#minchia che poeta
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Con il caldo si può dire : afa nculo
A "buon ferragosto" cosa si risponde? A te e famiglia va bene?
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14 maggio 1916, fronte occidentale
Cara Bethany, la guerra è un inferno. Niente di quello che viene detto in patria riguardo questo conflitto è vero, e qui ogni giorno la situazione è più disperata. Non esistono parole per descrivere gli orrori a cui l'uomo può spingersi quando combatte l'uomo. Le cose che ho visto, di cui sono stato testimone, mi tormenteranno per il resto della mia vita. L'unica cosa che mi permette di rimanere sano di mente è il tuo ricordo, anche se le estati ad Arlington House paiono così distanti in questo momento. Se chiudo gli occhi riesco ancora a vederti sulla riva del lago, i tuoi capelli ramati al sole, il tuo sorriso e i nostri baci silenziosi. Questo ricordo è tutto ciò che mi tiene in vita. Te ne prego, scrivimi presto.
Tuo, Raymond
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25 maggio 1916
Caro Raymond, vorrei poterti rispondere, ma non mi si apre.
Tua, Bethany
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6 giugno 1916
Cara Bethany, dev'essere andata perduta una parte della tua precedente lettera. Cosa significa “non mi si apre”?
Rispondi presto, Raymond
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13 giugno 1916
Caro Raymond, intendevo dire che non riesco ad aprire il tuo messaggio. Me lo puoi rimandare?
Grazie, Bethany
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20 giugno 1916
Cara Bethany, continua a sfuggirmi qualcosa. Ad ogni modo ti rinvio il messaggio precedente con la speranza che tu possa leggerlo.
Aspetto tue notizie, Raymond
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28 giugno 1916
Niente, non me lo apre.
Con immutato affetto, Bethany
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5 luglio 1916
Come non te lo apre? Hai WinRAR?
Rispondi presto, Raymond
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9 luglio 1916
Ho cosa?
Confusa, Bethany
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16 luglio 1916
WinRAR. È un programma per… va be', non importa. Ci credo che non te lo apre. Fa una cosa. Scaricatelo. È gratis. Poi vedi che te la fa aprire la lettera.
Speranzoso, Raymond
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21 luglio 1916
Non so come si scarica.
Perduta, Bethany
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25 luglio 1916
Bethany, mia luce, ho appena visto un uomo togliersi da solo una scheggia di metallo dal ventre, quanto potrà mai essere difficile scaricare WinRAR? Cerca WinRAR, vai sul primo risultato e premi scarica.
Eddai, Raymond
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29 luglio 1916
Caro Raymond, non credo mi piaccia il tuo tono.
Bethany
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5 agosto 1916
Cara Bethany, durante l'ultima lettera ero sotto tiro, perciò potrei essere stato impaziente. Inoltre qui sono morti quasi tutti e ogni giorno ci innaffiano col gas. E son circa tre mesi che ci scriviamo su come scaricare un programma che dovresti già avere. Uno o più di questi elementi devono avermi reso inopportunamente stizzoso. Ti chiedo di perdonarmi. Ora premi il pulsante di download.
Rispettosamente, Raymond
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9 agosto 1916
Caro Raymond, qui dicono che ho vinto un premio se clicco okay.
Fortunata, Bethany
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11 agosto 1916
Non cliccare!
Raymond.
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16 agosto 1916
Troppo tardi, ho cliccato. Ancora nessun premio, ma da qualche giorno non mi sento tanto bene.
Allarmata, Bethany
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20 agosto 1916
E ci credo! Ti sei beccata un virus. Probabilmente la Spagnola. Che antivirus hai?
Raymond.
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23 agosto 1916
Quello che hanno tutti: la preghiera.
Bethany
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27 agosto 1916
Cara Bethany, ho la sensazione che non stiamo facendo progressi. Per favore, prova a riscaricare il programma e, per qualsiasi motivo, non accettare niente che possa compromettere ulteriormente il tuo stato di salute.
Con premura, Raymond
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31 agosto 1916
Caro Raymond, ce l'ho fatta. L'ho scaricato. Però non funziona.
Delusa, Bethany
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7 settembre 1916
Cara Bethany, puoi essere un po' più specifica per cortesia.
Raymond
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12 settembre 1916
Eh non lo so, qua dice che non funziona.
Bethany
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18 settembre 1916
Ma porca di quella mignotta Bethany, ma è possibile! È WinRAR cazzo! Si tratta di aprire una lettera! C'hai vent'anni perdio e non sai come funziona il maledetto sistema di comunicazione più diffuso nel mondo! E poi vuoi fare la suffragetta! Oggi qua il nostro sergente è stato mangiato vivo dai topi! Dai topi! Te stai in una villa nel Devon e ti si chiede una cosa, di scaricare un minchia di programma per aprire le lettere! E manco quello riesci a fare! Allora c'ha ragione tuo padre c'ha ragione!
Alterato, Raymond
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22 settembre 1916
Ma guarda che hai un caratterino Raymond, non ti si può chiedere niente. Va bene, senza che t'infervori tanto, metterò in copia mio cugino Vincent che fa il poeta ed è bravo con le lettere.
Ferita, Bethany
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27 settembre 1916
Cara Bethany, a parte che tuo cugino Vincent è bravo solo a fumare oppio e pigliarsi la sifilide. Adesso sta cosa la risolvo io, t'ho detto che la risolvo e la risolvo! Comunque non è possibile che non ti funzioni. Stai sbagliando qualcosa tu. Mandami per favore i dettagli del sistema che stai usando.
Raymond.
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1 ottobre 1916
Caro Raymond, allego dettagli sistema.
Fiduciosa, Bethany
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5 ottobre 1916
Bethany, la busta con la lettera è piena di torsoli di mela.
Raymond.
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8 ottobre 1916
Infatti ho un Apple.
Pollice alzato, Bethany
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13 ottobre 1916
E ti credo che non ti funziona! Apple non supporta WinRAR, dovevi dirmelo sei mesi fa. Va be', comunque così è facile. Qui la carta comincia a scarseggiare, ti allego le istruzioni passo passo scritte sul retro di una lettera che ho strappato dal cadavere di un tedesco di nome Aranzullen.
Dai che è la volta buona, Raymond.
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17 ottobre 1916
Caro Raymond, Finalmente, dopo tutto questo tempo riesco a leggere la tua splendida lettera. Non vedo l'ora di riceverne altre.
Tua per sempre, Bethany
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22 ottobre 1916
Ecco, a proposito di questo… pensavo… visto che fra poco faremo una carica verso le trincee nemiche e in questi casi mi dicono che la mortalità si aggira attorno al 98%… sì insomma, adesso che abbiamo ripristinato tutto quanto e possiamo comunicare, magari potresti mandarmi una foto. Una foto… speciale, per così dire. Tanto per avere un ultimo ricordo di te.
Eternamente tuo, Raymond
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25 ottobre 1916
Caro Raymond, la tua richiesta è molto difficile da esaudire, mi vergogno molto. E se la vedesse uno dei tuoi commilitoni? Ho sentito che lo Stato Maggiore controlla tutta la corrispondenza. E se finisce in una di quelle orribili bacheche militari per il sollazzo dei tuoi amici? Non lo Raymond…
Confusa, Bethany
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29 ottobre 1916 Ma chi vuoi che la veda? Tutti i miei amici son morti! Ascoltami Bethany, fra meno di quattro giorni ci sarà l'attacco e forse io non tornerò diventando solo un altro caduto in questa guerra senza fine. Dove mi volto vedo solo orrore e morte, e niente riesce a togliermi dalla testa l'idea che anche per me i giorni su questa terra siano contati. Voglio tornare, voglio tornare da te, e ti prometto che se tornerò ci sposeremo e andremo a vivere a Londra, come hai sempre sognato. Ma devo avere la forza di tornare e solo tu puoi darmela. Perciò plz send nudes.
Con infinito amore, Raymond
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1 novembre 1916 (lettera trovata sul corpo del soldato semplice Raymond Lewis, ucciso in combattimento)
Caro Raymond, hai ragione. Potrebbero essere le ultime ore per te, perciò ho fatto quello che mi chiedevi, anche se mi è costato molto. Trovi la fotografia in allegato. Il nostro amore è forte, non vedo l'ora di abbracciarti.
<Impossibile aprire l'immagine il formato file non è supportato>
Per sempre tua, Bethany Fonte: https://www.facebook.com/nonesuccessoniente
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Alla stragrande maggioranza dei poeti italiani preferisco l’ultimo singolo di Mc Cavallo (quando sfotte Ligabue, poi, è una delizia)
Una volta Massimiliano Parente scrisse che l’unico poeta che segue è Vasco Rossi. Certo, era una provocazione – che come sempre però ha un fondo di verità. Che la maggior parte dei poeti facciano schifo è ben chiaro a chiunque si diletti nel leggere i soliti volumetti che giornalmente vengono sfornati. Non per niente, nel grosso dei casi, mi fanno venire due coglioni così. Per uno che ne trovo che non vada semplicemente a capo a cazzo, o non riproponga le oramai trite similitudini con l’ambito naturale, centonovantanove sono mortiferi e provocano le emorroidi.
Invece, aspetto sempre con ansia ogni nuovo singolo di Mc Cavallo, il rapper sardo assurto all’onore delle cronache anni addietro e finalmente tornato sulla scena. Direte voi: cosa? Leggi poesia e poi ascolti un rapper? Sì, è vero, il rap è un tipo di musica, almeno a mio avviso, da cerebrolesi. Fabri Fibra mi sembra un pirla. Fedez un menomato. J-ax mi fa vergognare di appartenere al genere umano.
Mc Cavallo è diverso perché, contrariamente a quanto sostenuto da certi suoi detrattori, lui non fa rap ma una parodia del genere. Ne utilizza gli stilemi tipici per buttarla in vacca e, nel far ciò – come ogni grande genio della comicità –, ne mette a nudo la pochezza. Rivela come gli intricati e complicati giri di parole usuali in tale varietà di musica siano potenzialmente adatti ad affastellare cazzate e nonsense uno dietro l’altro.
Nella sua ultima canzone, Estate arretti, poi, ha dato davvero il meglio di sé. Non è stato solo il rap in questo caso a essere ridicolizzato, ma anche Ligabue. Sì, proprio il noto cantante pop italiano. Ma andiamo con ordine…
Già il titolo fa scompisciare. L’estate, la stagione più attesa, malgrado le sofferenze causate dal caldo, diventa motivo di riso, insieme alle solite canzoni che inevitabilmente le sono associate. Nella fattispecie, leggendo il titolo noterete che Mc Cavallo ha avvicinato, seguendo una delle classiche storpiature della lingua attuate dai sardi, la “e” a “state”, per ottenere la parola “estate” – l’idioma dell’isola gioca continuamente con queste assonanze – per dire che dovete restare in costante stato di erezione. Si tratta di giochi di parole a cui Mc ci aveva già abituati (si veda a tal proposito Portami in carretta che, recitato velocemente, sottende un diabolico “tengo una minchia tanta”, per tradurlo in continentale).
Ma, in aggiunta, in questo pezzo compare la voce di qualcuno, chiamato simpaticamente PulligaBue (in sardo “pulliga” vuol dire “sega”), che fa il verso a Ligabue, il celebre autore di Certe notti. Cavallo lo schernisce, immediatamente dopo l’intervento alle corde vocali a cui è stato sottoposto il musicista di Correggio, con il suo solito sarcasmo politicamente scorretto, e gli mette in bocca dei versi improbabili che però, per quel che concerne il cantato, rimandano subito al suo stile. In particolare, quello che gli fa dire non è niente altro che, con l’arrivo dell’estate, ci sono i “meloni e albicocche a un euro e novanta”. In buona sostanza, il falso Ligabue canta quello che strillano i venditori al famoso mercato di San Benedetto a Cagliari (uno dei più noti, almeno dal punto di vista ittico) e lo fa come se niente fosse. La differenza nel timbro vocale tra l’originale e l’imitatore è infinitesimale. Si ottiene così l’effetto di rivestire uno degli slogan più comuni della zona meno mondana del capoluogo sardo, di quella dimensione vissuta e sofferta, tipica del cantante emiliano. Un vero colpo di genio da parte di Mc che, per il resto, ci propone il suo solito sguardo sul mondo dell’estate segnato da ragazze facili (“Vedo due bagasse/ che passeggiano da sole/ una cerca minca/ ma anche l’altra ne vuole”) e cattiverie sagaci.
Da sottolineare inoltre i passaggi in cui, come sua consuetudine, il cantante si riconnette all’attualità più stretta e demolisce in pochi versi tutto il movimento #metoo, in modo sottile e spassosissimo, sempre storpiando la lingua italiana alla maniera dei sardi che tendono a tradursi letteralmente: “Se non ero un cantante/ ero un regista di successo/ e facevo il sesso con le fiche/ cinematografiche/ quelle che sbucciano le chicche – la chicca, in sardo, è un’altra delle denominazioni della minchia –/ poi ti denunciano pentite”). E in due battute, Asia Argento muta, come si dice dalle mie parti.
Mc Cavallo, anche adesso che è tornato alla carica, continua a manifestare una genialità senza pari. E a voi, che siete contro il politicamente scorretto e le risate leggere, non rimane altro che fare come vi suggerisce lui: CODDATEVI (fottetevi).
Matteo Fais
*
Qui potete ascoltare il singolo di Mc Cavallo, “Estate arretti”
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Ficarra, Picone e Kant
Dopo tre stagioni passate a Parigi, chi non sentirebbe nostalgia di quei tramonti con il mare, il fresco e gli oleandri che regala la Sicilia?
E così eccomi nei paraggi di Siracusa, dove sono venuto a seguire il 53° ciclo di rappresentazioni classiche al Teatro Greco.
Le due tragedie sono già andate in scena, e fra due giorni, strabiliante novità di quest'anno, arriveranno Ficarra e Picone, che si cimenteranno con le Rane di Aristofane.
"Ma come?" ha storto il naso più di uno. "Che c'entrano Ficarra e Picone con la vetusta cultura aulica del Teatro Greco?"
Ma a ben vedere, nei testi di Aristofane, di aulico c'era ben poco: al contrario, le volgarità e le polemiche di attualità spicciola erano ben più diffuse e più pesanti di quanto lo siano in qualunque sketch dei pudicissimi Ficarra e Picone.
Non è un caso se nel festival siracusano la commedia rappresenta storicamente l'anello debole. Se infatti la tragedia greca è servita da modello al teatro "serio" di tutti i tempi, e dunque la riconosciamo subito come qualcosa di familiare, la commedia di Aristofane è talmente calata nel suo contesto (l'Atene di fine V secolo) che a stento riesce a dialogare col nostro senso dell'umorismo, formatosi su tutto un altro tipo di comicità.
"Rivitalizzare" la commedia, facendone il piatto forte della stagione, con l'aiuto di due artisti che in realtà, dietro le quinte, sono molto riflessivi e metodici, non è quindi una scommessa peregrina. Come non è stata peregrina l'altra scommessa di quest'anno, quella di mettere in scena due volte di seguito la stessa storia, cioè l'assedio di Tebe, vista prima da Eschilo e poi da Euripide.
(SPOILER!!!!! alla fine delle Rane, Eschilo e Euripide si sfideranno nel regno dei morti per decidere chi è il poeta migliore. Dal momento che gli spettatori avranno già fatto il confronto dopo aver visto le due tragedie, seguiranno la sfida col fiato sospeso...)
Comunque, tra un caffè espresso e una granita di mandorla, mi è venuta la curiosità di guardarmi anche l'ultimo prodotto di Ficarra e Picone per il grande schermo, e cioè L'ora legale.
Un film che rispetto ai precedenti fa meno ridere, ma fa più pensare.
E fa pensare inviando un messaggio abbastanza fastidioso ai benpensanti... più nel dettaglio, smontando il mito dell' "avida casta corrotta" contro la "povera gente onesta", e spiegando che le cose sono un tantino più complicate di così.
La storia è ambientata nel classico paesino siciliano come tutti se lo immaginano, dove da anni comanda sempre lo stesso sindaco arrogante e ammanicato. I paesani si lamentano giorno e notte perché non funziona niente. E all'improvviso, sull'onda della voglia di cambiamento, eleggono sindaco un severo professore di liceo (ma guarda un po': quando serve qualcuno affidabile...).
Il professore, come aveva promesso in campagna elettorale, governa con severità. Non fa più favoritismi, inizia a far timbrare i cartellini, manda i vigili a fare le multe ("Papà, che cosa sono i vigili?" "Minchia, quello è un carro attrezzi...mi pare di averne visto uno tanti anni fa a Palermo!!"), introduce la differenziata, abbatte le case abusive, chiude i negozi senza permesso, chiude le fabbriche inquinanti...
Risultato: nel giro di pochi mesi, tutti lo detestano e iniziano a tramare per spodestarlo, riunendosi di notte nella cripta del prete Leo Gullotta.
Qui smetto di svelare la trama, e inizio a dare qualche interpretazione. Così capirete finalmente anche che cosa c'entra Kant.
La prima, e più ovvia, lezione di questo film è che nessun disonesto arriva al potere in un mondo di onesti, a meno che non si serva della violenza armata. Siamo bravissimi a lamentarci dell'inefficienza generale e a puntare l'indice contro le imposture degli altri, ma siamo altrettanto veloci a perdonarci le nostre stesse inefficienze e le nostre stesse imposture.
Nella finzione di Ficarra e Picone, ogni cittadino aveva approfittato almeno una volta del vecchio sindaco ammanicone: chi per un abuso edilizio, chi per una raccomandazione, chi per fare il parcheggiatore abusivo, chi per un falso certificato d'invalidità. E la somma dei piccoli vantaggi ottenuti da ognuno si risolveva in una perdita per tutti.
Questo assioma avrebbe mandato in visibilio Kant, che con la sua dottrina dell'imperativo categorico, di fatto, sosteneva che non bisogna mai violare una norma morale nemmeno a fin di bene. Se io imbroglio, accampando una mia giustificazione, legittimo anche gli altri ad imbrogliare, accampando proprie giustificazioni che magari io non condividerei.
Al contrario, l'unico modo per far convivere gli uomini in pace è cominciare io stesso a non imbrogliare, nella speranza che gli altri mi seguano. "Agisci secondo quella massima di cui puoi volere che diventi una legge universale", scriveva Kant, e proprio questo pretendeva dai suoi cittadini il severo sindaco-professore.
Certo, un guastafeste potrebbe obiettare a Kant e al suo alter ego: "Ma in un contesto sociale dove tutti se ne approfittano, chi non se ne approfitta soccombe". Esempio classico: le raccomandazioni. O le tasse sulle imprese, che creano uno squilibrio nella concorrenza fra chi le paga tutte e chi le paga solo in parte (è il motivo per cui non riesco a farmi stare simpatici fino in fondo i centri sociali).
"Chi prova a fare il puro si ritrova emarginato e impotente", prosegue il guastafeste, "per cambiare la società bisogna imbrogliare quel tanto che basta per sopravvivere, e poi provare a non andare oltre. Nello specifico, il sindaco-professore si è fatto troppi nemici tutti insieme, attaccando tutti in una botta gli irregolari, i raccomandati, gli oziosi, gli inquinatori e il resto delle Malebolge...se fosse stato più accorto, avrebbe potuto sistemare un problema alla volta, chiudendo momentaneamente un occhio sugli altri".
Già. Ma Kant, qui, passa al contrattacco. Infatti, una cittadina potrebbe dire al sindaco: "Tu mi hai fatto una multa perché ho parcheggiato sul marciapiede, e alla mia vicina che affitta casa in nero non dici niente? Pratichi la giustizia a targhe alterne? Che aspetti a punire anche lei?" e non avrebbe tutti i torti.
I casi sono due: se le regole valgono per tutti, valgono per tutti. Se invece valgono solo per alcuni, posso sempre supporre di far parte di quelli per cui non valgono...
Oltre al guastafeste fatalista, però, ce n'è un altro, che è quello pietista. "Ci sono persone così povere", sostiene, "che morirebbero se dovessero rispettare tutte le regole. È la vita che le costringe a delinquere, non posso biasimarle".
In alcuni casi questo ragionamento ha un senso. Di recente la Cassazione ha scagionato, con una sentenza che farà giurisprudenza, un disperato che aveva rubato un pacchetto di wurstel e un pezzo di formaggio, perché stava morendo di fame e non aveva il tempo di lanciare una campagna politica per una legge sul soccorso a chi muore di fame. Prima della legge c'è la vita, e su questo non ci piove.
Ma quanto si può essere discrezionali, con il pietismo? Sempre pochi mesi fa, tutti i partiti tranne i Verdi hanno approvato "sotto scroscianti applausi" una legge che introduce il concetto di "abusivismo di necessità". In pratica, alcuni edifici abusivi e fatiscenti sarebbero necessari per dare un tetto sulla testa alla povera gente, e dunque la loro esistenza viene legittimata.
Così, la legge consacra quel che è stato fatto illegalmente in tutti gli ultimi decenni: smistare la povera gente in quartieri sempre più abusivi, più fatiscenti e più periferici, con la scusa che doveva pur avere un tetto sulla testa, quale che fosse. Nessuno ha pensato che forse anche i poveri hanno diritto ad abitazioni belle, salubri e sicure, proprio come i benestanti. Nessuno ha pensato a fare una legge su questo.
Così, in alcune scene dell'Ora legale il sindaco-professore sembra davvero un uomo spietato che ha instaurato un regime del terrore, senza curarsi di chi rimane in mezzo alla strada per questa overdose di legalità. E lo spettatore, per istinto, si trasforma in "guastafeste pietista", cominciando in cuor suo ad invocare la cautela, il compromesso, la tolleranza...
Non so da quale delle due parti vi ritroverete alla fine del film. Ma una cosa è sicura. Col sorriso sulle labbra, Ficarra e Picone ci fanno interrogare su una questione molto seria, e cioè: la politica può essere kantiana, o è irriducibile a regole morali?
Non è detto che la risposta sia per forza incoraggiante per il sindaco onesto, che i due comici hanno scelto di chiamare Pierpaolo, ma che avrebbero potuto anche chiamare, che ne so, Ignazio.
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LUCIO DALLA - IL PENSIERO E’ COME L’OCEANO (1973-1977) di Marco Mazzoldi Mai avrei pensato che fare una raccolta in 80 minuti di Lucio Dalla potesse essere così complicato. Ho cambiato strada e idea dieci volte prima di giungere ad una soluzione finale estremamente parziale (sono inclusi soltanto quattro album!) ma certamente congegnale al mio obiettivo, che è quello di tirar fuori il periodo più “sperimentale” e originale della sua carriera. C’è anche il vantaggio che, se qualcuno si vuol prendere la briga, si può fare una compila della seconda parte della carriera, quella in cui comincia a vendere i dischi a milioni. La mia scelta di fermarmi al 1977 la spiegherò meglio dopo. Dalla non ha un’età dell’oro. Ne ha due. Consecutive, ma completamente diverse per tematiche, interpretazione e arrangiamenti. Ma andiamo con ordine: Dalla è uno che già nel 1960 suona jazz, è un clarinettista prodigio in giovine età, suona con personaggi del calibro di Mingus e Baker. Poi si mette a cantare, e nel ’66 incide il primo album, al quale seguiranno tanti singoli e altri due album contenenti i suoi successi sanremesi (Piazza Grande e 4-3-43). Ma a dirla tutta, i molti aneddoti sulla sua eccentricità (tipo andare in giro con una gallina al guinzaglio) sono molto più interessanti del suo repertorio, che non ha picchi degni di nota. E’ un personaggio, anche televisivo, vivacchia con i suoi successi sanremesi, ma i dischi sono dei bidoni. Tanto che ho deciso di ignorarli del tutto, anche se un paio di brevi divertissement avrebbero potuto anche starci… Nel 1973 c’è la svolta. Artistica, più che commerciale: comincia la collaborazione con Roberto Roversi, che scriverà i testi dei suoi tre successivi album. Roversi è un personaggino mica da ridere: poeta, scrittore, partigiano, direttore di Lotta Continua, estremista di sinistra che predilige ovviamente la scrittura politica, o quanto meno a sfondo sociale, come accade nei dischi di Dalla. La scrittura di Roversi ruota prevalente intorno a Torino, città presente in abbondanza in tutti e tre i dischi. Vien da pensare che Roversi sia torinese, ma non è così, è bolognese come Dalla. Ma Torino è il simbolo dell’emigrazione, della vita di fabbrica, dell’inquinamento, della vita frenetica schiava dell’automobile. Insomma, delle contraddizioni dell’industrializzazione: l’Avvocato Agnelli, il carcere minorile Ferrante Aporti, la famiglia di terroni in viaggio verso la città, l’anidride solforosa, l’operaio meridionale… Mi piacciono molto queste canzoni e questi temi, anche se spesso le visioni “futuristiche” di Roversi sono poco profetiche e un po’ campate per aria. Musicalmente, Dalla si diverte molto, l’interpretazione vocale, soprattutto, è spesso particolare, teatrale e molto variegata. Per me è il periodo più interessante della sua carriera, anche se non necessariamente quello migliore in assoluto. Ben undici brani ho tratto da questi dischi, proprio perché immagino che sia un periodo oscuro a molti di coloro che conoscono Dalla solo per i lavori successivi. I primi due album del trittico sono mere raccolte di canzoni, il terzo “Automobili” è praticamente un concept che ruota intorno alle suddette. Ha un discreto successo grazie soprattutto alla celebre (ed eccezionale) Nuvolari, ma tutto il primo lato è a mio avviso splendido. Roversi però si incazza perché non gli piace la selezione dei pezzi: i brani provengono da uno spettacolo teatrale, e molti, più a sfondo sociale, vengono lasciati fuori. Roversi, che doveva essere un bel pesantone, rifiuta di mettere la firma sui pezzi, usa uno pseudonimo e abbandona Dalla. A questo punto Dalla si ritrova a dover fare tutto lui. Non ha mai scritto un testo in vita sua (uno, in realtà, ma trascurabile). Ma nell’arco di un anno pubblica un capolavoro assoluto della storia della canzone italiana. “Come è profondo il mare” è senza dubbio sul podio della canzone d’autore italiana degli ultimi cinquant’anni, e lo dico senza tema di essere smentito. La ragione principale è che non ha momenti deboli. Il mondo del cantautorato nostrano è sostanzialmente composto da dischi con dentro tre/quattro buoni pezzi e una valanga di riempitivi. Io qui, degli otto pezzi dell’album, ne ho inseriti sei, e ho fatto gran fatica ad escludere quei due. Non dico che ho tirato i dadi, ma quasi. “Quale allegria” è un po’ melensa, “Barcarola” è un po’ moscia (anche se è un ottimo finale per l’album). Tutte le altre ho DOVUTO metterle. Questa è la seconda “età dell’oro” di Dalla, un disco che giustifica da solo l’ingresso del cantautore nella “Hall of fame” del cantautorato italico. E’ considerato l’avvio di una trilogia che lo porterà alla gloria imperitura e alla vendita di milioni di dischi. Nei due successivi album (“Lucio Dalla” e “Dalla”) sono presenti brani celeberrimi, L’anno che verrà, Balla balla ballerino, Anna e Marco, Cara, Futura, Milano, l’Ultima luna… sono dischi molto validi, che intendevo ben rappresentare quando ho cominciato a considerare questa raccolta. Me li sono riascoltati e alla fine ho concluso che i migliori brani di questi dischi (che per me sono L’Ultima Luna, Meri Luis e Cara) non valgono i peggiori di “Come è profondo il mare”. E, indovinate un po’, un bel pezzo di colpa va agli arrangiamenti (oh guarda, si entra negli anni ottanta!). Sintetizzatori a minchia ma, soprattutto in questo caso specifico, l’insulsa chitarra di Ricky Portera e, in generale, la sventurata (per me, non certo per lui) collaborazione con gli Stadio. Intendiamoci, ci sono ottime canzoni in questi due dischi, e anche negli anni successivi Dalla avrà abbastanza classe da infilare dei bei pezzi (a me piace molto l’album “Viaggi Organizzati”). Tanto per dire, a costo di beccarmi i pomodori in faccia, trovo che Caruso sia una delle canzoni più belle e più struggenti mai scritte da un cantautore italico. Sputtanatissima certo, ma non è mica colpa mia… Comunque ribadisco: se qualcuno ha il coraggio, può fare la seconda parte della storia. Io non credo che riempirei un CD con gli ultimi trent’anni, ma devo anche dire che non conosco tutto, anzi, credo di conoscere pochino… PRIMA PARTE: ROVERSI/DALLA (1) IL GIORNO AVEVA CINQUE TESTE (1973) (2) ANIDRIDE SOLFOROSA (1975) (3) AUTOMOBILI (1976) 1. Anidride Solforosa (2) 5.13 2. L’Ingorgo (3) 6.00 3. L’Auto Targata “TO” (1) 4.28 4. L’Operaio Gerolamo (1) 3.34 5. Mela da scarto (2) 4.02 6. Intervista con l’Avvocato (3) 2.18 7. Mille Miglia (prima e seconda) (3) 8.38 8. Nuvolari (3) 5.27 9. Un Mazzo di Fiori (2) 4.05 10. Le Parole Incrociate (2) 5.23 11. La Canzone di Orlando (1) 1.40 SECONDA PARTE: COME E’ PROFONDO IL MARE (1977): 12. Disperato Erotico Stomp (5.52) 13. …E non andar più via (3.25) 14. Treno a Vela (3.27) 15. Il Cucciolo Alfredo (5.22) 16. Corso Buenos Aires (4.38) 17. Come è Profondo il Mare (5.24) Playlist Youtube: https://www.youtube.com/playlist?list=PLulW32wqh1rXJP1f-Wstgc1la5GGk8Wzw
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