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#scuola diaz
sy666th · 2 months
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Genoa, 19-21 July 2001
(Milo Manara)
We will never forget.
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anothermessagetoyou · 2 months
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“Non si tratta solo di qualche fascista esaltato. È un comportamento di massa della polizia. Nessuno ha detto no. Questa è la cultura del fascismo”.
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intotheclash · 2 years
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IDP - Cristo è morto di freddo
Era tutto sudato er vento s'è arzato senza la maglia de lana e Cristo è morto de freddo Pinelli è caduto che è inciampato Un incidente a Ustica e l'aereo è caduto Era una caldaia in Piazza Fontana l'aereo di Mattei una coincidenza strana Nella scuola Diaz c'erano i terroristi e Calvi s'è impiccato perché era molto triste Rachel sotto le ruspe un tragico incidente la CIA delle due torri non ne sapeva niente Era tutto sudato er vento s'è arzato senza la maglia de lana e Cristo è morto de freddo Era tutto sudato er vento s'è arzato senza la maglia de lana e Cristo è morto de ... reggae! Peppino Impastato è stato un attentato ha messo una bomba sul traliccio ed è scoppiato come Feltrinelli l'anarchico pazzo e a Carlo Giuliani sei stato tu con il tuo sasso
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nipresa · 1 year
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Lo so che è fare la punta al cazzo, ma quello è il marciapiede di Corso Italia il pomeriggio prima della Diaz
(Comunque meglio di quando usano le foto del film Diaz come se fossero scattate dentro alla scuola)
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rifondazione · 3 months
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Rifondazione: ci ha lasciato il compagno Arnaldo Cestaro, fece condannare Italia per scuola Diaz
http://dlvr.it/T8XsXh
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maddalenafragnito · 6 months
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A LIFE WORTH LIVING: A WORKSHOP ON STRUGGLE, CARE AND JOY
18-21 May 2024
Kunstenfestivaldesarts, KVS. Brussel
Workshops
18.05, 12:00 – 16:30 19 – 21.05, 10:00 – 16:30 Free upon registration between 3 and 22 April, limited capacity
Public talks
18 – 21.05, 17:30 – 19:00 Free entrance  
"We are not just fighting for the working rights of domestic workers: we want the social reorganization of care." (from Biosindicalismo desde los territorios domésticos by Territorio Doméstico)
This 4-day school on the politics of care, open upon registration to people interested in work and care practices, brings together two existing groups. Territorio Doméstico is a Madrid-based collective focused on the struggle and emancipation of women, mostly migrants, and domestic and care workers (trabajadoras de hogar y cuidado). Operating at the intersection of feminism and workers’ rights, they fight racist, economic and institutional violence, proposing a form of unionism called ‘bio-syndicalism’ that places life at the centre of its actions. The Ligue des travailleuses domestiques sans papiers of the CSC Brussels leads a political struggle for access to legal work and a dignified life. The school is an opportunity for all involved to share political tools, artistic methodologies, advice on care for care workers, resistance dances, battle songs and joy in activism. Different interveners will join the classes, among them Silvia Federici, Lia Rodrigues, Lea Melandri, Maddalena Fragnito and Liryc Dela Cruz. At the end of each day, a moment with them is open to a wider audience. This is a source of inspiration for all those involved in social struggles.
Public talks
Liryc Dela Cruz
18.05  17:30 | English
Liryc Dela Cruz is an artist and filmmaker from Tupi, Philippines, who studied and worked with artists such as Lav Diaz and Apichatpong Weerasethakul. One of his latest projects, Il Mio Filippino: To Those Who Care To Feel, focused on the invisibility of Filipino domestic workers and gave birth to a performance and installation. With his invitation to the festival, Dela Cruz creates a new lecture-performance.
Ligue des travailleuses domestiques sans papiers/CSC Bruxelles & guests
19.05  17:30 | French Moderation: Safia Kessas
Grand Ménage au Tribunal is a sound installation that collects the voices of militants from the Ligue des travailleuses domestiques sans papiers addressing Belgian political shameful inaction during a fictional trial. It is a crucial moment to discuss care, labour and migration and their role in the political debate.
Silvia Federici & Territorio Doméstico
20.05  17:30 | Spanish, English → EN Registration required
In 1975, Silvia Federici published Wages Against Housework, one of the fundamental texts of contemporary feminism that reflects on the condition of domestic work within the dynamics of unobserved exploitation in capitalism. She will be in conversation with Territorio Doméstico, to discuss their book Biosindicalismo desde los territorios domésticos and thus add a chapter to their enduring collaboration.
Lea Melandri & Maddalena Fragnito
21.05  17:30 | Italian, English → EN With the support of the Instituto Italiano di Cultura in Brussels
The documentary Scuola senza fine (Adriana Monti, 1983, 40min) portrays a group of women who complete their secondary school education through a worker-union-sponsored course with feminist, activist and writer Lea Melandri. The participants reconsider their role as housewives and the effects of this type of political education on their self-narration. This outstanding documentary presentation is followed by a conversation between Lea Melandri and Maddalena Fragnito.
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Esistono luoghi che hanno smesso da tempo di essere semplici parti dello spazio per assumere un significato anche simbolico e storico, perché rappresentano ferite e traumi collettivi mai guariti. È il caso della scuola Diaz, che oggi ha un nuovo nome – liceo Pertini – ma che è e resterà per sempre la stessa scuola Diaz di quella notte del 21 luglio 2001.
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ginogirolimoni · 7 months
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Parliamo solo dei fatti più recenti, senza andare a pescare nel 68 e negli anni di piombo, dopo la Uno bianca (1987 - 1994), Genova e la Diaz nel 2001, l’omicidio efferato di Federico Aldrovanti (2005), e quello di Stefano Cucchi (2009), dopo le innumerevoli manganellate a gente che protestava pacificamente (hanno rotto la testa persino a Landini, vi rendete conto? ), poliziotti che entrano nelle case per strappare striscioni di protesta dalle finestre, altri che mettono in stato di fermo un tizio con le parole del Vangelo scritte su un cartello, la moto d’acqua in dotazione usata per far fare un giro turistico al figlio di un noto politico, dopo richieste di identificazione a persone che hanno gridato: “Viva l’antifascismo” o hanno deposto dei fiori commemorativi, dopo che la Digos è intervenuta in una scuola di Palermo per intimidire un’insegnante e la sua classe, che avevano osato criticare i decreti di un famigerato ministro (la Digos non entrava in una scuola dagli anni del terrorismo eversivo), …, qualcosa si è spezzato nel rapporto di fiducia fra i cittadini e le forze dell’ordine.
Più le forze dell’ordine sono percepite al servizio del potere, più il potere e la polizia si spalleggiano a vicenda, più sono corporativistiche, più applaudono e difendono anche le esagerazioni e persino i crimini dei loro colleghi, e meno il cittadino comune si sente garantito e vede rispettati i propri diritti e la propria libertà.
Non aiutano per niente a ripristinare la fiducia nella Polizia e nel Potere identificare come nemico chi presumi non ti abbia votato né simpatizzi per te, il criminalizzare le vittime (sono violenti), il ridicolizzarle (sono radical - chic), invocare il “clima di veleno” quando questo clima lo state creando voi, dire che stai dalla parte della polizia a prescindere quando tutti abbiamo visto nel filmato la polizia che attaccava i ragazzi senza motivo e senza provocazioni.
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aaquilas-blog · 7 months
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La Società tra Legge e Rispetto
Superfluo dire quanto mi abbia scosso quello che è accaduto a Pisa a dei ragazzini minorenni alcuni dei quali sono finiti pure in ospedale. Episodi che hanno risvegliato nella memoria di molti di noi i bruttissimi fatti accaduti alla scuola Diaz di Genova in occasione del G8 nel 2001, un momento di storia italiana che è rimasto impresso nella memoria collettiva per la violenza che ha segnato…
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giancarlonicoli · 1 year
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23 ago 2023 18:09
“CARO, CHE C’È DI PEPATO STASERA?” - QUANDO A SAINT TROPEZ L’AVVOCATO SI UNIVA A GIGI RIZZI E AGLI ALTRI "AMATEUR" ITALIANI (BEPPE PIRODDI, FRANCO RAPETTI E RODOLFO PARISI), CHE FUROREGGIAVANO SULLA COSTA AZZURRA – A MILANO AL LORO TAVOLO OGNI TANTO SI AFFACCIAVA ANCHE UN GIOVANE SILVIO BERLUSCONI (“MA NON ERA AMMESSO”) - DA PORFIRIO RUBIROSA FINO ALL’EPOPEA ROMAGNOLA DI ZANZA: STORIE, VIZI E FRAGILITÀ DEI PLAYBOY TRICOLORI. DI QUELLI CHE TENNERO ALTO (ANCHE) IL TRICOLORE NON E’ RIMASTO NESSUNO. OGGI CONTANO GLI INFLUENCER. AVEVA RAGIONE FRANCO CALIFANO: SE TI VOLTI INDIETRO, TUTTO IL RESTO È NOIA… -
Estratto dell’articolo di Giangiacomo Schiavi per il Corriere della Sera
Venivano da mondi diversi e diverso era lo stile, la classe e l’eleganza, ma se c’è qualcosa che li accomuna oltre al fatto di piacere alle donne e di scambiare la notte con il giorno, è l’uso di una parola superata, quasi del tutto in disuso, triturata dal femminismo e dal Me Too: playboy.
Se Zanza da Rimini ne è la parodia nostrana, popolar romagnola, il modello che contabilizza come un flipper le conquiste e diventa, a detta della madre, «un richiamo turistico nelle spiagge dell’Adriatico» per le bellezze nordiche degli anni Ottanta, fino allo schianto nell’ultimo fatale rendez-vous , a 63 anni, nel letto con una ventitreenne, un altro è stato in Italia il titolare per antonomasia del marchio, il prototipo del seduttore che negli anni Sessanta era chiamato anche tombeur des femmes : Gigi Rizzi, uno con le stimmate dell’impresa galante e non dell’arrembaggio alle turiste per caso, tardivo e fuggevole eroe di una generazione uscita dalla guerra, ha scritto Massimo Fini, che il suo ’68 l’ha vissuto senza molotov o barricate nell’estate godereccia di Saint Tropez, alzando il tricolore sulla Madrague, la villa della più bella e desiderata donna del mondo: Brigitte Bardot.
Il sostegno di Gianni Agnelli
Nel secolo scorso playboy era un titolo impegnativo e non ancora politicamente scorretto. Quelli veri erano pochi e con caratteristiche diverse da uno come Zanza, che mai sarebbe stato ammesso nel gruppo d’assalto in Costa Azzurra, «les italiens», Rizzi, Piroddi, Rapetti e Parisi, il quartetto più ambito dal Papagayo all’Esquinade, tappe obbligate dei viveurs di tutto il mondo: non solo per il nome, ma per lo stile che vietava di mettere in piazza «la contabilità delle mutande sfilate»: loro le conquiste non le contavano, le pesavano. Solo così potevano vantare il sostegno di Gianni Agnelli, che del riserbo faceva un codice d’onore: l’Avvocato ogni tanto si univa al quartetto che spopolava sulla Croisette e domandava all’invidiatissimo Gigi: «Caro, che c’è di pepato stasera...».
Le «scuole» e gli stili di conquista
Se a Zanza dedicheranno una targa, servirebbe un albo alla memoria per quanti, come Gigi Rizzi, hanno intaccato con giovanile esuberanza il mito di Porfirio Rubirosa rilanciando quello, made in Italy, dell’ineguagliabile Rodolfo Valentino. Non erano tanti e si dividevano in piccole squadre, i milanesi, i genovesi e i romani, ricchissimi i primi, scatenati i secondi, fascinosi i terzi.
(...)
I locali giusti
Milano era la scuola più selettiva: negli anni Sessanta la città del boom, dei cumenda e del lavoro aveva in Brera e nel caraibico Giamaica il luogo simbolico da onorare e i playboy navigavano tra Cova e il Baretto, prima del tuffo al Bang Bang o al Charlie Max, dove suonava Augusto Righetti. Mina era la voce nuova, la Vanoni quella sensuale, il regno del cheek to cheek era lo Stork di piazza Diaz, amato da quelli della vecchia guardia come Gigi Perez. I playboy si chiamavano Cesare e Marco Spadaccini, che viaggiavano in Miura o in Ferrari, grande successo riscuoteva il gioielliere surfista Pederzani, new entry era un politico di destra, il barone nero Tomaso Staiti di Cuddia, che vantava cultura e storie galanti con Rosa Fumetto, Marisa Allasio e Capucine. Da Genova a Milano si erano trasferiti anche Rizzi e Beppe Piroddi, dopo le precoci incursioni al Carillon di Portofino e al Pirate di Cap Martin: avevano il tavolo fisso tra le modelle alla Torre di Pisa dove ogni tanto si affacciava anche un giovane Silvio Berlusconi («ma non era ammesso», ricorderà perfidamente il barone Staiti).
Gigi Rizzi e la storia d’amore con BB
A ventidue anni Gigi Rizzi era già un top di gamma, accoppiato a bellezze che pietrificavano: Patrizia Gallieni, Anna Mucci, Isa Stoppi, la modella che il fotografo Avedon definì più bella del modo, «con due laghi al posto degli occhi»... Nel ’67 inaugurò con Piroddi il Number One , con i primi disc jokey e il giovane Teo Teocoli ad aprire le danze. A Parigi aveva il lasciapassare da Regine Zilberger, la signora del New Jimmi’s, dove fece il debutto in compagnia di Natalie Delon: ai tavoli accanto a lui c’erano Aristotele Onassis con la Callas e Porfirio Rubirosa con Odile Rodin. Se andava a Londra le tappe erano Annabel’s e il Dolly’s: serate con Polansky e Sharon Tate, compagna del momento Fiona Lewis, mentre Piroddi stava con Jaqueline Bisset. Poi tra un Cristal e un Dom Perignon il giovanotto si giocava una fortuna nelle infernali puntate di chemin de fer.
Regine di bellezza
Com’era e cos’era la vita da playboy è possibile che qualcuno ancora lo ricordi, da Liuba Rizzoli a Marisa Berenson, monumenti di bellezza insieme a Elsa Martinelli, una delle regine di Saint Tropez. Di sicuro il fascino, l’esibizionismo, il narcisismo, la folle illusione che tutto fosse possibile per Gigi Rizzi toccò la vetta una sera di giugno, in quel ‘68 che annunciava la fine di un’epoca.
L’uomo più invidiato del mondo
La love story con Brigitte Bardot fu qualcosa di pazzesco, una bomba: un giovane italiano si sostituiva a Gunther Sachs, playboy miliardario erede della dinastia Von Opel, l’uomo che lanciava rose rosse dall’elicottero per annunciare alla Bardot il suo arrivo. Gigi ballava il flamenco sul tavolo con sfacciata esuberanza, girava a piedi nudi, giocava con le carte e con le donne. Quando la Bardot lo invitò alla Madrague e mandò una Rolls Royce nel suo albergo a ritirare gli abiti di ricambio, aveva appena 24 anni. Per tre mesi diventò l’uomo più invidiato del mondo.
Tra vizi, fragilità ed errori
«È stato detto che Gigi è sempre e solo l’ex di Brigitte», ha scritto Olghina di Robilant, musa dolcevitiera di quel gruppo. «La deformazione giornalistica va capovolta. Direi che la Bardot fu solo una ex di Gigi. Una fra tante, famose quanto lei...». 
La sua storia, diversamente da quella di Zanza, è una metafora sulla vita e anche sul destino del playboy. Rivela vizi, fragilità, errori, il senso dell’onnipotenza e del vuoto, che finisce spesso in solitudini da affogare nell’alcol o nella cocaina: Gigi Rizzi ha avuto tutto, ha perso tutto, si è eclissato, ha cercato di cambiar vita, si è riconvertito agricoltore in Argentina, si è sposato e risposato, è caduto ed è riemerso, è stato in una comunità per tossici e alcolisti e non si è vergognato di dirlo.
(...) Dieci anni fa è morto durante la sua festa di compleanno, proprio a Saint Tropez, dove tutto era cominciato. Quasi un segno del destino. Di quel quartetto che si onorava del titolo di «les italiens» non è rimasto nessuno. Game over, anche per i playboy. Oggi contano gli influencer. Forse aveva ragione Franco Califano: se ti volti indietro, tutto il resto è noia.
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campaniasport · 2 years
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DALLA SCUOLA ALLO STADIO | Ecco il Biglietto Studenti
DALLA SCUOLA ALLO STADIO | Ecco il Biglietto Studenti
Continua il tour della Casertana nelle scuole del territorio. Tante le iniziative in programma che saranno presto illustrate. E’ stato varato, intanto, uno speciale #bigliettostudente riservato agli istituti ▪️ Campus Manzoni ▪️ Liceo Scientifico A. Diaz Caserta ▪️ ITS-LS ‘F. Giordani’ Gli studenti potranno presentarsi al botteghino dello stadio ‘Pinto’ muniti di documento di riconoscimento ed…
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rifondazione · 3 months
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Rifondazione: ci ha lasciato il compagno Arnaldo Cestaro, fece condannare Italia per scuola Diaz
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lamilanomagazine · 1 year
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Milano: MIKA a Piano City mercoledì 17 maggio
Milano: MIKA a Piano City mercoledì 17 maggio. A Piano City Milano arriva MIKA con una speciale anteprima: mercoledì 17 maggio alle ore 21 al Castello Sforzesco performance esclusiva studiata e realizzata solo per il palcoscenico del festival. Prenotazioni disponibili online dalle 16 di domani. La dodicesima edizione di PIANO CITY MILANO, festival di pianoforte riconosciuto tra i più prestigiosi, in programma dal 19 al 21 maggio, si arricchisce di una speciale anteprima: mercoledì 17 maggio alle ore 21.00 al Castello Sforzesco MIKA, artista di fama mondiale con oltre 10 milioni di album venduti, regalerà al pubblico una performance esclusiva studiata e realizzata solo per il palcoscenico del festival. Le prenotazioni per partecipare alla speciale anteprima saranno disponibili da domani, martedì 9 maggio, dalle ore 16.00 sul sito ufficiale del festival. Il programma degli eventi è online sempre sul sito ufficiale della manifestazione. Mika, immerso nella magica atmosfera del Castello Sforzesco, accompagnato dal suo pianoforte, amico fedele e scatola magica di un’esplosione di colori, idee e follie è pronto a stupire gli spettatori con una performance strabiliante, esclusiva, studiata e realizzata appositamente per il palcoscenico di Piano City Milano. Mika ha scelto la rassegna Piano City Milano come anticipazione dei sei special event previsti per quest’estate in Italia. Promosso e realizzato da Associazione Piano City Milano insieme al Comune di Milano, con il Ministero del Turismo e il sostegno del Ministero della Cultura, Piano City Milano è una manifestazione unica nel suo genere che, coinvolgendo istituzioni, associazioni, partner e cittadini, investe per una città sempre più attiva, grazie alla musica e ad un programma capillare sul territorio. Un progetto, a cura di Ponderosa Music&Art e hdemia, che vanta la direzione artistica di Ricciarda Belgiojoso e Titti Santini. Il festival prende vita grazie a un’intensa collaborazione fra istituzioni pubbliche e imprese private che permette al festival di essere accessibile gratuitamente e presente in ogni zona della città. Un esempio di sinergia straordinaria che per questa edizione coinvolge il Comune di Milano - Assessorato alla Cultura e Corriere della Sera come main partner; Intesa Sanpaolo e Volvo in qualità di partner; Hermès per i talenti; FSC Fondo per lo Sviluppo e la Coesione e Ministero del Turismo, Ministero della Cultura quali partner istituzionali; l’Ippodromo Snai San Siro, Conad, Certosa District, Amplifon, logotel in qualità di supporter; St-Germain quale beverage partner; i partner tecnici Steinway & Sons, Griffa & Figli, Tagliabue, Passadori Pianoforti, Scorticati Pianoforti, Kawai, Schimmel Pianos, Tarantino Pianoforti, Serazio Pianoforti; e il supporto tecnico AIARP. Media partner dell’evento Radio Capital, ViviMilano, Sky Classica HD, Zero, Lampoon, Pianosolo, Club Milano, Mi-Tomorrow, Milano Today, Music Paper, Lucy. Sulla cultura. Con la collaborazione di YES MILANO. A questi si aggiungono le collaborazioni con prestigiose istituzioni musicali come il Conservatorio di Musica Giuseppe Verdi di Milano, la Civica Scuola di Musica Claudio Abbado e i Civici Corsi di Jazz, il Conservatorio Gaetano Donizetti di Bergamo, l'Accademia Pianistica della Fondazione Accademia Internazionale di Imola Incontri con il Maestro, il Premio Venezia, Milano Musica. Il festival viene realizzato anche grazie alla collaborazione di: Apple Music Classical, BiM, CCL, Eataly e Fondazione Prada. Piano City Milano nasce nel 2011 come primo festival diffuso della città e contribuisce all'onda di vitalità e alle sperimentazioni urbane e culturali che portano Milano a diventare la vibrante metropoli europea che è oggi. Fondatori del festival e dell’Associazione Daniela Cattaneo Diaz e Titti Santini, che hanno sempre creduto nel progetto e costruito una rete di partner sostenitori che negli anni hanno investito in Piano City Milano, nell’immaginare una diversa visione di Milano.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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palmiz · 5 years
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giusto per non dimenticare...
Genova, 22 luglio 2001. Scuola Diaz.
Uno dei primi ad accorgersi dell’irruzione fu Michael Gieser, un economista belga di 35 anni che si era appena messo il pigiama e stava facendo la fila davanti al bagno con lo spazzolino in mano. Gieser crede nel dialogo e in un primo momento si diresse verso gli agenti dicendo: “Dobbiamo parlare”. Vide i giubbotti imbottiti, gli sfollagente, i caschi e le bandane che nascondevano i volti dei poliziotti, cambiò idea e scappò di corsa per le scale.
Gli altri furono più lenti. Erano ancora nei sacchi a pelo. I dieci spagnoli accampati nell’atrio della scuola si svegliarono sotto i colpi dei manganelli. Alzarono le mani in segno di resa, ma altri poliziotti cominciarono a picchiarli in testa, provocando tagli e ferite e fratturando il braccio a una donna di 65 anni. Nella stessa stanza alcuni ragazzi erano seduti davanti al computer e mandavano email a casa. Tra loro c’era Melanie Jonasch, 28 anni, studentessa di archeologia a Berlino, che si era offerta di lavorare nella scuola e non aveva neppure partecipato ai cortei.
Melanie non riesce ancora a ricordare cosa accadde. Ma molti testimoni hanno raccontato che i poliziotti l’aggredirono e la colpirono alla testa con tanta violenza che perse subito conoscenza. Quando cadde a terra, gli agenti la circondarono continuando a picchiarla e a prenderla a calci, sbattendole la testa contro un armadio e alla fine lasciandola in una pozza di sangue. Katherina Ottoway, che vide la scena, ricorda: “Tremava tutta. Aveva gli occhi aperti ma rovesciati all’insù. Pensai che stesse morendo, che non sarebbe sopravvissuta”.
Nessuno dei ragazzi che erano al piano terra sfuggì al pestaggio. Come ha scritto Zucca nella sua requisitoria: “Nell’arco di pochi minuti, tutti gli occupanti del piano terra furono ridotti all’impotenza. I gemiti dei feriti si univano agli appelli a chiamare un’ambulanza”. Per la paura, alcune vittime persero il controllo dello sfintere. Poi gli agenti si diressero verso le scale.
Nel corridoio del primo piano trovarono un piccolo gruppo di persone, tra cui Gieser, che stringeva ancora il suo spazzolino: “Qualcuno suggerì di sdraiarsi, per dimostrare che non facevamo nessuna resistenza, così mi sdraiai. I poliziotti arrivarono e cominciarono a picchiarci, uno dopo l’altro. Io mi riparavo la testa con le mani e pensavo: ‘Devo resistere’. Sentivo gridare ‘basta, per favore’ e lo ripetevo anch’io. Mi faceva pensare a quando si sgozzano i maiali. Ci stavano trattando come animali, come porci”.
I poliziotti abbatterono le porte delle stanze che si affacciavano sui corridoi. In una trovarono Dan McQuillan e Norman Blair, arrivati in aereo da Stansted, vicino Londra, per manifestare a favore di “una società libera e giusta dove la gente possa vivere in armonia”, spiega McQuillan. Avevano sentito la polizia al piano terra e insieme a un amico neozelandese, Sam Buchanan, avevano cercato di nascondersi con le loro borse sotto dei tavoli in un angolo di una stanza buia. Una decina di agenti fece irruzione nel locale e li illuminò con una torcia. McQuillan scattò in piedi, alzò le mani e cominciò a ripetere “Calma, calma”, ma non servì a fermare i poliziotti. McQuillan ne uscì con un polso rotto. “Sentivo tutto il loro veleno e il loro odio”, ricorda Norman Blair.
Gieser era in corridoio: “Intorno a me era tutto coperto di sangue. Un poliziotto gridò ‘Basta!’ e per un attimo sperammo che tutto sarebbe finito. Ma gli agenti non si fermarono, continuarono a picchiare di gusto. Alla fine ubbidirono all’ordine, ma erano come dei bambini a cui si toglie un giocattolo contro la loro volontà”.
Ormai c’erano poliziotti in tutta la scuola. Picchiavano e davano calci. Secondo molte vittime c’era quasi del metodo nella loro violenza: gli agenti pestavano chiunque gli capitasse a tiro, poi passavano alla vittima successiva lasciando a un collega il compito di continuare a picchiare la prima. Sembrava importante che tutti fossero pestati a sangue. Nicola Doherty, un’assistente sociale di Londra di 26 anni, racconta che il suo compagno, Richard Moth, si sdraiò sopra di lei per proteggerla. “Sentivo i colpi sul suo corpo, uno dopo l’altro. I poliziotti si allungavano per raggiungere le parti del mio corpo che erano rimaste scoperte”. Nicola cercò di proteggersi la testa con il braccio. Le ruppero il polso.
Un crescendo di violenza
Un gruppo di uomini e donne fu costretto a inginocchiarsi in un corridoio in modo che i poliziotti potessero colpirli più facilmente sulla testa e sulle spalle. Daniel Albrecht, 21 anni, studente di violoncello a Berlino, fu colpito così violentemente che dovettero operarlo per fermare l’emorragia cerebrale. Fuori dall’edificio, i poliziotti tenevano i manganelli al contrario, usando il manico ad angolo retto come un martello.
In questo crescendo di violenza ci furono momenti in cui i poliziotti scelsero l’umiliazione. Un agente si mise a gambe aperte davanti a una donna inginocchiata e ferita, si afferrò il pene e glielo avvicinò al viso. Poi si girò e fece la stessa cosa con Daniel Albrecht, che era inginocchiato lì accanto. Un altro poliziotto interruppe un pestaggio per prendere un coltello e tagliare i capelli alle vittime, tra cui Nicola Doherty. Un altro chiese a un gruppo di ragazzi se stavano bene e quando uno disse di no, partì un’altra scarica di botte.
Alcuni riuscirono a sfuggire alla violenza, almeno per un po’. Karl Boro scappò sul tetto, ma poi fece l’errore di rientrare nella scuola e subì lo stesso trattamento degli altri. Riportò gravi lesioni alle braccia e alle gambe, una frattura cranica e un’emorragia toracica. Jaraslav Engel, polacco, riuscì a uscire dalla Diaz arrampicandosi sulle impalcature, ma fu preso sulla strada da alcuni autisti della polizia che gli spaccarono la testa, lo scaraventarono per terra e rimasero a fumare mentre il suo sangue scorreva sull’asfalto.
Due studenti tedeschi, Lena Zuhlke, 24 anni, e il suo compagno Niels Martensen, furono tra gli ultimi a essere presi. Si erano nascosti in un armadio usato dagli addetti alle pulizie all’ultimo piano. Sentirono la polizia che si avvicinava sbattendo i manganelli sulle pareti delle scale. La porta dell’armadio venne aperta, Martensen fu trascinato fuori e picchiato da una decina di poliziotti schierati a semicerchio intorno a lui. Zuhlke attraversò di corsa il corridoio e si nascose nel bagno. I poliziotti la videro, la seguirono e la trascinarono fuori per i capelli. In corridoio, l’aggredirono come cani addosso a un coniglio. Fu colpita alla testa e poi presa a calci da ogni parte finché sentì collassare la gabbia toracica. La rimisero in piedi appoggiandola a una parete dove un poliziotto le dette una ginocchiata all’inguine mentre gli altri continuarono a prenderla a manganellate. Scivolò giù, ma la picchiarono ancora: “Sembrava che si divertissero, quando gridavo di dolore sembrava che godessero ancora di più”.
I poliziotti trovarono un estintore e spruzzarono la schiuma sulle ferite di Martensen. Zuhlke venne afferrata per i capelli e scaraventata per le scale a testa in giù. Alla fine, trascinarono la ragazza nell’ingresso del piano terra, dove avevano ammassato decine di prigionieri insanguinati e sporchi di escrementi. La gettarono sopra ad altre due persone. Non si muovevano e Zuhlke, tramortita, chiese se erano vivi. Nessuno rispose e lei rimase supina. Non muoveva più il braccio destro ma non riusciva a tenere fermi il braccio sinistro e le gambe, che si contraevano convulsamente. Il sangue le gocciolava dalle ferite alla testa. Un gruppo di poliziotti le passò accanto: uno dopo l’altro si sollevarono le bandane che gli coprivano il volto e le sputarono in faccia.
Mussolini e Pinochet
Perché dei rappresentanti della legge si comportarono con tanto disprezzo della legge? La risposta più semplice può essere quella che ben presto venne urlata dai manifestanti fuori dalla Diaz: “Bastardi!”. Ma stava succedendo qualcos’altro, qualcosa che emerse più chiaramente nei giorni seguenti.
Covell e decine di altre vittime dell’irruzione furono portati all’ospedale San Martino, dove i poliziotti camminavano su e giù per i corridoi, battendo il manganello sul palmo delle mani, ordinando ai feriti di non muoversi e di non guardare dalla finestra, lasciandoli ammanettati. Poi, senza che fossero stati medicati, li spedirono all’altro capo della città nel centro di detenzione di Bolzaneto, dove erano trattenute decine di altri manifestanti, presi alla Diaz e nei cortei.
I primi segnali che c’era qualcosa di più grave possono sembrare banali. Alcuni poliziotti avevano vecchie canzoni fasciste come suoneria del cellulare e parlavano con ammirazione di Mussolini e Pinochet. Diverse volte ordinarono ai prigionieri di gridare “Viva il duce” e usarono le minacce per costringerli a intonare canzoni fasciste: “Uno, due, tre. Viva Pinochet!”.
Le 222 persone detenute a Bolzaneto furono sottoposte a un trattamento che in seguito i pubblici ministeri hanno definito tortura. All’arrivo furono marchiati con dei segni di pennarello sulle guance e molti furono costretti a camminare tra due file di poliziotti che li bastonavano e li prendevano a calci. Una parte dei prigionieri fu trasferita in celle che contenevano fino a 30 persone. Qui furono costretti a restare fermi in piedi davanti al muro, con le braccia in alto e le gambe divaricate. Chi non riusciva a mantenere questa posizione veniva insultato, schiaffeggiato e picchiato. Mohammed Tabach, che ha una gamba artificiale e non riusciva a sopportare la fatica della posizione, crollò. Fu ricompensato con due spruzzate di spray al pepe e, più tardi, un pestaggio particolarmente feroce.
Norman Blair ricorda che mentre era in piedi nella posizione che gli avevano ordinato una guardia gli chiese: “Chi è lo stato?”. “La persona davanti a me aveva risposto ‘Polizei’, così detti la stessa risposta. Avevo paura che mi pestassero”.
Stefan Bauer osò dare un’altra risposta: quando una guardia che parlava tedesco gli chiese di dove era, rispose che veniva dall’Unione europea e aveva il diritto di andare dove voleva. Lo trascinarono fuori, lo riempirono di botte e di spray al pepe sulla faccia, lo spogliarono e lo misero sotto una doccia fredda. I suoi vestiti furono portati via e dovette tornare nella cella gelida con un camice d’ospedale.
Tremanti sui pavimenti di marmo delle celle, i detenuti ebbero solo qualche coperta, furono tenuti svegli senza mangiare e gli venne negato il diritto di telefonare e a vedere un avvocato. Sentivano pianti e urla dalle altre celle.
Uomini e donne con i capelli rasta vennero brutalmente rasati. Marco Bistacchia fu portato in un ufficio, denudato, costretto a mettersi a quattro zampe e ad abbaiare. Poi gli ordinarono di gridare “Viva la polizia italiana!”. Singhiozzava troppo per ubbidire. Un poliziotto anonimo ha dichiarato al quotidiano La Repubblica di aver visto dei colleghi che urinavano sui prigionieri e li picchiavano perché si rifiutavano di cantareFaccetta nera.
Minacce di stupro
Ester Percivati, una ragazza turca, ricorda che le guardie la chiamarono puttana mentre andava al bagno, dove una poliziotta le ficcò la testa nel water e un suo collega maschio le urlò: “Bel culo! Ti piacerebbe che ci infilassi dentro il manganello?”. Alcune donne hanno riferito di minacce di stupro, anale e vaginale.
Perfino l’infermeria era pericolosa. Richard Moth, che aveva difeso con il suo corpo la compagna, era coperto di tagli e lividi. Gli misero dei punti in testa e sulle gambe senza anestesia. “Fu un’esperienza molto dolorosa e traumatica. Dovevano tenermi fermo con la forza”, ricorda. Tra le persone condannate il 14 luglio ci sono anche alcuni medici della prigione.
Tutti hanno dichiarato che non fu un tentativo di costringere i detenuti a confessare, ma solo un esercizio di terrore. E funzionò. Nelle loro testimonianze, i prigionieri hanno descritto la sensazione d’impotenza, di essere tagliati fuori dal mondo in un luogo senza legge e senza regole. La polizia costrinse i prigionieri a firmare delle dichiarazioni. Un francese, David Larroquelle, ebbe tre costole rotte perché non voleva firmare. Anche Percivati si rifiutò: gli sbatterono la faccia contro la parete dell’ufficio, rompendole gli occhiali e facendole sanguinare il naso.
All’esterno arrivò una versione dei fatti molto distorta. Il giorno dopo il pestaggio Covell riprese conoscenza all’ospedale e si accorse che una donna gli stava scuotendo la spalla. Pensò che fosse dell’ambasciata inglese, poi quando l’uomo che era con lei cominciò a scattare foto si rese conto che era una giornalista. Il giorno dopo il Daily Mail pubblicò in prima pagina una storia inventata di sana pianta secondo cui Covell aveva contribuito a pianificare gli scontri (ci sono voluti quattro anni perché il Mail si scusasse e risarcisse Covell per aver violato la sua privacy).
Mentre alcuni cittadini britannici venivano pestati e trattenuti illegalmente, i portavoce del primo ministro Tony Blair dichiararono: “La polizia italiana doveva fare un lavoro difficile. Il premier ritiene che lo abbia svolto”.
Le forze dell’ordine italiane raccontarono ai mezzi d’informazione una serie di menzogne. Perfino mentre i corpi insanguinati venivano trasportati fuori dalla Diaz in barella, i poliziotti raccontavano ai giornali che le ambulanze allineate nella strada non avevano nulla a che fare con l’incursione, che le ferite dei ragazzi erano precedenti all’incursione, e che l’edificio era pieno di estremisti violenti che avevano attaccato gli agenti.
Il giorno dopo, le forze dell’ordine tennero una conferenza stampa in cui annunciarono che tutte le persone presenti nell’edificio sarebbero state accusate di resistenza aggravata e associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio. Alla fine, i tribunali italiani hanno respinto tutti i capi di accusa contro ogni singolo imputato, Covell compreso. I tentativi della polizia d’incriminarlo per una serie di reati gravissimi sono stati definiti “grotteschi” dal pubblico ministero Enrico Zucca.
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sandimgetriebe · 5 years
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Filmempfehlung für den Sommer:
“Diaz - non pulire questo sangue” oder auf Englisch “Diaz - Don’t clean up this blood” Wie der Titel schon verrät, handelt der Film von den Ereignissen rund um die Scuola Diaz und die Caserma di Bolzaneto im Zuge der G8 Proteste in Genua 2001. Nach dem Mord an Carlo Giuliani kam es verstärkt zu systematischen Gewalt- und Folteranwendungen seitens des italienischen Staates.  Nicht nur der Mord an einen jungen Genossen, sondern die Vorfälle im Allgemeinen in Genua, die als Höhepunkt in der Stürmung der Diaz Schule und die darauffolgenden Vorkommnisse in der Kaserne mündeten, haben tiefe Narben und Ohnmacht in der italienischen und eigentlich in der ganzen europäischen Linken zur Folge. 
“Alles ist in Genua passiert, im Juli 2001. Die Welt ist stehen geblieben, jetzt nehmen wir sie zurück. Wir sind in Genua gestorben, im Juli 2001. Die Welt ist stehen geblieben, jetzt nehmen wir sie zurück.” - 99 Posse (Mai piu saro saggio)
Auch wenn ich ein paar Kritikpunkte in an der Umsetzung habe, lohnt es sich auf jeden Fall den Film anzuschauen. Vor allem als Einstieg in die Auseinandersetzung mit Genua 2001.
Lest über die Scheiße die dort passiert ist, erzählt es weiter, bildet euch, lernt daraus, fragt vielleicht andere. Lasst uns das nicht vergessen, lasst uns die Opfer nicht vergessen, lasst uns Carlo nicht vergessen. Noi non dimentichiamo mai. 
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bombagiu · 6 years
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Ma in questi giorni è arrivata una notizia che i media italiani hanno snobbato, troppo presi dalla nave Diciotti, dalle corbellerie di Salvini, dalle lezioni di buon governo del Pd e dal visino da schiaffi di Di Maio.
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