#musica nel sangue
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francesco-nigri · 26 days ago
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DI MARE E CIELO Musica e Poesia di Francesco Nigri
DI MARE E CIELO Musica e Poesia di Francesco Nigri Il Testo Qui CASA FACEBOOK
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umi-no-onnanoko · 8 months ago
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100 domande curiose
1. Libro preferito?
2. Autore preferito?
3. Poesia preferita?
4. Ti piace scrivere?
5. Ti piace leggere?
6. Disegni?
7. Ti piace l'arte?
8. Sei mai stato/a ad un museo?
9. Artista preferito?
10. Film preferito?
11. Attore/attrice preferito/a?
12. Regista preferito?
13. Colonna sonora preferita?
14. Saga preferita?
15. Personaggio preferito di Harry Potter?
16. Personaggio preferito di un libro?
17. Personaggio preferito di un film?
18. Serie tv preferita?
19. Canzone preferita?
20. Cantante preferito/a?
21. Band preferita?
22. Hai mai scritto una canzone?
23. Hai mai scritto una lettera a mano?
24. Hai mai ricevuto una lettera scritta a mano?
25. La pazzia più grande che hai fatto?
26. Ti piacciono le sorprese?
27. La sorpresa migliore che hai ricevuto?
28. La sorpresa più bella che hai fatto?
29. Quale pianeta visiteresti?
30. Preferiresti essere una sirena o una fata?
31. Quale decade preferisci?
32. Sei una persona creativa?
33. Quale lavoro vorresti esistesse?
34. Quali animali vorresti si unisserero per dare vita ad una nuova specie?
35. Pic nic al mare o in montagna?
36. Ti piace il teatro?
37. Hai mai visto un balletto?
38. Sei mai stato/a ad un concerto?
39. Hai mai cantato in pubblico?
40. Hai mai ballato in pubblico?
41. Adotteresti un bambino?
42. Adotteresti un animale?
43. Moto o auto?
44. Preferisci nuotare o volare?
45. Quale personaggio Disney pensi di essere?
46. Quale villain Disney ti rappresenta?
47. Quale cultura ti affascina?
48. Se potessi condividere un senso (tatto, vista,olfatto, gusto,udito) con la tua anima gemella quale condivideresti?
49. Vampiro o licantropo?
50. Credi nella fiamma gemella?
51. Temporale o arcobaleno?
52. Musica classica o rock?
53. Ti piace recitare?
54. Hai mai suonato in pubblico?
55. Hai mai recitato in pubblico?
56. Sai leggere i silenzi?
57. Sai rispettare i silenzi?
58. Soffri il solletico?
59. Riesci a fare ridere gli altri?
60. Sai ascoltare?
61. Ti fidi?
62. Ti piace fare foto?
63. Sei fotogenico/a?
64. Musica in streaming, Spotify, CD o vinile?
65. Anime preferito?
66. Manga preferito?
67. Meglio i manga/anime di ieri o quelli di oggi?
68. Cartone animato preferito?
69. Il tuo cavallo di battaglia in cucina?
70. Il piatto che proprio non ti riesce?
71. Quale colore non sopporti?
72. Cosa non può mancare in casa tua?
73. Quale tua caratteristica vorresti avessero anche gli altri?
74. Cosa "rubesti" da un altra persona?
75. Come organizzeresti il primo appuntamento?
76. Come vorresti fosse il tuo prima appuntamento?
77. Faresti il primo passo?
78. Amicizia uno a uno o gruppo di amici?
79. Le parole che vorresti sentirti dire?
80. Cosa vorresti dire agli altri?
81. Credi nel destino?
82. Credi nella fortuna?
83. Pratichi la gratitudine?
84. Ti senti cambiato rispetto a 10 anni fa?
85. Cosa cambieresti di questi ultimi 10 anni?
86. Come ti vedi tra 10 anni?
87. La famiglia è solo quella di sangue?
88. Gli amici sono una seconda famiglia?
89. Si deve sempre perdonare chi si ama?
90. Cosa non ti perdoni?
91. Vorresti tornare bambino/a o diventare adulto/a?
92. Vorresti essere del sesso contrario al tuo?
93. Balletto preferito?
94. Ballerino/a preferito?
95. Conosci il messaggio dei fiori?
96. Giorno o notte ?
97. Alba o tramonto?
98. Freddo o caldo?
99. Sole o pioggia?
100. Scegli tu questa domanda
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volevoimparareavolare · 8 months ago
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Certe cose non ti scivolano addosso.
Certe cose ti si appiccicano alla pelle, ti si infilano sotto le unghie, ti si depositano nel sangue, fin dentro le ossa. Le senti tremare con te, nel cuore della notte, percuoterti il corpo con violenti singhiozzi, macchiarti le guance con lacrime bollenti. Certe cose ti si aggrappano al cuore, rendendolo pesante come un blocco di catrame, un lastrone di marmo con sopra inciso il suo nome.
Certe cose non ti scivolano addosso; ti trascinano con loro. In luoghi umidi e oscuri, dove non splende mai il sole e non brillano le stelle. Dove non c’è posto per sognare e in cui nessuna musica riesce ad arrivare. Dove tutto quello che puoi fare è cercare di continuare a respirare
respirare
respirare
mentre lentamente continui ad annegare.
-Alessia Alpi, scritta da me. 8.34 di una mattina iniziata piangendo.
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biancarondine · 8 months ago
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Vedi, le persone sensibili sono quelle che preferisco. Hanno un equilibrio che varia ogni giorno, forse ogni ora, meglio ancora ogni minuto. E vivono tutto come viene, le emozioni come capitano, con il rischio di soffrire tanto e bruciarsi troppo.
Amano il rischio e odiano la monotonia.
Potresti dare loro tutto il tempo che vuoi, ma se non hai lo stesso cuore, la stessa anima, la stessa fragilitá, potrebbero anche preferire la solitudine a te.
E non perché tu sia sbagliato o loro siano sbagliati.
Semplicemente perché le persone sensibili hanno bisogno di qualcuno accanto che abbia lo stesso cuore, la stessa anima e la stessa voglia di affrontare ogni giorno.
Le persone sensibili amano il rischio e odiano la monotonia. Tutto ciò che si ripete, non va.
Hanno bisogno di sentire vivere le emozioni anche quando la vita si ferma, devono sentire scorrere nel sangue la musica dell’amore anche quando fuori piove e si abbassa l’umore.
Non puoi controllare un animo incasinato, mettendo a tacere i casini, lasciandolo in silenzio.
Le persone sensibili hanno la vita piena di casini, ma è stupenda per questa, sono fondamentali i casini.
Devi accompagnarli, viverli, ascoltarli, comprenderli, stravolgerli.
Per stare con una persona sensibile:
Devi avere la voglia di rompere i silenzi, di offrire alternative quando sembrano non esserci, devi avere creatività nel mandare avanti un rapporto ogni giorno, avere l’onestà di non fare cazzate, di non tradire la fiducia perchè per loro è fondamentale.
La fiducia, la sensibilità e la complicità sono le basi. E se tu non hai questi valori, non potrai stare con una persona sensibile.
E non perché non sei all’altezza, ma i vostri cuori non battono alla stessa frequenza, c’è chi viaggia di abitudine e chi viaggia di spontaneità.
Questa è la differenza.
Le persone sensibili sono questo.
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diceriadelluntore · 10 months ago
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Storia Di Musica #317 - Black Flag, Damaged, 1981
A me piace poco la musica punk. In primis, perchè nasce sotto aspetti che molto ipocriticamente non si prendono mai in causa (basta sentire quello che dice Malcom McLaren, il deus ex machina dei Sex Pistols in The Great Rock'n'Roll Swindle) rispetto alla vera natura del genere musicale; in secundis perchè si oppose con i suoi modi sguaiati e "puri" contro la grandezza tecnica del prog, soprattutto in Europa. Negli Stati Uniti fu invece un movimento molto più eterogeneo e diffuso, il cui obiettivo trasgressivo era soprattutto artistico (mentre da noi fu sprattutto estetico). Detto ciò, per i gruppi che hanno "black" nel titolo non potevo non parlarvi un po' di loro. Il loro nome, Black Flag, fu suggerito ai fondatori Greg Ginn e Keith Morris dal fratello del primo, Raymond, che aveva un nomignolo curioso, Pettibon: la bandiera nera è il simbolo del movimento anarchico, e lo stesso Raymond disegnò il logo della band, quattro righe spesse che davano la sensazione del movimento della bandiera stessa (e cosa importante, poteva essere facilmente riprodotta con le bombolette spray per i graffiti). Tutto nasce a Hermosa Beach, vicino Los Angeles, nel 1976: Greg Ginn e Keith Morris fondano un duo, che si chiama Panic. Quando scoprono che esiste già un altro gruppo dallo stesso nome, cambiano in Black Flag, come detto sopra. Con la prima formazione registrano 4 brani in un Ep dal titolo esplicativo, Nervous Breakdown, che viene stampato in 2000 copie, ma problemi con la piccola casa editrice che gli aveva pagato le registrazioni spingono Ginn a fondarne una propria: aggiunge infatti una "divisione" artistica alla sua Solid State Tuners, che è una piccola dittaq specializzata in riparazioni e costruzione di impianti per le registrazioni elettroniche, creando la SST Records, che oltre che i dischi dei Black Flag sarà una delle case discografiche indipendenti più importanti degli anni '80 per aver pubblicato Soundgarden, Meat Puppets, Minutemen, Hüsker Dü, Sonic Youth, Dinosaur Jr., Negativland tra gli altri. Cambiano nel frattempo due volte cantante: prima Morris se ne va, e viene sostituito da Ron Reyes: dura pochi mesi, registra comunque delle canzoni che verranno inserito nel secondo EP, Jealous Again, poi se ne va a Vancouver. Qui in un negozio di dischi trova l'EP in questione e legge nei crediti come cantante un certo Chavo Pederast, pensando che avessero trovato un nuovo cantante, ma ascoltandolo si accorge che è la sua voce, la band ha voluto omaggiare il suo abbandono con la prima di una serie sgangherata di azioni di satira nera per cui diventeranno proverbiali. Reyes viene sostituito da Dez Cadena. Durante un concerto a New York, un tizio sale sul palco e inizia a cantare con lui: piace a tutti gli altri, e prima viene ingaggiato come roadie, poi spostato a cantante perchè Cadena esprime il desiderio di suonare la chitarra. Il tizio si chiama Henry Garfield, ma per cantare sceglie il nome Henry Rollins. Nasce così la line up leggendaria che nell'ottobre 1981, messi sotto contratto dalla Unicorn, una sussidiaria della MCA, va negli studi a scrivere la pietra miliare dell'hardcore punk.
In copertina, Rollins che dà un pugno allo specchio (rotto con un martello, il finto sangue è un miscuglio di caffè e salsa di pomodoro). Damaged è uno degli album più estremi, nichilisti, sinceri e devastanti della storia della musica. È l'espressione, sincera, di esigenze che sono ancora oggi comuni denominatori della sofferenza generazionale giovanile. Si parte con la necessità di alzare la voce contro il muro di silenzio degli altri, nella storica Rise Above, in cerca di realizzazione: We are born with a chance\Rise above, we're gonna rise above\And I am gonna have my chance\Rise above, we're gonna rise above\We are tired of your abuse\Try to stop us, it's no use. L'adrenalina si sposta nei 33 secondi, deflagranti come una bomba, di Spray Paint, dedica al movimento dei writers tanto caro alla band. Rollins sputa parole e urla più che cantare, su un tappeto sonoro che sebbene sia "semplice" nella struttura (le canzoni hanno una loro struttura ricorrente e riconoscibile), dimostra al contempo che i nostri sanno suonare e ne sono esempio gli intricati assoli di Ginn e Cadena. Seguono in parte lo stile Ramones in Tv Party e Gimmie Gimmie Gimmie, ma è quando Rollins e compagni parlano di sofferenza, quando sputano rabbia e frustrazione, che mettono i bridivi: Room 13 è una disperata richiesta di aiuto (It's hard to survive\Don't know if I can do it\I need to belong\I need to hang on\I need, need) con la voce di Rollins al limite dello spasmo; No More inizia con il tamburo della batteria quasi a segnare un countdown, prima di esplodere nella furia della musica della band; c'è la rabbia politica contro le istituzioni, pienamente espresso in Police Story (Fucking city is run by pigs\They take the rights away from all the kids\Understand that we're fighting a war we can't win\They hate us, we hate them). Ma l'apoteosi dono le due Damaged: Damaged II è una sorta di delirio rabbioso, scandito dalle urla di Rollins (I'm confused, confused, don't wanna be confused), che è un misto tra una crisi di panico e la disperazione della solitudine, che si trasforma in ferite interne ed esterne. Ed è ancora più sconvolgente Damaged, che chiude il disco:
My name's Henry And you're here with me now My life It's a song, ah You're just, you won't even let it happen You won't You won't let Damaged, by attack
e continua con dei vocalizzi che assomigliano pericolosamente ad un delirio.
Il disco fu stampato il 25 mila copie dalla Unicorn, ma quando i boss della MCA sentirono il disco, ne bloccarono la distribuzione. Senza battere ciglio, i Black Flag lo pubblicarono per la SST, con un adesivo in copertina che diceva "Come genitore, credo che questo sia un album contro i genitori", parole pronunciate dal presidente della Unicorn. Questo fu preso alla lettera dalla Polizia, che non perse occasione per intervenire durante i concerti della band, in cui spesso ci saranno dei feriti. Tutta la questione finì in una causa intentata dalla Unicorn che portò al carcere, per pochi giorni, Greg Ginn. La band tra altri cambiamenti di formazione pubblicherà un altro album inno punk, My War (1982) per poi intraprendere, fino al 1986, un percorso davvero interessante in cui alla furia iconoclasta della loro musica aggiungano elementi hard rock, più melodie e persino elementi del free jazz, grande passione di Rollins. Dopo lo scioglimento, Rollins fonderà una propria band, la Henry Rollins Band in cui proseguirà questo cammino sperimentale. I Black Flag si riformeranno due volte, negli anni 2000, ma non sarà mai la stessa cosa: non era più possibile replicare il pugno in faccia che fu questo disco, la loro rabbia, la loro disperazione, che arriva qui a vette insuperate, divenendo il seme da cui negli anni a venire nascerà di tutto: dico solo che persino il rap campionerà tantissimo questo disco, soprattutto Rise Above che fa da base a inni del genere quali Buck Whylin' di Terminator X, And What You Give is What You Get dei Beastie Boys, Real Niggaz Don't Die degli NWA e Holy Rum Swig dell'X-Clan.
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sistemabibliotecariomilano · 5 months ago
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Perfetti per l'estate
Come di consueto, proponiamo agli affezionati lettori delle biblioteche milanesi la nostra rubrica di consigli di lettura, perfetti per l’estate!
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Fonte: Pexels
La recente ristampa de Al paradiso delle signore di Zola è una ghiotta occasione per leggere un romanzo avvincente, tomo XI del ciclo dei Rougon-Macquart: un feuilleton di gran classe per gli appassionati di moda, scritto da un maestro nell’arte della descrizione (il tema è simile a quello de Il ventre di Parigi, ma concentrato sull’abbigliamento), “che esplora lucidamente l’universo femminile”, spaziando per tutti gli strati sociali della Parigi di metà Ottocento. Una lettura che analizza la nascita di un fenomeno moderno tuttora in espansione: il grande magazzino, oggi diventato centro commerciale (come in Il denaro si descriveva la bolla finanziaria del 1860, profetica di quelle dei nostri tempi). Non erano necessarie le parole di Gide (e di molti altri critici citati nella preziosa prefazione di Mario Lunetta) per rivalutare questo capolavoro. Iperbolico, lussureggiante, immaginifico.
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A questo romanzo è vagamente ispirata la serie televisiva italiana trasmessa da Rai 1 dal 2015, ora diventata una vera e propria soap, ma ambientata tra gli anni cinquanta e sessanta a Milano, dove esistette davvero un negozio chiamato “Paradiso delle signore”.
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Ironico (di un’ironia antifrastica), divertente, scorrevolissimo, Di chi è la colpa? fu pubblicato nel 1947 ed è l’unico romanzo dello scrittore russo Aleksandr Ivanoviĉ Herzen. Dimenticatevi Tolstoj e Dostoevskij, il suo stile ricorda piuttosto il Gogol’ fantasioso e stravagante dei racconti. Citiamo dalla prefazione di questa recente ristampa: «È strano che questo straordinario scrittore, in vita celebre personalità europea, stimato amico di Michelet, Mazzini, Garibaldi e Victor Hugo, a lungo venerato nel suo paese non solo come rivoluzionario, ma come uno dei più grandi uomini di lettere, sia tuttora poco più di un nome in Occidente. Il piacere che si ricava dalla sua lettura … rende ciò una strana e ingiustificata perdita». Sottoscriviamo in pieno.
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È già in testa a tutte le classifiche la nuova avventura, attesa da ben sei anni dopo Il morso della reclusa, dell’ispettore Adamsberg, creato dall’abile penna della scrittrice francese Fred Vargas, questa volta in trasferta nella selvaggia Bretagna, il regno di Asterix e dei menhir. Sulla pietra è il decimo resoconto della serie dell’improbabile ispettore e le profonde conoscenze storiche dell’autrice si dispiegano felicemente in questo noir ricco di misteri e di legami con il passato.
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Appena ripubblicato da Edizioni Capricorno nella collana Capolavori Ritrovati, L’altare del passato di Guido Gozzano ci consente di scoprire, se ancora non l’abbiamo fatto, la prosa del poeta di “Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state”. In questi undici racconti “riaffiorano tutti i temi cari al poeta - la malinconia, il rimpianto per il tempo che passa, i ricordi ingialliti, l’esitazione amorosa, l’indulgenza verso gli oggetti inutili”.
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A cento anni dalla nascita dell’autore (New Orleans 1924 - Bel Air 1984) Garzanti ha appena ripubblicato Bare intagliate a mano: cronaca vera di un delitto americano (presente anche nella raccolta Musica per camaleonti), sorta di reportage esposto in forma narrativa di Truman Capote. Non potevamo aspettarci niente di meno dallo scrittore che, dieci anni prima della pubblicazione di questo giallo, in Sangue freddo (da cui nel 2005 è stato tratto un film con la strepitosa partecipazione di Philip Seymour Hoffman) aveva romanzato un fatto di cronaca che nell’America del 1959 aveva destato grande scalpore: lo sterminio di un’intera famiglia per un bottino di pochi dollari.
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Anche questo thriller, per quanto incredibile possa sembrare la sua progettazione (e poi realizzazione), si ispira alla realtà, raccontata in forma di dialogo tra l’autore e l’investigatore incaricato delle indagini. Uno stile assolutamente inimitabile.
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Ambientato in una Milano semideserta di metà agosto (il cadavere di una donna annegata viene recuperato nel Lambro) Le conseguenze del male di Gian Andrea Cerone è ormai un best seller. Avevamo già proposto questo autore nel post natalizio (I libri della renna) per un racconto contenuto nell’antologia Un lungo capodanno in noir, la cui protagonista, Marisa Bonacina, era la moglie del commissario Mandelli, che invece campeggia in questo thriller estivo da leggere tutto d’un fiato. Il numero di donne trovate annegate è decisamente troppo alto perché si tratti sempre di suicidi e, contestualmente, il commissario, costretto a interrompere le ferie, si trova a fare i conti con il passato. Un duplice percorso di indagine guidato da una scrittura che attanaglia l’attenzione del lettore per non abbandonarla più.
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Il Saggiatore ha appena ripubblicato una raccolta dei racconti di un autore ingiustamente dimenticato, Guido Morselli, intitolata Gli ultimi eroi. “Gli ultimi eroi raccoglie per la prima volta tutti i racconti di Guido Morselli, narrazioni in cui, come solo nelle sue opere più alte, la sua invenzione si libera, dando vita a realtà alternative e a commoventi ritratti umani: da un Mussolini che si trasforma per amore in leader democratico all’incontro fra Pio XII e uno Stalin che vuole sostituirlo con un sosia; dall’ultima grottesca resistenza di un gruppo di soldati nazisti fuggiti da un manicomio a un comico tentativo di far finanziare agli americani l’Unità d’Italia. Fantasmagorie proiettate sul muro da una lanterna magica, la cui luce ci permette di osservare per una volta, una volta ancora, l’abbacinante talento di un maestro nascosto”. Da non perdere.
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Se ancora non l’avete letto, vi consigliamo Zipper e suo padre, uno dei migliori romanzi di Joseph Roth. Ambientato durante gli anni della Grande guerra e della repubblica di Weimar, è incentrato sul tema universale dei rapporti familiari e questo ne fa un’opera sempre attuale. Dal padre frustrato che maltratta e umilia la moglie e il figlio primogenito, al protagonista (amico del narratore, rappresentato dallo scrittore stesso) Arnold che, dopo la partecipazione al conflitto, si isola diventando angolista, neologismo che indica la sua volontà di stare in disparte in qualsiasi circostanza sociale, la famiglia Zipper rappresenta il simbolo dei danni provocati dalla guerra. Il risultato è la formazione di una generazione di indifferenti (per citare le parole dell’autore), proprio come li descriveranno Gramsci, nell’articolo Odio gli indifferenti, e Moravia, nel suo capolavoro. Si gusta ogni singola pagina.
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donaruz · 10 months ago
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Federico Garcia Lorca
Pioggia
La pioggia ha un vago segreto di tenerezza
una sonnolenza rassegnata e amabile,
una musica umile si sveglia con lei
e fa vibrare l'anima addormentata del paesaggio.
 
È un bacio azzurro che riceve la Terra,
il mito primitivo che si rinnova.
Il freddo contatto di cielo e terra vecchi
con una pace da lunghe sere.
 
È l'aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori
e ci unge con lo spirito santo dei mari.
Quella che sparge la vita sui seminati
e nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo.
 
La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l'illusione inquieta di un domani impossibile
con l'inquietudine vicina del color della carne.
 
L'amore si sveglia nel grigio del suo ritmo,
il nostro cielo interiore ha un trionfo di sangue,
ma il nostro ottimismo si muta in tristezza
nel contemplare le gocce morte sui vetri.
 
E son le gocce: occhi d'infinito che guardano
il bianco infinito che le generò.
 
Ogni goccia di pioggia trema sul vetro sporco
e vi lascia divine ferite di diamante.
Sono poeti dell'acqua che hanno visto e meditano
ciò che la folla dei fiumi ignora.
 
O pioggia silenziosa; senza burrasca, senza vento,
pioggia tranquilla e serena di campani e di dolce luce,
pioggia buona e pacifica, vera pioggia,
quando amorosa e triste cadi sopra le cose!
 
O pioggia francescana che porti in ogni goccia
anime di fonti chiare e di umili sorgenti!
Quando scendi sui campi lentamente
le rose del mio petto apri con i tuoi suoni.
 
Il canto primitivo che dici al silenzio
e la storia sonora che racconti ai rami
il mio cuore deserto li commenta
in un nero e profondo pentagramma senza chiave.
 
La mia anima ha la tristezza della pioggia serena,
tristezza rassegnata di cosa irrealizzabile,
ho all'orizzonte una stella accesa
e il cuore mi impedisce di contemplarla.
 
O pioggia silenziosa che gli alberi amano
e sei al piano dolcezza emozionante:
da' all'anima le stesse nebbie e risonanze
che lasci nell'anima addormentata del paesaggio!
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l-incantatrice · 11 months ago
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DA QUESTA SPONDA
Anche se l’amato
brilla nel mio sangue
come una stella collerica,
mi alzo dal mio cadavere
e attenta a non calpestare il mio sorriso morto
vado incontro al sole.
Da questa sponda di nostalgia
tutto è angelo.
La musica è amica del vento
amico dei fiori
amici della pioggia
amica della morte.
Alejandra Pizarnik
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pettirosso1959 · 2 months ago
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🧑‍🎤 VECCHIONI: "ETTORE COME SINWAR"
• IL TALLONE DI ACHILLE DI VECCHIONI
Di Tonino Serra Conti
Caro prof. Vecchioni
amo in lei il poeta, il cantore delle emozioni profonde, l'insegnante amato nel suo liceo, l'uomo buono che ha sofferto molto ma, mi permetta di dirle con affetto, che lei è un gran pasticcione.
Paragonare Ettore a Sinwar è una solenne bestemmia, caro professore, e nei suoi allievi potrebbe provocare una grave confusione. Non avrei mai immaginato che, forzando il mito avrebbe tradito il logos, preferendo un paragone suggestivo, ma falso, alla realtà cruda ma vera.
Mai avrei pensato che sarebbe diventato un cattivo maestro.
La seguiranno in molti purtroppo perché confonderanno la sua musica con le sue parole inappropriate. Lo stanno già facendo.
Ettore, "il grande Ettorre", è l'eroe magnanimo per eccellenza, il guerriero che si batte per la sua gente affrontando a viso aperto il più forte e invincibile degli eroi greci: Achille, figlio di Teti, che lo aveva reso quasi immortale.
Sa bene di morire nel duello, sotto le mura di Ilio. Lo sa così bene che saluta per l'ultima volta Andromaca, la donna amata che sta per lasciare sola insieme con il piccolo Astianatte, al quale augura comunque un futuro felice: "Non fu sì forte il padre".
Ma si fa uccidere in un duello impari per proteggere la sua città, si sacrifica per essa.
Sinwar non affronta il nemico con lealtà. Si nasconde nelle caverne profonde e sicure, dove ha ammassato viveri e danaro, assistendo al massacro della sua gente, che sacrifica sull'altare di un ideale di morte. Non difende i suoi cittadini, ma se ne fa scudo e li lascia uccidere.
Prima di scatenare il pogrom di vecchi e bambini, prima di rapire e stuprare uomini e donne ridotti a schiavi, sapeva che avrebbe portato il suo popolo al massacro: lo desiderava, anzi, per suscitare la commozione contro il nemico che si era costruito con odio per anni.
Il sangue della sua gente sarebbe servito a erigere uno stato islamista, fanatica, malvagia.
Ama il martirio, ma degli altri.
Dal suo regno sotterraneo vede soddisfatto la sua gente morire sotto le bombe da lui innescate
No. Sinwar non è Ettore.
E non merita, come lei auspica, che il suo cadavere sia restituito alla famiglia per rendergli onorata sepoltura.
Sinwar non ha una famiglia, non ha un padre come Priamo che gli dei pietosi aiutano a raggiungere di nascosto la tenda dove abita l'assassino del figlio Ettore. Ha solo dei complici di una vita violenta, di assassini senza umanità alcuna.
Lascia non un orfano puro come Astianatte, ma figli educati all'odio con lettere deliranti e un esempio diabolico. Questi familiari chiederebbero il suo corpo per farne un feticcio di morte, un monumento all'intolleranza, al razzismo, all'odio eletto a sistema.
No. Sinwar non avrà un Omero che ne racconti i giochi in suo onore, con il mondo eroico che si inchina davanti alla purezza del più grande di loro.
Ecco, professore, il nemico restituisce il corpo di un uomo che rispetta, non il cadavere di un uomo odiato per la sua ferocia, che ha disonorato ogni principio di civiltà.
Questo cadavere sia bruciato e le sue ceneri vengano disperse.
Come quelle di un altro efferato assassino, anche lui cresciuto nell'odio verso gli ebrei e nel sogno infernale di distruggere un popolo.
Era Adolf Eichmann.
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Caro professore,
avrebbe potuto dire ai suoi allievi e ai fanatici che domani costruiranno il mito di Sinwar anche attraverso le sue parole, che il macellaio di Gaza e dei palestinesi non è Ettore: Sinwar è Thanatos, la personificazione della morte.
Omero, che le consiglio umilmente di rileggere, racconta che era un dio crudele, figlio della Notte come Ipno, che concede ai mortali la dolcezza del sonno.
Thanatos è invece il dio dell'angoscia e dell'incubo: abita il mondo sotterraneo dal quale esce per tormentare i mortali.
Nell’Alcesti di Euripide Thanatos è il tetro sacerdote dell’Ade che combatte con Eracle venuto a riprendere Alcesti: il dio della morte che combatte per sottrarre una sventurata alla vita.
Ieri nell'Ade, oggi a Gaza.
E siccome a lei piacciono i paragoni, vorrei ricordarle che Freud, profondo conoscitore dell'animo umano, contrappone teoricamente Eros a Thanatos, due divinità che da sempre agitano l’inconscio dell’uomo tra istinti di vita e istinti di morte.
Sta qui la differenza tra Ettore e Sinwar: non simili, ma contrapposti e incompatibili come lo sono il culto della vita e la morbosa adorazione della morte.
Io so con chi stare. Senza alcun dubbio e nessuna confusione.
Fino alla sconfitta definitiva di Thanatos e dei suoi fanatici fedeli.
Buona vita e buone letture, professore.
Di Tonino Serra Conti
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ma-pi-ma · 5 months ago
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«memoria che ancora hai desideri»
                                            dici che non l’intendi – o, se l’intendi, non l’ami
I due che vanno lungo il fiume azzurri e bianchi
cosa mai si diranno? Allacciati o disgiunti
da anni li vedo passare
danzanti nel riverbero e nel vento.
Ritta sulla vertigine, estatica indugiando con lo sguardo
sulle colline prossime e più lontane rupi,
a dito segnando in controluce città
che forse furono e non saranno mai –
«Tutto questo,» dice la donna, «ti darò
se prosternandoti mi adorerai».
Ma l’uomo, ìmpari al sogno e alla sopraffazione
si disanima presto, non li solleva una musica più.
                                                                                       E quasi niuna
di queste cose stata fosse, torna
lei quello che stata era:
un’ombra del sangue e della mente
e verso la marina
in picciola ora si dileguarono.
È il teatro di sempre, è la guerra di sempre.
Fabbrica desideri la memoria,
poi è lasciata sola a dissanguarsi
su questi specchi multipli.
                                                           Ma guarda
– tornano voci dalla foce – guarda da un’ora all’altra
come cambiano i colori: di grigio in verde, di verde
in freschissimo azzurro.
Amalo dunque – da cosa a cosa
è la risposta, da specchiato a specchiante –
amalo dunque il mio rammemorare
per quanto qui attorno s’impenna sfavilla si sfa:
è tutto il possibile, è il mare.
Vittorio Sereni, da Un posto di vacanza, All'Insegna del Pesce d'Oro, 1973
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intotheclash · 1 year ago
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L'inizio
“A poco a poco devi creare intorno a te una nebbia; devi cancellare tutto ciò che ti circonda, finché non si possa dare più nulla per scontato, finché più nulla è certo o reale…”
Questa frase, giunta chissà da dove, gli trapanò la testa in un nanosecondo e invase il suo cervello a ranghi compatti, come una falange dell’antica Roma.
Fortunatamente il foro prodotto permise anche alla musica, che proveniva dal potente impianto stereo poggiato sulla libreria, di entrare e ricamarsi il suo spazio, con un subitaneo effetto benefico.
“C’è un tempo per andare dritti giù all’inferno, c’è un tempo per tornare a saldare il conto…”
La musica e le parole che gli fecero drizzare i peli delle braccia e allargare il cuore, erano quelle della Gang, uno dei suoi gruppi preferiti. Il migliore nella vasta costellazione delle band italiane. Li aveva sempre amati, fin dal loro esordio, oramai molti anni prima. Li aveva ascoltati crescere, passo dopo passo, aveva approvato e condiviso senza riserve la scelta di passare dall’inglese all’italiano per la scrittura dei testi, anche se, lo sapeva con certezza, non sarebbero comunque mai arrivati a tutti con la dovuta forza. Peccato. E peccato anche non averli mai incontrati di persona. Chissà, forse le cose sarebbero potute andare diversamente. Chissà!
“Quando un uomo decide di fare una determinata cosa, deve andare fino in fondo, ma deve prendersi la responsabilità di quello che fa. Qualunque cosa faccia, deve prima sapere perché lo fa e poi deve andare avanti con le sue azioni senza dubbi o rimorsi…”
Queste invece erano le parole del Libro. Dischi e libri insieme. Mescolati tra loro, impastati col suo stesso sangue, a formare un unico corpo con la consistenza del cemento armato e l’elasticità di una tela di ragno.
A ciò stava pensando l’uomo intento a radersi, ben piantato di fronte allo specchio del bagno. E radersi, per lui, non era una semplice operazione quotidiana di pulizia, che so, come lavarsi i denti o farsi la doccia,ma un vero e proprio momento catartico, una pulizia, vero, ma quasi più interiore che esteriore. Del resto anche la stanza da bagno somigliava più ad un luogo di meditazione e purificazione, piuttosto che al luogo che tutti conosciamo e vogliamo che rimanga. Era amplissima e luminosa, bianca, completamente bianca, muri, maioliche, sanitari, cornice dello specchio e la lunga mensola che correva su tre lati delle pareti: tutto rigorosamente bianco. Le uniche concessioni al colore e che davano carattere al luogo erano: la sedia a dondolo in bambù ed una stampa raffigurante l’Urlo di Munch; poste una di fronte all’altra.
“Bruciami l’anima, fammi ridere il sangue nel cuore, bruciami l’anima…”
Questo era il disco.
“C’è di male che una volta che ti conoscono, tu sei una cosa data per scontata e, da quel momento in avanti, non sarai più capace di rompere i legami dei loro pensieri. Io personalmente amo la libertà ultima di essere sconosciuto…”
Questo invece era il libro.
“E passala sta cazzo de palla, Salvato'! E’ vero che l’hai portata tu, ma ci dobbiamo giocare tutti! Cazzo!”
Questa era una voce nuova! E non proveniva né dal libro, né dal disco.
L’uomo terminò di radersi, si risciacquò il viso con abbondante acqua fresca e si affacciò sul vicolo sottostante. Un gruppo di una decina di ragazzini stava giocando al calcio in strada. Era una partita vera, cinque contro cinque, chi arriva prima ai dieci goal segnati, e i maglioni gettati in terra erano le porte regolamentari. La scena lo commosse e lo riportò indietro nel tempo, in un’altra galassia. Anche lui, secoli prima, era stato uno di quei monelli e si era battuto come un leone con i suoi coetanei, nei vicoli del suo paese, così simili a quelle vie della vecchia Roma che, in senso lato, erano diventate la sua nuova dimora.
Ma non aveva tempo per affogare nel miele dei ricordi. Con uno schiocco della lingua li ricacciò indietro e tornò alle sue faccende. Ammirò per l’ultima volta allo specchio il suo lavoro, approvò con un accenno di sorriso il disegno perfetto del pizzetto e si passò ripetutamente il palmo della mano sui corti capelli neri a spazzola. Gli sarebbe piaciuto rasarli a zero, lo aveva anche fatto tempo prima, molto tempo prima, ma si era accorto che dava troppo nell’occhio. Troppe persone lo notavano e non poteva permetterselo; così aveva optato per quel taglio anonimo.
Era vero che, negli ultimi due o tre anni, i pelati erano tornati di moda ed erano cresciuti in maniera esponenziale. E anche se le teste rasate erano ancora ben lungi dal raggiungere il numero delle teste di cazzo, si poteva tranquillamente affermare che la forbice si era ristretta.
Andò in camera ed iniziò a vestirsi. Erano le otto di sera di un bel sabato di fine settembre. L’aria era fresca e pulita e lui aveva un appuntamento cui non poteva mancare. Indossò il suo impeccabile vestito nero, comode ed eleganti scarpe di pelle, anch’esse nere, infilò la pattada sarda nella tasca interna della giacca e fece poi scivolare la sua trentotto special nella fondina ascellare perfettamente nascosta dal taglio dei suoi abiti. Infine spense la luce ed uscì in strada. Il lupo era sceso dalla montagna. La caccia era iniziata.
“Il mondo è un luogo misterioso. Specialmente al tramonto.”
Era di nuovo il libro a far udire la propria voce.
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aitan · 20 days ago
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A volte penso che ci sbattiamo, studiamo, sudiamo, travagliamo, litighiamo fra noi, ci facciamo il sangue amaro e andiamo perfino a votare con la aspettanza che cambi qualcosa…, senza capire che siamo solo i cazzimbocchi di un Monopoli che giocano loro; e i nostri Stati, i nostri Paesi, le nostre nazioni, sono null’altro che le caselle di un Risiko nel quale pure siamo ognuno giocati fino a perdere il senno, il lavoro o la vita.
________
Continua qua, con parole, figure e musica:
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smokingago · 1 year ago
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Ed inizialmente fu cauto nell'avvolgerla, nel girare all'insù uno dei palmi per stringerle le dita, mentre il braccio libero andava a circondarle i fianchi, così che lei usasse il proprio per fare altrettanto con le sue spalle. Temeva di vederla andare via, se avesse forzato la mano fin da subito, era già successo in un mondo onirico diverso da quello. Ben presto però, la calma fu sostituita dal torrido bisogno di passione, mentre la mutaforma trovava maggiore comodità nel sedersi a cavalcioni su di lui, e le mani del re divenivano più esigenti nel loro carezzare, nel loro trovare, nel loro travolgere. Diverse scie di baci persero il dolce oblio della sua bocca per curarsi di altri luoghi a lungo agognati, il cui sapore era rimasto segreto sino a quel momento. E la musica tra loro divenne un eco di sospiri trattenuti, di sussulti, di parole che non avevano bisogno di essere pronunciate. Unico fastidio? I vestiti che entrambi portavano ancora addosso. Eppure al medesimo tempo, l'attrito creatosi tra i loro corpi danzanti l'uno contro l'altro, forse proprio per la presenza di quella costrizione di stoffe, stava già portando il Principe delle Tenebre alla perdizione. Perdizione... perché proprio in quel momento la sentiva così prepotente? E se fosse entrato qualcuno? Non gli importava, anzi, la possibilità di essere scoperti rendeva solo più sapido di spezie quell'incontro, quel peccato capitale cui non si sarebbe sottratto. Peccato capitale. Perdizione. Asmosdeus... che ci fosse lui dietro i sacrifici di New Orleans? Sesso e sangue da sempre erano legati indissolubilmente per i demoni. Ma perché poi perdersi in quel pensiero proprio in quel momento? Era forse impazzito? Ophelia finalmente gli si stava concedendo... per un attimo il mondo poteva aspettare. Anche perché a quel punto le impazienti dita del re erano giunte a raccogliere l'eccitazione della donna, proprio dove esse aveva origine. Non si stupì di sentire il sapore umido di un fiore sbocciato, di saperla pronta ad accogliere quanto da lì a poco sarebbe avvenuto.
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Disegno: Milo Manara
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the-lived-abstractionism · 1 month ago
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Berlinguer: oltre l’ambizione
Un film come visto e vissuto
Di Sauro Sardi
Giocando coi versi del grande poeta russo, se Berlinguer fosse Majakovskij
direbbe al placido chimico dalla fronte spaziosa: “Risuscitami… perché la
gente di me ha sete”. Dunque, un film che riattacca la spina e inietta sangue
nel cuore senza la presunzione di riaccendere il sole, seccare l’oceano. Un
film che fa tornare a scrivere anche i mezzi morti di parole, quelli che
aspettavano l’occasione per dire che gli argomenti di una certa stagione non
invecchiano mai. Nessuno di noi fa di mestiere lo scontento e insieme alle
lodi si avanzino pure anche le critiche, sarebbe un gradire molto sospetto se
tutti fossero pienamente d’accordo su questa pellicola, ci sarà pure qualche
aspetto da ingoiare appena o troppo malvolentieri, ma buttato giù il boccone
tutto il resto è arte, umanità, politica. Quei tre pacchetti di sigarette ci
riportano dentro a quelle stanze di fumo bestemmiato. Non avremo
guadagnato il socialismo ma l’inferno era di sicuro alla nostra portata.
Scorrono meravigliose e crudeli le scene; per fortuna le so a memoria. Al
cinema non esiste la pagina Talk Back per l’audio descrizione delle immagini.
“la piazza è strapiena di gente” dice una voce alle mie spalle Spero sempre
che dietro di me ci sia qualcuno che bisbiglia, è un occhio trovato. Si va verso
il finale, accompagnato da una musica dentro un silenzio che ti strozza
transita quel sole dell’avvenire, il suo splendore, il decadimento, i resti.
Appunto, i resti sono le nostre opinioni, saluto la mia comoda poltroncina di
velluto, usciamo.
Sta ancora piovendo qualche gocciolina che si affronta anche senza
cappello, penso che sia regolata da un Dio che ha visto tutto, ci accompagna
alla macchina, ci riporta a casa, poche parole, quasi muti. Eppure era la
giornata ideale per andare al cinema e ora la riassumo alla faccia degli spazi
e delle virgole comprese.
Avevo attraversato quelle poche gocce di pioggia che oltre la biglietteria si
asciugano subito. Ora le musiche si accompagnano alla stupenda
espressività vocale del protagonista, Berlinguer non fa una piega ma non è
un blocco di granito rosso, no, ha famiglia, sentimenti, un sogno che
intravede oltre la linea dell’orizzonte. La piazza è sua, il popolo di quella
grande stagione è suo.
In ogni opera d’arte c’è sempre un aspetto che suscita non solo emozioni ma
anche riflessioni, analisi. Dunque, come e quante volte Berlinguer si
incontrasse anche di nascosto con Moro non è una pallida leggenda
metropolitana ma l’incipit di una storia che non doveva mai nascere. “Divide
et impera” era un concetto semplice, tradotto in tutte le lingue. Ormai
avevamo capito che a guadagnarci non erano i belligeranti ma chi
organizzava lo scontro per trarne profitti. La politica doveva restare un campo
di battaglia, mai diventare un luogo dove le diverse opinioni alla fine fanno
sintesi e si procede, magari verso l’idea condivisa di una necessaria visione
post ideologica. Intendiamoci, il plastico di una casa comune dove alloggiare
politiche, credenze e culture diverse sarebbe stato un progetto tutto da
spiegare ma era in atto l’avvio di un percorso nuovo. Ora non conta dire
quanto Berlinguer lo volesse più degli altri, lui ci credeva quando tutto era
ancora possibile, il sole che picchiava sugli scogli di granito rosso era sempre
lo stesso ma proprio quello nato nei luoghi del socialismo reale diventava
sempre più brutto, una farcitura di socialismo imperialista. Doveva “strappare”
quel filo, quei legami e al tempo stesso raggiungere il sole di un avvenire che
si evolve. Lo diceva indicando il punto dove il mare e l’orizzonte si toccano.
Ma quell’uomo apparentemente timido e riservato, prima di conoscere il
domani di tutti i comunismi di questo mondo conosceva il mare, le distanze
apparenti tra cielo e terra, sapeva bene che più vai verso l’orizzonte, più quel
punto si allontana. Ma lui doveva crederci e preparare il terreno per una
nuova stagione della politica, non più riverente ma opposta al dominio di
vecchi e nuovi imperi. Potrà sconvolgere qualcuno immaginare che nel mare
nostrum gonfio di antiche e nuove rivalità politiche stava soffiando il vento di
una ragionevole intesa anche nel completo disaccordo su tante questioni. Un
vento nuovo. Ma tutto si interrompe, precipita, passano gli anni e si torna al
tempo delle invasioni barbariche, nascono eserciti al soldo di chi ha più
moneta, l’arco e la catapulta diventano ordigni che possono varcare i confini
delle peggiori immaginazioni. Torna la gigantografia di Enrico Berlinguer,
umida e malinconica questa giornata al cinema, forse se avessi lasciato
qualche ricordo a casa avrei sofferto di meno. Un film che rotola all’indietro
come un macigno che accarezza e travolge.
Non credo nei film buoni per la didattica, per quella ci sono i documentari,
semmai questo genere di realismo cinematografico espone la capacità degli
autori, l’arte di suscitare emozioni. Cosa non secondaria in tempi dove l’agire
sensibile affronta la fredda intelligenza artificiale; difficile per un algoritmo
venirci a dire che i comunisti ci porteranno via il maiale, non avrà mai tanta
fantasia. Un bel film, può provocare sgomento oppure fare da stimolo a tutti
quelli che ancora, comunque la pensino, hanno una loro visione
dell’orizzonte. Quale orizzonte? Non era una domanda difficile.
P.S.
www.saurosardi.com Ai funerali di Enrico Berlinguer
Noi popolo, siamo gli stessi del popolo di allora.
Una storia che fa resuscitare ideali ed equilibrio sociali, pur stando all'orizzonte.
Ma chi ucciderà chi ancora cerca alleanze di potere
...di sicuro né Moro né Berlinguer
dY
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diceriadelluntore · 6 months ago
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Storia Di Musica #330 - Franti, Il Giardino Delle Quindici Pietre, 1986
Nel cartone della soffitta il disco di oggi è quello più emozionante. Lo è per la rarità, per la qualità, per la storia che lo accompagna. Quando ho detto a mio papà che avevo ritrovato questo disco, sebbene con piccole macchie di umidità sulla copertina, si è emozionato un po’. Fu un regalo di una persona che lavorava alla Lega Coop in Piemonte, che volle regalargli questo disco dato che conosceva la storia di questa formazione e li andava a sentire quando suonavano nei centri sociali. La storia di questa formazione è in un modo del tutto particolare, unica e irripetibile e ha segnato una parte non così piccola del rock italiano, nonostante siano oggi, ahimè, sconosciuti. Tutto comincia a Torino, seconda metà anni ’70. Un gruppo di compagni di scuola, Stefano Giaccone al sax, Massimo D'Ambrosio al basso, Marco Ciari alla batteria e Vanni Picciuolo alla chitarra, con le incursioni vocali di Lux, cantante dei Deafear, formano un gruppo, la Guerrilla’s Band, che dopo tanta gavetta si autoproduce due singoli su cassetta, No Future e Last Blues, nel 1981. Poco dopo convincono una cantante, Marinella Ollino, in arte Lalli, a diventare la cantante del gruppo. Che ne frattempo cambia nome in Franti, dal nome del personaggio del libro Cuore di Edmondo de Amicis, sinonimo di insubordinazione. Passano dal jazz rock con evidenti omaggi e riferimenti al rock progressivo della scena di Canterbury ad un eclettico mix di jazz, rock, punk, funk che non ha paragoni. Oltretutto, si autogestiscono in tutto, dall’organizzazione alla produzione (non si iscriveranno mai alla SIAE) e fonderanno una propria etichetta discografica, la Blu Bus, con cui produrranno i lavori dei valdostani Kina e di un famoso gruppo “hardcore punk” di Torino, i Contrazione. La formazione ruota intorno a Giaccone, Picciuolo e Lalli, ma in ogni occasione suonano amici, musicisti invitati, quelli della prima ora e band di compagni che condividono gli ideali dei nostri in una sorta di collettivo musicale, tra l’ensemble e una comunità artistica. Prima prova discografica sono le 500 copie di Luna Nera, uscita solo in cassetta e poi in vinile, nel 1985, quando pubblicano Schizzi Di Sangue, sempre su musicassetta e sempre stampata in pochissime centinaia di copie, opera questa che unisce poesia e canto, altra prerogativa della band. La scena alternativa italiana, politicizzata, antagonista, desiderosa più che mai di contribuire ad una descrizione della vita vera nelle canzoni, ha un colpo fortissimo quando i CCCP passano ad una etichetta “commerciale, la Virgin. Sembra il tradimento di ogni cosa. Ma nello stesso anno arriva il disco di oggi, che nonostante il successo molto relativo, rimane un esempio formidabile di quello spirito tradito.
L’idea del titolo nasce da una leggenda del Giappone medievale secondo la quale a Kyoto, voluto da un illuminato imperatore, esista un giardino con quindici pietre, ma da qualsiasi punto lo si osserva se ne scorgono sempre e solo quattordici. Il Giardino Delle Quindici Pietre esce nel 1986 in edizione limitata a 1550 copie (che è quella che stava nella scatola). In accompagnamento, un libretto che oltre che i testi raccoglie poesie, idee politiche, spunti per le discussioni dopo i concerti, pagine di libri mai scritti, poesie, disegni. Il disco fu registrato al Dynamo Sound Studio dal febbraio al maggio 1986 tranne una traccia registrata nel febbraio 1985 al Synergy Studio. È un disco universo, fatto di passioni musicali e politiche, dove i generi, anche di arti differenti (cinema, recitazione, arte figurative) si mescolano a frammenti di punk che esplodono dopo musiche jazz, un disco che ammalia e affascina. Si apre con un testo del cantante giamaicano Linton Kwesi Johnson, che diventa Il Battito Del Cuore, un brano reggae-dub dove Lalli recita e non canta il testo e Giaccone ricama di sax. Acqua Di Luna, che è del 1985, è ipnotica. L'Uomo Sul Balcone Di Beckett è un’amarissima analisi, quasi una ode dolente, alla natura metropolitana umana, che finisce così: Perché quei fantasmi che si siedono con me a fumare sul terrazzo, che girano la chiave della mia serratura nel cuore della notte, che mi tengono la mano quando ne ho bisogno, non potrebbero esistere in nessun altro luogo. Every Time, uno spettacolare afro blues, chiude la prima facciata. Ai Negazione che apre il lato b è un frammento molto accelerato di No Future, Hollywood Army esprime la loro idea politica con un capolavoro hardcore, ma è Big Black Mothers il brano musicalmente più stimolante, riprendendo l’idea primigenia di commistione tra jazz-rock e progressive ma che alla fine, nell’intreccio delle due voci, termina nuovamente hardcore. Micrò Micrò è un omaggio Demetrio Stratos, leggendario cantante degli Area, che è poi seguita da uno strumentale, Elena 5 e 9, meraviglioso e struggente. Nel Giorno Secolo ha come testo una poesia di Mario Boi, dalla raccolta poetica Piani Di Fuga. Chiude il disco il jazz elettrico dei Joel Orchestra, band bolognese di simile fattura e amica dei nostri, con À Suivre, tra il Nino Rota felliniano e sogni simili, dove spicca il piano elettrico di un grande collaboratore dei Franti, Paolo "Plinio" Regis.
Nel 1987, viste anche le mutate condizioni politiche e sociali, il gruppo di scioglie: nel 1988 pubblicano un cofanetto antologico, che diventerà leggendario, dal titolo eloquente di Non Classificato. Seguono progetti diversi: collaborazioni, decine di progetti, tra cui ricordo che i soli Giaccone e Lalli fondarono gli Orsi Lucille e gli Howth Castle. Ma soprattutto rimangono fedeli a quell’appunto di lotta e coerenza, sintetizzato dalla frase che accompagnava il loro cofanetto antologico Non Classificato: “…la fine di una spirale ne genera un'altra, se l'aquila ha abbastanza cielo per volare. A presto, FRANTI”
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comeunombranelbuio · 2 months ago
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Tre giorni fa mi sono svegliata con una notizia: Liam Payne è morto. Non mi sono scomposta più di tanto, abituata alle solite ‘fake news’. Poi però le notizie a riguardo aumentavano, e diventava sempre più una certezza. E mi si gela il sangue. Il primo pensiero è andato a te, alla mia Chiaretta,alla persona con la quale avrei condiviso questa notizia, e con la quale ho condiviso negli anni la stessa musica,il primo loro concerto a Milano, emozioni,sogni. Una lacrima mi riga il viso.
Inizio a leggere gli articoli,inizio a fare ricerche per capire cosa sia successo. Resto shockata. La mente fa un salto temporale, torno a 14 anni fa. Ricordo ancora i provini fatti ad X-factor,ricordo la formazione della band, i video diary che aspettavo ogni settimana, ricordo le risate e la piccola me che si sforzava di capire l’inglese.
Ricordo quella ragazzina, e il suo vissuto, e riaffiorano tutte quelle sensazioni, o forse non se ne sono mai andate, con il tempo e con l’età uno ha imparato solo a gestirle, ma certe ferite,certe cicatrici ti sono cucite addosso, te le porti per sempre.
Il tempo sembra essersi fermato, indosso le cuffiette,schiaccio play, chiudo gli occhi. Ho 11/12 anni, sono alle medie, e loro sono i miei compagni di vita. Ho sempre vissuto la musica a mille, come una cosa che ti appartiene e ti arriva da dentro, e cosa voi siete stati per me allora e cosa continuate ad essere oggi non si può spiegare. Ringrazio i miei genitori, per avermi fatto vivere quell’esperienza quel 28 giugno 2014, che mi ha dato così tanto. Ricordo ancora perfettamente ogni dettaglio, di quando all’uscita piangevo come una disperata, perché era stato tutto così bello e surreale, e da allora ho iniziato ad aspettare il prossimo. Poi quel 25 marzo 2015 Zayn lascia la band, e nel 2016 voi vi prendete una pausa. Da allora non ci sono più i One Direction, niente più musica. Sono passati 10 anni e ancora aspetto e ci spero.. come ricordo le riprese per girare il video del 1D day in rappresentanza dell’Italia e poi un’intera notte sveglia per potervi seguire in diretta dall’America conclusasi rigorosamente con un’english breakfast. Ricordo la fan page che creai: I’m a Directioner, che mi ha fatto conoscere tante persone, per assurdo prima era così semplice fare amicizia, eravamo una famiglia, ci riconoscevamo e sembrava conoscerci da chissà quanto , ricordo delle storie che pubblicavo su wattpad e su Efp fanfiction,dei raduni che facevamo. E di essere finita al tg, sopra una transenna a cantare allegramente. E non a caso il mio primo viaggio l’ho fatto in Inghilterra..
Chiaretta non c’è più da 6 anni, e ora Liam, sei volato via anche tu. Ma io lo so, che quando indosso quelle cuffie,e chiudo gli occhi, siamo di nuovo tutti insieme. Io e lei sotto a quel palco a cantare a squarciagola, guardarci e piangere ma felici come non mai, perché stiamo vivendo il nostro sogno, e voi 5 insieme su quel palco, a cantare le nostre canzoni preferite.
Ho temuto, che perdendo te, io debba dire addio a quella parte di me, così come ho dovuto dire addio a lei.. e invece no, vi prometto che non perderò mai questa parte di me,che custodisco gelosamente. Come mi batterò sempre per l’importanza di un’idolo, l’appartenenza ad un fandom.
Prima nato morto, poi con un solo rene, successivamente vittima di bullismo. Poi il successo, che ti travolge.
La salute mentale è alla base, e chiedere aiuto è la cosa più difficile, ed è così bizzarro di come tu stesso Liam sia stato l’ancora di salvezza di così tanti ragazzi.. io ancora non me ne capacito..
Sarai sempre una parte di me Payno, e ti vedo proprio lì accanto a lei.
Ci sentiamo tra le note. Oggi, da 14 anni e per sempre.
Infinitamente, e fieramente la directioner che è in me,forever ❤️
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