#lorenzo non si stacca
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Immagini che resteranno da questo tour estivo ✨
#Santi Francesi#Alessandro tenerone che si commuove ascoltando il pubblico cantare 🥺#E Mario che non gli stacca un attimo gli occhi di dosso#Che gli sorride e gli dice dolcemente 'bravo' 😭#Voglio quello che hanno loro raga#Merito un rapporto fraterno così puro e sincero nella mia vita#Alessandro De Santis#Mario Lorenzo Francese
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Meteo, la "super goccia fredda" arriva in Italia: crollano le temperature. Allerta grandine, nubifragi e tornadi. Quanto durerà Le previsioni meteo per le prossime ore prospettano eventi atmosferici certamente rilevanti, dovuti all'arrivo della "super goccia fredda" e al forte contrasto termico. Dall'oceano Atlantico giunge la perturbazione che cancellerà, almeno per un po', il caldo afoso di queste ultime settimane. Il passaggio di una massa d'aria decisamente più fresca porterà sull'Italia temperature più basse e pioggia a partire dalle regioni settentrionali e poi progressivamente verso il Centro. «È sicuramente un break importante che segna la fine della prolungata ondata di calore delle ultime settimane», dice all'ANSA il fisico dell'atmosfera Lorenzo Giovannini, dell'Università di Trento. «Non sarà la fine dell'estate», osserva, e dopo questa parentesi «ci sarà ancora caldo». La fine dell'estate: le previsioni La fine vera e propria dell'estate è dunque ancora lontana e si sa che le previsioni a lungo termine non sono attendibili, ma di sicuro «per alcuni giorni le temperature scenderanno di qualche grado al di sotto della media, e poi torneranno a salire. Quella in arrivo è comunque una svolta significativa», osserva l'esperto. La perturbazione proveniente dall'oceano Atlantico porterà aria molto più fresca rispetto a quella calda che da tempo stazione sull'Italia a causa dell'anticiclone africano, finora protagonista quasi incontrastato dell'estate 2024. La "saccatura": l'arrivo dell'aria fredda L'aria fresca in arrivo da Ovest tenderà quindi a incunearsi nella zona di alta pressione generando quella che in meteorologia viene chiamata una 'saccatura'. «L'arrivo di questa massa d'aria fredda è atteso a Nord nelle prossime ore», dice Giovannini, portando fenomeni anche intensi, come temporali, grandinate e vento forte. Sarà comunque un passaggio veloce. Al Centro Sud le cose andranno diversamente perché l'aria fredda «si isolerà e stazionerà per qualche giorno sulle regioni centrali e meridionali», secondo un fenomeno noto ai meteorologi. «Le onde di aria fredda che si muovono da Ovest verso Est possono staccarsi dal flusso principale e tendono a isolarsi e a rimanere stazionarie», dice Giovannini. La "goccia fredda" e i possibili tornado Dalla saccatura principale si stacca cioè quella che i meteorologi chiamano una 'goccia fredda'. Questo nucleo di aria più fresca tende poi a mescolarsi lentamente con l'aria preesistente. Anche in questo caso, conclude l'esperto, «è possibile che il contrasto fra la masse d'aria calda e quella fredda possa generare fenomeni temporaleschi intensi, grandinate o fenomeni vorticosi come trombe marine». O, come riporta La Stampa, le "supercelle temporalesche". Si tratta di strutture temporalesche complesse e organizzate, caratterizzate da un'intensa rotazione interna chiamata mesociclone. Queste formazioni sono note per la loro lunga durata e per la capacità di generare eventi meteorologici estremi, tra cui forti raffiche di vento, grandine di grandi dimensioni e, in casi rari, anche tornado.
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Di forme, espressione ed ospitalità.
Renate Wasinger, con onde e surfista.
Fereshteh Abdolahimehr, con ondulazioni e coppia.
Lorenzo Cicconi Massi, con foglia e luce.
Di come, eccioè, forme possano ospitare altre forme senza abdicare a loro identità espressiva.
L'onda di Renate diviene - congelato l'attimo - plastica scultura e nello stesso tempo accoglie umano in precario - ma vittorioso - equilibrio.
Le candide corrugazioni di Fereshteh troneggiano come alabastro, ma non per questo rinunciano ad avvolgere atteggiati umani.
Anche la foglia di Lorenzo costituisce ipso facto una forma a sé bastevole, ma a sua volta ospita entità, la luce.
La dualità esprime pluriplanare concettualità, in queste tre riuscite immagini.
Essere cosa; partecipare a cosa.
La Fotografia, quando è alta, questo può.
Innescare percorsi mentali tra la scatola cinese e la specularità, può.
Una cosa è per sé, ed in rapporto ad altro.
Ed è per sé reinventata dalla veicolazione della ritrazione, ergo sin dall'inizio si stacca dalla mera intelleggibilità funzionale:
onda come scultura; corrugazione come alabastro ; foglia come astrazione da luce disegnata.
Concettuale pluriplanarità, appunto.
Grazie Renate, Fereshteh, Lorenzo, per aver sì finemente incarnato il volo.
All rights reserved
Claudio Trezzani
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Verona, grande teatro. Il 2024 si apre con Marco Paolini, in scena "Sani! teatro tra parentesi"
Verona, grande teatro. Il 2024 si apre con Marco Paolini, in scena "Sani! teatro tra parentesi" Nell'ambito della trentasettesima edizione, dal 9 al 14 gennaio al Nuovo sarà di scena lo spettacolo di e con Marco Paolini. Con lui sul palco anche Saba Anglana e Lorenzo Monguzzi. Giovedì 11 gennaio, alle 18, gli artisti incontreranno il pubblico. Quarto appuntamento con la rassegna "Il Grande Teatro" organizzata dal Comune di Verona e dal Teatro Stabile di Verona - Centro di Produzione Teatrale. Ad inaugurare il nuovo anno è l'attesissimo "Sani! Teatro tra parentesi" di e con Marco Paolini, in scena al Teatro Nuovo da martedì 9 a sabato 13 gennaio, alle 20.45, e domenica 14 alle 16. In scena, insieme a lui, Saba Anglana e Lorenzo Monguzzi, autori ed esecutori dal vivo delle musiche dello spettacolo che è prodotto da Michela Signori e da Jolefilm. Le luci sono di Michele Mescalchin, la fonica di Piero Chinello, la direzione tecnica di Marco Busetto. Il filo conduttore dello spettacolo è autobiografico. Nelle sue storie Paolini racconta momenti di crisi piccoli e grandi, personali e collettivi che hanno cambiato il corso delle cose, iniziando dai temi di fondo della crisi climatica e della transizione ecologica. Si parte e si finisce con due storie già narrate nella "Fabbrica del mondo", il progetto di Marco Paolini e Telmo Pievani trasmesso da Rai3 nel gennaio 2022. Si comincia dal racconto sul peso del benessere (l'Artificiale) in rapporto al peso della biomassa (il Naturale). Sulla scena un enorme castello di carte mostra la fragilità dell'equilibrio di ogni sistema ecologico, naturale o artificiale che sia. In rapida successione Paolini narra della crisi della guerra fredda che ebbe come protagonista Stanislav Petrov e del fine settimana in Islanda, a Höfði, che cambiò le sorti del mondo. Narra di Gemona e della Rosina, dell'uomo più solo al mondo, del peso delle cose, del lockdown del 2020 e dello sforzo necessario per costruire un progetto per il futuro. Il racconto iniziale e quello finale, "Cattedrale", sottolineano che non basta avere la consapevolezza della crisi: servono tanto coraggio e tanta immaginazione, perché tornare a prima non si può. Desiderarlo è umano ma non è utile, né pratico. "Le crisi – dice Marco Paolini – sono sul fondo, sono elementi della quotidianità che non trovano spazio nella nostra agenda, non sono emergenze che si chiudono, ma fasi. Conta come ce la raccontiamo: c'è chi dice "lo so già", e c'è chi non ha voglia di ascoltare. A teatro devi essere attento a trasformare questi temi in qualcosa che abbia un appeal. Io ci provo con ironia, con canzoni e racconti, personali, condivisibili. Provo a far capire che quando sei a un bivio, hai sempre una scelta". "La musica in un teatro tra parentesi – aggiungono Anglana e Monguzzi – è suggestione veloce, capace di creare contrasto e raccordo, oltre che, come sempre negli spettacoli di Marco Paolini, elemento drammaturgico a sé, in grado di partecipare attivamente alla narrazione. Inizialmente, in piena emergenza Covid, ci siamo sforzati di scrivere canzoni che potessero alleggerire il peso di quei momenti, che fossero anche capaci di raccontare e condividere la difficoltà di quei mesi. Nel tentativo di comprendere quello che ci stava succedendo o forse semplicemente perché una criticità raccontata e condivisa fa meno paura. Oggi tutto ciò sembra già lontano e passato, ma cantare "tutto andrà bene, i lenzuoli attaccati alle ringhiere", rimane un esercizio di memoria breve forse doveroso. Per il resto la musica si stacca dalla cronaca e segue la narrazione su orizzonti più ampi, melodie semplici supportate da più voci e da ritmi incalzanti. Ci sono le sonorità della musica folk mischiate a influenze e stili provenienti da molto lontano. Perché forse la musica è già capace di raccontare un mondo che, sfortunatamente, esiste solo nei nostri desideri, un mondo senza frontiere e capace – concludono i due musicisti – di affrontare unito la sfida per la propria sopravvivenza. No borders appunto". "Sani! Teatro fra parentesi, andato in scena al Piccolo Teatro Strehler è una sorta di ballata – ha scritto Magda Poli sul "Corriere della Sera" –. Parte dallo ieri dei suoi irresistibili Album, come l'avvincente contro-incontro con il geniale, iperegocentrico, provocatorio artista Carmelo Bene nel 1983, e arriva alle feroci contraddizioni del nostro oggi». "Sani! – ha commentato L'Alto Adige – conferma l'abituale capacità di Paolini di cogliere precisi momenti del passato in grado di spiegarci il presente, e sfrutta il periodo pandemico per mostrarci quanto il nostro stile di vita sia appeso a un filo sottile, senza, però, dimenticare le innate capacità acrobatiche di cui siamo in possesso". Giovedì 11, alle 18, gli interpreti di incontreranno il pubblico. Condurrà il direttore artistico Spettacolo del Comune di Verona Carlo Mangolini. L'ingresso è libero. I biglietti sono in vendita al Teatro Nuovo, a Box Office e on line e sul link. I prezzi sono: platea 26 euro, balconata 23 euro, prima galleria 15 euro, seconda galleria 10 euro.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Here you can see Lorenzo Insigne and Dries Mertens being friends
#lorenzo non si stacca#mertigne#mertensigne#pls kill me#they shook me everytime#la descrizione del video è: ''gesti di affetto''#...lol sì#dries mertens#lorenzo insigne#j*nny whT do u thikn bout your husbnd being attracted to drise marten<??#ssc napoli#bournemouth vs napoli
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Sono un pacifista estremista. Sono un razionalista convinto. Non uso la parolaccia come arma retorica, detesto chi alza la voce, chi offende gratuitamente, chi non argomenta, la scorciatoia lessicale, la semplificazione urlata, la reazione di pancia. Non ho mai invocato arresti, manette, ergastoli, mai augurato sofferenza fisica o psicologica a chicchessia. Ma, da figlio di medici, da umanista che crede testardamente nella scienza nel bel mezzo dell’epoca più buia e oscurantista da ottant’anni a questa parte, quando vedo analfabeti funzionali e negazionisti vari ed eventuali assieparsi davanti a un pronto soccorso armati di cellulare, mentre all’interno medici, infermieri e operatori sanitari stanno dando la vita e anche qualcosa di più bardati da capo a piedi in turni massacranti per salvare vite che potrebbero essere quella di un loro padre o una loro zia, mi sale su una rabbia e un malessere fisico che non credevo di poter provare. Non con questa violenza. E, se fossi un medico, un infermiere, un milite della croce rossa, un barelliere o anche il cuoco di un ospedale, tu, con il tuo video, il tuo ditino alzato, la tua voce saccente di chi non sa nulla e tutto crede di sapere, quell’arroganza dell’ignoranza che esce da ogni poro, tu non esci da lì fin quando non arriva la polizia, fin quando non hai fatto il giro completo uno ad uno di tutti i reparti guardando coi tuoi occhi le barelle impilate lungo le pareti, i pazienti pronati e intubati con la fame d’aria, gli occhi di chi non stacca dal turno da 12 ore e quelli dei pazienti Covid sistemati nelle tende in attesa che si liberi un letto, soli come cani, pregando solo che non sia quello di una terapia intensiva. Vorrei che ognuno di questi reporter improvvisati imbevuti di porcherie negazioniste si prestassero per una settimana - una settimana soltanto - come volontari civili (tanto “il Covid non esiste”) e ripetessero a un paziente attaccato giorno e notte a una maschera dell’ossigeno le stesse cose che diffondono 24 ore su 24 in chat e gruppi Facebook intossicando l’ossigeno che abbiamo il dispiacere di spartire con loro. Allora e solo allora, dopo aver fatto tutto questo, se la vergogna non vi ha ancora seppellito, potrete tornare davanti a un pronto soccorso con un cellulare in mano a riprendere le sale d’aspetto con la vostre voce petulante, la stessa sciatteria, lo stesso ghigno insopportabile, a seminare fake news e sconcezze. Fino a quel momento, siete solo dei miserabili. E, come tali, sarete trattati e ricordati. Lorenzo Tosa
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EDS6 VENTO D'ESTATE
RIMPATRIATA
Rimpatriata. Che parola triste. Contiene in sé un po’ troppo della parola rimpianto.
E io per ora ne sono piena. Trentotto anni e sentirli tutti. Perdere di vista amici a favore di colleghi, sostituire una moto con un SUV, cercare la voglia invece di spegnerla.
Poi un invito, su uno dei social che uso meno.
La comitiva delle estati in riviera, un falò. Notte di San Lorenzo.
Adesioni a cascata e la scelta del posto, non uno qualunque, proprio quello lì. Quello che vent’anni fa ha visto uno dei falò più belli di sempre, l’ultimo.
Ho sbirciato qualche foto del gruppo.
Come eravamo belli, magri, felici, spensierati.
Per me, già usare quel tempo imperfetto è un chiaro indice della mancata quadratura di un cerchio. Imperfetto come tutto, ora.
Come lui, al mio fianco, la mia fede all’anulare, che stasera mi osserva, mentre indosso un abito corto e svolazzante, spalline quasi inesistenti e bottoncini tirati su un seno ancora florido e abbondante.
Scarpe basse, mascara e un po’ di gloss.
Per uscire, sola.
“Ti divertirai.” Lo dice in tono convinto, senza ironia.
“Ancora non comprendo perché resti qui. Smettila di essere sempre un orso solitario. C’eri anche tu tra gli invitati. Eri uno del gruppo, vent’anni fa.”
“Non mi va.”
“La tua frase preferita, ormai.” Lo dico convinta anche io, senza ironia.
Non mi chino a salutarlo con un bacio, mi limito a fare un cenno con la mano. Esco.
Chiudo la porta, lasciando alle mie spalle l’entusiasmo sopito e la difficoltà di condividere un’emozione. Manca così tanto.
Manca la risata che nasconde un segreto, manca un momento che non sia schematizzato in una routine che prevede casa, divano e TV.
Chiudo la porta e non ci penso più.
Rimpatriata sia.
Arrivo in spiaggia.
Vent’anni dopo è tutto uguale.
La chitarra, il falò, la griglia con gli hamburger e il ghiaccio nelle bacinelle ovali, per le birre. Chissà a chi le hanno rubate, stavolta, le bacinelle, di solito era mia nonna la vittima.
Pensiero stupido. Tutto per non tornare a quelle estati, ma è impossibile.
Forse è l’odore del fuoco, o il rumore del mare.
Ma ritorna tutto così prepotente, l’emozione, la gioventù, il calore. Saluti, abbracci, pacche e strette. Complimenti e prese in giro.
È l’aria che è diversa, qui, stasera. Non le vedi le rughe di tutti, l’arrotondamento dei fianchi di quello che era il bagnino figo, il sedere non più tonico della Miss Riviera che ora ha tre figli.
Vedi i sorrisi.
Guardo la vera al mio dito. Sono contenta che lui abbia insistito a farmi venire. Un po’ meno che mi abbia lasciato sola, perché se c’è una cosa davvero pericolosa è il rimpianto. E qui li abbiamo un po’ tutti, negli sguardi.
Devi abbassarli gli occhi o rischi che tutti si accorgano che stai tornando lì, esattamente dove eri vent’anni prima. Perché quanto è vero che non tutti gli sguardi rimangano fermi, senza dare le vertigini. Ce ne sono alcuni in grado di sbilanciarti. E poi, dopo, tornare in equilibrio diventa impossibile.
Mi avvicino alla ghiacciaia, mi chino, afferro la mia bionda preferita, la stessa marca di venti anni fa.
“Era questo il tuo posto … sempre. O no? Ti piaceva stare qui a fare la sexy barista.”
Lui. La sua voce. Il motivo per cui non volevo esserci. Il motivo per cui ho sempre pensato nella mia vita “e se?” Mi volto. E so che avrò davanti quello sguardo.
Indugio perché il ricordo che conservo di lui dovrebbe rimanere per sempre cristallizzato a una faccia da schiaffi, il capello nero spettinato e gli occhi più verdi che siano mai stati pensati.
“Sono io.” L’emozione, la gioventù, il calore.
“Ciao.” Vertigine, sto per sbilanciarmi. Già, ed è solo un ciao.
“Speravo venissi. Vent’anni … Mi sono fatto da parte. Come mi hai chiesto.”
La precisazione è inutile, ricordo tutto.
Tutto, compreso come mi baciava su questa spiaggia, tra le cabine, nel parcheggio o davanti al falò.
Un’altra vertigine, che sbilancia. E sento la mia voce che gli propone di sederci più distanti. Parlare.
Recuperare vent’anni. Tutti in un’ora. Assecondare un istinto.
Le birre diventano tre. Finisce il repertorio di Battisti e di Liga.
Lui non si è mosso dal mio fianco destro, io dal suo sinistro.
In niente le chiacchiere diventano domande.
“Hai mai pensato a me? In questi anni.”
“Certo che sì.” Non aggiungo altro. Ad esempio che sarebbe stato impossibile il contrario. A ogni richiesta inopportuna come la tua prima volta? Il tuo primo bacio? Il tuo primo amore? Quelle domande che dovresti abolire dalle normali conversazioni e che invece la pettegola di turno ti farà sempre, anche solo per il piacere di metterti in imbarazzo davanti a tuo marito.
“Non ti stai domandando come sarebbe ora?”
“Entrare un’altra volta in me, dici?”
Chiude gli occhi, come se assaporasse ogni parola.
“Anche solo partire da questo.” Mi bacia. Schiudo le labbra e, come andare in bicicletta o nuotare, non lo dimentichi mai come si bacia una persona che hai già baciato. Possono passare pochi mesi o vent’anni. Le labbra piene, la lingua tutta dentro, il suo bacio ha sempre avuto un che di famelico. Mi viene fame davvero. Ancora. È così facile.
Mi apre i bottoni del vestito, scosta i lembi.
“Oddio, sei ancora bella come allora. Il seno che è ancora il più bello di tutte, ma non andare a dirlo in giro.”
Sorrido, mentre il dito scende, scosta definitivamente la stoffa e scopre il mio capezzolo inturgidito. Lui lo conosce a memoria. Ci gioca, ci sfrega il pollice, e il mio seno resta su dritto. Impertinente e selvaggio, come se non desiderasse altro che essere succhiato. Immagino quel pollice altrove. Lo stesso movimento. Violata la prima volta con delicatezza, chissà se userebbe ancora la stessa dolcezza e cautela, oggi.
“Ti piacevano queste dita.” Il respiro rotto.
Ecco. Ora legge anche nel pensiero.
“Sono diventato più bravo.”
“Anche io.” E rido.
La complicità è il peggiore dei mali, se sei indecisa. Perché ti fa prendere decisioni di impulso.
Non hai vent’anni, provo a ripetermi. E non ci volevi venire, provando a ricordare il perché. Sei sposata. Quel pollice diventa una mano, lo contiene tutto il mio seno, ora completamente esposto. Non lo fermo. Immagino il mio sguardo alla luce di queste fiamme. Se assomiglia al suo, è infuocato e non solo per il riflesso del falò. Dalla voglia e dal desiderio di avere ancora vent’anni. Dovrei solo ricambiare quella mano sicura che continua a stare sul mio seno e a saggiare quella pienezza. Dovrei scostargli l’elastico dei boxer ed entrare. Lo troverei pronto, dopo un bacio così. Forse era già pronto quando mi ha detto sono qui, come faceva prima.
Sono bagnata, serro le gambe, quando il bacio diventa ingombrante.
Continuo e finiamo come vent’anni fa? A lasciarci perché abbiamo due vite diverse e incompatibili?
Continuo e vado a casa senza fede, solo con un - é finita? –
Torno indietro nel tempo? Come un rewind su una vecchia cassetta a nastro.
Mugola nella mia bocca e sussurra Lilli, il nomignolo che avevo da piccola, è il nome con cui mi chiamava sempre mio marito e mi chiama ancora adesso, quando ha voglia di tenerezza. Mi scuoto, peggio di uno schiaffo. “Non posso.” “Vent’anni fa, dopo un falò, mi hai detto la stessa cosa e poi hai sposato lui.”
Sono ancora la donna che ha detto sì a un altro, convinta, vent’anni fa.
Non ce la faccio a continuare.
Lui mi guarda e capisce che me ne sono già andata, si stacca. Gli do un ultimo bacio sulla guancia, mi sollevo, scuoto via un po’ di sabbia dal vestito e guardo verso il falò. Coppie che si sono riformate dopo anni, amici che ridono insieme. Una serata in cui tutti stiamo facendo finta di essere la migliore versione di noi stessi, ma chi lo dice che è quella dei venti la migliore versione in assoluto?
Io sono ora la migliore versione di me. Mentre chiudo una possibilità. Mentre torno a casa mia.
Arrivo subito, le strade deserte, la casa addormentata.
Mi spoglio sul balcone interno, cade sabbia ovunque. Come vent’anni fa, quando mi nascondevo agli occhi di una madre che avrebbe capito tutto, subito.
Vado a letto, al mio posto. Sembra che lui dorma, ma mi abbraccia da dietro, invece, non appena sono stesa.
“Ti sei divertita?” “Sì…” “Lo sapevo! Te lo avevo detto che dovevi andarci senza di me. Mai che tu mi dia ragione.” Abbassa il tono della voce, è un sussurro. “Sei stata con lui? Dimmi che ne è valsa la pena averti persa solo per una notte. Che sei tornata più convinta che mai, che hai scelto bene, tanti anni fa.”
Lo stupore si disegna sul mio viso, nel buio che lui non può vedere. Ma sente più di quanto io pensassi.
Mi stringe, aderisce alla mia schiena.
“Non sono arrivata fino in fondo. Ti appartengo ancora, nonostante tutti i silenzi.”
“È che ormai vedevi solo il peggio di noi. Tu dovevi andarci. Perché, secondo me, sei tu che oggi hai bisogno di scegliermi, ancora una volta.”
L’ultimo falò era finito così, con lui che era corso sotto casa e aveva detto - scegli me -.
E mille baci. E decine di ti prometto. E centinaia di brividi.
E io ho scelto un’altra volta lui, in quest’estate, in questo strano ventennale.
Forse i salti nel passato aiutano solamente chi ti sta aspettando dall’altra parte per prenderti,
ma non chi salta. Perché è chi salta che può cadere.
E io rimango qui ancora. A cambiare qualcosa, a ritrovare una scelta.
E io rimango qui al buio, a godermi un abbraccio che non è vertigine, ma che ha il vero sapore della rimpatriata.
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La fotografia come forma d’arte (terza parte)
di Lorenzo Ranzato
– Alfred Stieglitz e il pittorialismo internazionale
Dal pittorialismo europeo al pittorialismo statunitense
Come abbiamo visto, in Europa la pittura ha esercitato una forte influenza sulle diverse correnti della fotografia pittorialista del tardo Ottocento, sia per i temi trattati che si ispiravano ai canoni classici o alle narrazioni storico-letterarie, sia per le tecniche di manipolazione come la stampa combinata o i processi artigianali di sviluppo e stampa come il collodio umido, la gomma bicromata e la stampa all’albumina.
Anche le stesse vedute agresti di Emerson - che pratica un tipo di “fotografia naturalistica” e usa la messa a fuoco selettiva – dimostravano un’indubbia influenza di stampo impressionista.
Constant Puyo, Montmartre, 1906
Con l’avvicinarsi del cambio di secolo, la fotografia si sviluppa su larga scala, trasformandosi in un mezzo accessibile e fruibile da un pubblico sempre più vasto, soprattutto grazie all’introduzione di fotocamere compatte ed economiche e di pellicole flessibili, di celluloide trasparente e sottile. Contestualmente si va affermando anche negli Stati Uniti una schiera di fotografi che si è formata in Europa e che propone una propria visione del pittorialismo, con la dichiarata ambizione di promuovere la fotografia come autonoma forma d’arte e costruire un nuovo linguaggio visivo.
Immagini di White (1906), Sears (c.1900), Kasebier (1902), Steichen (1899), Stieglitz (1897) e (1897)
Alfred Stieglitz, poliedrico personaggio dotato di grandi capacità organizzative unite a una profonda formazione culturale, è senza dubbio la figura più importante attorno alla quale ruota l’esperienza pittorialista statunitense. Seguendo le orme della Secessione viennese, riunisce attorno a sé un gruppo di fotografi amatoriali “eurofili”, per costituire nel 1902 il movimento nazionale del Photo-Secession, e nel 1903 fonda la rivista Camera Work, che si concentrerà inizialmente sulla promozione del movimento pittorialista e della fotografia come forma d'arte[1].
Le atmosfere pittorialiste di Alfred Stieglitz
Per Stieglitz la missione dei “camera workers”, dei fotografi moderni è quella di guardare al futuro, non più al passato: le immagini che imitano la pittura e che sembrano provenire da realtà senza tempo sono copie mal riuscite di quadri, mentre la fotografia deve dimostrare di essere un mezzo indipendente, capace di creare nuove realtà, puramente fotografiche. In altri termini, l’obiettivo è quello di mostrare che la fotografia è “un’entità con il proprio statuto”, in grado di “diventare la forma artistica del XX secolo e oltre”[2].
Alfred Stieglitz, Winter 5th Avenue, 1983
Con l’aiuto di David Bate, proviamo ora ad approfondire la poetica di Stieglitz che influenzata dal naturalismo di Emerson[3] si stacca decisamente dai tradizionali cliché pittorialisti europei, trovando ispirazione tra i grattacieli e le strade trafficate della città moderna. Essa è ben rappresentata da due celebri immagini di New York, scattate in giornate contigue nel 1893 con una macchina portatile 4x5 pollici: la prima, Winter 5th Avenue, ci mostra uno scorcio di città battuto da una tormenta di neve[4], la seconda, Terminal, la stazione del tram a cavalli nei pressi della Quinta Strada.
Alfred Stieglitz, Terminal, 1983
L’ approccio è completamente diverso dai metodi di manipolazione o di alterazione del negativo, utilizzati dai fotografi europei: le immagini sono ottenute senza artifici e sono il risultato diretto del gioco delle luci e delle ombre e dell’abilità nello scatto, che ci restituiscono in pieno le atmosfere della città avvolta dalla neve.
Illuminante al proposito, è il commento di David Bate: nelle sue fotografie “lasciava che l’impatto di pioggia, neve, vapore e calore generasse un effetto atmosferico nel momento in cui la fotografia veniva scattata, e poi lo enfatizzava in seguito, durante il processo di sviluppo e stampa”[5].
L’affermarsi del pittorialismo internazionale
Il pittorialismo, che agli inizi del Novecento si sta già affermando come movimento di portata internazionale, raggiunge il suo apice nel 1910 con l’International Exhibition of Pictorial photography tenuta a Buffalo sotto la regia di Stieglitz.
La mostra presenta 594 immagini di 65 autori pittorialisti provenienti da tutto il mondo e darà impulso alla vendita delle opere a musei e gallerie private: per la fotografia è un importante punto di svolta, perché viene ufficialmente riconosciuta come una forma d'arte autonoma, degna di una collezione museale[6].
Le molteplici iniziative di Stieglitz, le mostre e soprattutto la rivista Camera Work, che cesserà la sua pubblicazione nel 1917, ci restituiscono un ampio e articolato panorama del pittorialismo statunitense ed europeo. In particolare Camera Work ci presenta immagini di elevata qualità, stampate con il metodo della fotoincisione, “le migliori fotografie del momento”, secondo il giudizio di Steiglitz, che cura personalmente le selezioni: da quelle dei fondatori del Photo-Secession, Edward Steichen, Frank Eugene, Clarence H. White, a quelle di altri fotografi americani, come Alvin Langdon Cobrun, Paul Strand e Gertrude Käsebier, sino a quelle di fotografi europei come Margaret Cameron e Constant Puyo[7].
Fotografie di Stieglitz (1894), Steichen (1904), Kuhn (1906), F.H. Evans (1905), Steichen (1905), Eugene (1898)
Come ricorda David Bate, il pittorialismo internazionale si caratterizza per una varietà di stili e linguaggi, influenzati anche da particolari fattori culturali o geografici[8] David Bate, op. cit., pp. 45-47.: nelle diverse mostre dedicate al pittorialismo e nella rivista Camera Work possiamo trovare le immagini eteree, poetiche e d'atmosfera di autori europei come Demachy, Cameron e Puyo o americani come Steichen – prima della svolta modernista - ed Eugene, accanto a immagini più “dirette” e obiettive, prive di manipolazioni, che seguono le regole dell'indipendenza della fotografia dalle altre pratiche artistiche.
Sono per lo più i fotografi americani a privilegiare la “purezza del mezzo”, prendendo le distanze – come fa lo stesso Steichen – dalle forme del pittorialismo più tradizionale. Ma la svolta significativa avviene con la mostra alla Galleria 291 di fotografie di Paul Strand - considerato da Stieglitz l’unico fotografo veramente moderno - e con la pubblicazione su Camera Work di alcuni suoi scatti che resteranno famosi nella storia della fotografia, come anticipatori della straight photography [9].
Si apre in questo modo una nuova fase cruciale del dibattito sul “fotografico”, con il passaggio dall’estetica pittorialista al “modello modernista”che sembra riportarci all’iniziale dilemma e che proveremo ad analizzare nella quarta e ultima parte…
Paul Strand, Wall Street New York, 1915
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[1] Questo raffinato periodico di fotografia, all’inizio svolgerà la funzione di portavoce del Photo-Secession. Dopo l’apertura della Galleria 291 nel 1905 da parte di Stieglitz e Steichen, che faranno conoscere per la prima volta al pubblico statunitense l’arte moderna francese (da Cézanne a Renoir, da Matisse a Rodin), inizierà un percorso più variegato, pubblicando non solo articoli di letteratura, pittura, scultura, ma anche riproduzioni di opere d’arte di artisti contemporanei: addirittura il numero dell’agosto del 1912 non conterrà neppure una fotografia, ma pubblicherà esclusivamente opere di artisti dell’avanguardia del calibro di Matisse e Picasso.
[2] Juliet Hacking (a cura di), Fotografia la storia completa, Atlante, 2013, p.177.
[3] Alfred Stieglitz, Camera Work The Complete Photographs 1903-1917, Taschen, 2018, p.183 (vers. It. del saggio di Palm Roberts).
[4] Stieglitz definisce questa fotografia, scattata il pomeriggio del 22 febbraio 1893, “l’inizio di una nuova era …di una nuova visione del mondo”. Cit. in Bonny Yochelson, Alfred Stieglitz New York, Skira Rizzoli, 2010, p.15.
[5] David Bate, La fotografia d’arte, Einaudi, 2018, pp.59-60.
[6] Andrew T. Youngman, "Revisiting The 1910 International Exhibition Of Pictorial Photography", 2009, Paper 1211, reperibile sul web in Digital Commons@Ryerson. Il catalogo della mostra si trova su Internet Archive: https://archive.org/details/catalogueofinter00buff/page/n57/mode/2up
[7] Per una conoscenza più approfondita delle vicende di Camera Work, si può fare riferimento al testo: Alfred Stieglitz, Camera Work The Complete Photographs 1903-1917, Taschen, 2018, che presenta la collezione completa delle fotografie pubblicate nei 50 numeri della rivista, dal 1902 al 1917. Si consiglia inoltre la lettura degli articoli di Monica Mazzolini, pubblicati sul sito FIAF, con una rassegna di immagini dei pittorialisti americani:
http://www.fiaf.net/agoradicult/2018/09/23/manifesti-virtuali_07-1-di-monica-mazzolini/
http://www.fiaf.net/agoradicult/2018/09/30/manifesti-virtuali_07-2-di-monica-mazzolini/
[8] David Bate, op. cit., pp. 45-47.
[9] La cosiddetta fotografia diretta viene contrapposta generalmente alla corrente pittorialista e a ogni forma di manipolazione dell'immagine estranea alle specificità linguistiche del mezzo. Il termine compare per la prima volta nel 1904, in un articolo del critico d'arte Sadakichi Hartman, A plea for Straight Photography, che, dopo aver visto una mostra di fotografie di Steichen, Eugene,Cobrun e altri, giudica i loro lavori troppo compromessi con le tecniche di manipolazione dell’immagine e di tradire quindi le aspettative della vera fotografia propugnata dal movimento Photo-Secession.
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If only I could see, return myself to me
Io non esisto, e non credo di essere mai esistita. Non esisto per Francesco. Non esisto per Lorenzo. Non esisto per Stefano. Sono un trauma, un’idea che ti fa sentire meglio con te stesso, sono un corpo da usare per il piacere, ma niente di più, niente più di un contenitore da riempire con quello che senti al momento. Un canale da accendere quando ti annoi, e di cui lamentarti quando non viene trasmesso niente di buono. Un quarto d’ora di pubblicità, ragazzi, ma sarà possibile? Possibile che si spendano così tanti soldi nelle cazzate e nella manipolazione? Che cazzo lo pago a fare il canone scusa? Ve l’ho già detto: non esisto. Quando scrivo “corpo da usare per il piacere”, magari tu lettore temerai che stia per parlare di violenza sessuale, ma ci sono tanti modi in cui possiamo usare gli altri e con cui l’altro può darci piacere, e se hai pensato subito allo stupro fisico, vedi di fare un po’ di autoanalisi riguardo ai Pregiudizi che ti porti dentro. Di cui siamo pieni tutti eh, e da cui cerco io (almeno) di scappare da tutta la vita. Perché non voglio sbagliarmi su di te, amico, lettore, persona. Non voglio che il mio recinto mentale ti impedisca di scorrazzare libero per la vita e i pensieri e, soprattutto, di stupirti da solo, eventualmente. Da una settimana bevo tutti i giorni. Che c’è di male? Che mi rendo conto di non volerlo. Sento solo un gran istinto colpevole e silenzioso che mi fa buttare giù alcolici come acqua fresca in un giorno di calura. Ma so che non mi piace, so che non va bene, nel mio pregiudizio personale mi sento spaventata perché non mi era MAI capitato di reggere l’alcool così bene. Per carità, lo scelgo io di far sparire bottiglie di vodka e Pampero in due giorni, ma fino ad un certo punto, e non lo dico per deresponsabilizzarmi. Forse il mio problema (uno dei) è che ho, anzi, sempre fatto il contrario. Il fatto è che forse adesso, dopo venti e otto anni, sto iniziando a esistere. Perché sto scappando da qualcosa. Vorrei tanto non inciampare nel mio recinto mentre scappo, vorrei non pensare così spesso e così forte che gli uomini sono Tutti Uguali. Vorrei credere loro quando mi dicono che capiscono come sto, e che non vogliono farmi del male, vorrei riuscire a fare finta di niente come loro. Vorrei morire un pochino dentro come fanno loro quando non parlano, invece io muoio dentro, fuori, tutto intorno, è come guardare un quadro che prende fuoco dal centro, muoio di continuo come un albero che cade da solo nella foresta. Tanto non se ne accorgono mai, quindi è come se non morissi. Vorrei tirare fuori la mia verità dalla tasca e sbatterla in faccia alla verità dell’altro, vorrei non sentire tutto così forte, vorrei avessero ragione loro. Sono settimane che mi si stacca la pelle di dosso e che rimane uno scheletro che urla. E urla sempre e solo la stessa cosa, che vuole esistere, senza giudizi, rotture di coglioni, senza qualcuno che ti dice costantemente “sei sicura?”, urla e piange e si dissolve. E poi tutto si riassembla in quella figura che alcuni chiamano Angela, altri Wotsu, altri Quella Strana, e ricomincia da capo.
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𝗔𝗡𝗧𝗜𝗖𝗢𝗥𝗣𝗜 𝗘 𝗦𝗨𝗣𝗘𝗥𝗔𝗡𝗧𝗜𝗖𝗢𝗥𝗣𝗜 𝘚𝘶𝘪 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘢𝘭𝘪 𝘥𝘦𝘨𝘭𝘪 𝘶𝘭𝘵𝘪𝘮𝘪 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘪 𝘴𝘪 𝘦̀ 𝘱𝘢𝘳𝘭𝘢𝘵𝘰 𝘮𝘰𝘭𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘪 𝘯𝘶𝘰𝘷𝘪 “𝘴𝘶𝘱𝘦𝘳-𝘢𝘯𝘵𝘪𝘤𝘰𝘳𝘱𝘪”. 𝘋𝘪 𝘤𝘰𝘴𝘢 𝘴𝘵𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘱𝘢𝘳𝘭𝘢𝘯𝘥𝘰? 𝘍𝘰𝘳𝘴𝘦 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘤𝘩𝘦 𝘥𝘪 𝘴𝘶𝘱𝘦𝘳-𝘢𝘯𝘵𝘪𝘤𝘰𝘳𝘱𝘪 𝘱𝘢𝘳𝘭��𝘳𝘦𝘪 𝘥𝘪 𝘢𝘯𝘵𝘪𝘤𝘰𝘳𝘱𝘪 “𝘶𝘵𝘪𝘭𝘪” 𝘱𝘦𝘳 𝘥𝘪𝘴𝘵𝘪𝘯𝘨𝘶𝘦𝘳𝘭𝘪 𝘥𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘪 “𝘪𝘯𝘶𝘵𝘪𝘭𝘪”. 𝘊𝘦𝘳𝘤𝘩𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘥𝘪 𝘤𝘢𝘱𝘪𝘳𝘤𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘰𝘴𝘢 𝘱𝘦𝘳𝘤𝘩𝘦́ 𝘢𝘣𝘣𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘧𝘢𝘳𝘦 𝘤𝘰𝘯 𝘳𝘪𝘤𝘦𝘳𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘪 𝘴𝘵𝘢𝘯𝘯𝘰 𝘧𝘢𝘤𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘧𝘢𝘳𝘦 𝘶𝘯 𝘣𝘢𝘭𝘻𝘰 𝘪𝘯 𝘢𝘷𝘢𝘯𝘵𝘪 𝘯𝘰𝘵𝘦𝘷𝘰𝘭𝘦 𝘴𝘪𝘢 𝘱𝘦𝘳 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘳𝘪𝘨𝘶𝘢𝘳𝘥𝘢 𝘭𝘢 𝘨𝘦𝘴𝘵𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘤𝘭𝘪𝘯𝘪𝘤𝘢 𝘥𝘦𝘪 𝘮𝘢𝘭𝘢𝘵𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘭𝘰 𝘴𝘷𝘪𝘭𝘶𝘱𝘱𝘰 𝘥𝘦𝘪 𝘯𝘶𝘰𝘷𝘪 𝘧𝘢𝘳𝘮𝘢𝘤𝘪 𝘣𝘢𝘴𝘢𝘵𝘪, 𝘢𝘱𝘱𝘶𝘯𝘵𝘰, 𝘴𝘶𝘨𝘭𝘪 𝘢𝘯𝘵𝘪𝘤𝘰𝘳𝘱𝘪 “𝘶𝘵𝘪𝘭𝘪”. Quando il virus entra in contatto con il nostro sistema immunitario si scatenano una serie di risposte difensive molto diverse fra di loro nei tempi e nelle modalità di intervento. Gli anticorpi sono la nostra arma di difesa migliore per una serie di motivi. Primo fra tutti, perché possiamo preparare il nostro sistema a produrli con grande rapidità, con un vaccino, per esempio. Secondo perché gli anticorpi sono molecole solubili che possono andare in giro per il corpo e intervenire rapidamente là dove si trova il virus. Non solo. Il sistema è capace di produrre anticorpi che sono specializzati nell’intervento in distretti particolari del nostro organismo. Nel caso della COVID-19 sono particolarmente utili quando si posizionano nelle mucose del naso e dell’orofaringe perché è lì che il virus trova la sua prima porta di entrata per scatenare la malattia. Ma servono anche quando se ne vanno in giro per il corpo perché il virus, purtroppo, non si limita a infettare le mucose o le cellule del polmone. Può anche attaccare altri tessuti causando danni in alcuni casi molto più gravi di quelli causati nel polmone. 𝘾𝙝𝙚 𝙘𝙖𝙧𝙖𝙩𝙩𝙚𝙧𝙞𝙨𝙩𝙞𝙘𝙝𝙚 𝙙𝙚𝙫𝙚 𝙖𝙫𝙚𝙧𝙚 𝙪𝙣 𝙖𝙣𝙩𝙞𝙘𝙤𝙧𝙥𝙤 𝙥𝙚𝙧 𝙚𝙨𝙨𝙚𝙧𝙚 𝙘𝙡𝙖𝙨𝙨𝙞𝙛𝙞𝙘𝙖𝙩𝙤 𝙘𝙤𝙢𝙚 “𝙨𝙪𝙥𝙚𝙧-𝙖𝙣𝙩𝙞𝙘𝙤𝙧𝙥𝙤” 𝙤 𝙖𝙣𝙩𝙞𝙘𝙤𝙧𝙥𝙤 “𝙪𝙩𝙞𝙡𝙚”? La prima (di gran lunga la più importante): deve essere capace di bloccare l’entrata del virus nella cellula impedendogli di agganciarsi al recettore che la cellula utilizza per incorporare il virus, la molecola ACE2. Dettaglio non da poco, perché per agganciarsi all’ACE2, il virus utilizza una piccolissima porzione della sua proteina di superfice, la Spike (che vedete rappresentata come un funghetto sui pittogrammi del virus). L’anticorpo ideale è quello che si attacca solo a questa piccolissima parte della Spike (la chiamiamo RBD = receptor binding domain) trascurando tutte le altre componenti che potrebbero generare solo confusione. La seconda caratteristica di un super-anticorpo è la sua capacità di legarsi all’RBD con forza. Quello della forza dell’anticorpo, concetto che noi immunologi chiamiamo “affinità”, è una caratteristica che può trasformare un anticorpo da molto utile a inutile. Perché un anticorpo con una scarsa affinità (forza) per l’RBD si lega ma poi si stacca subito e crea solo confusione. Al contrario, un anticorpo con alta affinità, si lega e non molla la presa fino a quando il virus non è bloccato. 𝘿𝙪𝙚 𝙧𝙞𝙘𝙚𝙧𝙘𝙝𝙚 𝙧𝙚𝙘𝙚𝙣𝙩𝙞 𝙘𝙞 𝙝𝙖𝙣𝙣𝙤 𝙙𝙖𝙩𝙤 𝙞𝙣𝙙𝙞𝙘𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙞 𝙪𝙩𝙞𝙡𝙞𝙨𝙨𝙞𝙢𝙚 𝙨𝙪𝙡𝙡𝙚 𝙘𝙖𝙧𝙖𝙩𝙩𝙚𝙧𝙞𝙨𝙩𝙞𝙘𝙝𝙚 𝙚 𝙨𝙪𝙡𝙡’𝙚𝙛𝙛𝙞𝙘𝙖𝙘𝙞𝙖 𝙙𝙞 𝙦𝙪𝙚𝙨𝙩𝙞 𝙨𝙪𝙥𝙚𝙧-𝙖𝙣𝙩𝙞𝙘𝙤𝙧𝙥𝙞 𝙣𝙚𝙡𝙡𝙖 𝘾𝙊𝙑𝙄𝘿-19. Per quanto riguarda l’efficacia un lavoro pubblicato dal gruppo di Vito Lampasona e Lorenzo Piemonti del San Raffaele di Milano ha dimostrato che nei pazienti COVID-19 ospedalizzati con malattia di diversa gravità, la comparsa di anticorpi capaci di legarsi all’RBD e di bloccarlo ha coinciso con un graduale miglioramento dello stato clinico fino alle dimissioni. Di tutte le notizie che ho scandagliato nella letteratura scientifica negli ultimi mesi questa secondo me è la più bella. Vi spiego perché. Finora sapevamo con certezza che tutti i pazienti COVID-19 entro 8-10 giorni dal contagio producono anticorpi. Sapevamo anche che almeno una parte degli anticorpi prodotti dai pazienti sono in grado di neutralizzare il virus in laboratorio. Ma non sapevamo se sono loro che entrano in azione per contenere la malattia. Le evidenze erano solo indirette, da sperimentazioni negli animali o da modelli sperimentali di vaccini. La ricerca del San Raffaele ha fornito la prima prova formale che gli anticorpi anti-RBD rallentano la malattia. In termini immunologici si possono definire dei “correlati di protezione”, in altre parole, se li troviamo vuole dire che il paziente può guarire. Potete immaginare le implicazioni che hanno questi risultati anche solo per il modo in cui cureremo i pazienti. Sapere se un paziente ha o non ha sviluppato gli anticorpi anti-RBD ci darà indicazioni su come curarlo, quali farmaci utilizzare e così via. Non solo, tutti i vaccini attualmente in fase sperimentale si sono dimostrati capaci di indurre, con efficacia diversa in base al tipo di vaccino, anticorpi anti-RBD. Possiamo dunque ragionevolmente attenderci che saranno in grado di ridurre notevolmente il rischio di malattia. Sottolineo la parola “malattia” per non creare confusione con la parola “infezione”. Mi spiego. Il fatto che questi anticorpi siano associati ad un miglioramento del quadro clinico non significa automaticamente che ci proteggeranno dal rischio di infezione. Per avere qualche certezza sulla loro capacità di proteggerci contro l’infezione occorrerà attendere i risultati dei test sui vaccini sperimentali. Nel giro di qualche mese ne sapremo di più. Veniamo ora al secondo lavoro di grande interesse per capire questo fenomeno dei “super-anticorpi”. Parliamo allora di affinità degli anticorpi. Una ricerca pubblicata dal gruppo di Adriano Aguzzi (Università di Zurigo) ha evidenziato come l’affinità degli anticorpi contro il coronavirus è una caratteristica “pre-costruita”, come se fosse geneticamente determinata. In altre parole ci sono persone che producono anticorpi ad elevata affinità (i super-anticorpi) e persone che non sono capaci di produrli. Per noi immunologi è stata un po' una sorpresa perché normalmente il sistema immunitario è capace di migliorare l’affinità degli anticorpi con il tempo. Una risposta anticorpale tipica contro altri virus parte spesso con anticorpi a bassa affinità per poi migliorarla. Per qualche strana ragione la risposta contro questo coronavirus non segue questa regola. Quello che si osserva con il tempo è un aumentare graduale della quantità di anticorpi ma la loro affinità non cambia, rimane sempre la stessa. Tenete presente che è molto meglio produrre pochi anticorpi con alta affinità che molti anticorpi con bassa affinità. E veniamo adesso al secondo aspetto di queste ricerche. Un dato molto importante emerso dalla ricerca del San Raffaele è che, insieme agli anticorpi anti-RBD (i super-anticorpi) i pazienti COVID-19 producono una grande quantità di anticorpi contro un'altra parte della proteina Spike (la chiamiamo S2). Per ora non abbiamo prove che questi anticorpi siano protettivi. Anzi, abbiamo ragionevoli sospetti che possano creare più danni che altro. Il motivo è che si tratta di anticorpi che sono la conseguenza di infezioni precedenti con coronavirus diversi dal SARS-CoV-2 (quelli che causano infezioni lievi delle vie respiratorie o anche solo un raffreddore). Sono anticorpi probabilmente a bassa affinità e non si legano all’RBD. Sarà molto importante capire se hanno un qualche ruolo protettivo o se, al contrario, rappresentano un ostacolo alle difese. Tutto questo per spiegare l’incipit di questo articolo. 𝙋𝙞𝙪̀ 𝙘𝙝𝙚 𝙙𝙞 𝙨𝙪𝙥𝙚𝙧-𝙖𝙣𝙩𝙞𝙘𝙤𝙧𝙥𝙞, 𝙞𝙤 𝙥𝙖𝙧𝙡𝙚𝙧𝙚𝙞 𝙙𝙞 𝙖𝙣𝙩𝙞𝙘𝙤𝙧𝙥𝙞 𝙪𝙩𝙞𝙡𝙞 𝙚 𝙖𝙣𝙩𝙞𝙘𝙤𝙧𝙥𝙞 𝙞𝙣𝙪𝙩𝙞𝙡𝙞. Queste elucubrazioni immunologiche hanno una serie di implicazioni importantissime. 𝙋𝙧𝙞𝙢𝙖: quando si parla delle terapie con il plasma ottenuto dai pazienti convalescenti occorre ben tenere presente che in assenza di tecniche che ci permettano di caratterizzare nei dettagli gli anticorpi presenti nel plasma (utili o inutili?) non potremo mai sapere se stiamo trattando un paziente con qualcosa che può fargli bene o no. Queste tecniche ancora non sono disponibili nella maggior parte dei centri trasfusionali. Ne segue che, oggi, quando si infonde un plasma convalescente si fa una scommessa (al buio). 𝙎𝙚𝙘𝙤𝙣𝙙𝙖: la vera opportunità che abbiamo a disposizione è quella di produrre grandi quantità di anticorpi monoclonali dotati delle caratteristiche giuste (si legano all’RBD e con elevata affinità) e utilizzarli sia come terapie che come strumenti profilattici. A breve vedremo apparire i dati sulle sperimentazioni in corso. Per ora già emergono i primi dati, incoraggianti, sulla loro sicurezza. 𝙏𝙚𝙧𝙯𝙖: i migliori centri di ricerca che hanno a disposizione le tecniche di misurazione degli anticorpi anti-RBD potranno presto metterle a disposizione dei clinici per identificare nelle fasi precoci della malattia i pazienti che hanno un rischio più o meno elevato di malattia grave (e modulare le scelte terapeutiche di conseguenza) 𝙌𝙪𝙖𝙧𝙩𝙖: sarà molto importante nei prossimi mesi chiarire il ruolo degli altri anticorpi, quelli che chiamo “inutili” nella malattia. Non possiamo per ora escludere che non siano solo inutili ma che possano giocare un ruolo importante nelle forme gravi della malattia. Ritorneremo presto su questo tipo di anticorpi con un articolo dedicato. Siamo in presenza di un'altra mossa della partita a scacchi immunologi-virus. In attesa delle prossime e, forse, decisive. Per chi desidera approfondire allego i link ai due lavori citati. Secchi et al. COVID-19 survival associates with the immunoglobulin response to the SARS-CoV-2 spike Receptor Binding Domain. Journal of Clinical Investigation. Doi: org/10.1172/JCI142804 Schneider et al Microfluidic Affinity Profiling reveals a Broad Range of Target Affinities for Anti-SARS-CoV-2 Antibodies in Plasma of Covid Survivors MedRxiv
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IL PENSATORE 👩🎨 Auguste Rodin 🗓 1880 - 1902 📍 Musée Rodin, Parigi Inizialmente chiamata Il poeta, la statua faceva parte di una porta monumentale in bronzo commissionata a Rodin come porta d'ingresso di un progettato Musée des Arts Décoratifs a Parigi che in realtà non sarà mai realizzato. Rodin decise di raffigurare un tema a lui caro, l'universo dantesco della Divina Commedia in quanto opera ricchissima di spunti romantici e drammatici, e che oltretutto Rodin conosceva molto bene fin dai tempi della Petite École. Ogni figura da lui ideata rappresentava uno dei personaggi principali del poema. Il pensatore doveva raffigurare Dante davanti alle porte dell'Inferno, mentre medita sul suo grande poema. La statua è nuda, poiché Rodin voleva una figura eroica di stampo michelangiolesco, per rappresentare insieme intelletto e poesia. Non è difficile infatti ravvisare ne Il pensatore la splendida figura del Pensieroso, scolpita da Michelangelo per la Tomba di Lorenzo de' Medici duca di Urbino, posta nella Sagrestia Nuova della basilica di San Lorenzo a Firenze. Sappiamo che Rodin aveva pensato di inserire nella porta la figura di Dante senza Virgilio, sua guida. Posto in cima a una roccia, al centro del timpano, in solitaria meditazione, Dante guarda in basso verso il tragico, terribile mondo dei dannati. Nel giro di pochi anni però, la figura si "stacca" dall'opera - che resterà incompiuta - e si trasforma assumendo una nuova immagine e portata simbolica più universale: da Dante si trasforma in un Pensatore moderno, il simbolo dell'essere umano nudo, che medita sul suo destino e prende matura consapevolezza dei dolori che lo attendono. https://www.instagram.com/p/CDZUqBypD14/?igshid=14qvgc7v076jo
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L’Italia pareggia (soffrendo) con l’Ucraina e stacca il pass per gli Europei
L’Italia pareggia (soffrendo) con l’Ucraina e stacca il pass per gli Europei. Ucraina-Italia (0-0) Decisivi i 90 minuti della BayArena di Leverkusen, dove va di scena l’ultimo atto del Gruppo C di qualificazioni a Euro 2024 tra Ucraina e Italia. Una vittoria o un pareggio permetterebbero agli azzurri di staccare il pass diretto per il Campionato Europeo in Germania. La gara di andata, vinta per 2-1 dagli azzurri, era stata decisa da una doppietta di Frattesi. Spalletti schiera il tridente Zaniolo-Raspadori-Chiesa, in mediana Frattesi preferito a Bonaventura, in difesa Buongiorno e Di Lorenzo giocano dal 1’ minuto al posto di Darmian e Gatti. Il ct ucraino Rebrov si affida a Tsygankov, Sudakov e Mudryk alle spalle di Dovbyk. A centrocampo scelti Stepanenko in coppia con Zinchenko. Prima occasione per gli azzurri al 6’. Torre di Zaniolo da corner, Chiesa calcia alto da ottima posizione. Rispondono gli ucraini con un rasoterra velenoso di Sudakov dopo 5 minuti. Donnarumma si distende e respinge. Destro violento di Barella dagli sviluppi di un corner, Trubin la manda oltre il palo. Prima frazione molto combattuta, giocata a ritmi alti, con l’Italia più propositiva dell’Ucraina. Nella ripresa, al minuto 64, indecisione in uscita di Donnarumma, che riesce comunque a salvare sul tiro a colpo sicuro di Mudryk. Nel finale, è assalto degli ucraini a caccia del gol di vantaggio. Ultima mezz’ora molto sofferta per i ragazzi di Spalletti. Accade di tutto nel recupero: Mudryk cade in area colpito da Cristante, l’arbitro Gil Manzano non fischia. Il Var, dopo un check, conferma la decisione del direttore di gara, tra i fischi dei tifosi dell’Ucraina. Dopo una partita in bilico fino all’ultimo respiro, i ragazzi di Spalletti conquistano la qualificazione diretta agli Europei, dove saranno chiamati a difendere il titolo di Campioni in carica. Il pass diretto a Euro 2024 è la prima gioia dopo il disastro della mancata qualificazione ai Mondiali in Qatar sotto la gestione Mancini.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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La mia Prima volta su Internet
La prima volta che visi internet era sul computer portatile di lavoro di mio papà. Il ricordo di un giovane me confuso alla visione del padre che stacca il cavo dal telefono per poi attaccarlo al suo computer mi è rimasta impressa ancora adesso. Sono sempre stato interessato ai PC, così chiesi subito cosa stesse facendo e come mai stesse staccando il telefono per attaccarlo al PC. Lui mi fece sedere sul divano vicino a lui e dopo averlo lasciato navigare tra le varie finestre di Windows 98 iniziai a sentire un rumore strano, quasi meccanico ma allo stesso tempo con un qualche cosa di elettronico… ci stavamo connettendo ad internet.
Foto di: Christiaan Colen, "Dial-up connection” licenza: CC BY-SA 2.0
Da li in poi non ci feci più caso per un po’ di tempo, non avendo ancora scoperto dell’esistenza di altri aspetti di internet oltre ad un rumore strano ed alle e-mail, probabilmente avevo percepito internet come uno strumento di lavoro dei miei genitori e trovavo MS-Paint e la leggendaria molletta di MS-Word molto più interessanti.
Foto di: theaelix, “Clippy graffiti“ Licenza: CC BY 2.0
Il mio primo vero uso di internet arrivò anni dopo, in quinta elementare. Dato che i miei genitori decisero di comprare il primo computer per la casa, un fisso con il modem integrato nella scheda madre. Però il contratto internet che avevamo ci permetteva di connetterci ad internet “gratuitamente” solo la sera tardi oppure nei fine settimana, tutto sempre molto lentamente. I fine settimana diventarono una scusa per stare incollati allo schermo, scoprì tramite compagni di classe l’esistenza di MSN Messenger, ci volle tempo per convincere i miei genitori a farmi registrare ma ce la feci.
Data la velocità della connessione agli inizi, i video erano quasi impossibili da guardare, nonostante sapessi dell’esistenza di YouTube e ci andassi di tanto in tanto, non lo frequentavo spesso, la maggior parte del mio tempo lo spendevo su Google Immagini, cercavo le immagini che mi interessavano e le salvavo nelle apposite cartelle che creavo. Un vicino di casa mi aveva passato una copia di Magix video Deluxe, un programma di video editing. Iniziai a fare montaggi di foto prese da Google oppure scattate con la nuova macchina fotografica digitale da me o la mia famiglia durante le nostre vacanze. Con il tempo la connessione divenne più veloce, nel fare i miei video, non ero più limitato dalla selezione di musiche dei cd trovati in salotto. Potevo scaricare musiche trovate online.
Con il tempo abbandonai questa mia passione per montare video, anche perché in tutta onestà non ero molto bravo a farli, poi non sapendo nemmeno che si potessero caricare online… non sarebbero andati da nessuna parte. Verso la fine delle scuole medie la connessione diventò ancora più veloce, aggiungemmo il WiFi ed i miei genitori non volevano comprarmi una console per giocare, così con il mio nuovo computer portatile iniziai a giocare a giochi online. I giochi variavano tra spara tutto, sandbox, strategici e di ruolo. Scoprii che anche io, dato tempo e voglia di imparare avrei potuto programmare dei giochi, così su YouTube trovai dei tutorial di Visual Basic dove programmai il mio primo gioco, dove il cursore del mouse doveva schivare dei cerchi che si muovevano sullo schermo.
Foto di: Lorenzo Toscano, “Collezione copie fisiche videogiochi PC” Licenza: CC BY-SA 4.0
Internet adesso mi sta aiutando in diversi modi, rende lo studio molto più facile, riesce a mettermi in contatto con la mia ragazza che vive fuori dall'Italia, mi intrattiene nei momenti di noia, mi permette di condividere esperienze con amici ed estranei, rende la conoscenza libera ed a portata di tutti ma soprattutto internet è un posto dove io posso esprimere la mia creatività. Definirei il mio rapporto con internet lento all’inizio ma esplosivo poco dopo. Nel senso che dopo aver capito che internet non si fermava a MSN e Google immagini iniziai ad esplorarlo in lungo ed in largo scoprendo che un argomento poteva portarmi a scoprirne innumerevoli altri, magari molti dei quali mi interessavano. Al momento internet influenza molto la mia vita. Ma va bene così.
Articolo di Lorenzo Toscano.
CC BY-SA 4.0
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Napoli 3-1 Cagliari, Stadio S. Paolo, 06/05/2017: Dries Mertens scores and celebrates his second goal.
#lorenzo non si stacca#dries mertens#lorenzo insigne#ssc napoli#mertigne#mertensigne#napoli vs cagliari#football gifs
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Ricordo di un bambino ammazzato dalla mafia Per la mafia non esiste niente di sacro. La mafia uccide anche i bambini. Dal 1896 ad oggi, la mafia ha ammazzato 108 bambini. Perché disgraziatamente si trovavano in compagnia di genitori da eliminare o perché avevano purtroppo intercettato una pallottola vagante. Nei delitti e nelle stragi di mafia, la morte dei bambini viene considerata dai mafiosi una sorta di evento imponderabile. L’uccisione dei bambini viene sempre catalogata così, come un danno collaterale. Tranne in un caso. Il caso di Claudio Domino. Nato nel 1975 a Palermo, Claudio era figlio unico di Antonio Domino, un operaio della SIP, e di Graziella Accetta, proprietaria di una cartoleria. Vivevano a San Lorenzo, un quartiere ad alta penetrazione mafiosa. Claudio Domino, nonostante la miopia lo costringesse già a portare gli occhiali, era un bambino molto vivace. Quando non era a scuola, passava tutto il tempo a giocare in strada con gli amici non lontano dal negozio di sua madre. Pare che curiosasse dappertutto e conoscesse quel pezzo di quartiere come le sue tasche. Alle 21,10 del 7 ottobre del 1986, all’età di 11 anni, Claudio Domino perderà la vita nel modo più cruento che si possa immaginare. Claudio non sarà una vittima di circostanze fatali. Non sarà un danno collaterale. Claudio Domino è il bersaglio di una vera e propria esecuzione. Quella sera, un uomo in sella a una grossa Kawasaki, protetto dal casco, lo avvicina in una strada di San Lorenzo chiamandolo per nome. Claudio Domino si stacca dai due coetanei con cui stava chiacchierando e gli va incontro. Quando il bambino si avvicina, il centauro estrae una 7,65 e gli spara a bruciapelo in mezzo agli occhi. Davanti a un delitto tanto efferato ed inaudito, Palermo sembra come scossa da un terremoto. Ai funerali di Claudio Domino, in presenza di Antonino Caponnetto e Paolo Borsellino, assistono migliaia di bambini. Bambini di 7, 8, 10 anni che accompagnano la bara. L’opinione pubblica è indignata come mai prima d’ora. (...) L’unica certezza è che il Delitto Domino è un delitto di mafia. (...) Mentre la magistratura continua a brancolare nel buio, Cosa Nostra individua in poco più di due mesi il mandante dell’assassinio di Claudio Domino. Lo identifica in Salvatore Graffagnino, titolare del bar rosticceria Sole che si trova nel quartiere di San Lorenzo, non molto distante dalla cartoleria della madre di Claudio. Salvatore Graffagnino, insieme al figlio Giuseppe e al nipote Gabriele, gestisce in proprio un florido traffico di eroina e avrebbe preso la decisione di eliminare il piccolo Claudio perché, come racconteranno poi i pentiti Salvatore Cancemi e Giovanni Battista Ferrante, “aveva visto qualcosa che non doveva vedere”. Il 20 dicembre del 1986, lo stesso Ferrante si incaricherà di sequestrare, torturare ed uccidere Salvatore Graffagnino. Quanto all’autore materiale dell’omicidio, sotto tortura Salvatore Graffagnino confessa a Ferrante che si trattava di un tossicodipendente che lui stesso aveva già provveduto ad eliminare somministrandogli un’overdose. (...) Nonostante tutto il clamore, il dolore e lo sgomento che l’uccisione di Claudio Domino ha suscitato, nonostante i suoi genitori continuino a chiedere la riapertura dell’inchiesta, la sua morte 34 anni dopo rimane un mistero di cui nessuno si è mai veramente occupato. Non esiste un libro, non esiste un documentario, non esiste un film che parli di lui. Dopotutto, Claudio Domino era soltanto un bambino. David Grieco
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Partendo dal presupposto che non so cosa mi sta succedendo...stamattina l'ho sognato.
L'ultima volta che ho sognato una cosa del genere si è concretizzato. Quella volta avevo sognato un ambraccio di Lorenzo adesso è un pochino diverso.
Ho l'immagine di questo spaziale che secondo la mia testa si trova a Roma. Con noi c'erano 2 persone, una ragazza e un ragazzo. Non so dirvi questi due chi erano ma ho avuto la sensazione che la presenza di questa ragazza mi dava fastidio.
Eravamo tutti con borse, zaini e valigie dovevamo prendere il treno per tornare a Firenze.
Lui e questa ragazza erano in divisa.
Mi ricordo che lui si mette a correre per non farsi vedere da un superiore e di conseguenza salutarlo, io mi metto a ridere.
Arriviamo nei pressi della ferrovia. Magicamente ero rimasta da sola, vedevo il treno ( che era un autobus nel sogno ahahhaah) partire, poi si era rifermato e poi di nuovo partito. Volevo correre e riuscirlo a prendere ma ero tipo bloccata nella stessa posizione da un po'. Una volta che ho concretizzato che lo avevo perso, il pensiero è andato subito ai miei compagni perché non sapevo se erano riusciti a prenderlo o meno.
Da dietro mi sento chiamare, mi dice qualcosa tipo "pensavi che lo avevo preso eh" istintivamente lo abbraccio. Mi dice qualcosa che mi fa ricordare il fatto che gli avevo promesso 2 schiaffi e così inizio a picchiarlo. E lui mi dice "si vabbo dammeli pure in bocca". Non so come ma gli do un bacio sulla guancia, e poi niente ci baciamo. Mi stacca un attimo per sistemare la valigia, che era lì vicino a noi dicendo che l'aveva caricata tantissimo.
Poi mi dice "tu sul treno ti siedi vicino a me" e io gli faccio "ma tu non hai la divisa" e lui "a cazzo è vero"
È molto ma dico molto reale. Le sue battute, come mi comporto io. Lui che mi aspetta insomma non so. Ma volevo raccontarlo.
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