari, l’autolesionismo e l’assenzio dipingono un quadro di esperienze travagliate.
Ma soprattutto le opere, intrise di una forza che divampa, come fuoco, dalla tela per colpire occhi e animo dello spettatore, sono punti essenziali per raccontare la vita di van Gogh.
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Campo di grano con volo di corvi, 1890, olio su tela, cm 50.5 x 103 Ecco qua 8 cose che potrebbero sorprendervi su Vicent van Gogh e la sua vita: 1 - Vincent van Gogh era solito mettere candele accese sul suo cappello in modo da poter dipingere di notte. Non è una cosa certa ma, in più lettere al fratello Theo, Vincent parla di fumo che attraversava la sua vista mentre dipingeva di notte. In un'altra lettera al fratello, van Gogh ha dichiarato: "Mi sembra spesso che la notte sia molto più viva e riccamente colorata del giorno". Inoltre, se le storie fossero vere, van Gogh andava la notte cercando qualche caffè dove dipingere, accanto ad altri clienti, indossando un cappello di paglia con lume di candela. Non posso cambiare il fatto che i miei quadri non vendono. Ma verrà il giorno in cui la gente riconoscerà che valgono più del valore dei colori usati nel quadro.Vincent van Gogh >>
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Magliette ispirate a Van Gogh    2 - Anche se si è sempre creduto che la morte di van Gogh sia avvenuta per suicidio, alcuni pensano che possa essere stato ucciso. La morte di Vincent van Gogh avvenne a soli 37 anni per un colpo di rivoltella, probabilmente auto inferto. In un libro pubblicato nel 2011, chiamato 'Van Gogh: The Life', gli autori Steven Naifeh and Gregory White Smith, vincitori del Premio Pulitzer, affermano che van Gogh non si è suicidato, ma piuttosto un bullo adolescente locale l'ha ucciso. Gli storici dell'arte non hanno ancora pienamente abbracciato questa teoria. Infatti, il Van Gogh Museum di Amsterdam elenca ancora la sua morte come un suicidio, ma Vanity Fair ha dichiarato che ci sono testimonianze forensi che dimostrano scetticismo sulla teoria del suicidio con una pistola. Anche vista l'assenza di bruciature sulle mani. Molti dettagli non quadrano. L'arma non fu mai trovata, le dichiarazioni di quel periodo non sono congruenti con l'accaduto, senza contare il deciso rifiuto verso la pratica del suicidio, in molte delle sue lettere.
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Altra teoria, non accreditata, poi, parla dell’abitudine, che aveva Van Gogh, di passeggiare di notte nei campi di grano. Secondo alcuni testimoni infatti, pochi giorni prima della morte dell’artista, in quegli stessi campi, alcuni ragazzi del luogo stavano giocando al tiro al bersaglio con una pistola. L’ipotesi è che l’artista possa essere stato ferito da uno di quei proiettili, per poi trascinarsi, ferito e sanguinante, nella sua camera. 3 - Qualcun altro potrebbe aver tagliato l'orecchio di Vincent van Gogh. Visto che solo una parte dell'orecchio di Van Gogh fu tagliato via, molte fonti pensano che sia dipeso da un incidente con le armi tra Van Gogh e Gauguin. Van Gogh viveva con l'amico e collega artista, che era un tiratore esperto. I due avrebbero spesso combattuto con violenza. Ma una notte, dopo un aspro duello, il lobo dell'orecchio di Van Gogh scomparve. Forse per colpa di un gesto maldestro di Gauguin. Ma, se fosse vero, è appurato che entrambi mentirono, per la vergogna di Gauguin e per la facilità a dire bugie di van Gogh. Il rapporto tra i due non era facile, le liti erano continue, anche a causa dell’instabilità emotiva di van Gogh. Per questo un'altra versione dell'accaduto racconta che la loro relazione degenerò del tutto, quando una sera, ubriaco e in preda alla rabbia, Vincent scagliò un pesante bicchiere contro l’amico. Probabilmente la causa del litigio fu Rachele, una prostituta che lavorava in un bordello frequentato dall’amico Gauguin, di cui Vincent era innamorato. In seguito, Vincent, sopraffatto dalle allucinazioni e folle di gelosia, si mozzò con un rasoio metà dell’orecchio sinistro e lo spedì a Rachele, come pegno di amore. Qualche giorno dopo, Vincent si ritrasse con una vistosa fasciatura a coprire l’orecchio mutilato.
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Autoritratto con orecchio bendato, 1889, olio su tela, cm 60 x 50 - Photo © Jean Carlo Emer 4 - Vincent van Gogh dipinse "La notte stellata", guardando fuori dalla finestra del manicomio di Saint-Paul a Saint-Rémy, da paziente auto-ricoverato. Nel mese di gennaio 1889, van Gogh fu dimesso dall'ospedale di Arles dopo l'incidente dell'orecchio. Tuttavia, per i vari problemi relativi alla sua salute mentale, pochi mesi dopo, in seguito ad una crisi, si autoricoverò nel manicomio di Saint-Paul. Mentre si trovava nel manicomio, Vincent dipinse molte delle sue opere più conosciute, tra cui "Iris", "Gli ulivi" e "La notte stellata". Van Gogh si è sempre riferito a 'La notte stellata' come un fallimento. Scrivendo al fratello, l'artista dichiarò che gli avrebbe spedito diverse opere dipinte, da vendere (o meglio, che Theo avrebbe cercato di vendere, poi senza successo!). Van Gogh definì 'La notte stellata', un dipinto "che non gli diceva niente" e che 'non era nemmeno un po' bello', così decise che 'La notte stellata' non era all'altezza e non sarebbe stata inserita nel pacchetto per essere venduta. Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni.Vincent van Gogh LEGGI ANCHE... Marc Chagall: 13 Curiosità Poco Note Sul Pittore Dei Sogni >>
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Le borse basate sui dipinti di Van Gogh    5 - Crescendo, van Gogh visitava spesso il cimitero e si fermava presso una lapide che portava il suo stesso nome. La vita di Vincent van Gogh ebbe inizio a Zundert, nei Paesi Bassi. La sua bizzarra abitudine di frequentare il cimitero e soffermarsi spesso ad un'insolita lapide con il suo nome inciso, è figlia di una triste storia. Difatti ebbe un fratello omonino, che morì prematuramente e venne sepolto nel cimitero del suo paese. Così Vincent, nel suo processo di crescita si recava sovente a trovare il piccolo fratello defunto. Il paese di Zundert celebra, ancora oggi, la famiglia van Gogh. La città comprende Vincent van Gogh Square, presenta statue commemorative di Vincent e e del fratello Theo. E una delle case dove abitò il pittore. La casa originale, sulla strada principale Zundert a Markt 29, è stata purtroppo abbattuta. 6 - Vincent van Gogh non ha cominciato a dipingere fino all'età di 27 o 28 anni, ma, prima di morire a 37 anni, è riuscito a produrre quasi 900 opere, una media di circa 2 a settimana.
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Prima di dipingere, van Gogh ha cercato di essere un ministro laico, un insegnante e un mercante d'arte, tra le altre professioni. Poi, come lui stesso scrisse al fratello Theo, alla fine di dicembre 1881, "Theo, sono così felice con la mia scatola dei colori, e penso che il mio momento sia ora, dopo aver disegnato quasi esclusivamente per almeno un anno. Così, Theo, con la pittura, la mia vera carriera ha inizio. Non pensi che ho ragione a pensarla così?". Van Gogh ha creato quasi 900 dipinti e più di 1.100 opere su carta prima della sua morte. E' stato prolifico? Certo. Ma un'altra ragione può essere il fatto che soffrisse di un problema comportamentale chiamato hypergraphia. Problema che amplifica, in coloro che ne sono colpiti, un intenso bisogno di scrivere, o, nel caso di van Gogh, di dipingere.
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          7 - I diversi gialli che Vincent van Gogh ha utilizzato nei suoi quadri sono sbiaditi e bruniti nel corso del tempo. I colori hanno costellato continuamente la vita di Vincent van Gogh. Ma uno su tutti. Van Gogh ha utilizzato il colore giallo nei suoi quadri (quasi fosse una sua firma) e ciò è stato reso possibile dalla rivoluzione industriale, che produsse un nuovo pigmento chiamato giallo cromo, un cromato di piombo tossico che, come molti dei pigmenti del periodo, era chimicamente instabile. Purtroppo questi gialli, utilizzati in dipinti come "Camera da letto ad Arles" sono, in alcuni casi, notevolmente sbiaditi e, in altri, bruniti nel corso degli anni. E così gli spettatori contemporanei non possono godere appieno della luminosità originale di queste opere. Questo cambiamento, secondo Koen Janssens, il leader di un gruppo di ricercatori che hanno testato i campioni della vernice, può essere permanente. Sempre secondo i ricercatori, invertire questa reazione chimica potrebbe probabilmente causare ancora più danni ai dipinti.
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I Girasoli, 1889, olio su tela, cm 95 × 73 - Photo © Jean Carlo Emer 8 - L'ultima persona che ha conosciuto Vincent van Gogh in vita, lo ha ricordato come "sporco, mal vestito e sgradevole". Jeanne Calment, nata nel 1875, è stata l'essere umano più longevo di cui si abbia avuto notizia certa. Ella morì nel 1997 a 122 anni. Ha vissuto la sua vita ad Arles, in Francia, dove van Gogh visse nel 1888. In quell'anno, van Gogh era solito recarsi nel negozio dello zio della signora Calment per comprare le vernici. Per questo Jeanne, che a quel tempo aveva 12 o 13 anni, ha avuto occasione di vederlo più volte e lo ha descritto come "sporco, mal vestito e sgradevole". >>
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I poster delle opere di Van Gogh    In conclusione, un'altra stranezza della vita di questo travagliato personaggio, ha a che fare proprio con il dipingere. Vincent van Gogh ha dipinto se stesso, in più di 30 autoritratti, ma non esiste alcuna fotografia di lui che dipinge. Godetevi, adesso, questa carrellata di 13 quadri, in un'animazione 3D di Luca Anagni Studio Video Projection Mapping, che riesce a renderli ancora più suggestivi e malinconici. https://www.youtube.com/watch?v=MPQSN3fNLF4 Nonostante la vita di Vincent van Gogh, lui rimane uno dei miei pittori preferiti. Un pittore che veramente nasconde l'esigenza viscerale e contemporanea di dipingere. Non come la realtà è, ma come la realtà viene percepita dall'anima. Un perfetto pittore espressionista, al culmine dell'Impressionismo. E voi? Avete un vostro pittore preferito? Avete un pittore sul quale vorreste fosse scritto un articolo di approfondimento?Scrivetelo nei commenti qui sotto Ciao da Tommaso! Vieni a visitarci sulla nostra pagina Facebook e Metti il tuo MiPiace! Condividi il nostro articolo sui tuoi social >> Read the full article
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throughlookinglass · 7 years ago
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GAME OF THRONES • 7x01-02-03 • Dragonstone - Stormborn - The Queen's Justice
Recensione scritta a quattro mani con Valentina!  #TrashQueens
È stato atteso da tutti. Mai nessuno aveva bramato un inverno con così tanto fervore, soprattutto a luglio. E il 17 luglio l'inverno è arrivato. 
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Abbiamo visto la prima puntata della settima stagione di Game of Thrones in diretta con gli USA alle tre di notte: eravamo in vacanza, alle due e mezza è suonata la sveglia, e nonostante ciò l’hype di Valentina era alle stelle. Un po' meno quello di Gaia, che il  mattino dopo pensava di essersi sognata Ed Sheeran, e il mio: dopo ben dieci minuti di sonno 2.20-2,30, ho ammutolito Vale al primo sclero con un "Non puoi commentare tutto l'episodio" e ho sonnecchiato durante tutte le scene di Sam (così assolutamente fondamentali). La decisione di recensire la settima stagione di Game of Thrones nasce immediatamente, non allo stesso modo le recensioni stesse: siamo partite da "un post a episodio!" a "un post ogni due episodi..." al decisivo "abbiamo fatto tardi: facciamo un post ogni tre e poi il finale col botto". Dunque, eccoci qui, pronte dopo la visione della 7x03, a recensire la penultima stagione di Game of Thrones: buona lettura! 
— La recensione procederà nel modo che abbiamo ritenuto più logico possibile:  personaggio per personaggio per i più importanti, con momento top e flop di ognuno, più menzioni speciali e conclusione. I commenti sono firmati Valentina/Francesca, visto che nonostante una generale visione comune abbiamo le nostre divergenze (ad esempio, io non vedo l’ora di vedere Brienne con Jaime, mentre Valentina non si spiega come possa resistere al fascino di Tormund)  — 
 ARYA STARK – Francesca
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Arya mostra di essere stata attenta alle lezioni del maestro Jaqen H’aqar e apre con un’uccisione di massa inferiore solo a quella di Cersei Lannister nella 6x10 e difficilmente superabile nella stagione. La ragazza crede di avere perso tutto, e la lista è l’unica cosa che le rimane.
Nell’episodio successivo abbiamo una doppia reunion: con Frittella (il cui attore Ben Hawkey ha ben pensato di fare un po’ di grana aprendo la panetteria a domicilio You Know Nothing Jon Dough, che serve deliziosi metalupi di farina) e probabilmente anche con Nymeria (mistero, boh, ammetto che forse mi aspettavo troppo dalla scena ma mi ha dato davvero poco). Finalmente Arya viene a conoscenza di ciò che è successo al Nord e che parte della sua famiglia è ancora viva. Ho sempre amato Arya, ma avevo paura che nel buio in cui brancolava potesse perdere se stessa. Penso che l’incontro con Sansa e Jon sia ciò che più le serve adesso, ed è stato un sollievo vederla compiere la scelta giusta e muoversi per Grande Inverno. Non c’è che dire, Arya non delude mai.
MOMENTO TOP: la scena che non per altro è stata scelta come inizio di stagione, Arya che si prende la sua vendetta per l'omicidio della madre e del fratello: «... proper wine for proper heroes. Stand together! Not you, I'm not wasting good wine on a damn woman, Maybe I'm not the most pleasant man, I'll admit it, but I'm proud of you, you're my family, the men who helped me slaugther the Starks at the Red Wedding. Yes, cheers, brave men, all of you: butchered a woman pregnant with a baby, cut the throat of the mother of five, slaughtered your guests after inviting them into your home. But you didn't slaughter every one of the Starks, no no, that was your mistake. You should have ripped them all out, root and stem... leave one wolf alive and the sheep are never safe. When people ask you what happened here, tell them the North remembers. Tell them winter came for House Frey».
MOMENTO FLOP: come già accennato, la tanto attesa miracolosa reunion con Nymeria. Certo, c'è tutto un significato dietro e blah blah chissà chi sarà cambiato fra i due, ma non ha raggiunto le aspettative.
 JON SNOW – Valentina
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Il King in the North nato Targaryen ma convinto di essere uno Stark è alle prese con il comando di Winterfell: purtroppo, anche essendo il re acclamato, in pochi sono sempre d'accordo con le sue idee.
Jon ha un solo pensiero e un solo obiettivo, che è sconfiggere i White Walkers; al suo fianco cerca alleati che condividano questo fine, senza dare troppa importanza al trono su cui siedono.
Il Jon dei primi tre episodi, rispetto a ciò che siamo abituati a vedere, ha subito una crescita non trascurabile. Come dimenticare tutte le volte che Ygritte lo zittiva con una frase, di solito la sua iconica «You know nothing, Jon Snow»? Ma il privilegio di spegnere il King in the North non è più di nessuno: Jon fa discorsi mai stati così lunghi, non lascia la possibilità dell'ultima parola a nessuno, è fermo nelle sue opinioni e nelle sue decisioni. Se King Snow vuole andare a Sud, non importa quante volte Sansa possa dirgli «chicco, la saga "gli Stark vanno al Sud" è 'na merda, non te ce mettere pure te» (e lei è l'unica che poco poco Jon ascolta: saranno i capelli rossi?), King Snow va al Sud.
«Io vado a Sud e voi state zitti perché so' il re faccio il cazzo che me pare» «A cojone, voi morì ammazzato come papà e Robb? 'A voi finì co sta storia?» «Sansarè, conserva il fiato che te serve per urlà contro 'sta banda de deficienti quando io non ci sono» «Aò ma che stai a dì» «Mia lady di Winterfell, il Nord è tuo» «NO VABBÈ TE STAI FORI NON TE SEI REGOLATO GRAZIEEEEEE TI AMOOOOO».
Il cambiamento di Jon è sicuramente dovuto più a un cambio nel retroscena di Game of Thrones che solo ed esclusivamente a un character development – a meno che andare e tornare dal mondo dei morti cambi considerevolmente la personalità delle persone.
Tra l'altro, perché la gente non sa che Jon è morto? I corvi non avevano mandato messaggi ovunque? Perché Tyrion e Dany cascano dal pero quando sentono Davos dire «he took a knife in his heart»? Daenerys Stormborn Targaryen si gloria e lustra di una lista di titoli senza fine, che solo Missandei conosce a memoria: invece «he's Jon Snow». E basta. Non Jon Snow il Risorto. Non Jon Snow il Lord Commander. Non Jon Snow il King in the North. Neanche Jon Snow il Bastardo. È solo Jon Snow, senza titoli di sorta: differenza abissale con la bionda che si trova davanti nel terzo episodio. Ma neanche dai cinque minuti di elencazione di titoli si lascia intimidire: «tutto molto bello, ma qui stamo pe' morì tutti: fai 'n po' te». Ma con l'orgoglio di casa Targaryen è difficile scontrarsi: pur vero che Jon è un piccolo capolavoro di ghiaccio e fuoco, un metalupo che lancia fiamme, se vogliamo; e provate a mettervi voi contro la combo di orgoglio Targaryen e onore Stark, poi ditemi se ne siete usciti vivi.
MOMENTO TOP: «TOUCH MY SISTER AND I'LL KILL YOU MYSELF» ❤️💛💚💙💜🖤❣️💕💞💓💗💖💘💝💟
MOMENTO FLOP: reunion con Tyrion Lannister. Se appena li ho visti insieme sullo schermo ho urlato, a mente fredda mi sono resa conto che sono stati un po' deludenti. Mi aspettavo grandi cose, anche in soli cinque minuti, invece i loro discorsi si sono limitati a dei giochini di parole.
CERSEI LANNISTER con menzione speciale a EURON GREYJOY – Francesca
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È difficile fare apprezzare agli altri la complessità e l’eccezionalità di questo  personaggio, missione che ho deciso di intraprendere pur sapendo già allora che avrebbe dato scarsi risultati. Certo, per chi guarda la serie senza viverla (cioè tutti noi, che grande scoperta) Cersei ormai può sembrare un’illusa. Sappiamo benissimo che non sarà lei a sedere sul trono alla fine e che a un certo punto morirà, ma assumendo un punto di vista interno alla serie il suo comportamento è meno discutibile. Sta facendo tutto il possibile per salvarsi da una situazione che sembra condannarla, e in questi tre episodi si può vedere come stia rialzando la testa. Ora che tutti i suoi figli sono morti, l’unico a darle un po’ di umanità è il fratello/amante, con cui ha un momento intimo e inaspettato nel terzo episodio: già ora è più spietata che mai, cosa succederà quando anche Jaime si allontanerà da lei, come molti sospettano?
Intanto Cersei cerca di procurarsi armi in grado di uccidere draghi e di farsi più alleati possibili. Il più importante di loro è Euron Greyjoy, che con la sua flotta diventa il nuovo favorito della regina. Insistente a chiedere le nozze, Cersei se lo manipola per bene e gli promette ciò che desidera a fine della guerra. Divertente, perché la guerra in questa serie non finisce mai e perché se Euron crede alla promessa di Cersei allora è davvero un fesso – cosa che non mi dispiacerebbe, perché lo detesto. L’unico momento in cui l’ho tollerato è stato quando ha messo in imbarazzo Jaime con domande spinte nel terzo episodio, ma solo perché ho riso per qualche secondo.
Nel terzo episodio Cersei assapora la vendetta per l’omicidio di Myrcella. Tolto il mio odio per Ellaria (ma lacrime a non finire quando citano il mio amore Oberyn Martell!!!!) e la mia empatia per Cersei, è indiscutibile che l’atto perpetrato da Ellaria sia stato disgustoso e che nell’ottica della serie la vendetta di Cersei sia più che giustificata. La regina mostra ancora di saperne una più del diavolo – come dimenticare la fine della septa che la teneva rinchiusa prima dell’espiazione? – e festeggia con il fratello. Decide perfino, mossa troppo azzardata a mio parere, che non sia un problema se un’ancella di corte vede lei e Jaime in circostanze equivoche. Dopo essersi rigirata Mycroft Holmes cioè scusate il banchiere di Braavos, le sue tattiche di battaglia sbaragliano i nemici con formazioni inaspettate.
Non dirò che Cersei possa essere una regina migliore di Danaerys (con seguito a braccetto, ovviamente), perché non è vero, ma non posso fare a meno di notare quanto sia più preparata e matura rispetto alla seconda, che da sola riesce a malapena a trovare il bagno.
MOMENTO TOP: bits and pieces della manipolazione di Euron e della sua risalita dalle stalle alle stelle, ma si staglia sopra a tutto il resto la vendetta su Ellaria. Ancora una volta, Cersei ripaga i propri nemici con la loro stessa moneta: «I don't sleep very well, not at all  really. I lay in bed and I stare at the canopy and I think about ways to destroy my enemies. How to destroy Ellaria Sand, the woman who murdered my only daughter? I thought about having Sir Gregor crush your skull the way he did to Oberyn: it would be poetic, I suppose, but fast, too fast. I thought about him crushing your daughter's skull: she's beautiful, so beautiful, the thought of this lovely face cracking open like a duck egg it's just not right. [...] Your daughter will die here in this cell and you'll be here watching while she dies. You'll be here for the rest of your days [...], you will live to watch your daughter rot, to watch that beautiful face clamps to bone and dust, all the while contemplating the choices you have made».
MOMENTO FLOP: all'apparire della scena!hot con il bel fratello pensavo di essere tornata ai momenti attira pubblico delle prime stagioni, e sono rimasta un po' perplessa. Non mi ha stupita il fatto che Cersei continuasse nonostante Jaime inizialmente le si opponesse (parallelismo con la 4x03?) mentre mi ha stupita che si lasciasse scoprire da un'ancella come se niente fosse. Non è una mossa da Cersei, e potrebbe pagarne le conseguenze.
TYRION LANNISTER – Valentina
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Abbiamo lasciato Tyrion come Hand of the Queen, e quindi me al settimo cielo perché finalmente riceveva la ricompensa che si meritava. Mi aspettavo grandi cose da Tyrion; ma il Tyrion Lannister di questa stagione, almeno in questi primi tre episodi, è la pallida e sfocata ombra del Tyrion Lannister che tutti conosciamo e amiamo.
Nel suo personaggio, la mancanza di un canovaccio letterario e della scrittura di Martin delle sceneggiature ha appiattito la personalità. Il nano sveglio, sempre un passo avanti a tutti, la cui unica e valida arma era l'intelligenza (“A mind needs books like a sword needs whetstone”) è diventato solo uno a cui piace giocare con le parole. Il Tyrion Lannister che conosco e amo non è un maestrino: questo Tyrion è il Folletto delle fobie di Cersei, quello che parla per confondere, non perché ha effettivamente qualcosa da dire; l'arguzia e l'ironia sono sparite, ed è rimasto un consigliere che almeno si rende conto di essere l'unico a cui la regina dà ascolto. E per una regina come Daenerys, che è pronta a eliminare anche l'artefice della sua ascesa perché quella mattina si è svegliata con il piede storto, avere qualcuno che le ricorda che non vuole essere la «queen of the ashes» è decisamente positivo, per evitare un Re Folle 2.0.
MOMENTO TOP: strano a dirsi, ma non troppo per il Tyrion7, l'unico momento in cui è in silenzio. Nel primo episodio, Daenerys ha avuto solo la scena finale e una singola battuta: mentre gira per le stanze di Dragonstone, scrutando il luogo che dovrebbe sentire come casa propria, è seguita solo dalla sua ombra e da Tyrion Lannister, che è egli stesso la sua seconda ombra. Con un piccolo capolavoro di regia, hanno dimostrato cosa vuol dire Daenerys al governo: certo, un personaggio forte di facciata, ma che non è niente senza qualcuno di valido alle sue spalle. È Tyrion che muove i fili del gioco, è la mente principale dietro le azioni. Mostrato di nuovo nell'episodio successivo: «non vuoi essere la queen of the ashes» ... «non sarò la queen of the ashes».
Menzione speciale anche a Tyrion che chiede di Sansa, l'unica persona al di fuori della famiglia Stark che tiene veramente a lei.
MOMENTO FLOP: oltre la reunion con Jon Snow, distrutta forse proprio dalla pochezza del nuovo Tyrion, la difesa di Varys. I discorsi di Tyrion sono memorabili, e lo sa bene Peter Dinklage che ha vinto l'Emmy per uno di questi. Avevo di brividi durante il discorso del processo per la morte di Joffrey. Invece, nel momento in cui Varys sta per essere messo a morte, Tyrion pronuncia due flebili battute contro Daenerys, lasciando l'eunuco a difendersi da solo. Non che Varys non sia in grado, per carità: anzi, nella sua difesa sembra più simile al vecchio Tyrion di Tyrion stesso. Ma da quando Tyrion Lannister lascia che le persone lo zittiscano senza ribattere con sarcasmo?
JAIME LANNISTER – Valentina
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Jaime apre malissimo: «Parliamo di Tommen?» «No» «Ok». Il suo personaggio è ormai muto e non è neanche in grado di rispondere a Euron Greyjoy quando lo provoca, sia in privato sia in pubblico: chi sei tu e che ne hai fatto di Jaime Lannister? Grazie a Dio resta una delle poche persone che ancora capiscono qualcosa di strategia militare, e riesce a prendere Alto Giardino e a prevedere la presa di Castel Granito.
Ma qualità da generale a parte? Jaime non parla molto, non riesce neanche a tenere testa alla gemella che sta dando di matto, e, appena lei si inginocchia davanti a lui, dimentica anche il significato della parola decenza.
(Può essere considerato character development il fatto che nella 1x01 Cersei impanichi perché Bran l'ha vista con Jaime mentre nella 7x03 apre tranquillamente la porta in vestaglia e con il gemello ancora nudo nel letto?)
Per Jaime ho grandi aspettative, e soprattutto per il rapporto Jaime-Cersei. Com'è ben noto, la profezia di Maggy la Rana ha detto chiaramente a Cersei che sarebbe morta per mano del suo valonqar. Come più volte si ripete, lei è la prima nata tra i gemelli: questo rende sia Jaime sia Tyrion i suoi valonqar, che in Alto Valyriano significa "fratello minore": Cersei però è sicura che la profezia si riferisca a Tyrion, ed è lui che teme. Però (mettendo da parte la teoria che sostiene che Tyrion non sia neanche fratello di Cersei, ma addirittura di Daenerys), personalmente credo che la profezia si riferisca a Jaime. Da sempre i due gemelli hanno avuto un rapporto unico, come ha sempre raccontato Cersei. Nei libri, ricordo che a un certo punto Jaime dice di non ricordare neanche la prima volta in cui baciò la sorella, tanto erano piccoli. Ma quando Jaime si allontana da Cersei, cambia; quando si è allontanato e ha conosciuto Brienne, è cambiato radicalmente: ricordiamo che è stato lui a dare a Tyrion la possibilità di scappare, dopo la morte di Oberyn. Si è allontanato sempre più da Cersei, nonostante sia rimasto al suo fianco. Dal suo ritorno ad Approdo del Re, quando ha trovato di fronte a sé il devasto dell'esplosione del Tempio di Baelor, i suoi sguardi per Cersei sono sempre più confusi, se non spaventati. Sempre più nella sorella rivede re Aerys Targaryen, sempre più riecheggia il terrificante «Burn them all», sempre più lo Sterminatore di Re è pronto a diventare lo Sterminatore di Regine. La profezia dice che il valonqar avrebbe ucciso Cersei strozzandola: chi meglio di Jaime Lannister, con una mano dorata che può diventare letale? E notiamo che Euron insiste sulla mano di Jaime da tre puntate...
MOMENTO TOP: tra il piattume delle sue scene (perché le mie grandi aspettative non vengono soddisfatte...), la strategia militare per conquistare Alto Giardino gli dà un breve momento di gloria.
MOMENTO FLOP: dopo puntate e puntate di crescita, c'è il crollo quando va a letto con Cersei. Più deludente della fine di Barney Stinson.
PETYR BAELISH – Francesca
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Più o meno tutti sanno che i real deals nel trono di spade sono Varys e Petyr. O almeno, questo è quello che ho sempre pensato. Mentre gli aspiranti sovrani si massacrano a vicenda, questi due strateghi manipolano la scala del caos a loro piacere. Ultimamente, però, mi chiedo se si rendano conto delle situazioni in cui si sono messi. Ho sempre amato entrambi, preferendo Petyr a Varys (complementariamente a Valentina), ma alcune delle loro ultime mosse sono questionabili.
Non sarebbe un episodio del Trono di Spade senza Petyr che osserva Sansa con sguardo da maniaco (check: fatto, per tutti i tre episodi) ma ci si chiede quando comincerà ad accorgersi che anche Sansa lo sta manipolando per bene. Nel secondo episodio arriva un momento atteso da tutti: Jon che sbatte Petyr al muro senza pietà (e no, non in quel senso) dopo che Littlefinger gli declama il proprio “amore” per Sansa, tale quale a quello che provava per Catelyn. Non capisco cosa pensasse di ottenere da questa mossa, che mi ha lasciato assai perplessa. E’ nel terzo episodio che invece lo troviamo in una situazione che ci piace, mentre consiglia Sansa su come muoversi nel gioco dei troni. Se c’è una persona che impara da chi le sta intorno, questa è Sansa, e dopo Cersei e Ramsay, alla lista si aggiungerà anche Petyr, che le propone una disquisizione filosofica su come non trovarsi mai impreparati. Ma lui starà applicando le sue stesse regole?
MOMENTO TOP: «Don't fight in the North or in the South, fight every battle, everywhere, always, in your mind: everyone is your enemy, everyone is your friend, every possible series of events is happening, all at once. Live that way and nothing will surprise you. Everything that happens will be something that you've seen before».
MOMENTO FLOP: «I love Sansa, just like I loved her mother» grande mossa davvero, grande mossa. Che poi non ci credo neanche. E' vero, Petyr ha la sua pretty picture e tutto quanto, ma di sicuro non è amore.  
SANSA STARK – Valentina
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Sansa è ormai una donna fatta e finita. La bambina ingenua delle prime puntate non esiste più, neanche nei sogni più remoti: ha imparato da chi la circondava, e oggi le influenze di Cersei, Petyr e Catelyn sono più evidenti che mai (tanto che Jon le dice che sembra essere un'ammiratrice di Cersei; e parliamoci chiaro: per quanto possa stare sul cazzo, chi non lo è?).
La ragazzina che fungeva da pedina di chi le era intorno oggi non è disposta a farsi mettere i piedi in testa. Lo avevamo già visto nella scorsa stagione, durante i preamboli per la Battaglia dei Bastardi, quando, senza battere ciglio, pronunciò l'iconico «You're going to die tomorrow, Lord Bolton. Sleep well». Oggi la vediamo rispondere a Jon di fronte all'adunata di cavalieri che lo hanno acclamato Re del Nord, nonostante creda fermamente che lui sia tagliato alla perfezione per il ruolo («You're good at this. You are!») e prendersi il merito che le spetta quando lui le riconosce il titolo di Lady di Winterfell.
MOMENTO TOP: Sansa, va' e conquista e rimetti Ditocorto al suo posto come solo tu sai fare!
MOMENTO FLOP: due fratelli si rivedono dopo anni e lui cosa fa (oltre a non mostrare un'emozione che sia una)? No comment.
BRANDON STARK – Francesca
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Brandon, considerato da alcuni il personaggio più importante nonché protagonista di Game Of Thrones (contenti voi...), giunge finalmente alla barriera, scortato da quella poveraccia di Meera che ormai si è fatta due braccia da culturista. Sappiamo tutti che sta arrivando il momento, che finalmente altri due Stark saranno riuniti. Gli occhi si riempiono di lacrime al solo pensiero, il cuore esplode di gioia e prepariamo le reaction pic da postare su twitter.
Bran nel terzo episodio arriva finalmente a Grande Inverno, e la sua reazione al ritrovamento della sorella è più o meno quella che avrebbe potuto avere Neville Paciock sotto incantesimo pietrificante in una situazione del genere. Anzi, no, almeno Neville è simpatico.
Brandon ormai sa tutto e tutti e vi spia mentre fate la doccia, quindi ritrovare la sorella non è poi sto granché e non mostra il più piccolo segno di felicità. Anche quando Sansa cerca di comprendere quello che gli è successo, Bran non la considera molto. Sono d’accordo che le circostanze non siano delle più liete, ma due schiaffi ben assestati glieli avrei dati con piacere almeno per fargli cambiare espressione. E poi lo lascerei da solo in mezzo al bosco, vediamo poi quanto considera l’aiuto altrui.
MOMENTO TOP: quando Lady Gaga l'ha chiamato sul palco per duettare sulle note di Poker Face.
MOMENTO FLOP: tutto il resto, più o meno.
DAENERYS [...] TARGARYEN – Valentina
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Su tre episodi, due sono titolati specificamente per la Madre dei Draghi. Daenerys ha finalmente raggiunto Westeros, accompagnata dai tre draghi, che non mancano di dare il benvenuto al figlio naturale di Rhaegar Targaryen non appena lo vedono (altro che “io sono l'ultima Targaryen”).
Da pelle d’oca l'interpretazione di Emilia Clarke nella 7x01, quando fa toccare il suolo a Daenerys come se fosse parte di un luogo sacro e recondito, che venera come una divinità. Assorbe il paesaggio roccioso della sua terra natia, con tutti i sensi possibili. Questo, però, non cambia il suo carattere che, per quanto lei voglia negarlo, è troppo simile a quello del padre. Inspiegabilmente, nella seconda puntata decide che è arrabbiata con Varys, che è tuttavia l'artefice del suo ritorno a Westeros. La ragione? Fa il suo lavoro: spia e doppiogiochista. Ma, come Varys le ricorda, una persona che riesca sempre ad avere uno sguardo oggettivo, che abbia a cuore l'interesse del popolo e non solo il proprio tornaconto, può essere solo un vantaggio. E Daenerys muta? Quando mai: il già citato orgoglio Targaryen le fa dire «sì vabbè ok forse c'hai 'n po' ragione, però se me li fai girà io te brucio». E vabbè.
L'incontro con Jon, uno dei più attesi di sempre, è stata una scusa per spiattellare (di nuovo) i suoi innumerevoli titoli. E per frignare un po': «A cì, che m'hai chiamata bambina? Stai a scherzà?? Io te brucio!!!». Ed è in questo momento che emergono le contraddizioni della bionda regina: chiede a Jon di non giudicarla in base alle azioni del padre Aerys, però poi è veloce a giudicare Jon in base alle azioni di Ned. Lei può essere una santa nonostante il padre fosse chiamato Folle, ma Jon è invece il figlio del ribelle e deve sottomettersi a lei perché deve fare ammenda e perché sì. Dany non ha mai creduto che, tornata a Westeros, sarebbe stata accolta come una dea dal popolo (e lo dice a Varys, facendo il verso alle frasi colme di sogni di gloria del fratello Viserys): ciò nonostante, da Jon pretende tutto, senza voler dare in cambio nulla. Esiste solo lei con le sue ragioni. I White Walkers? Sticazzi.
Daenerys è un passo minuscolo dal prendere il trono: le basta allungare la mano e lo afferra. La sua forza risiede nella saggezza di Tyrion (anche se il suo personaggio non la dimostra), che la tiene a freno di fronte a Olenna Tyrell che dà di matto e le dice «be a dragon»: sì, certo, sii un drago, brucia tutti, diventa esattamente come tuo padre e fatti odiare dal popolo. La mossa migliore insomma.
MOMENTO TOP: l’arrivo a Dragonstone (strano, quando non ha detto neanche una parola).
MOMENTO FLOP: l'invettiva contro Varys, completamente immotivata.
OLENNA TYRELL – Francesca
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Olenna porta in scena un po’ di sass come sanno fare in pochi, e mi chiedo chi rischiarerà gli episodi d’ora in poi. Personaggio amato dall’inizio alla fine, donna realista dal pugno di ferro che sa quello che vuole e odia i convenevoli, mi è caduta immensamente nel secondo episodio. Sarà che non conosce Dany come la conosciamo noi, ma se questa si mette in testa che non deve dare ascolto a nessuno –neanche a Tyrion – è l’inizio della fine. Ho pensato che Olenna l’avesse capito e le stesse dicendo quelle parole per un qualche tornaconto personale ma non è stato così e io sono rimasta alquanto basita. Cercherò di non pensare a questo momento, ma ad
uno epico come il discorso del terzo episodio. Nessuno insulta bene come Olenna, ed è un piacere per le orecchie sentirla deridere Joffrey. Coerente fino alla fine, dall’odio per il motto dei Tyrell all’amore per la stessa casa e per i suoi nipoti, non sarebbe Olenna se non se ne andasse con il botto. L’unica che sfugge all’ira di Cersei.
MOMENTO TOP: che altro, se non il suo ultimo, stoico discorso? Ciliegina sulla torta «He [Joffrey] really was a cunt, wasn't he?» che ci toglie le parole di bocca.
MOMENTO FLOP: mi ripeto, ma sicuramente il suo intervento a Dragonstone.
YARA GREYJOY – Francesca
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Ho sempre adorato Yara e nonostante a un certo punto temessi il peggio sono ancora convinta che riuscirà a sottrarsi al suo apparentemente certo destino. Mi rendo conto dell’improbabilità delle mie speranze ma mi rifiuto di credere che la storia di Yara possa finire qui. Donna di forte volontà, ha sia l’ingegno di Cersei che l’amore per il popolo di Daenerys, e potrebbe guidare uomini e donne delle sue terre come nessun altro. Vabbè, okay, forse i miei sogni reconditi di un qualche accenno Dany/Yara non si avvereranno mai, ma posso ancora credere nel resto. Uno dei momenti più irritanti e tristi della serie per me è stato l’elezione al trono delle isole di ferro di Euron al posto di Yara, e non posso credere che la serie possa mai finire senza lei sovrana delle isole.
MOMENTO TOP e FLOP: per Yara i due vanno insieme. Si tratta ovviamente del combattimento contro la flotta di Euron. Top perché si è battuta con il valore che le si addice e se avesse avuto più come lei al suo seguito le cose sarebbero andate diversamente, flop perché effettivamente ha perso
SAMWELL TARLY e JORAH MORMONT – Francesca
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Eccolo, è lui l’eroe di cui questa città ha bisogno, l’unico con il coraggio (e l’irresponsabilità) per fare quello per cui tutti noi pregavamo da mesi: guarire il favorito, il prescelto, l’idolo, guru della friendzone Jorah Mormont. Sam ci dona sequenze ad alto contenuto soporifero, è vero, e altre altamente nauseanti, ma tutti ci aspettiamo grandi cose da lui e la guarigione dell’appestato Jorah si rivela una tappa fondamentale del suo cammino alla cittadella – in cui Horace Lumacorno lo terrà rinchiuso per anni a copiare manoscritti, molto probabilmente. Grazie alla professionalità del buon Sam, Jorah può tornare da Danaerys, che lo ha bandito qualcosa come tre volte mentre ha perdonato le congiure di Varys in qualche secondo. Forse l’orgoglio e i nomi contano più del resto, non si sa.
MOMENTO TOP: oltre, ovviamente, alla reazione di Sam al sentire il nome del vecchio comandante e all'operazione operata su Jorah, abbiamo tutti amato la semplice risposta di Tarly alla stupita domanda di come avesse fatto a guarire Mormont: «Ho seguito le istruzioni del libro». Magari fossimo tutti un po' più Sam.
Invece, per Jorah slittiamo alla lettera a Daenerys. Se solo lei sapesse quanto ci avrebbe guadagnato a non bandire Jorah ripetute volte. Ma lui persevera, dolce pasticcino e re della friendzone.
MOMENTO FLOP: vanno sicuramente annoverati i momenti soporiferi del primo episodio, ma vogliamo parlare della disgustosa e nauseante transizione a cui sapete che mi riferisco? Mi viene da vomitare.
Jorah non ci ha donato molte scene, ma un po' di disperazione è salita a tutti quando si è rialzato in piedi e ha detto a Sam che sarebbe tornato dalla sua Khaleesi. Voglio dire, era abbastanza ovvio che l'avrebbe fatto, ma ho comunque provato un po' di pietà per lui.
THEON GREYJOY – Valentina & Francesca
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V: Theon è uno dei personaggi con più sfaccettature della serie. Indubbiamente non è un personaggio amato ai suoi inizi, quando decide di tradire Robb e prendere Winterfell. Ma il percorso di tortura a cui lo sottopone Ramsay, che non scaturisce dalla vendetta, ma dal puro gusto di tagliare e scuoiare che caratterizza il Bastardo Bolton, fa cambiare idea a molti. Theon viene distrutto e ricostruito come una persona nuova, Reek, che è alla completa mercé di Ramsay. Gli psicologi hanno materia con cui banchettare guardando il personaggio di Theon Greyjoy, che nella 7x02 ha mostrato ancora una volta le difficoltà del percorso di recupero: magistrale l'interpretazione di Alfie Allen, che con un solo battito di palpebra, fa lo scatto Theon-Reek. Theon forse avrebbe potuto salvare Yara dalla morsa di Euron. Theon Greyjoy forse avrebbe potuto tenere testa allo zio. Ma Reek? Reek non è nessuno, Reek è una creatura quasi informe, che senza Ramsay non ha senso d'esistere. Reek non può salvare Yara e non può neanche provarci. E dunque, Reek si butta in mare.
F: Per quanto riguarda Theon, non mi dilungherò, specificando solo che ho il mio punto di vista e che ognuno può essere d’accordo o meno. Theon non mi è mai piaciuto, né quando era in sé, né durante la tortura (che ho apprezzato) né dopo, punto e basta. Gli unici momenti in cui lo tollero sono quando supporta Yara. Non voglio addentrarmi nella psicologia di Theon/Reek perché di sicuro non sono la persona più adatta per farlo, ma se poteva esserci uno spiraglio di luce in fondo al tunnel il suo comportamento nel secondo episodio ha fatto cadere una valanga davanti allo spiraglio.
 Menzioni speciali
DAVOS SEAWORTH – Francesca
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Anche Jon Snow a volte ha bisogno di un aiutino, più che altro per esprimersi in termini più comprensibili e non offendere con i suoi modi molto diretti, ed allora subentra Davos. Non che lui sia così subdolo, anzi, ma nessuno resiste al Cavaliere delle Cipolle – e non è per l’odore. Davos è il vicino di casa che tutti vorrebbero, il padre che tutti vorrebbero, insomma tutti lo vorrebbero e basta. Oltre ad essere aspirante stratega e bravo diplomatico (e bravo con i bambini) è anche un uomo semplice, che smorza la pomposità della corte di Dragonstone: questo è Jon Snow. Ora veniamo alle cose che contano. Menomale che c’è Davos.
VARYS – Valentina
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Varys è sempre stato il più sveglio nel gioco del trono. Anche quando Daenerys se la prende con lui, le tiene testa: sa che ha un ruolo importante e sa che nessun monarca può veramente abbatterlo, se non schiacciandolo fino alla morte. Ma anche così, i Ragni, pur morti, non lasciano indietro solo la carcassa: hanno riempito il mondo di ragnatele.
Ho avuto una punta di panico nel sentire Melisandre dirgli che dovrà morire in terra straniera: che sia un preannuncio della sua morte in corso di serie? Oh, io ve lo dico, faccio un macello se mi ammazzano Varys.
SANDOR CLEGANE – Francesca
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Non ho mai creduto che il buon vecchio Sandor fosse morto – mai credere qualcuno per morto se non si vede il corpo – e vederlo ricomparire sullo schermo è sempre una gioia. Aspetto trepidante il momento in cui ucciderà il fratello (già morto in teoria, ma ci siamo capiti) ma ancora di più la reunion con Arya, cui il primo episodio sembra preludere – e ne vedremo delle belle. Non credo che prenderà mai parte attivamente e stabilmente a uno schieramento nella guerra, ma possiamo comunque aspettarci dell’azione.
TORMUND GIANTSBANE – Valentina
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YOU'RE A LUCKY MAN. MA COME FATE A RESISTERGLI IO NON ME LO SPIEGO.
VERME GRIGIO - Francesca
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Se non altro, il personaggio in questi tre episodi ha stupito. Sulla strada per diventare il nuovo Christian Grey, sembra aver dimenticato un po’ di strategia militare. Non vorrei suonare come Cersei (o forse sì), ma se l’amore è una debolezza...
Eccoci giunti alla fine di questo mezzo commento mezza recensione: sentitevi liberi di discutere le nostre opinioni e di mandarci le vostre domande, risponderemo come possibile. 
Un po' d'inverno servirebbe anche a Milano, dove sono in arrivo i quaranta gradi, ma in realtà saremmo abbastanza contente di una risposta. Gendry Baratheon sta ancora remando?
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Alla prossima,
Francesca e Valentina
- trovate Valentina e il suo blog su Twitter, Instagram, Facebook.
2 notes · View notes
lovelybooksproject · 7 years ago
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Recensione: Sogno di una notte di Nykyo
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Dopo aver finito la lettura posso dire che mi ritrovo di fronte un libro che per forza di cose ti spinge a schierarti, non credo infatti una persona possa leggerlo e dire "Si, mi è abbastanza piaciuto" oppure "Non mi è piaciuto molto, è così così" sono convinta di trovarmi di fronte il classico libro che o si ama alla follia o si odia e nel mio caso.... è stato ODIO profondo. Ho deciso di iniziarlo con grandi speranze e aspettative, chi mi conosce ormai sa della mia passione malsana e a tratti perversa/inquietante per il pattinaggio artistico. Non sono una di quelle che conosce ogni singola regola o pattinatore esistente al mondo, non mi ritengo affatto esperta, anzi, l'esatto contrario, eppure il pattinaggio mi affascina, è come una magia, mi fermo a sbavare e guardare con gli occhi a cuoricino i pattinatori (uomini o donne, poco importa), a emozionarmi e immedesimarmi completamente nelle loro esibizioni mozzafiato, a fangirleggiare e fare il tifo neanche fosse una finale di Champions di conseguenza trovare romanzi che parlano del pattinaggio e sono anche degli M/M, il mio genere preferito, è sempre un colpo al cuore, sono pochissimi e ogni singolo titolo è prezioso tanto che ho sempre il timore di iniziarlo per paura di perdere la magia o di rimanere così stregata da mettermi a fare una maratona e leggere così tutti i libri sull'argomento della mia Tbr ritrovandomi in seguito a piangere come una fontana per aver finito la mia scorta personale. Per questo motivo iniziare questo libro così strano e curioso mi aveva caricato di aspettative e positività... che sono state entrambe azzerate a pagina due! "Sogno di una notte" riprende le atmosfere Shakespeariane dell'opera "Sogno di una notte di mezza estate" e già qui sento l'eco lontano "Ma Giada, a te piace? Non è che il libro non ti è piaciuto solo perché non ami l'opera originale a cui è ispirato?" Bene... devo fare la premessa, io di Shakespeare a parte Romeo e Giulietta non ricordo un tubo. Ho per forza di cose dovuto leggere praticamente ogni sua opera in lingua e questo perché la mia simpaticissima professoressa era una fangirl dell'autore e ha imposto alle sue vittime sacrifical... ehm... studenti le letture con tanto di interrogazioni e test... "Sogno di una notte di mezza estate" l'ho quindi letto secoli fa e posso dire di non ricordarmi un h, se non il nome Puck (che da bimba mi faceva venire in mente il codice Puk della sim del cellulare), non ho mai pensato di rileggere il tutto visto il trauma subito e l'interrogazione che avevo dovuto fare con tanto di febbre e visioni celestiali alla Fantozzi, di conseguenza non posso fare una recensione da bibliofila nerd ed elencare i mille motivi per cui Nykyo è stata bravissima, levissima e bellissima a ricreare le magiche atmosfere perché non le ricordo, sono in ogni caso convinta che un libro per essere apprezzato non debba richiedere una laurea e anche se non si ricorda l'opera a cui è ispirato si dovrebbe apprezzare ugualmente, cogliendo meno riferimenti ma almeno apprezzare ed è questo che a me è mancato completamente. Mi sono ritrovata annoiatissima e soprattutto irritata. Cosa mi ha irritato? Ma ovviamente il protagonista... il santo Il’ya, tralasciando lo scioglilingua perché chiamarlo Vladimir, Viktor, Yuri o usare nomi pronunciabili da esseri viventi era troppo mainstream, quest'uomo mi ha fatto venire un'ulcera da pagina due. Perché ha passato capitoli interi a LAMENTARSI! Avete mai avuto a che fare con il classico amico che esce con voi perché deve farlo e non ha le palle per dire no e per tutta risposta si vendica e si lamenta di qualsiasi cosa? La macchina è troppo calda, il locale è troppo pieno, la luce è troppo luminosa, la gente respira troppo, ai miei tempi non c'era Facebook e si usavano le carrozze??  Ecco... Il’ya  è così, giusto un filino più irritante, nel giro di 2-3 capitoli si lamenta di qualsiasi cosa "Sono dovuto uscire per forza, Viktor mi vuole presentare per forza qualcuno, che brutto devo andare a fare le foto a un gala di pattinaggio e lo odio, l'hockey è meglio, che schifo il pattinaggio, che schifo la mia vita" e bla bla bla... era da... secoli che non mi capitava di desiderare la morte del protagonista o anche solo di spegnere l'ebook reader, era davvero da tanto tempo! E questa cosa non è bella!! Come se non bastassero i deliri da lamentosa tredicenne viziata ci si mettono i deliri da tredicenne in calore perché ovviamente il nostro tizio rimarrà subito affascinato da quello che sicuramente sarà il suo futuro marito (nonostante il finale aperto all'interpretazione), un ragazzino dai lineamenti delicati e femminili, molto fatati, simili a quelli di un dolce elfo che verrà per questo motivo soprannominato Puck in onore dell'opera di Shakespeare. Come se non bastassero, al povero lettore ormai martire, i piagnistei da "Odio la mia vita" ci si mettono quelli da "Quanto è bello, dovrei andare a parlargli, quanto è sexy, me lo farei" che fanno sembrare Il’ya una santa vergine e mi hanno dolorosamente ricordato la me stessa quattordicenne che al mare insieme alla migliore amica sbavava sui tizi fighi al bar elencando i mille modi in cui io e il sexy biondino palestrato alla mia destra ci saremmo sposati, comprato una casa, avuto pargoli ecc... perchè ai tempi ero troppo verginella per immaginare di bombarlo su ogni superficie disponibile o anche solo succhiarglielo nel bagno. Il protagonista irritante ci delizia con pipponi degni della Santa vergine. Abbastanza imbarazzante e irritante? Ma ovviamente no, perché noi lettori masochisti non abbiamo ancora letto niente e in poche pagine si tocca il fondo, in quanto i due tizi FINALMENTE si avvicinano, dopo che Il’ya è praticamente venuto mille volte al solo guardare e descrivere a noi santi ogni dettaglio della vena del collo e dei muscoli del folletto, e... vanno in hotel per scopare, una notte e via... che sarà mai no? Sicuramente ci sarà una descrizione di loro due che ci danno dentro come conigli... eh.... VOLEVATE! La vergine ci deve deliziare ogni secondo della copula descrivendoci ogni SINGOLA EMOZIONE... OGNI SINGOLO DETTAGLIO.... una domanda.... WHY??? Perché??? Dopo aver sopportato i deliri da acido di uno che si vanta di aver avuto numerosi amanti eppure non riesce a tenerlo nei pantaloni per il primo che passa dobbiamo anche sopportare i suoi pensieri ossessivi durante il sesso "Ma quanto è bello, me lo scoperei, lo marcherei a sangue, quanto me lo farei" e a me veniva solo da urlare "FALLOOOO, lo stai facendo, lo state facendo, non sei più al bar, siete in camera da letto" e io mi sono immaginata sto tizio in preda alle visioni, lì fermo a guardare il partner come uno che vede la madonna e quest'ultimo poverello lì, sul letto, paralizzato a chiedersi "Ma sta bene? Gli sta venendo un infarto? Quando mi mette le mani addosso?" Seriamente ero fuori di me dal nervoso e il fatto che non mi ricordi un h di "Sogno di una notte di mezza estate" mi fa sentire in colpa perché forse è un richiamo a Shakespeare e io da italiana media non sono riuscita a coglierlo ma credo ci sia un limite di sopportazione e sopratutto credo che certi voli pindarici abbiano senso quando si parla della prima volta di una coppia che si conosce, la prima volta delle favole Disney ma di certo non sono l'ideale per la descrizione di una scopata occasionale con uno di cui neanche conosci il nome! Non ho avuto parole e qualsiasi emozione positiva è stata sostituita da frustrazione e noia. Ovviamente, cliché cliché, il bel tizio è un pattinatore e... olè, W il pattinaggio! Mi faceva schifo ma ora stranamente lo trovo carino o apprezzabile tanto da volerci provare con il pattinatore folletto e tentare una relazione a distanza... e... si... che bello!!! Che dire di più se non che per me questo libro è un grande no? Ho apprezzato molto lo stile di scrittura di Nykyo è sicuramente una scrittrice in gamba tanto che sicuramente leggerò altri suoi libri se e quando usciranno, è una persona capace e il suo stile è stata l'unica cosa che non mi ha fatto abbandonare la lettura... quello e ovviamente il mio amore malato per il pattinaggio... è abilissima a descrivere scene magico/mistiche e ancora di più quelle erotiche, che avrei apprezzato se non fossero state interrotte ogni millesimo di secondo dalle visioni verginali del protagonista. Ho apprezzato il capitolo finale che è stata una boccata d'aria e mi ha fatto maledire il romanzo perché FINALMENTE c'è il punto di vista di Alexander/Puck che al contrario di Il’ya non è un essere irritante ma ha un cervello e avrei voluto che tutto il libro fosse stato scritto dal suo POV così da dare più spazio anche al pattinaggio visto che anche durante l'esibizione mistica del pattinatore nuovamente i deliri da acido erano presenti rovinando completamente l'atmosfera. Questo per me è stata una delusione totale, non credo lo rileggerò neanche dopo aver recuperato l'opera di Shakespeare, non mi ha lasciato nulla, mi è dispiaciuto vedere Il’ya  così vuoto, la storia così striminzita e poco approfondita, il fatto che sia stata data così tanta importanza all'uomo più irritante del pianeta dovendo sopportare per 3/4 i suoi trip da LSD e non al pattinatore simpatico, mi è dispiaciuto il fatto che anche il pattinaggio sia messo come riempitivo, Puck/Alex poteva benissimo fare il camionista, la magia sarebbe stata la stessa, Il’ya lo avrebbe trovato sexy comunque, avrei voluto un po' più di spessore e riflessioni umane sul pattinaggio e l'omofobia che purtroppo è molto presente in certi ambienti e si riflette moltissimo anche nelle parole di Il’ya e nelle sue convinzioni. Così non è stato e non so cosa aggiungere, non posso sconsigliarlo completamente non avendo una visione totale dell'opera, mi rendo infatti conto che molti amanti di Shakespeare sicuramente potrebbero apprezzarla di più vedendola come un omaggio, io da non fan mi baso semplicemente su quello che ho letto e francamente mi sento di sconsigliarla a chi come me se ne intende poco e voleva semplicemente leggere un bel libro sul pattinaggio, in tal caso evitatelo perché la delusione è dietro l'angolo e in caso contrario,  provate a vostro rischio e pericolo.
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