Tumgik
#in tutto questo sta qui perché il padre è positivo
omarfor-orchestra · 2 years
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Comunque avere mio nipote una settimana a casa e dormirci insieme bello lo amo più della mia vita non avrò mai figli
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Prima parte BIBBIA.
Prima cosa la fuori esiste di tutto e di piu esiste inferno paradisi de tutti I tippi..
Lo so la pazia va acettata in tutte le forme alcuni vedono cose altri sentono cose diverso vedono cose diverse..
Lo so esistono cose I seri non capirete con la mente ma pensando I ragionando..
Lo so non dovete temere certe cose io ho paura tipo a gli insetti..
Lo so le padre esistono per vincerle..
Non haviate paura dello che non comprendete aviate timo re di cioe che non vedete.
Lo so io ho la beffa di dover esistere I so che non poso cambiare questa cosa e un po ho paura di certe situazioni..
Le situazioni esistono perché esiste il bene e il male come il destino e il caso..
Comprendo anche che in tanti mi vogliono parlare.
Pero sonó stanco di spiegarvi cose e sonó molto stanco per adesso so che oh un po odio perché mi copiano pero non mi da fastidio mi da fastidio chi non respeta certe cose.
Lo so non amo per adesso non vi posso spiegare l'amore lo so oh scrito tante cose che nemeno le contó ho parlato cositantanto che perso la voce..
Io sonó io.
Tu sei Tu.
Essi sonó Essi.
Egli sonó Egli.
Noi siamo Noi.
Voi siete Voi.
Essi sonó Essi.
Ricodatevi sempre queste 6 frasi.
L'odio ve lo poso spiegare un po non vi spiegare tutto..
L'odio e nato vari motivacioni primo motivo per proteggere chi non capiava vene el sentimento della vendetta..
L'odio e oscuro e cía anche sentimenti
Odio naturalmente..
Odio parla molto avolte per niente Vorrei che mi spiagasse pil perché mi sentó cosí solo.
Lo so L'odio non e una maldicione e un bene si siste perché sino non ci potro incavolare e arrabiarci.
L'odio e nato prima del amore per io mi sentito cosí solo che nel nulla che devo pugni provano una rabbia che non vi dico in pensai "per che sentó questa senzione perché provo questa rabbia" I dice "Odio".
L'odio e un colore positivo ancora non lo anno invento bene in questo mondo.
L'odio deve essere compreso..
L'odio e anche un energía positiva..
Lo so io in questo momento ho solo il sentimento della solitudine.
La solitudine e bella e brutta pero so che la bellezza della solitudine e che stando soli si imparato cose che capiscano solo chi sta solo e brutto perché la gente sola molto sola tentado il suicidio per sentirsi cosí sole.
Si capirete anche gli oggetti anche le cose piangono e si ennamorano..
Alcuni oggetti ciano sentimenti che ancora non esterni una parola per questo che vi voglio dire
Anche gli oggetti si trattati male provano rabbia i quando provano rabbia fanno scherzi che non ti dico lo so che infondo anche loro comunicano e provano dolore anche se non noi pero alcuni esseri possono sentire parlare gli oggetti alcuno.
E che la prima a esistere laparo (Io che ci faccio qui perché mi sono ucciso perché esisto ancora perché esistono ancora..)
Oggi oggetto cia forma diversa aspetto diversi e posono pure essere utilizzati per esseri senzienti e non perfino questo telefono cia sentimenti e so...
Quando un oggetti si ennamora e per l'eternità.
Le persone in generale detto per pesci insetti volatili inserendo che ragionano con la propria mente ciò gli alieni che anche loro anno la prola persona nel loro vocabolario.
I quando dico persone es esplicito e per tutti i sensienti.
Tippo uno dei primi sentimenti ad esistere e stata la solitudine.
La solitudine che ho provato è immensa solitudine.8
Non si tocano le osse de nessun ser vivo ho non vivo.
Per molte ragioni non ho ancora accettato l'amore e lo so che prima poi io pure amerò.
Non potete essere voi i vostri procreari ne procreatrici mia madre lo protetta dal futuro andando sia il passato perché non le succedesse niente mio padre sa la sua beffa per non avermi mai chiamato..
Gli uomini anno perso il loro spinto animale tranne i bambini.
Prima che mi cancella ho salvato!
Oh salto in un mare immenso menzzo tutte le volte che sono morto.
Per mari di colori differenti di ogni tipo di colori.
In mare era comò arcoriis cadaves salia mas in superficie.
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SECODA PARTE BIBBIA
Los sdegno sono esseri che non devono essere creduto né ascoltati devono essere pure un po ignorati anche anno sentimenti se non dignità.
L'amore e possivo sì il problema del amore.
E la gelosia quando uno è gelosa/o fa parte un po' del amore un po' del odio...
E di molti sentimenti positivi tiene l'amore.
E alcuni anche negativi.
Lo so io amo una l'altra la odio lo so che non mi comprenderete tu sei bellissima EDD tu VT ti stra adoro per avermi tolto dei sentimenti che non dovevo avere..
Lo so in fondo tutti vogliono essere ricchi ma non comprenderanno il poema di essere richi...
La more non è richezza neanche povertà e una via di mezzo tra cuore e cervello lo so..
Spiegarti e EDD e difficile in poche paro le l'amore e composto da suoni odivile solo da le nostre anime come l'odio.
L'amore dei lati negativi per vari motivi non te lo dico ancora ma tu lo sai che ti amo e ti amerò per sempre...
I te insegnerò cose che solo io so.
Lo so amare e complicato svolte sì ci si metti la celosia..
E diversa dalla gelosia c'è in parate molta Tania nella celosia.
Tu devi essere fiera dello che sei come VT che è un altro sentimento molto positivo.
Ho un po' di rabia per ver parlato del amore così facilmente..
Però lo farò EDD perché in fondo al cuore so che l'amore non è gratis né il odio...
Su facebook scrivo altre cose cosea riprendere quel profilo perfavore ti amerò molto se lo farai.
Noi no posiamo essere i nostri stessi procuratori.
Ci sta un padre e una madre una mamma e papa oggi tipo cuasi facevo un casi mia mamma per vari motivi lo so o quasi pianto di solitudine i svegliavo qualche cosa che io ancora non so...
Però non piangerò più per una cazzata del genere io amo mia mamma e la odio aloe tesso tempo esistono vari tipi di creazioni ti po' le cose tipo oggetti non si creano d'Asolo ne le persone..
I tutti loro provano rabia e dolore si non sanno tutta la verità lo so che fa male anche quando le perdi li oggetti piangono quando non stanno con chi sano loro a chi non odiare..
Per adesso so che non oh figli però so che una madre e dei fratelli in sorelle.
Però so anche che loro moriranno prima poi eh io rimarrò da solo.
In questo momento non so che sentimenti ho però so anche che capisco troppo.
I DIECI COMANDAMENTI
Non avrai altro Dio fuori di me.
Non nominare il nome di Dio invano.
Ricordati di santificare le feste.
Onora tuo padre e tua madre.
Non uccidere.
Non commettere atti impuri.
Non rubare.
Non dire falsa testimonianza.
Non desiderare la donna d’altri.
Non desiderare la roba d’altri.
E il mio comandamento.
Siate voi stessi.
I ser serio.
SER DIVERTENTE.
Per buenos i buenos con el credor sintiendo lo che non sanno.
TE SEI TE.
Pazzo e PaZZo.
SO CHE mI COPIANO IN MOLTI PERO NON SONO ME.
Sanno che cio una vita noiosa per me pero so che cio stra desideri pure io.
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libero-de-mente · 3 years
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Diciotto anni
Vorrei che il tempo si fermasse a oggi, vorrei non andare oltre ma so che è impossibile.
L'ho sempre detto e scritto, tra il serio e l’ironico, ma quanta verità sta nella frase “il tempo passa”.
A ogni compleanno lo si percepisce, io sinceramente ho smesso di sentire scorrere il tempo su di me da qualche anno oramai, non ci penso più. Di me sarà quel che sarà.
Ma da quando sono padre percepisco il compleanno dei miei figli.
Daniele, mio dolce Daniele tanto buono quanto di animo puro oggi diventi maggiorenne.
Da qualche tempo ho notato che lo sei diventato, dai tuoi discorsi e dal tuo volerti interessare su di me e sul mio lavoro. Chiedendo e condividendo idee e soluzioni. Grazie.
Ho cercato di educarti a rispettare il tuo prossimo, a non approfittare mai dei più deboli e a non cedere nell’inganno della diversità inventata dall'uomo. Ma il rispetto per chiunque sia reale e sincero.
Credo che tu abbia po' esagerato, diventando troppo rispettoso e di buon cuore. Questo mi fa paura vedendo come gira il mondo, in particolare la gente che sopra esso vive e approfitta del prossimo.
Parlo per esperienza personale, neh?!
Posso dire che in molte cose sei quello che volevo essere io, nonostante tu sia nato con i miei stessi “difetti di fabbrica”, hai saputo migliorati facendo diventare realtà i miei sogni su di te.
Io ho sempre fatto pensieri belli, per poi scontrarmi con la realtà spesso brutta. Tu mi dici di fare pensieri brutti, così da non essere deluso dalla realtà e semmai esserne sorpreso in positivo. Anche se questo non ti togli il sorriso e la voglia di scherzare che ti ho sicuramente dato io.
Ti chiedo solo una cosa figlio mio, fammi sentire sempre tuo padre.
Non mi allontanare perché ora che sei fisicamente più alto di me e mi fai discorsi seri, ti sembrerà strano, anche tu mi dai sicurezza e protezione.
Ho bisogno di sentirmi sicuro, solo mio padre lo sapeva fare ma il destino me lo portò via troppo presto, ma tu fammi sentire sicuro. Io così darò sicurezza a te.
Ti proteggerò dal mondo intero, come tu proteggerai me.
Perché arriverà presto il giorno in cui sarò io ad addormentarmi sul sedile posteriore dell’auto, mentre tu guiderai.
Mi hai cambiato la vita, di questo te ne sarò sempre grato. Non sai quanto di bello hai fatto nascere in me, hai risvegliato risorse che erano sopite in me.
Ho sempre creduto che non mi bisogna mai arrendersi, anche quando tutto crolla intorno a te, ho imparato a usare le macerie scale per risalire, come pareti da scalare per ritornare su. Questo te lo sto dimostrando e lo stai vedendo e comprendendo ora.
Una cosa sono contento di me stesso, di non averti mai detto “sei una delusione”, tu non t’immagini il dolore di sentirselo dire da chi dovrebbe comprenderti e aiutarti.
A diciotto anni si è grandi al punto giusto, ma tu Daniele non avere così fretta lascia che io posso coccolarti ancora una volta. Solo un’ultima volta.
Ps volevo mettere una foto con me e un Daniele piccino, come su Fb, ma qui su Tumblr preferisco rimanere un Libero De Mente qualunque. Una bombetta con sotto una testa invisibile. Grazie a chi mi legge sempre.
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noreasonjustpassion · 3 years
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Il mio telefono personale squilla. Sullo schermo il nome della mamma di una delle ragazze, che non so perché chiama sempre me invece che il fisso della Cooperativa. 
Al mio "pronto" risponde il suono di chi sta piangendo e prova a trattenersi. "Signora, salve, che succede?" Lacrime, singhiozzi, respiri. "Mio genero, mio genero è morto. Mio marito non sa che fare, era un figlio per noi, un figlio, è morto, stanotte. " "Oddio signora ma che mi sta dicendo.. il genero a casa positivo?" Penso che sto covid mi ha rotto i coglioni.  "Ma che, no, niente, covid, l'altro genero. Una cosa terribile. Terribile. La peggiore di tutte." "Signora..."
Pianto, pianto inconsolabile
"Si è tolto la vita, stanotte, senza un motivo, senza un perché, 40 anni, padre della bambina di 8, un uomo con una famiglia, aveva noi, aveva loro, aveva un lavoro, aveva tutto...." Ho dovuto prendere fiato e gestire la telefonata di una donna che vorresti abbracciare e non puoi. Ho sentito la pesantezza di non poter essere presente fisicamente, di non avere le parole giuste perché non credo ce ne siano, ho sentito la paura che questa cosa stia dilagando, ho sentito i ricordi di Elisa che non voleva partecipare al funerale di sua madre, le parole della mia di mamma quando me lo aveva comunicato e io le avevo risposto "io la capisco, non te lo perdonerei mai". Ho rivisto gli occhi di mia sorella ogni volta che l'amica finisce di nuovo in cura in ospedale.
Lavoro ogni giorno con gente che ha voglia di mordere la vita più che può e devo fare i conti col fatto che ogni tot qualcuno invece decide che di fame non ne ha più. 
Ieri dopo 20 giorni da quella chiamata ho rivisto la signora. Gli occhi castano chiaro con il peso di 10 anni di vita in più dentro. Le parole "abbiamo la bambina da aiutare, dobbiamo fare quello che possiamo per andare avanti, solo vorrei sapere perché ma un perché non lo scopriremo mai". 
Il peso di sorridere alla vita perché il solo essere bambini impone che la vita prosegua, e noi adulti prendiamo e portiamo a casa. La difficoltà di non poterla abbracciare per queste fottutissime regole anticovid. Un sorriso sotto la ffp2. "Per qualsiasi cosa, noi siamo qui". "Siamo qui noi" cantavano gli 883 negli anni '90. Cos'altro si può dire, se non offrire un posto dove poter affidare la fragile persona che fa parte della famiglia, e sapere che ora sono tutti più fragili anche loro. Siamo qui noi. Per il resto la vita continua. Andrà tutto bene.
Le frasi fatte si sprecano, la verità è che i gesti senza perché lasciano lo stesso vuoto delle persone che li compiono. La serie di Zerocalcare spopola e io prego per tutti voi che nessuno mai si trovi, da vicino o da lontano, a dover fare i conti con sta roba. 
Che la vita è una merda, spesso. Ma l'augurio è che si possa trovare da qualche parte almeno un briciolo di forza per viverla. Che, ne sono convinta, di questo varrà sempre la pena. Anche se mi è rimasto il pugno nello stomaco. 
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dreamers-queen · 4 years
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Si è parlato un po’ (in termini discordanti) di questa intervista, e devo dire che, personalmente, fatta eccezione per alcuni aspetti comunque tipici di un periodico di gossip, l’ho trovata interessante. Soprattutto per quanto riguarda Un Milione Di Cose Da Dirti.
A volte mi lascia sinceramente perplessa il modo in cui Ermal ne parla. Anche se sono sicura che lo intenda nel senso più positivo possibile, resto abbastanza stupita di fronte a termini come (canzone) “semplicissima”, “nuda”, “scarna” e “super classica”. Di per sé nessuna di queste cose è un male, e forse il punto è proprio questo: è una canzone d’amore, tutto qui. E cosa c’è di più semplice, nudo, scarno e super classico dell’amore in tutte le forme? Per una volta non ci sono significati profondi da ricercare, temi “alti” da toccare (anche se si può discuterne: l’amore è davvero un tema “basso”?), sperimentazioni testuali/musicali da azzardare (vincendo sempre, va detto). C’è una voce, un pianoforte, ci sono i sentimenti di un uomo. E non serve altro. 
Stuzzicante la provocazione di chi sta intervistando (purtroppo non riesco a leggere il nome): di fronte all’uso di questi aggettivi - ai quali forse non siamo più abituati perché davvero è raro che un autore non “esalti” almeno un po’ la sua creatura, soprattutto quando in gioco c’è un palcoscenico come quello di Sanremo - sembra forse insinuare che, in fondo, “sono solo canzonette” quelle scritte per Sanremo? Onesta ed apprezzabile la risposta di Ermal, forse un altro (o tanti altri, per non dire quasi tutti gli altri) avrebbero risposto in maniera più piccata. Lui racconta di una riscoperta fortuita, anche questa semplice semplice. E questo mi incuriosisce moltissimo, specialmente dopo aver letto il testo. 
Comunque in Amadeus we trust, a me basterebbe rimanerne folgorata la metà di quanto sembrerebbe essere accaduto a lui, lol. 
Forse unpopular opinion o forse no, ma apprezzo molto il fatto che Ermal consideri quello del 2017 il suo Sanremo più speciale: vincere piace a tutti, sarebbe sciocco negarlo, ma talvolta non è il trionfo a determinare quanto sarà memorabile un evento. Dovessi scommettere, direi che - chissà - forse anche quest’anno sarà così, un altro inizio. Ermal non fa mistero del fatto che ciò a cui maggiormente guarda ora è l’uscita del suo nuovo album, ed è giusto così. 
(Sorvolerei sulla morbosità della psicanalisi un tanto al chilo sul suo futuro ruolo di padre, ma: chapeau alla sua risposta - viva lo zio più figo del mondo ♥) 
E siccome io non sarei io se non sputassi certi rospi fastidiosi di tanto in tanto: mi ha strappato una sincera risata, e regalato una discreta soddisfazione, la chiusa dell’articolo sull’annoso problema delle fan immusonite. ‘Ma Chiara piace a me. E va tutto benissimo’. 
Direi che il tempo delle risposte diplomatiche e del garantismo ad oltranza è finito una volta per tutte: ad Ermal non importa un accidente dell’approvazione di chi crede di comprarsi un pezzo di lui ogni volta che acquista un biglietto, un album, persino un pacchetto di figurine della Nazionale Cantanti. Chiara c’è, e continuerà ad esserci finché vorranno entrambi. Chi ha dei problemi con questo forse dovrebbe rivolgere altrove le sue attenzioni. E crescere un minimo, ché male non fa. 
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attilioworld · 5 years
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Covid-19   suggerimenti dall’Italia
Riportiamo per intero il post del nostro Dottorino:
"Sono un farmacista che esercita in provincia di Bergamo in un paese di poco più di 3000 abitanti.
Il contagio qui è enorme.
Ufficialmente i casi positivi sono ancora meno di 10, aggiornati al 12 marzo, ma Vi garantisco che i casi “reali”, come detto, sono almeno di uno se non due ordini di grandezza in più.
Lo dico in base ai tamponi effettuati (negli stessi nuclei familiari di un positivo, anche se con gli stessi sintomi, ai familiari NON veniva fatto tampone: semplicemente, si mettevano in quarantena).
Il mio intervento NON E’ AFFATTO CRITICO nei confronti delle autorità sanitarie (come potrei!): il loro lavoro è ENCOMIABILE.
Siamo TUTTI degli eroi, in questi giorni, se rispettiamo le direttive.
Voglio solo riportare quello che penso e vedo e che spero possa essere utile sia tra i nostri cittadini che in altre zone dell’Italia dove “sta arrivando”.
I nuclei familiari con casi di febbre e sintomatologia sono almeno un centinaio su 3500 persone, approssimativamente stiamo arrivando al 20% della popolazione.
Vi dico dunque: non vi spaventate quando “all’improvviso” vi sembreranno tutti malati, sia in casa che attorno. Va così. Va esattamente così.
I sintomi si dividono in grossi “cluster”: il gruppo che ha febbricola lieve ma che non passa da 5, 6, 7 giorni; il gruppo con febbre molto alta che dopo due giorni è passata e poi è tornata di nuovo; il gruppo con febbre solo per qualche giorno ma poi ha senso di nausea che permane; il gruppo con tosse persistente da una decina di giorni che poi è sfociata in febbre; il gruppo con mal di gola, bruciore e poi qualche linea di febbre.
Minimo comun denominatore la fanno il mal di testa anche forte che spesso accompagna la febbre e la persistenza dei sintomi anche a distanza di 8, 9 giorni, spessissimo altalenanti; non poche persone riportano infine perdita del gusto e dell’olfatto.
Di solito le persone che vengono in farmacia per il marito, la moglie, il padre, il proprio compagno hanno anche loro gli occhi lucidi, visibilmente stanchi, ma senza particolari sintomi aggiuntivi.
Se fino a 4, 5 giorni fa le persone venivano in farmacia più per precauzione che per vera esigenza, negli ultimi 3 giorni gli acquisti sono tutti incentrati sulla febbre di qualcuno che è a casa e relativa sintomatologia accessoria.
La mia sensazione è che, come detto, negli ultimi 3 giorni qui da Noi si sia raggiunto il picco “reale”.
Questa, analizzandola, è una ”buona notizia”: innanzitutto spiegherebbe come mai i nostri ospedali di Bergamo e provincia (Papa Giovanni, Bolognini, Capitanio Gerosa) siano allo stremo: perché i numeri delle persone influenzate NON SONO quelli ufficiali dei tamponi, soprattutto nella nostra zona, bensì un numero molto, molto più ampio; e poi vorrebbe dire che da queste ore in avanti cresceranno i numeri "ufficiali", ma che la situazione della popolazione, se si rispetteranno le direttive, non potrà che, lentamente, migliorare.
Alle persone anziane che sviluppano più facilmente sintomi respiratori acuti i nostri medici provano a prescrivere antibiotici (per lo più ceftriaxone fiale nei casi più seri, anche azitromicina o amoxi-clav), ma con scarsi risultati il più delle volte.
Questi sono coloro ai quali poi sopraggiunge quella difficoltà respiratoria per cui viene chiamato (giustamente) il 112 (a proposito: non dovessero rispondere subito non demordete, nell'arco di 30 minuti rispondono a tutti) e per cui le ambulanze che girano a sirene spiegate nella nostra zona sono tantissime e gli ospedali tracimano.
Ripeto, persone perlopiù anziane, ma è chiaro che più ampia sia la platea di contagiati anche tra i giovani e più aumentano proporzionalmente anche quelli con meno di 70 o 80 anni che possono incorrere in un aggravamento che necessiti ospedalizzazione.
So che viene consigliato di dormire "da seduti" se si sente un senso di pesantezza ai polmoni, ma la cosa più importante è la seguente: il sintomo che deve far allertare e far decidere di chiamare il 112 è il senso di soffocamento, un affanno, come se si stesse affogando, una fame d'ossigeno. In quel caso, senza esitare, si chiami il 112.
Per la restante parte dei pazienti quello che stiamo facendo è consigliare di monitorare e calmierare la febbre con il paracetamolo (Tachipirina), rigorosamente 500 mg per adulti così da poterlo somministrare più frequentemente durante la giornata e non rischiare il sovradosaggio, mangiare nel modo più sano e completo possibile (carboidrati, proteine utili per il sistema immunitario e pochi grassi - magari olio extravergine come antiossidante coadiuvante anche lui del sistema immunitario- frutta e verdura, numerosi liquidi, qualche integrazione con zinco, vitamina D, vitamina C in primis).
Poi ci si arma di pazienza (come detto può protrarsi per anche 10 giorni) e si adatta la terapia farmacologica ai vari sintomi per tosse secca o grassa, mal di testa (che di solito ricalca l’andamento della febbre come detto), bruciori di gola, nausea e sporadicamente diarrea.
E’ una MALEDETTA influenza virale, per la quale non sempre basta curarsi bene e riposare, ma la maggior parte delle volte, per fortuna, si.
Il principio cardine della terapia di questo benedetto CORONAVIRUS lo sapete benissimo qual’è: se non volete rischiare una roulette russa (come detto, può capitare a chiunque di essere intubati) EVITATE il contagio.
Ricordate che le mascherine servono a chi è malato per un semplice motivo: o usate anche degli occhiali protettivi oppure il virus può entrare tranquillamente attraverso la congiuntiva.
E’ per quello che si dice che le mascherine servono prima di tutto ai malati: chi ce l’ha infatti (il virus) non può starnutire dagli occhi….
E poi, per favore, ho visto persone usare le mascherine in un modo per il quale diventa assolutamente controproducente averle: toccandosele, abbassandosele, rialzandole, muovendole con le mani non si fa altro che AUMENTARE la possibilità di auto inocularsi il virus che si era messo bello tranquillo sulla mascherina in attesa della vostra spalmata sulla faccia.
Le mascherine sono USA E GETTA.
E’ (anche) per questo motivo che lo sono (oltre per la perdita del potere filtrante).
Gli operatori sanitari sanno come usarle: con doppio guanto, occhiali di protezione e cambiandosele ALMENO ogni giorno.
Le nostre mascherine in Farmacia sono il SANTO PLEXIGLAS, L’ALCOL DENATURATO SUL BANCONE per disinfettare,i GUANTI E LE MANI DISIDRATATE da quante volte le laviamo.
Vi prego, se lo riterrete utile, di condividere questo post, anche con un semplice copia-incolla, sulle vostre pagine e sui vostri profili.
Spero possa aiutare tutti coloro che ancora non ci sono dentro fino al collo come noi qui".
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uds · 5 years
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il mostro
(sistemando vecchi indrizzi mail -non fatelo, mai- ho trovato un racconto breve di una decina di anni fa che avevo completamente rimosso dalla mia memoria credo dai tempi in cui ancora il non plus ultra della comunicazione sociale era msn messenger, non so neanche se lo avessi mai messo qua o da altre parti in precedenza; comunque sia, lo incollo qua sotto)
Guidare annoiati è come essere all’inferno, con la differenza che se non altro all’inferno non devi stare attento alla strada.
Non sono mai riuscito ad ascoltare dischi interi in auto, già dopo tre o quattro canzoni di fila perdo la pazienza e comincio a rovistare nel cruscotto per scegliere il prossimo cd masterizzato da maledire venti minuti dopo. Ho bisogno di parole, discorsi, chiacchiere per non impazzire, specie quando mancano ancora centosettanta chilometri ed entrambe le corsie sono bloccate dalla geniale idea del camionista che fa gli ottantasette all’ora di superare quello che si tiene, più prudentemente, sugli ottantasei. Il problema è che sembra che questo venerdì pomeriggio tutto l’etere si sia messo d’accordo per trasmettere soltanto irritazione, e quando la punta del tuo indice diventa un calco del pulsante per mandare avanti la frequenza capisci che forse è ora di spegnere tutto e lasciare che a non farti pensare sia il fischio di sottofondo del motore lasciato andare a troppi giri.
L’asfalto scivola sotto la carrozzeria a centoventi all’ora, per poi esser sputato fuori dallo specchietto retrovisore. Ancora un’ora e un quarto buona di strada. Quella storia che a volte ti penti di non aver mai iniziato a fumare giusto perché almeno avresti qualcosa da fare in momenti come questo.
“Tutto bene, no?” chiedo, senza staccare gli occhi dalla A4, tentando la conversazione come misura estrema prima di arrendermi al tramonto sulla Pianura Padana. A passare troppo tempo in mezzo a un paesaggio del genere cominci a credere che al centro del Sistema Solare non ci sia una stella, ma che tutto giri intorno ad una complicata costellazione di capannoni. E troppo tempo è stato più o meno tre uscite fa.
Il mostro mi guarda con la sua solita faccia beata dal sedile del passeggero, senza confermare né smentire. Sta lì, come al solito. Lascia penzolare le gambette sopra il tappetino e si gode il viaggio con gli occhi socchiusi e le labbra incurvate nella sua posa pigramente soddisfatta.
Sospiro, dichiarando ufficialmente la mia resa alla noia grigioverde che assedia i finestrini. “Metti almeno la cintura.”
Non si muove di un millimetro, nemmeno per annuire. Non avendo il collo, è qualcosa che gli si può perdonare, suppongo. Rimane lì a fissarmi nel suo colore radioattivo da fumetto, le mani appoggiate sull’addome, le dita incrociate.
Non che mi aspettassi davvero una risposta, sia chiaro. Non sono pazzo. Beh, non attualmente. Magari il giorno in cui inizierà a rispondere sarà il caso di farsi qualche domanda, ma al momento posso dirmi sufficientemente sicuro che non sia nulla più di un semplice gioco tra me e me o, se preferite il finto gergo da psicanalista dei telefilm, un costrutto della mia mente. Un costrutto neanche troppo originale, a dire il vero, dato che è praticamente Slimer, quello dei vecchi cartoni dei Ghostbusters, con in più un paio di gambette rachitiche. Quella storia che la televisione ha distrutto la fantasia alla mia generazione.
Non ha nemmeno un nome (o, meglio, non ha un nome pronunciabile nella nostra lingua, dato che arriva da un’altra dimensione)(sì, sto scherzando). Semplicemente, c’è sempre stato, sin da quando ero bambino. A nove anni non riuscivo a dormire per paura di un compito in classe, lui rimaneva imbambolato a fissarmi dalla sedia dove mia madre mi preparava i vestiti per il giorno dopo. A diciotto, con l’orale della maturità a tre giorni di distanza, continuavo a rileggere la stessa frase un migliaio di volte dimenticandola ancora prima di arrivare al punto, e lui era appollaiato sulla scrivania che ondeggiava leggermente al ritmo dei miei vaffanculo. Durante la tesi ha praticamente vissuto sulla tastiera del mio computer, e non era facile spiegare ai miei che, se non ero riuscito a scrivere nemmeno una riga in sei ore, era perché c’era una creatura inesistente che si rifiutava di togliersi dai tasti.
(Scrivevo un messaggio per dirle buonanotte, ti amo, lei rispondeva soltanto notte e lui era dietro la mia spalla destra per avere una visuale ottimale del display del cellulare. Che già era un casino giocare decentemente a Snake 2 con qualcuno che mi guardava, figuriamoci accettare che stava andando tutto a puttane.)
È tutta una questione di che parte del tuo corpo è stata scelta dal destino per somatizzare e tormentarti, almeno fino al momento in cui gli acciacchi si distribuiranno uniformemente in tutto il tuo organismo e sarai pronto per essere uno di quegli anziani che rendono le giornate in sala d’attesa dal dottore la cosa più prossima all’infinito che un essere umano possa sperimentare in questa vita. C’è chi l’ansia, la preoccupazione, quel senso di totale e completo oh, cazzo li sente nello stomaco, chi nelle meningi, chi nell’intestino, chi nei nervi.
Io me li sento nell’immaginazione. Un metro e qualcosa di bozzi, sorriso e rotoli di ciccia alieni. A volte mi chiedo perché qualcosa del genere mi succeda solo con le cose brutte, perché non possa avere una presenza costante che mi segnali che stanno per arrivare momenti migliori. Quella storia che uno è destinato a venir su pessimista.
Ancora adesso, quando ho una presentazione importante il giorno dopo è a lato dello schermo del portatile che si gode le mie bestemmie a Power Point. Se esco di casa in ritardo lo trovo già steso sul corrimano delle scale per non perdersi il probabile spettacolo di me che inciampo e finisco a rotolare per due o tre rampe.
E ora è qui, accanto a me, perché sa benissimo che domani
Eh.
Poi c’è il casello, poi ci sono solo provinciali, comunali, vialetto, saluti.
A cena mio padre risolve l’indovinello finale del programma di rai uno, e quello più o meno è il momento più eccitante di tutta la faccenda. Mi fanno le solite domande su come sta andando, stando bene attenti a non scendere troppo nei dettagli. Confeziono le risposte con cura per non creare nessun tipo di preoccupazione, e li osservo mentre le assorbono con un certo sollievo e un cucchiaio di piselli in più, lieti di poter passare ad altro. Essere cresciuto in una famiglia in cui la comunicazione interpersonale è considerata un disagevole equivoco rappresenta un vantaggio non indifferente, a volte.
Dico ai miei che no, non credo di uscire. Sono stanco per il viaggio, vado a letto presto che tanto vedo tutti domani. Uno, due, tre sms per ripeterlo agli altri, rimbalzare le insistenze. Sì, sono sicuro. Grazie lo stesso, davvero. Ciao.
Il mostro si guarda intorno sul letto, seduto sopra il pigiama ben piegato che mi aspetta sul cuscino. Erano mesi che non vedeva camera mia, e ora rotea gli occhietti su ogni angolo, superficie e poster di questi dieci metri quadri scarsi, come quando vai a votare alle tue vecchie scuole elementari e cerchi di raccattare i ricordi di quei tempi da ogni piastrella.
“Bravo. Se te gà da ‘fondar, se no altro che sia dentro l’oceano.” Era successo che ci eravamo lasciati. Non l’avevo presa bene. Non l’avevo presa in nessuna maniera, in realtà. Avevo smesso di voler pensare e la soluzione più immediata era stata concentrarmi sugli ultimi esami che mi mancavano prima della  laurea. Credo che per qualche mese studiare sia l’unica cosa che abbia fatto con regolarità maniacale, al contrario di altre attività secondarie come l’uscire con gli amici, il radermi, il lavarmi o, non so, il parlare. Avevo scoperto che, da un certo numero di pagine al giorno in poi, le formule diventano una specie di mantra che ti occupa la testa durante il giorno e ti stanca quel che ti basta per affrontare la notte. Arriva un certo punto in cui addirittura credi di averla superata.
La prima volta che l’avevo rivista avevo finto di dover telefonare ed ero tornato a casa a vomitare anche l’anima, col mostro che lasciava penzolare le gambe a cavallo del bidet. Quella storia che a pensare positivo sei sempre due passi indietro rispetto a dove credevi di essere.
Dopo un paio di colloqui in cui avevo simulato con successo una certa voglia di responsabilità, mi avevano offerto un lavoro a Milano. Sette provincie e tre ore e mezza di auto più in là. Sembrava una buona idea. Quando l’avevo detto a mia nonna lei mi aveva abbracciato e risposto così, nel nostro dialetto fatto apposta per odorare di terra e parlare di sbagli.
Bravo. Se devi affondare, se non altro che sia dentro l’oceano.
Convinta di aver un nipote ambizioso, deciso a farsi un nome in una città grande duecento volte la nostra. O, forse, abbastanza esperta di mostri per avere il buon cuore di fingere che fosse così.
(Il sonno che non arriva fino alle quattro. Alzarsi con il mal di testa, mia madre che mi porta un succo alla pesca per colazione, con la cannuccia infilata già dentro, come non fossero passati più di vent’anni. Vestirsi e sentire la giacca tirare sotto le braccia, a livello dell’anima.)
“Mi spiace che tu non sia riuscito a venire all’addio al celibato”, mi dice Marco stringendo leggermente la mano sulla mia spalla sinistra. “Anche a me, gli altri mi hanno raccontato come è andata e mi sono mangiato le mani. È che al lavoro in questo periodo è un casino, è già tanto se son riuscito a prendermi questi due giorni”, mento. Prova a chiedermi qualcos’altro, ma viene afferrato per il gomito dal testimone e portato in chiesa perché, senza nemmeno qualche tradizionale minuto di ritardo, sta arrivando la sposa. Resto fermo sul sagrato, superato da amici e conoscenti che mi lanciano domande e bonari rimproveri in serie, come una catena di montaggio di convenzioni sociali che è inevitabile attraversare quando è un sacco che non ti fai sentire, è un sacco che non ti fai vedere, è un sacco che non ti trovo su Facebook. Lavoro. Impegni. Scuse improvvisate che migliorano e si arricchiscono di dettagli ad ogni nuovo giro. Ancora, e ancora. Finché, finalmente, arriva l’auto della sposa, che lascia scendere con una certa fatica un abito ingombrante dentro al quale si muove solenne un fascio di sorrisi tirati, lacca e trucco attraverso il quale riconosco Anna. La portiera si richiude svariati secondi dopo, lasciando srotolare con calma i commenti delle invitate e lo strascico bianco. Applausi mentre attraversa il sagrato, i tacchi che sopravvivono con qualche difficoltà ai cubetti di porfido. Qualcuno con l’occhio già lucido. Luca che progetta una maniera per saltare la celebrazione, cercando in giro un bar adatto e gli invitati giusti a cui scroccare minuti e sigarette. Sto per seguire la massa attraverso il portone quando vedo il mostro alla fine dello strascico, che si lascia trascinare come fosse Trinità. Non ho bisogno di chiedermi perché sia lì. Alzo lo sguardo sopra la sua espressione ridicolmente beota e la vedo in coda tra gli invitati, parlare con un’amica mentre scende gli scalini del duomo, ridere. Sembra felice. Sembra lei. Nonostante la capigliatura troppo elaborata, tutto quel trucco di cui non avrebbe bisogno, un vestito che è un incarto di caramella che le lascia libere le spalle. Quelle spalle. Quel neo. Non sono pronto. Cazzo, non sono pronto.
Corro dietro a Luca, che mi circonda le spalle con il suo braccio destro mentre acceleriamo il passo verso il bar. Magari entro a cerimonia già iniziata, ecco.
(Essere seduti a tavoli diversi, finire occhi negli occhi per qualche secondo di imbarazzo infinito. Alzare una mano, provare un’espressione gentile ma riuscire solo in una smorfia poco convinta, per nulla efficace. Non aver pensato a cosa dirle, non aver pensato a cosa potrebbe volermi dire lei. Non volerci pensare tutt’ora. Qualcuno che si azzarda a chiedermi se l’ho più sentita, se sto bene, se mi vedo con qualcuna e un altro miliardo di se che dribblo come posso. Mai stato un gran calciatore. Andare a salutare qualcuno al suo tavolo e far finta di niente. Girare lo sguardo un attimo troppo tardi quando si alza e attraversa il mio campo visivo. Capire che se n’è accorta. Guardare l’orologio. Controllare il cellulare ogni sei minuti netti, pregando in una telefonata di lavoro il sabato pomeriggio.)
Il mostro si gode beato antipasti, primi e secondi gentilmente offerti dal mio sistema nervoso.
Nel giardino sul retro del ristorante ci sono due altalene e più suv di quanto la media nazionale potrebbe far pensare. Mi siedo sulla tavoletta di plastica nera e ondeggio leggermente, la fronte imperlata di sudore appoggiata a una delle due catenelle di sostegno, a elemosinare quel po’ di frescura che pochi centimetri di metallo possono regalare. Dentro c’è troppo movimento, troppo alcol, troppo casino, e i principi della termodinamica non perdonano. Sotto i portici, lontano da me, invitati che chiacchierano, fumano, si scattano fotografie. Il musicista ben pagato per intrattenere gli invitati si prende una pausa davanti alla fontana all’ingresso. Tra poco qualcuno comincerà a ringraziare gli sposi, rassicurandoli sul fatto che è stato tutto perfetto, e si avvierà verso casa a smaltire la giornata. Sull’altalena accanto il mostro si gode la brezza e le poche stelle che le luci dei lampioni ci concedono. Chissà da quanto era qui fuori ad aspettarmi. Alzo la mano verso di lui, reggendo un bicchiere immaginario, e propongo un brindisi. “A noi due, vecchio. Ce l’abbiamo quasi fatta anche stasera.”
“Parli da solo, ora?”
La voce le esce meno sicura e sarcastica di quanto vorrebbe, la conosco ancora troppo bene per non accorgermene, ma il cuore salta un battito lo stesso. Il fatto che io non riesca a pensare a una risposta più intelligente di “ciao” conferma, come se ce ne fosse bisogno, chi sarà sempre nella posizione di vantaggio tra noi due.
Si avvicina senza fretta. Una ciocca di capelli fuori posto che le balla davanti a ogni piccolo movimento del capo, accarezzandole le labbra. Quelle labbra. Neanche tutto il rossetto del mondo potrebbe renderle diverse da quelle che ho imparato a memoria. Un altro passo ed è a cinque metri. I nostri sedici anni. Ancora un passo e siamo ai diciassette, al nostro primo bacio. Avanti veloce, correre attraverso i ricordi dei diciotto, diciannove, venti fino a rallentare all’altezza dei ventitré, ventiquattro, venticinque. La scarpa destra che affonda leggermente nell’erba ben tosata. Fermarsi con una pugnalata in mezzo al petto ai ventisei. Le nostre domeniche pomeriggio. Le nostre voci sotto le coperte. I nostri progetti, Cristo santo. I sabati sera promessi agli altri e poi tenuti solo per noi. Scegliere i nomi da dare ai figli che avremmo avuto, un giorno. Il suo basta. Fingere che fosse anche il mio basta. L’ultimo passo. Non riuscire ancora a far passare dell’aria sensata tra le corde vocali.
Ora è a portata di far male, e ancora non so dove vuole arrivare. Ci sono i suoi occhi e c’è tutto il resto che un po’ alla volta diventa soltanto una macchia sfocata. Giardino. Auto. Invitati. Voci. Il mostro le cede l’altalena al mio fianco -vai a fidarti degli amici- e si allontana tranquillo verso la confusione. Alla fine allora riesce a camminarci, su quelle gambe. Lei si sistema per quella che sembra una vita intera. Inspira profondamente e chiude gli occhi, poi lascia andare in un colpo solo l’aria e mi guarda in un modo che ho paura di riconoscere. Non sorride, ma la conosco troppo bene per non sapere che sta morendo dalla voglia di farlo.
Perfino i grilli adesso rimangono in silenzio. Siamo solo io, lei e tutto l’oceano di ricordi, scazzi, convinzioni fatte a pezzi e foto scattate mille volte per esser sicuri che vengano bene che c’è stato tra di noi.    
Se dobbiamo affondare, se non altro.
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paoloxl · 6 years
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Il principale problema dell’educazione sessuale è forse quello di non essere pienamente compresa da tutti. La causa dell’incomprensione sta poi a sua volta nel non aver ricevuto una seria educazione sessuale. È un po’ un circolo vizioso ma tant’è; di fatto si sconta la propria carenza culturale, dovuta all’esser cresciuti in una società ancora intrisa di bigottismo, che considerava il sesso un tabù e la masturbazione una pratica da depravati, e la si riversa in parte nelle nuove generazioni. Con tutte le buone intenzioni, ci mancherebbe, ma con il risultato di privarle di una formazione utile e al passo con i tempi.
materia di studio obbligatoria nelle scuole. L’Italia ovviamente non è tra questi
Al passo anche con il resto del mondo, a dirla tutta, perché è ovviamente vero che a livello globale siamo parecchio avanti, ma il nostro modello di riferimento dovrebbe essere ristretto alle nazioni occidentali. In particolare a quelle dell’UE, che dovrebbero esserci più affini. E qui paghiamo drammaticamente pegno; infatti, secondo un rapporto di qualche anno fa, su ben 17 dei 24 Paesi analizzati l’educazione sessuale è materia di studio obbligatoria nelle scuole. L’Italia ovviamente non è tra questi, a farle compagnia ci sono Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia, Romania e il Regno Unito, ma in quest’ultimo la faccenda è in evoluzione.
Probabilmente anche in quelle nazioni ci saranno state a suo tempo delle diffidenze verso i programmi di educazione sessuale, ma è evidente che le istituzioni hanno saputo orientare l’opinione della gente e, quando necessario, hanno esercitato il loro diritto/dovere di compiere le scelte migliori per la collettività. In Italia questo non è avvenuto. La classe politica si è finora infischiata di ciò che è meglio per i nostri figli e per noi, e allo stesso tempo i cittadini non sono ancora del tutto coscienti che l’ambito dell’educazione sessuale non è limitato al comportamento sessuale e alla procreazione. Non è insomma una mera questione di coito e derivati, ma contempla soprattutto gli aspetti sociologici, psicologici, etici e giuridici della sessualità e delle relazioni affettive. Comprende anche una corretta informazione sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, il tutto nell’ottica di limitare i fenomeni di bullismo a sfondo sessuale, come del resto raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
E qui casca l’asino. Già, perché proprio questi temi sono sempre stati contestati da vari gruppi reazionari, generalmente riconducibili ad ambienti religiosi cattolici e non solo, in quanto ritenuti incompatibili con i loro precetti morali. Contestati spesso in maniera anche molto aspra e con il sostegno dei media cattolici, come nel caso degli opuscoli realizzati dall’Unar, ente governativo — di cui fa parte anche l’Uaar — nato per promuovere il contrasto alle discriminazioni, contro i quali fu scatenata a suo tempo una vera e propria guerra santa. Contestati ricorrendo alla diffusione di bufale montate ad arte, come quella sulla fantomatica “ideologia gender” secondo la quale parlare di identità di genere equivale a istigare i maschi a diventare femmine e viceversa, pure a giorni alterni. Come se a parlare di verdure si facessero diventare vegetariani tutti gli ascoltatori. E se si è arrivati al punto che perfino una dirigente scolastica ha deciso di scrivere alle famiglie per avvalorare ulteriormente queste bufale, e che un sindaco come Brugnaro ha preso l’iniziativa di stilare un elenco di libri proibiti da mettere al bando, si ha la misura di quanto realmente grottesca sia la situazione.
Il risultato è che, nonostante del problema se ne parli costantemente, e nonostante di tanto in tanto emerga qualche timida e parziale proposta, talvolta a livello anche solo locale, le scuole di fatto si arrangiano. Cenni di educazione sessuale vengono impartiti all’interno di altre materie, tipicamente nelle scienze e con il supporto di psicologi, almeno fintanto che nessun genitore protesta. Di fatto, quindi, la presenza o meno di questo insegnamento dipende dal tipo della scuola e dei suoi utenti. Dalle istituzioni non solo arrivano pochi incoraggiamenti, ma arrivano piuttosto veri e propri paletti, spesso agitando lo spauracchio dell’attentato alla famiglia tradizionale messa a repentaglio dal declino morale della società. Famiglia che molte volte viene impropriamente definita “naturale” quando di famiglie ve ne sono di diversi tipi, dalle monoparentali alle omogenitoriali fino alle allargate, ma nessuna di esse è un fenomeno naturale. Semmai sociologico.
regole per una educazione sessuale “cattolicamente corretta”
La novità è che adesso da parte cattolica si sta cercando di cambiare registro. Non più contrasto aperto all’introduzione di qualunque educazione sessuale con un minimo di fondamento scientifico, al semplice scopo di mantenere l’aderenza dell’insegnamento pubblico alla morale religiosa. Non più semplici nozioni di educazione antisessuale, oltre che antigay e antiatea, all’interno dei testi di religione cattolica. Visto che diventa difficile ignorare le crescenti richieste di una società che non vuole perdere troppo terreno sia verso le nazioni più evolute che verso le generazioni future, perché non proporsi in positivo e dettare le regole per una educazione sessuale “cattolicamente corretta”? Così allo stesso tempo ci si rifà pure il trucco in chiave più moderna, il che non guasta mai.
Alcuni progetti sono disponibili da tempo, altri stanno man mano nascendo e leggendo anche solo le descrizioni si capisce chiaramente dove si vuole andare a parare. Ecco alcuni esempi: Una storia unica di Saverio Sgroi, che include tra i pericoli la pornografia, l’omosessualità, il gender (ovviamente) e la promiscuità; La Luna nel Pozzo, realizzato da un’associazione che promuove la contraccezione naturale; Teen Star è un progetto internazionale che in Italia collabora con l’Università Cattolica; Io Tarzan, tu Jane di Massimo Scarmagnani non lascia nulla al dubbio fin dal nome; RispettiAMOci è un progetto del Forum delle associazioni familiari dell’Umbria, articolazione del Forum nazionale di spiccato orientamento cattolico e a tutela della famiglia tradizionale; Pioneer di Marco Scicchitano si basa a sua volta su Nati per essere liberi di Tonino Cantelmi, corso dichiaratamente “no-gender” (sic). Questi sono solo alcuni dei progetti. Ve ne sono diversi altri tutti con lo stesso comune denominatore: si dichiara di fare educazione sessuale ma a prevalere ampiamente è un’educazione affettiva secondo i canoni e su base prescrittiva ed eteronormativa, fondata sulla reiterazione mortificante e anacronistica di pregiudizi e stereotipi di genere in linea con il catechismo.
Serve spiegare loro quello che vedono in rete, che sentono dagli amici
È chiaro che un insegnamento di questo tipo va respinto categoricamente perché, contrariamente alle intenzioni dichiarate, è puro indottrinamento ideologico. Ai bambini e ai ragazzi non serve qualcuno che gli presenti il mondo che vorrebbe, incentrato unicamente sul modello familiare tradizionale padre/madre/prole, che predichi l’astinenza sessuale fuori dal matrimonio e che respinga la contraccezione. Serve qualcuno che gli insegni come interagire nel mondo reale, non in quello evangelico. Serve spiegare loro quello che vedono in rete, che sentono dagli amici. Non serve convincerli a non interessarsene perché tanto per cominciare non lo faranno, e poi perché così facendo li si allontana, li si spinge nuovamente verso il tam tam degli amici degli amici, verso una sessualità non pienamente consapevole, verso gravidanze indesiderate, verso l’intolleranza nei confronti di chi ha orientamenti e identità diverse. O da parte di chi discrimina chi ha orientamenti e identità diverse.
I costi sociali di un’informazione inadeguata potrebbero essere perfino maggiori di quelli causati dalla mancanza di informazioni; tanto varrebbe allora continuare come fatto finora. E invece no, bisogna fare qualcosa. Qualcosa di buono però. Di utile. Non dannoso almeno.
Massimo Maiurana
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mcl-luce · 6 years
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DF - All’ Università Ep 6 Guida
- Risultato negativo / Risultato neutro + Risultato positivo / o +  Significa che il mio Lov’o’metro con quel personaggio è al massimo, ciò vuol dire che il risultato può essere sia neutro che positivo.
Punti Azione: 900 - 1.000 massimo
Illustrazioni: 5 in totale, una per ogni ragazzo. E’ possibile prendere 1 sola illustrazione. Per ogni illustrazione serve il colpo di fulmine. Nathaniel: Per la sua illustrazione, consiglio di rispondere negativamente a Castiel non ottenendo la sua immagine. Solo così potrete ottenere l’illustrazione di Nath.
La zia: Compare nella cucina del bar, appena a inizio episodio,dopo aver messo l’allarme.
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Soldi: - 125 $ completino foglie: Rayan/Priya - 125 $ jeans strappati: Castiel/Nath - 125 $ gonna: Hyun
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~ Il gioco riparte con la scoperta di Hyun.
Hyun: A. Cosa ci fai qui? Non sei più ammalato? - B. Non è come pensi! - Rayan C. Stai bene? +
A. Ma qualcun altro mi ha aiutata. - B. Sono riuscita a farcela grazie all’aiuto del professor Zaidi. / C. Devo dire che non è facile. Non so come fai tu da solo per la chiusura del bar, ci vuole un sacco di tempo. /
A. E’ uno dei miei professori, non ha fatto niente di male. - B. Mi sta simpatico, è uno dei miei migliori professori. + C. E perché? /
Se scegliete C A. Non lo siamo, è solo il mio prof. + B. Sei…geloso? –
A. Dici sul serio? Non ne hai proprio la minima idea? + B. Non fa niente, ho deciso di non farci caso. /
Se scegliete A A. Però non riesco a credere che tu non te ne sia mai reso conto… B. D’altra parte, la capisco… +
A. Pare proprio che ti manchino. + B. Ahahah, che carini. / C. Mi fai pensare al fatto che la mia, di famiglia, non l’ho ancora chiamata per dare mie notizie… -
A. Non vedo perché dovrei incontrarli… - B. Sarei davvero felice di conoscere la tua famiglia! + C. Sembrano simpatici, è vero. /
A. Quello che conta è l’intenzione. - B. Se tu potessi non dire in giro che il professore Zaidi è venuto qui, mi faresti un piacere… - C. E’ servito a rimetterti in forma, guarda, non sembri davvero più ammalato. /
Se scegliete C A. Magari dovresti tenermi sul tuo comodino a portata di mano, non si sa mai. + B. La prossima volta non andare dal dottore, vieni direttamente da me. /
~ Tornate in camera per dormire.
Yeleen: A. E’ gentile da parte tua, ma… avrei potuto farlo, sai. / B. In genere non mi piace che qualcuno tocchi le mie cose. Grazie lo stesso. - C. Grazie, è davvero gentile da parte tua. +
A. Ehm, buongiorno. / B. No, ma non ti preoccupare, metto in ordine stasera. - C. Non ho avuto tempo. -
Chani: A. No te lo giuro, ha persino pulito la mia scrivania dicendomi che le faceva piacere. / B. Non lo so, dopo tutto me lo sarò sognato! +
A. Mi mandi in panico con la tua tesi. / B L’urbex è una buona idea, potrebbe essere originale! / C. Mi spaventa l’idea che tu vada a visitare dei luoghi abbandonati da sola… potrebbe essere pericoloso. +
A. O essere inseguita da uno psicopatico con un’ascia in mano. / o + B. Uhm, il tesoro inestimabile, devo dire non sarebbe male. Non mi dispiacerebbe abbandonare il posto di lavoro al bar e andare in vacanza nei Caraibi. /
Se scegliete B A. Non lo so… non mi ci vedo con una gamba di legno e una benda sull’ occhio. + B. Direi che avevo ambizioni di questo tipo quando avevo sei anni. -
Rosa: A. Ma certo, io e Chani stavamo andando in mensa, vieni con noi, parleremo lì. / Chani e rosa B. Vuoi che andiamo al parco io e te? - Chani e / Rosa C. Uhm… va bene, Chani, mi dispiace, ci ritroviamo dopo a lezione. /
A. Cominci a spaventarmi. / B. Ci sarà qualcosa da mangiare? Perché dopo devo tornare a lezione! + C. Sai, Chani non dice niente a nessuno… puoi avere fiducia in lei. E’ diventata una vera amica. /
A. Perché tieni assolutamente a che nessuno ci senta? - B. Aspettiamolo. Non dovrebbe tardare. +
~ Andate alla boutique, dove troverete una sorpresa.
Leigh: A. Leigh!! / B. Leigh!! Finalmente! Rosalya mi parla sempre di te, ma non siamo mai riusciti ad incontrarci finora! /
A. Ho saputo per i tuoi genitori… mi dispiace. / B. (Meglio non accennare alla morte dei suoi genitori, preferisco parlare di qualcosa di più allegro.) +
Se scegliete B.
Rosa: A. Davvero Rosa? Sei sicura che non è perché sei la ragazza del proprietario, e che hai i vestiti a metà prezzo? + B. E’ vero. Adoro le tenute che ci sono qui. /
Priya: A. Ma credo che Rosalya voleva parlare con me e Alexy da soli… / B. Cosa gli è preso all’improvviso? +
Rosa: A. Alexy, credo che Rosa volesse parlare a noi due soli, senza gente intorno… + Priya B. Rosa, diglielo. /
A. Rosa, comincio a preoccuparmi, di solito non ti dà fastidio parlare di fronte a Priya. + B. Ok allora, cerchiamo di vederci dopo? /
A. (Ho preso qualche tenuta, in particolare una gonna con le bretelle e una borsetta bianca) (Illustrazione Hyun) B. ( Ho preso qualche tenuta, in particolare una saloupette corta con una paio di scarpe rosse che erano in vetrina.) (Illustrazione Priya/Rayan) C. ( Ho preso qualche tenuta, in particolare un paio di jeans e una giacca kaki che ho trovato molto carina.)  (Illustrazione Nath/Cas)
~ Tornate al campus.
Rosa: A. Ed è grazie a questo che ho potuto ritrovarti, è stata la decisione giusta. + B. E dove sareste andate se foste partiti? /
Alexy: A. Cosa stai cercando di dirmi esattamente? / B. Stai parlando di me e del professor Zaidi? / Alexy e - Priya C. Stai parlando di Melody? / Se scegliete C A. No, no, davvero non è niente. B. Ho solo sorpreso una conversazione che non avrei dovuto ascoltare tra Melody e… il professor Zaidi. - Priya
A. (Devo avere al più presto una piccola discussione con Hyun.) - Priya (lascerete tutti per andare a parlare con Hyun) B. Cosa vi ha detto esattamente? / (continuerete la conversazione, verso illustrazione Priya)
Se scegliete B.
Priya: A. No, è solo un professore. (Verso illustrazione Priya.) B. Non lo so. –
Se scegliete A. A. (Ho ripensato al nostro professore di storia dell’arte al liceo.) E’ che mi fa pensare a Pierrick. / B. No. Non avrei mai potuto. - C. Ammetti che è piuttosto sexy. (Illustrazione)
Se scegliete B. A. Cosa? / B. C’è qualcosa che non va, Priya? -
~ Tornate al campus da sola.
Hyun: A. (Ho scritto: “Hai tempo in giornata? Dobbiamo parlare.”) / B. (Ho scritto: “Hai detto a Alex e Morgan che c’era qualcosa tra me e il mio prof. di Storia dell’arte?!”) -
Chani: A. Ma va… non abbiamo avuto un attimo di pace. + B. scusa di nuovo per prima. /
A. Va bene, come vuoi. Sii prudente per favore. - B. Sei sicura che non vieni? Le lezioni finiscono più in fretta quando sono con te. / C. Va bene, a dopo!
~ Andate in biblioteca. Nath: A. Cosa ci fai qui? - B. Vieni all’università?! /
A. Vai a quel paese, Nath! - B. (Mi sono limitata a guardarlo col sopracciglio alzato aspettando la fine della frase.) /
Ambra: A. Non lo riconosco più! / B. So che è tuo fratello, ma… si è comportato come un ragazzino maleducato. +
A. Ha a che vedere con quello che è successo dopo il concerto dei Crowstorm? Stai meglio? / B. In che senso, “prenderti più cura di te”? / C. Non riesco ancora a capire perché vuole “lasciare” l’università. Mi sembrava molto portato per gli studi prima. /
A. Però ti confesso che la prima volta che ti ho vista, ho avuto uno shock. B. Insomma… se mi avessero detto al liceo che un giorno avremmo potuto parlare senza crisi di nervi, non ci avrei creduto. + C. Tu in particolare. /
A. (Sono rimasta senza parole.) + B. (E’ più forte di me, mi sono gettata su di lei per abbracciarla.) / C. E’ un po’ comodo… -
~ L’arrivo di Castiel.
A. (Sono ridicole, preferisco andarmene verso i dormitori. Vado a ritrovare Hyun, come previsto.) - Castiel B. (Ho proprio voglia di farmi strada tra tutte le sue groupie per andare a salutare Castiel.) + Castiel (verso illustrazione)
Se scegliete B. Castiel: A. Uff? come se non ti facesse piacere… - B. Non dev’essere sempre facile suscitare un tumulto ogni volta che vai da qualche parte. + (verso illustrazione) C. Allora sei di ritorno all’università? /
A. E’ vero che non è molto piacevole…/ B. Potrei farci l’abitudine. + (illustrazione)
~ Andate ad incontrare Hyun.
Hyun: A. Allora a quanto pare, io e il professoer Zaidi pomiciamo in mezzo alla strada? B. Cosa hai detto a Alexy e Morgan? - C. Pensavo che avessimo parlato insieme di quello che era successo, noi due, e che le cose fossero chiare… +
A. Perché averne parlato a Alexy e Morgan? - B. E cosa ti diceva la tua intuizione? + (verso illustrazione) C. Sono forse affari tuoi?
A. Perché tieni tanto a saperlo? / B. Mi piace, certo… Come professore! + (illustrazione) C. Forse. C’è qualcosa di male? –
Mamma Yeleen: A. Le chiedo scusa signora, la giacca è mia, e a dir la verità, sono io la più disordinata delle due. È Yeleen che si è data da fare per rimettere in ordine la camera oggi. + yeleen B. (Sono rimasta in silenzio facendo finta di immergermi di nuovo nella lettura.) - Yeleen A. Mi scusi signorina, ma… Yeleen ha ragione. + yeleen B. Volete che vi lasci sole? C. (Ho fissato di nuovo il libro senza rispondere.)
Se scegliete A Yeleen: A. Stai bene? Vuoi un bicchiere d’acqua? B. Mi dispiace, avrei dovuto star zitta… +
A. E tuo padre, che ne pensa? + B. Dai, vieni, altrimenti arriviamo in ritardo a lezione.
~ Andate a lezione.
Rayan: A. La lezione è stata annullata? / B. E’ stato licenziato? /
Se scegliete A A. E non c’è posto a sufficienza nelle altre aule? E’ la nostra lezione che deve saltare? + B. Oh, capisco.
A. Ha fatto bene ad annullare la lezione se non si sentiva in condizione di farla. / B. Non dev’essere stato facile decidere di annullare la lezione. + C. Capisco il rettore. -
A. Potremmo approfittarne per cercare di conoscerci meglio. + (verso illustrazione) B. Posso farle una domanda sull’ultima lezione? / C. Me ne vado, non voglio disturbarla.
Se scegliete A A. E lei? Perché ha deciso di insegnare questa materia? + (verso illustrazione) B. Cosa ha fatto prima di venire ad insegnare all’università Anteros? / C. Le sue camicie sono tutte aperte in questo modo? - A. E lei? / B. Spero che stia meglio. + (verso illustrazione) A. No, per niente. - B. Hyun era solo sorpreso di vedermi così tardi con un professore. (Verso illustrazione)
Se scegliete B A. D’accordo, ma non c’è ragione. Stavamo solo parlando. B. Ha ragione a farsi delle domande? (illustrazione)
A. Va bene, a domani. / B. Mi dispiace di aver approfittato del suo tempo. - C. Peccato, mi sarebbe piaciuto andare a lezione adesso. +
~Tornate in camera.
Nath:
A. (Sono andata a aprire la porta.) / B. (Ho chiesto con un tono deciso.) Chi è? / (verso illustrazione)
Se scegliete B A. Non lo so… dato il tuo comportamento di prima a lezione, preferisco che ti prendano per un cretino davanti alla porta. +  (verso illustrazione) B. (Ho aperto tirando un sospiro.)
Se scegliete A A. Sono esausta perché uno stupido mi ha stancata durante la lezione di oggi. + B. E’ vero, lavoro alla tesi.
A. Tutto qui? È tutto quello che hai da dire? B. Perché ti sei comportato così? +  (verso illustrazione)
A. Perché ti dà così fastidio per Ambra? - B. Perché non decidi di tornare all’università, allora? +  (verso illustrazione) C. Non ti riconosco più… a lezione eri così rispettoso…
A. Pare che preferisci le feste studentesche ai corsi. /  (verso illustrazione) B. Ogni volta sei con una ragazza diversa. - C. Sei spesso coinvolto in risse. /
A. Non ho mai avuto l’intenzione di evitarti. /  (illustrazione) B. Non so ancora cosa pensarne… / C. Hai fatto di tutto per spingermi ad evitarti e adesso mi dici di pensarci prima di farlo? /
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giotanner · 6 years
Note
Non per polemizzare, ma ammettiamo che Ermal, pur usando pubblicamente parole diverse, meno esplicite, di quelle usate da Venditti, consciamente o inconsciamente potesse vedere in lui una figura paterna...Dove starebbe il problema? Qui nessuno sta infantilizzando Ermal. Perché dici che lui non vorrebbe vedere Venditti in quel modo...? È chiaro che a un certo punto magari ne hanno parlato... Se poi pensi di saperlo meglio di loro due stessi...Fai un po' tu??
Buon dio… appena ‘scrivo leggermente di meno’ fraintendete immediatamente, gente.
Il tuo intento, partiamo da questo presupposto, È POLEMICO. Perché testualmente riporto, hai scritto: “Se poi pensi di saperlo meglio di loro due stessi…Fai un po’ tu??” Ma ci passerò sopra in favore di una risposta civile.
Dove hai letto che ho detto che qualcuno stia infantilizzando Ermal? Dove hai letto proprio dove io ho scritto ‘se una persona a trentasette anni cerca il padre è infantile’?
Ho dato il mio punto di vista soggettivo da persona razionale su un uomo vicino ai quaranta che si è sempre considerato forte e non si è mai fatto scivolare sugli allori per cui il definire ‘figura paterna’ sarebbe strano, perché proprio non la considera come figura di riferimento ecco. Quindi non la cerca. Bensì una figura da mentore, modello da seguire, figura a cui ispirarsi, compagno di musica, amico di lunga esperienza e confidente sì.
Presuppongo questo perché io ho ventitré anni e molti qui sia su Tumblr che su Twitter hanno la mia stessa età e a chi dice ‘capisco Ermal anch’io cerco da sempre la mia figura paterna che mi manca’ è perché siamo giovani. Ma ad un quasi quarantenne che ha sofferto, ma non si crogiola nel suo dolore, bensì è diventato un vincente (ha una personalità forte e orgogliosa ricordiamolo. Sì, è sensibile, ma ha anche la scorza dura altrimenti non sarebbe arrivato dove è arrivato) si circonda di affetti che non gli ricordano una mancanza. Così si fa “per esperienza”, si accumula un altro tipo di figure, ma non paterna. 
Poi a conti fatti ‘è paterna’. Certo. E infatti non ho nulla contro Venditti che è molto sciallo e magari da parte sua si vede come un padre con un figlio-in-musica (Ermal) che gli chiede e si confida e per cui, scherzandoci su, ha detto ‘sono un pessimo padre, ma un ottimo amico’.
Ecco d’altra parte puoi chiamarlo rapporto ‘padre-figlio’, ma anche ‘mentore-pupillo’, ‘maestro-allievo’. Non cambia molto sai, solo il nome.
E dunque l’unica cosa su cui sindacavo non era che c’è vergogna o infantilismo, nulla di tutto ciò, bensì che per un uomo che scrive “Zio Natale (Babbo mi farebbe strano)” vede la figura di Venditti come un modello positivo e anche se inconsciamente forse è una figura paterna, per lui è solo una figura autorevole che però non rischierebbe di dire ‘è come un secondo papà per me/il papà che non ho mai avuto”. Just this.
Non sentitevi attaccati, neh.
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manu-per-te · 2 years
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Ci siamo mai soffermarti sul *dolore*?
Ne esistono diversi tipi e di diverse origini.
Il dolore è sofferenza; e la sofferenza cos'è?
Anche per questa ho una personale opinione...
Sciocchezze, per lo più.
Quand'è che soffriamo?
La provenienza del dolore purtroppo non è specifica e, in quanto tale, passiamo la vita a proteggerci cercando di soffrire il minimo sindacale; per esempio: quando ci facciamo male; tipo da piccoli, quando correndo cadiamo e ci sbucciamo un ginocchio allora i genitori, per quelli fortunati, corrono a baciarti il ginocchio e magicamente tutto va meglio.
Soffriamo quando una persona ci dice cose che ci feriscono; "Sei solo un egoista" "Non capisci niente" "Sei una persona che vorrei non aver mai incontrato" ecc. Qui si soffre nel cuore ma, con un pizzico di fortuna, troviamo qualcuno capace di lenire la sofferenza e farci riflettere e pensiamo, magari: "Ao, ma o sai che c'è? Machittesencula?".
Soffriamo quando un amico ci delude, quando tradiscono la nostra fiducia. Ma andiamo avanti.
Perché siamo persone, e possiamo solo andare avanti... Dobbiamo...
Ma quand'è che il dolore diventa insopportabile?
Personalmente credo che il dolore non sia mai una cosa brutta, se gestito nel modo giusto, ma ho dovuto riempire oceani di lacrime prima di capirlo; dicevo il dolore è molto forte quando perdiamo un pezzo del nostro cuore.
Com'è possibile?
Quando una persona amata decide di uscire dalla nostra vita; quando una persona che amiamo termina il suo tempo sulla terra. Però, parlare di persone, e reattivo; avete mai perso un cane?
Io sì.
Per i più disparati motivi.
Perché ero piccolo e non potevo decidere e decise qualcun altro per me, dando via il mio Polpettone.
Perché ero piccolo e non capivo che Palletta non stava andando a casa di un amico e che non era vero che avrei potuto vederlo quando volevo.
Perché, anche da grande, non sono stato capace di guarire Hayra che soffriva per l'eruzione delle sue cisti, in questo caso il dolore se l'è portata via, e ancora mi angoscia pensare a quanto abbia sofferto.
Ho sofferto tanto quando, quella mattina del 24 dicembre del 2020 alle 10:30 ho ricevuto la chiamata che mi informava che Shayla se n'era andata.
Perché quella mattina, alle 5, l'ho vista dormire dopo giorni che non riusciva a farlo. Perché le mancava l'aria, respirava a fatica e quella mattina, quella brutta mattina, mi sono detto "Non la toccare, non carezzarla; sta riposando. Lasciala riposare."
Io non lo sapevo che sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei vista, altrimenti magari l'avrei abbracciata... Magari. Magari no... Non lo so; so che ho sofferto da morire e che c'ho messo tanto per perdonarmi.
Per assere stato ingenuo, per essere stato superficiale, per essere stato troppo positivo.
Ho convissuto con il dolore per tante cose, da mio padre a mia madre.
Ai tradimenti delle mie "fidanzate" a quelli dei "migliori amici".
Fino a quando ho capito una cosa importantissima.
Il dolore non è mio nemico.
Sembra strano, lo so, ma il dolore mi ha sempre e solo aiutato solo che io non lo capivo e lo rifiutavo. Mi arrabbiavo così tanto che smettevo di pensare qualla cosa che mi faceva male.
Che stupido.
Capite? Per non soffrire ero disposto a dimenticare; amici, amori, parenti, animali... Se ci penso mi prenderei a sberle.
Invece il dolore ti aiuta, se lo accetti, se lo accogli, ti guida, ti permette di vedere il mondo, la vita, nella giusta prospettiva.
Il dolore, paradossalmente, ti ama così tanto che se glielo permetti diventa un compagno inestimabile. Perché, quando riesci ad accettarlo e studiarlo, dopo e ci vuole tanto coraggio e pazienza, dopo si trasforma. Come una crisalide che poi diventa farfalla. E sapete cosa diventa?
*Amore*
Puro e incondizionato.
Inizia il tuo percorso verso la consapevolezza ed il perdono, per te prima di tutto, e poi per il modo. E quando maturi questo concetto la tua vita cambia e, magicamente, quel ricordo non fa più male ma, anzi, scalda il cuore. Il dolore trasforma la tua vita e allora tu, se lo accetti, puoi trasformarlo in amore.
E quando questi succede è un evento quasi magico.
Tutto questo solo per dire che dobbiamo imparare a soffrire perché solo quando soffri impari a riconoscere la felicità e il dolore è un fido alleato che è lì per te e non contro di te.
Non respingere il dolore e vedrei che i tuoi ricordi, come per magia, improvvisamente diverranno fonte di grande felicità...
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Episodio 2 - Dolce Flirt Horror Story: Asylum [Parte II]
Mie care ragazze, rieccomi con la seconda parte di questa recensione (che recensione non è hahahah) che sembrava non arrivasse mai... E non sarebbe sicuramente stato possibile farla senza il preziosissimo aiuto della carissima @nekousagii che si è prestata da cavia e mi ha fornito gli screen che utilizzerò in questo post (visto che sono povera in canna e non riuscirò a finire questo benedetto episodio prima di fine giugno di questo passo). Grazie di nuovo per la pazienza (362 screen sono un suicidio çwç) e la gentilezza <3 <3
Quindi, senza perdere tempo, iniziamo ricapitolando dove eravamo rimasti. Dopo essere usciti dalla mensa, la Dolcetta e Rosa si dirigono verso l’aula. Rosa non si è affatto dimenticata che siamo single, e spero che ci organizzi qualche appuntamento al buio nei prossimi episodi perché non ho intenzione di aspettare 28 episodi prima di un bacio questa volta.
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Mentre noi suggeriamo a Rosa un cambio di carriera a favore di un’agenzia matrimoniale, ecco che appare per magia una nostra vecchia conoscenza, la nemesi liceale della nostra Dolcetta, la Barbie di merda.
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Ed ebbene sì, eccoci davanti Ambra che: 1. Sembra avere la spalla destra lussata per qualche motivo 2. Ma com’è che tutti i personaggi femminili hanno subito un magico aumento delle tette in questi 4 anni e Ambra invece sembra averle perse? 3. E’ dimagrita almeno di una quindicina di chili, guardate che braccia ha... Sembra me! x’’D Mi stupisco che sia riuscita a trovare dei braccialetti che non le cascano, tutti quelli che provo io volano via... Svelami i tuoi segreti!
Ad ogni modo, Ambra ormai fa la modella e sembra essere molto cambiata, non solo per l’aspetto fisico... E’ diventata simpatica. E io già sento che finirò per amarla.
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(Quel MaiNaggioia è sempre bellissimo da vedere)
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La nostra amicona Rosa sembra divertirsi molto mentre la Dolcetta sta letteralmente avendo un attacco di cuore. Daje, c’è veramente bisogno di fare tutto questo casino perché hai visto una ex compagna stronza? Ma insomma che drama queen.
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Rosa ci diagnostica la schizofrenia e non ha tutti i torti, anzi. Lo dicevo io che questo è un manicomio, è tutta un’allegoria non capite??
Ad ogni modo, il discorso cade sul nostro incontro con Nath, così raccontiamo a Rosa del nostro tentato stupro. 
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Da quanto ci rivela Rosa, Nath ha una pessima reputazione in giro, addirittura di molestatore. Ah ma allora avevo ragione io che questo fa lo spacciatore! C’è andata benissimo, se mai dovessimo scocciarci dell’università, possiamo sempre chiedere a Nath di farci entrare nel giro. Ma vuoi vedere che spacciava già al liceo? Non mi spiego la vita di lusso nel suo appartamentino privato altrimenti, perché non ci credo che il padre dal gabbio gli mandasse assegni di milioni. Pls Nathaniel.
Chiudendo questa assurda parentesi, è tempo di tornare a lezione per la nostra Dolcetta. Le aspetta un noiosissimo corso di architettura che non ha voglia di seguire, probabilmente solo perché il prof che lo tiene è vecchio e ha la pelle di un essere vivente, non di un cadavere in decomposizione. E così ci perdiamo nelle nostre turbe erotiche su Rayan, che se Melody venisse a saperlo, ci ammazzerebbe. Cooomunque, scopriamo che a Chani invece questo corso piace tantissimo. Chani mi piace, ha un po’ di cervello. 
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Ah, i riferimenti al metal. La amo.
Ma proseguiamo con il nostro cammino, entrando nello studentato incontriamo sexy Priya che comincia a farci i complimenti e a fare facce da tossicodipendente. Sarà cliente di Nath?
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Anche lei ha trovato la mai na gioia, consoliamoci ragazze.
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Priya be like: “MA KE BUONA CUESTA DOLCE DROCA”
Il nostro incontro con Priya, purtroppo, dura troppo poco e siamo costrette a tornare in stanza dove incontriamo Yeleen che già inizia a lamentarsi.
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SI, E’ ESATTAMENTE LA FACCIA DI UNA MAINAGGIOIA!!
Ma sorvoliamo, i nostri genitori ci hanno mandato delle coperte per il letto, così da evitarci di dormire tra i germi studenteschi. Bisogna fare attenzione ai pidocchi di Yeleen, potrebbero attaccarci la rabbia.
Dopo questo intenso scambio di battute, ci rechiamo a firmare il contratto di lavoro al Cosy bear café, perché noi siamo lavoratrici che pagano le tasse e vogliamo anche conoscere i nostri diritti.
Ad accoglierci c’è Hyun, non so se interpretare in modo positivo o meno lo sguardo con cui ci accoglie. Pure lui è matto.
Però non importa, perché ha fatto una “citazione” a Star Wars e io lo perdono e continuo ad amarlo :’)
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Ma è tempo di avvisare Clementina del nostro arrivo.
E’ ARRIVATA MAINAGGIOIA!
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A Clementina però non interessa un tubo se non che Hyun la chiami per nome. Questa se non l’ha già fatto, gli butta le manacce addosso alla prima occasione. My poor baby.
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Sentite, PICCOLO HYUN no per favore. Questo gioco sta prendendo una piega veramente inquietante. Certo che lo tratta “meglio”, lo vuole legare al letto di casa sua. Mamma mia che orrore...
Lasciamo perdere e dopo aver firmato il contratto, salutiamo Hyun che deve aver preso la stessa roba di Priya a giudicare dalla sua espressione.
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E’ ora di pranzo, ma soprattutto l’ora del disagio, quindi bisogna dirigersi in sala mensa insieme a Chani. Dopo essersi seduta in compagnia della sua amica, la Dolcetta vede un’ombra molto sospetta alle sue spalle. Tappa le chiappe subito Dolcé prima che sia troppo tardi!!!
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Ed ecco il professor Zaidi che viene sempre di dietro Il professor Zaidi a quanto pare ha deciso di passare la sua pausa pranzo seduto tra delle ragazze che avranno una decina di anni in meno di lui. E tra tutte le studentesse che ci stanno si siede appiccicatissimo alla nostra Dolcetta. Nessuno si fa due domande?
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Sì certo, lo sappiamo tutti che tipo di conoscenza delle tue studentesse vuoi fare Rayan. Con quello sguardo sei proprio poco credibile. Questo sta ingrifato come i conigli, ha aspettato tutta l’estate per l’arrivo delle giovincelle che piacciono a lui. Ma va tutto bene, pure la nostra Dolcetta è combinata veramente male in fatto di sesso, quindi si possono capire.
Il povero Rayan sperava di riuscire a fare delle proposte sconce, ma invece Chani inizia a blaterare sull’architettura finché non lo fa scappare via (e forse è meglio così hahahaha)
Dopo questo incontro del terzo tipo ci aspetta una noiosissima lezione del corso facoltativo che vi risparmio perché è veramente inutile.
Fast forward, decidiamo di fare un salto in palestra e chi troviamo se non Kim che si è bombata di steroidi! A quanto pare è diventata coach della suddetta palestra, contenta lei... Anche se non la vedevo così interessata allo sport al liceo, ma vabbé. Se prima la amavo ora mi mette un po’ ansia sinceramente, sarà che se ci dovesse tirare un ceffone, con quei muscoli ci sfonderebbe il setto nasale x’D
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Dopo averci illustrato dove trovare i servizi essenziali e cosa fare, Kim ci lascia sudare in pace. Ma proprio mentre ci stiamo dando da fare, sentiamo un rumore sospetto provenire dalle nostre spalle. E no, questa volta non è Rayan che ci vuole ingroppare, bensì *Rullo di tamburi* Nathaniel che prende a pugni un sacco da boxe!
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Eh la Madona che muscoli, che pettorali! Ste robe non si vedono nemmeno nella WWE tra poco. Tra l’altro ho l’impressione che abbia il braccio sinistro pompatissimo in confronto al sinistro che è secco X’’D
Nath ci informa che fa boxe dai tempi del liceo “per rilasciare lo stress”, che tradotto nella nostra lingua significa “per fare finta che il sacco sia mio padre così che io possa ammazzarlo porca puttaJHGAK”
Sentite puzza di rabbia repressa? Andiamo bene. 
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La discussione continua, e guardate lo sguardo da psicopatico che ha. Ma qualcuno lo accompagni al reparto psichiatrico di Dolce City... Chissà se avranno demolito l’ospedale per costruirci il campus.
Noi cerchiamo di ringraziare Nath per averci “salvate” durante l’episodio precedente, ma lui non è contento se non fa l’acido stronzo.
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SENTI c’avrai i muscoli e le bende alle mani, ma se te do un calcio dove dico io te faccio cantare l’opera.
Prima che la Dolcetta possa minacciare di morte il biondino trasgry, cambiamo discorso e scopriamo che vive sempre nel suo solito appartamento con la sua gatta.
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Oh ma che carino, è diventato persino più simpatico di Castiel, ce ne voleva proprio!
Ma proprio mentre stiamo amabilmente conversando con questo tesoro di ragazzo, ecco che si palesa Kim... E da come questi due interagiscono, pare che la gatta di Nath non sia l’unica “pussy” con cui ha a che fare  ( ͡° ͜ʖ ͡°)
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Sembra che questi due siano scopamici, ma sarà sicuramente un malinteso che dovremo sorbirci nei prossimi episodi e blablabla, monologhi interiori, pa che volano... La solita storia insomma.
E mentre pensiamo al concerto di Castiel che avrà luogo tra qualche giorno, l’episodio termina.
E finalmente posso dire qualcosa in merito a questi due episodi.
Mio Dio che stress questi dialoghi. E’ la prima cosa che mi viene in mente, sono davvero troppi e spesso diventano estremamente noiosi. Io non so cosa combineranno nei prossimi episodi, ma spero che non aumentino il numero di monologhi della Dolcetta perché potrei morire. 
I primi due episodi sono sempre piuttosto “vuoti” però, è normale così perché siamo agli inizi. Il problema qui è che qualcosa succede nel primo episodio, ed è la tentata aggressione. Ora, io qui ci scherzo su, però è una tematica molto delicata che, come sempre, viene liquidata come se si trattasse di una cazzata. E questa cosa mette un po’ a disagio. Lo stessissimo disagio si respira anche nelle scene in cui Clementina parla in modo strano al mio povero Hyun (ti salvo io bae), e quando Rayan si comporta in modo ambiguo con la Dolcetta. E’ “strano”, a tratti fastidioso secondo me. Siamo appena partiti e già si percepisce un’aria che non va tanto bene. Tralasciando che veramente tutti i personaggi sono schizzati e non se ne salva nemmeno mezzo. 
Un’altra cosa che mi mette seriamente a disagio sono le animazioni. Sinceramente le trovo terribili nella maggior parte dei casi: il movimento dei corpi che oscilla manco se stessero per cadere, il movimento dei petti nella fase di respirazione che è un palese allargamento dell’immagine, e poi GLI OCCHI DELL’INCUBO. Io questi me li sogno la notte mamma mia. Non so voi, ma non ce la faccio proprio a tenere attive queste animazioni. E sinceramente mi chiedo se era davvero necessario introdurle? Forse avrebbero potuto occuparsi un po’ meglio di altre questioni tra cui il sistema dei punti azione e magari aggiungerle in un altro momento (non dico proprio di toglierle perché so che a molte piacciono, de gustibus).
Un punto di merito per la grafica degli sfondi che sono decisamente migliorati, e anche le illustrazioni sono piuttosto carine fino ad ora. Speriamo che continuino ad esserlo però hahahaah
Non mi soffermo ulteriormente sul fatto che il gioco sia diventato quasi completamente una visual novel con pochissimi movimenti perché mi sono lamentata abbastanza xD
Tra l’altro nel prossimo episodio si prevede la prima apparizione del nuovo Castiel, e lì chissà quante altre perle di disagio troveremo. Riusciremo a capire che relazione c’è tra Yeleen e Castiel? E Kim e Nathaniel saranno davvero scopamici? Lo scopriremo solo vivendo.
Nel frattempo io vi invito come sempre a inondarmi di ask con le vostre teorie/opinioni.
E con ciò, ringrazio nuovamente @nekousagii che mi ha prestato la sua fantastica “MaiNaggioia” e vi do appuntamento alla prossima recensione.
Sempre che riesca ad arrivare all’episodio 3 x’D
Un saluto da Dotty!
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giancarlonicoli · 3 years
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30 apr 2021 10:09
“OGNI 17 MAGGIO ALLE NOVE E UN QUARTO, IO GUARDO L' ORA E DICO ‘ECCO, ADESSO’” - MARIO CALABRESI INTERVISTA LA MADRE, GEMMA CAPRA: “GLI ARRESTI DI PARIGI SONO UN FULMINE A CIEL SERENO. CERTO, AVREBBE AVUTO UN ALTRO SENSO PER LA NOSTRA FAMIGLIA SE FOSSE ACCADUTO UNA VENTINA DI ANNI FA. OGGI IO SONO DIVERSA, HO FATTO UN MIO CAMMINO, MA CREDO CHE ANCHE LORO NON SIANO PIÙ GLI STESSI. E TRA L' ALTRO SONO ANZIANI E MALATI. NON MI SENTO NÉ DI GIOIRE NÉ DI INVEIRE CONTRO DI LORO. TUTTAVIA, PENSO CHE, DA UN PUNTO DI VISTA STORICO, QUELLO CHE È SUCCESSO SIA VERAMENTE FONDAMENTALE” – IL PODCAST
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1 - LA MEMORIA HA LE GAMBE
Da “Altre/Storie” di Mario Calabresi
Negli anni, ogni volta che mia madre ha voluto parlarci di qualcosa di delicato o che le stava particolarmente a cuore, ci ha offerto un caffè al tavolo rotondo della sua cucina. Poteva capitare a uno solo di noi fratelli, i suoi figli, ma anche che ci convocasse tutti insieme. In quest’ultimo caso significava che il messaggio era davvero importante. Potrei chiamare quei caffè “gli insegnamenti della cucina”.
Negli ultimi tempi ho pensato che avrei voluto fare una cosa strana: intervistarla. Non è cosa usuale un figlio che intervista sua madre, ma mi sono convinto che quei dialoghi della cucina meritassero di essere raccolti e condivisi.
Perché non hanno valore soltanto privato, sono riflessioni sul senso della giustizia, sulla memoria, sul tempo che passa e ci chiede di essere capaci di lasciare andare, sull’importanza di avere uno sguardo positivo sulle cose. Così, non senza difficoltà, l’ho convinta a registrare un podcast, che pensavo potesse uscire intorno al 17 maggio, quarantanovesimo anniversario dell’omicidio di mio padre.
Poi, mercoledì mattina, la notizia dell’arresto in Francia di quel gruppo di ex terroristi condannati per reati di sangue, che a Parigi avevano trovato da decenni accoglienza e coperture, mi ha spinto a concludere il nostro dialogo, che potete ascoltare qui, partendo proprio dall’attualità e ad anticiparne l’uscita pensando che le sue parole potessero essere una risposta – la sua risposta- ai tanti sentimenti che questo arresto ha smosso tra le persone.
Abbiamo parlato del valore della giustizia, anche quando arriva in grande ritardo, della verità storica, ma soprattutto di come si fanno i conti con qualcosa che continua a visitare i sogni, anche dopo mezzo secolo. Per mia madre, Gemma Capra, la vita ha preso una nuova strada dopo la morte di mio padre, e una ancora diversa dopo la pubblicazione del suo necrologio. Ecco alcuni passaggi del nostro incontro, questa volta non davanti a un caffè, ma a due microfoni.
Mario: «Hai detto che la memoria cammina, ha le gambe. E partiamo da quel necrologio particolare che apparve sul Corriere della Sera. Che cosa diceva?».
Gemma: «Il necrologio erano le ultime parole di Gesù sulla croce e cioè “Padre, perdona loro” rivolgendosi ai suoi assassini “perché non sanno quello che fanno”.
Ecco, io in quel momento non sarei riuscita a scegliere una frase del genere e quindi l’ha scelta per mia mamma, tua nonna, che era una donna di grande fede. Io però, quando lei me l’ha proposta, l’ho accettata molto volentieri, pensando che era giunto il momento di spezzare questa catena di odio, di rancore e di violenza, con una frase d’amore. E quindi ho accettato di scriverla».
Mario: «L’hai accettata ma poi tu come hai vissuto quei primi anni? Io ero così piccolo che mi ricordo solo i dettagli, tu che piangevi con la testa tra le mani alla scrivania, noi che andavamo per la strada e c’erano i fotografi che ci inseguivano».
Gemma: «È stato un periodo veramente difficile, molto difficile. Siamo andati ad abitare a casa dei nonni e avevamo comunque tanto affetto, l’affetto dei miei fratelli, le mie sorelle, l’affetto delle persone care e quindi riuscivamo comunque anche a ridere. Questo sì, io me lo ricordo. Ecco, si viveva. Se tu ti ricordi, io ho scelto da subito di farvi vivere non nel rancore e nell’odio.
Poi io mi sono messa a insegnare religione alla scuola elementare e devo dire che, insegnando ai bambini, che sono una cosa meravigliosa, spontanei, avevo la sensazione quasi di tradirli. Perché quando io spiegavo il Vangelo o parlavamo dell’amicizia, del rispetto, del perdono, io poi avevo la sensazione a volte di tradirli. Io gli insegno il perdono ma io in realtà assolutamente non ho perdonato perché tu scopri che il perdono non lo dai con la testa, con l’intelligenza, lo dai solo col cuore e quindi non puoi prenderti in giro. O sei sicuro o niente da fare insomma».
Mario: «Pensi di essere arrivata dove volevi arrivare?».
Gemma: «Penso di sì. Ho dei momenti ancora magari difficili. Però io volevo arrivare a pregare per loro e io riesco a farlo. Ogni giorno nelle mie preghiere, io prego perché loro abbiano la pace nel cuore. Questa cosa mi dà pace, mi dà serenità, mi dà anche gioia e io ci tengo a dire che il perdono non è una debolezza. Voglio dirti che il perdono è una forza, ti fa volare alto».
Mario: «Tu hai avuto il coraggio, non senza alcune critiche, di risposarti, di darci un padre, che è stato un passo fondamentale, così è arrivato Tonino, Tonino Milite, che era un tuo collega di scuola, maestro di scuola elementare, pittore e poeta. Si può ben dire che ci hai fatto un gran regalo perché per quanto tu facessi, non è che fossimo bambini allegri».
Gemma: «No, le foto tue poi… Gli altri forse già di più, ma le foto tue erano proprio di un bambino triste».
Mario: «E invece Tonino ha colorato le nostre vite. Ci ha fatto ridere ci ha fatto fare la lotta, ci ha ridato anche quello che significa un padre, con tutto quello che ne consegue. Anche gli scontri. Io ricordo nella mia adolescenza scontri epici con Tonino. Però la storia di Gigi ha continuato a essere in te in un certo senso tutti i giorni. Come hai fatto a gestire le due cose? Come ha fatto Tonino?».
Gemma: «Tonino è stato veramente generoso perché lui ha abbracciato la nostra causa. Per cui ci ha seguito nei processi, ci ha aiutato quando dovevamo fare qualche intervista, ci è stato veramente vicino e quindi è stato importantissimo per noi.
Ci siamo sentiti anche appoggiati e poi lui ha portato una ventata di giovinezza, anche se giovani eravamo, e ha tolto quel senso di cupo dalla nostra casa, vi ha fatto ridere, ha inventato un sacco di giochi, è stato importante. Io, ovviamente ho continuato a essere la signora Calabresi, anche quando ero con lui e dicevo Milite. Ricordo un giorno, quando mi presentarono come la signora Calabresi, e quando venne il suo turno lui disse: “Io sono il fantasma”».
Un passaggio fondamentale del suo racconto sono gli incontri con Licia, la vedova di Giuseppe Pinelli, avvenuti a Roma e a Milano, l’ultimo grazie al presidente Mattarella nel giorno del cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana.
Gemma: «Ci siamo salutate, ci siamo prima date la mano, ci siamo guardate e poi dopo ci siamo abbracciate e io l’ho fatto con tanto amore. Ho pensato che anche in quella casa, un giorno, il papà non è più rientrato e che quindi quel dolore lì ci accomunava. Ecco perché potevamo… Anche se due vite diverse, ecco perché potevamo abbracciarci, capirci. E la vedova Pinelli mi ha detto “Peccato non averlo fatto prima” una frase bellissima.
Poi ho incontrato le figlie a volte nella Giornata della Memoria e ultimamente, proprio vicino a casa mia, in bicicletta, ho incontrato una delle figlie. Non potevamo abbracciarci, perché avevamo le mascherine, però ci siamo salutate con molto affetto».
Alla fine della registrazione del nostro podcast, mia madre si è accorta che nello studio c’era una batteria, allora ha cominciato a muovere le mani nell’aria come se stesse suonando, così ho scoperto che a 17 anni, con il suo primo stipendio, andò da Ricordi a Milano e comprò una batteria. La regalò a suo padre. La suonavano insieme la sera accompagnando i dischi, soprattutto quelli del suo gruppo preferito: i Beatles. Non ce lo aveva mai raccontato.
2 - "CARO FIGLIO, SONO IN PACE HO SCELTO IL PERDONO MA ORA SPERO NELLA VERITÀ"
Estratto dell’articolo di Mario Calabresi per "la Repubblica"
(…) Mario : Ti avevo chiesto di fare questa intervista per l' anniversario del 17 maggio, volevo ragionare con te su questo mezzo secolo, su tutto ciò che ci hai insegnato e sul percorso di pacificazione che ti sta a cuore. Adesso però la cronaca è tornata prepotentemente nelle nostre vite. A Parigi è stato arrestato Giorgio Pietrostefani, insieme ad altri condannati per terrorismo. E allora non posso che partire da lì e chiederti qual è la prima sensazione che hai avuto quando hai sentito la notizia?
Gemma : Un fulmine a ciel sereno, una cosa che non mi aspettavo più.
Mario : Ma che sentimento prevale in te in questo momento?
Gemma : Molteplici sono i sentimenti. Prima di tutto un chiaro e forte segno di giustizia e anche di democrazia. Certo, avrebbe avuto un altro senso per la nostra famiglia se fosse accaduto una ventina di anni fa. Tuttavia, penso che, da un punto di vista storico, quello che è successo sia veramente fondamentale.
Mario : Credo anche io che con questo gesto sia stata finalmente sanata una ferita tra l' Italia e la Francia, una ferita che era aperta da troppo tempo. Anche perché la dottrina Mitterrand non è stata sconfessata da Macron con questi arresti, ma finalmente interpretata correttamente. Perché il presidente francese aveva previsto l' accoglienza e l' asilo in Francia per chi lasciava l' Italia, ma non per chi si era macchiato le mani di sangue. E quindi oggi questo è stato ribadito.
Gemma : È per questo che dico che è un segno di democrazia, perché la Francia, che ha ospitato e tutelato degli assassini per troppi anni, oggi finalmente riconosce e accetta le sentenze dei tribunali italiani. Ricordo che durante il processo di revisione a Mestre tuo fratello Paolo mi disse: "Guarda bene Pietrostefani perché da domani non lo vedrai più". Era chiaro a tutti che sarebbe scappato in Francia.
Mario : Però hai detto che dentro di te ci sono molteplici sentimenti. Il primo è un senso di giustizia. Cos' altro senti, cos' altro provi?
Gemma : Oggi io sono diversa, ho fatto un mio cammino, ma credo che anche loro non siano più gli stessi. E tra l' altro sono anziani e malati.
Mario : Cosa significa per te questo?
Gemma : Che oggi non mi sento né di gioire né di inveire contro di loro, assolutamente.
Mario : Ti aspetti qualcosa adesso?
Gemma : Non voglio illudermi ma penso che sarebbe il momento giusto per restituire un po' di verità. Sarebbe importante che a questo punto delle loro vite trovassero finalmente un po' di coraggio per darci quei tasselli mancanti al puzzle. Io ho fatto il mio cammino e li ho perdonati e sono in pace. Adesso sarebbe il loro turno.
Mario : Come hai fatto a fare questo cammino?
Gemma : Io ho scelto da subito di farvi vivere non nel rancore e nell' odio, ma ho fatto il possibile per darvi la gioia di vivere e di credere ancora nell' umanità, nell' uomo e nelle persone, nonostante tutto.
Mario : Avevi 25 anni e vedevi l' uomo che amavi e che consideravi una persona per bene, che non c' entrava nulla con le accuse che gli venivano mosse, che subisce questa campagna di linciaggio, le minacce, le scritte sui muri, le lettere minatorie. Poi viene ammazzato sotto casa. Come facevi ad avere ancora fiducia negli esseri umani?
Gemma: Io non l' ho mai persa, devo dire la verità. Perché quelle persone lì non rappresentavano l' umanità, non rappresentavano l' Italia. Io ho ricevuto centinaia e centinaia di lettere di solidarietà, lettere di affetto, io non mi sentivo sola.
Per me la minoranza erano quelli che avevano deciso di ucciderlo, erano quelli che per un' ideologia sbagliata hanno costruito a tavolino un mostro al quale non corrispondeva assolutamente Gigi.
Mario: Incredibile la solidarietà che ho visto. Quasi cinquant' anni dopo la gente ti ferma ancora al mercato.
Gemma: Sì, è bello. Mi ha aiutato a vivere questo. Io dico sempre "Non ce l' ho fatta, ce l' abbiamo fatta". Perché io ce l' ho fatta grazie a tutte le persone che mi vogliono bene, ancora oggi.
(…)
Mario: Ma torniamo a te, quante volte ti viene in mente quel giorno di 49 anni fa?
Gemma: Ci sono dei periodi che mi viene in mente spessissimo. Ho dei sogni ricorrenti. Sogno che lui viene ucciso. Per esempio, l' ultimo: siamo al ristorante e si sente tipo un boato in lontananza e io dico "è una bomba, scappiamo" e lui dice "ma no, ma stai tranquilla, aspetta".
Poi, a un certo punto, io so che sono fuori, all' aperto, come se fossi scappata e c' è un altro boato forte, una bomba che distrugge tutto e lui muore. Oppure noi scappiamo, siamo rincorsi, però già sappiamo che lui non ce la farà. Non so, c' è questa sensazione nel sogno. Ecco, questo non mi ha mai abbandonato, poi magari per dei mesi non lo sogno e poi ritorna.
Mario: E c' è lui? Te lo ricordi bene?
Gemma: Sì sì sì, c' è lui. Lo rivedo. Lui è giovane, è questo il guaio. Però nel sogno sono giovane anch' io.
Mario: cosa ti sta più a cuore oggi?
Gemma: Voglio lasciare a voi una testimonianza positiva della vita. Io vi dico una cosa: senz' altro è stata una vita pesante, ma sapete che non la cambierei? Perché è stata una vita intensa, ricca e piena di affetti, di amore, di gente che mi vuole bene. Eh, se io guardo gli altri, no, non mi cambierei. Qualche volta mi viene un po' di rabbia quando vedo le persone anziane ancora insieme per mano, allora lì ho un attimo di debolezza, ma è bene così, è bella così. La mia vita comunque è stata bella.
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agapeurquhart · 4 years
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      📽️  𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐯𝐞
          𝗋𝖺𝗏𝖾𝗇𝖼𝗅𝖺𝗐 𝗀𝗂𝗋𝗅𝗌' 𝖽𝗈𝗋𝗆𝗂𝗍𝗈𝗋𝗒
          𝖽𝖾𝖼𝖾𝗆𝖻𝖾𝗋 𝟣𝟩, 𝟤𝟢𝟤𝟤
          #𝖽𝖺𝗇𝗀𝖾𝗋𝗈𝗎𝗌𝗁𝗉𝗋𝗉𝗀 
 
                 ⤸
 
 È risaputo che Agape Urquhart non fosse propriamente di buon umore, il giorno in cui ha sostenuto le selezioni per la squadra di Quidditch della scuola, ma ciò che non si sa è che, quella sera, non desiderasse altro che passare del tempo con Edward. E lui l'ha accontentata, in effetti, e si è persino prestato a leggere i tarocchi con lei, conscio di quanto quest'attività la rilassi.  Adesso sta ripassando mentalmente le poche nozioni che conosce, ad esempio, e per concentrarsi di più si sfila la maglia e la indossa come fosse un turbante; Agape, nel frattempo, stava recuperando la scatola di legno decorata da eleganti incisioni decorate, ma quando alza lo sguardo e lo vede scoppia, inevitabilmente, a ridere.  « Ehi! Sto cercando di entrare nella parte, rispettami. »  « Scusami, non volevo denigrare il tuo operato. Chiedo umilmente perdono, gran maestro. » si accomoda sul letto di fronte a lui a gambe incrociate, poggia la scatola tra di loro.  « Chiamami pure Ed il McMagnifico, grazie. »  « Il McMagnifico. » ripete, divertita. Nel frattempo, Edward le fa l'occhiolino e si allunga per prendere le carte. « Mescolale con attenzione. »  « Va bene. »  « Fai assorbire loro il potere delle pietre che sono nella scatola. »  « Seguirò alla lettera le tue istruzioni. »  « No, le mie istruzioni finiscono qui. Voglio vedere come te la cavi! »  « Sono solo l'umile braccio della tua mente ─ Ah. »  « L'altro giorno mi dicevano che tu hai bisogno di novità. »  Edward mescola con cura le carte, ma, mentre esegue questa semplice azione, gli cade la maglietta sul viso. « Davvero? » non si scompone: la indossa come fosse il velo di una suora e riprende.  « Adesso chi sei? McMisericordia? »  Il ragazzo non le risponde e mette su un'espressione mistica. « La priiiiima carta! » la posa tra loro a faccia in giù.  Agape si mette le unghie in bocca pur senza mordicchiarle, gli occhi fissi sul "piano" di lavoro.  « È il giullare? »  « È il giuuullare. »  « Il giullare, come è noto, indica feste. Baldoria, banchetti. »  « I tarocchi sanno del ballo! »  « Sto andando bene quindi? »  « Mh-mh, ogni interpretazione è accettabile. » Edward posa altre due carte sempre coperte al di sotto della prima. « Io non interverrò, te l'ho detto! »  « Mi hai messo a faticare, altroché. » le scopre ma prendendole dalla metà della lunghezza. « Una rosa e una donna bionda. »  « Come la burrobirra! »  « La donna bionda non voleva significare un'amica? »  Si stringe nelle spalle, la corvonero. « Sei tu il cartomante, principe. »  « Un'amica ti porterà belle notizie. Ho deciso così, andiamo avanti. »  « Anche se la rosa ha le spine? »  « Mh. Buone notizie che però nascondono insidie? »  « Potrebbero nascondere insidie, sì. »  « Ma non cose gravi, perché la donna è un simbolo positivo. »  « Chissà che cosa potrebbe essere. »  Il tassorosso sistema un'altra carta sopra la prima. « Questa devi girarla tu, il mazzo mi dice così. »  « Ma poi la contamino! »  « È per te. Chi siamo noi per contrastare il volere delle carte? »  « Mh. » si prepara, la tocca ma aspetta qualche istante prima di girarla. Anche Edward è molto preso, tanto da chinarsi per vedere meglio. « L'imperatore! Come lo collochiamo? »  « L'imperatore ─ » ripete, fa una smorfia e si tira indietro. Rimette persino la maglietta, non fermandosi mai dallo scuotere la testa.  « Non ti convince? »  « Ha una faccia cattiva, non trovi? Però forse è come prima, bene e male insieme. »  Agape mette un gomito puntellato sul ginocchio e si regge la testa, lo sguardo basso sulle carte.   « A che cosa pensi? »  « Che voglio crescere e che voglio una liquirizia. »  « Su questo posso accontentarti. Ti piacciono le mou? » recupera i jeans, lasciati poco lontani da loro, e fruga nelle tasche.  « L'imperatore mi ha fatto pensare a papà. » confessa, annuendo e porgendogli la mano che, nell'attesa di riempirla con una caramella, Edward colma con la sua. « Ho questa sensazione che mi dice che c'entri qualcosa — Quanto sono profonde quelle tasche? »  « Non c'entra il fatto della squadra? Tuo padre lo pensi spesso in relazione ai tuoi successi o insuccessi — Le ho incantate! »  « È che mi piacerebbe essere come lui: realizzata, di successo. »
 I due giovani, a breve ricoperti da involucri di innumerevoli caramelle, mai avrebbero potuto immaginare quello che, di lì a poco meno di un mese, avrebbero scoperto: i tarocchi non mentono mai, tutto sta nell'interpretazione!
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zarathustra-aes · 4 years
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Mio padre ha cominciato a star male e domani mattina vengono a fargli il tampone. L'esito è abbastanza prevedibile, siccome nel suo ambiente di lavoro un gruppo di colleghi è risultato positivo. E sono terrorizzata, sono letteralmente sull'orlo di una crisi di pianto.
E in questo mio terrore mi rendo conto che non mi tranquillizza affatto aver studiato ogni aspetto del Covid. Non me ne frega niente di sapere che è un virus a RNA(-), non me ne frega niente di sapere se ha un envelope o meno, non me ne frega niente di sapere quali tipi di anticorpi vengano prodotti per contrastarlo. Ho solo la tremenda certezza che è in casa mia, appena una porta più in là, e probabilmente anche dentro di me.
La mia prof di biologia è la classica persona che vuole essere la prima della classe. Fin dall'inizio dell'anno ha continuato a ripeterci di non dare giudizi affrettati in merito, ovvero che non si basassero su dati scientifici. Forse per questo motivo ha iniziato a spiegarci i virus, e ogni lezione era un continuo monologo sul covid (che lei solitamente chiama sars-cov2 perché fa più intellettuale), ma quel tipo di discorso che può farti solo qualcuno che pensa di essere un palmo sopra a ciò di cui sta parlando, sopra di te, sopra tutto questo nostro mondo terreno.
Comunque, proprio ora mi rendo effettivamente conto - perché in fondo lo sapevo già, ma forse non l'avevo ancora interiorizzato - che quella donna non sa veramente un cazzo; come tutti quelli che si atteggiano a sapienti di impareggiabile genialità, dopotutto.
Perché del covid se ne può parlare all'infinito, ma nessuna informazione scientifica, nessuna figura professionale, NESSUNO, può effettivamente prepararti per quando arriverà in casa tua. Perché arriverà in casa di tutti, prima o poi.
Spero che i negazionisti muoiano tutti, e non me ne frega un cazzo che augurare il male agli altri lo provochi a te. Spero che facciano una bruttissima fine, come quelli che organizzano le proteste No-Mask, come quelli che hanno sempre una scusa per non indossare la mascherina, come il fatto che poverini non respirano, come tutti quelli che per il modo sconsiderato in cui si comportano avrebbero già potuto morire a inizio pandemia, e invece sono ancora qui vivi e vegeti, a rompere i coglioni.
Quindi, se tu che stai leggendo sei un* di quell* che la mascherina la mette una volta si e una no, e che sei andat* a correre o a camminare più spesso durante la quarantena, rispetto a quanto avessi fatto dal 98' fino ad oggi; te lo chiedo per favore, cambia le tue abitudini e rispetta le regole, perché tante persone come me, come te, stanno soffrendo.
Detto ciò, credo che finalmente andrò a piangere.
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cartofolo · 7 years
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LA MIA MORTE
Di Anita Moorjan  “Morendo ho ritrovato me stessa”
Oh mio Dio, mi sento meravigliosamente! Sono libera e leggera! Come mai non sento più dolore nel corpo? Dov’è andato a finire? Perché ho l’impressione che le cose che ho attorno si stiano allontanando da me? Però non sono spaventata! Perché no? Dov’è andata a finire la mia angoscia? Non ho più paura!”. Questi sono alcuni dei pensieri che ho fatto mentre venivo trasportata urgenza all’ospedale. Il mondo circostante iniziava ad apparirmi surreale e onirico, e mi sentivo scivolare sempre più lontano dalla mia consapevolezza, fino allo stato di coma. I miei organi stavano cominciando a chiudersi mentre soccombevano al cancro che aveva devastato, anzi divorato, il mio corpo nel corso dei quattro anni precedenti. Era il 2 febbraio del 2006, una data che resterà per sempre impressa nella mia memoria come il giorno in cui “sono morta”. Sebbene fossi in coma, e ero acutamente consapevole di tutto quello che accadeva attorno a me, compresa l’urgenza e la frenesia emotiva dei miei familiari che mi stavano portando all’ospedale. Quando arrivammo, nell’istante in cui l’oncoloca mi vide, il suo volto rivelò un profondo turbamento. “Il cuore di sua moglie può anche continuare a battere” disse a mio marito Danny, “ma ormai non è più tra noi. È troppo tardi per salvarla.” Di chi sta parlando la dottoressa? Mi chiesi. “Non mi sono mai sentita meglio in vita mia! Perché la mamma e mio marito sembrano così spaventati e preoccupati? Mamma, ti prego, non piangere. Cosa c’è che non va? Stai piangendo per me? No, non farlo. Sto bene, davvero, cara mamma!” Pensavo di pronunciare queste parole ad alta voce, invece non emettevo alcun suono. Non avevo voce. Volevo abbracciare mia madre, consolarla e dirle che stavo bene, e non riuscivo capire come mai non riuscissi a farlo. Perché il mio corpo non collaborava? Perché me ne stavo lì sdraiata, floscia e senza vita, quando tutto quello che volevo e era abbracciare il mio amato marito e la mia cara mamma, rassicurandoli che stavo bene e non provavo più dolore? “Guarda, Danny: riesco a muovermi senza sedia a rotelle. È bellissimo! E non sono più collegata alla bombola dell’ossigeno. Che meraviglia! Il mio respiro non è più difficoltoso e le lesioni cutanee sono guarite! Non mi fanno più piangere dal male. Dopo quattro anni di agonia sono finalmente guarita!” Ero in uno stato di pura gioia e di esultanza. Finalmente ero libera dal dolore causato dal cancro che aveva devastato il mio corpo. Volevo che anche loro fossero felici per me. Perché non erano contenti che la mia lotta fosse finalmente finita, che anche la loro lotta lo fosse? Perché non stavano condividendo la mia esultanza? Non riuscivano a vedere la gioia che provavo? “La prego, ci dev’essere qualcosa che può fare” Danny e mia madre supplicarono la dottoressa. “Ormai è solo questione di ore” constatò l’oncologa. “Perché i vostri medici non ce l’hanno mandata prima? I suoi organi stavano smettendo di funzionare, ed è per questo che è andata in coma. Non supererà la notte. Mi state chiedendo l’impossibile. Somministrarle qualcosa in questo stadio potrebbe rivelarsi nocivo e mortale per il corpo, perché i suoi organi non sono più in funzione!”. Mio marito strinse forte la mia mano inerme e avvertii il misto di angoscia e impotenza nella voce. Volevo più di ogni altra cosa alleviare la sua sofferenza. Volevo che sapesse quanto stessi bene, ma non riuscivo a comunicarglielo. “Non ascoltare la dottoressa, Danny; ti prego, non ascoltarla! Perché ti sta dicendo queste cose? Sono ancora qui e sto bene. Anzi, più che bene: mi sento meravigliosamente!” Non riuscivo a capire come, ma avvertivo ciò che stavano provando tutti loro, sia i miei familiari che la dottoressa. Avvertivo la loro paura, l’ansia, la disperazione e l’impotenza. Provavo le loro emozioni. Era come se fossi diventata loro. “Provo il tuo stesso dolore, tesoro. Sento le tue emozioni. Ti prego, non piangere per me, e di anche alla mamma di non farlo. Ti prego, diglielo! …. … Mentre continuavo ad affondare sempre più in profondità nell’altra dimensione, espandendomi all’esterno, consapevole di tutto e tutti, sentivo che, lentamente, i legami emotivi nei confronti dei miei cari e di ciò che mi circondava si allentavano. Ero immersa in quello che posso descrivere solo come amore incondizionato supremo e glorioso; esso mi avvolgeva mentre mi lasciavo andare. Non era esattamente come se mi trovassi fisicamente altrove; piuttosto parlerei di un “risveglio”. La mia anima finalmente si rendeva conto della sua bellezza! e nel farlo, si espandeva oltre il corpo e il mondo materiale, fino ad abbracciare non solo l’esistenza presente, ma raggiungendo e includendo dentro di sé un’altra dimensione aldilà dello spazio e del tempo. Amore, gioia e timore reverenziale si riversarono dentro me e attraverso me, mi travolsero. Fui inghiottita e avvolta da un infinito amore. Mi sono sentita libera i viva come mai prima. Improvvisamente ero a conoscenza di cose che fisicamente era impossibile sapere, come l’argomento delle conversazioni che stavano avvenendo lontano dal mio letto tra lo staff di medici e la mia famiglia. Con mia sorpresa, divenni consapevole della presenza di mio padre, che era morto dieci anni prima, e ciò mi infuse un conforto indescrivibile. “Papà, sei qui! Non posso crederci!”. Non stavo pronunciando queste parole, le pensavo e basta. Era come se avvertissi le emozioni dietro le parole, come se non ci fosse altro modo di comunicare in quella dimensione se non così. “Sì, tesoro, sono qui e ci sono sempre stato: per te e per tutta la nostra famiglia!” Mi informò mio padre ancora una volta senza parole, solo con le emozioni, ma io le capii perfettamente. E poi riconobbi l’essenza della mia migliore amica Soni, morta di cancro tre anni prima. Posso descrivere ciò che provai solo come una sorta di eccitazione per esser avvolta dalla loro presenza come un caldo abbraccio che mi confortava. Era come se sapessi che mi erano stati accanto, fin da molto tempo prima che me ne rendessi conto, durante tutta la mia malattia. Ero consapevole anche della presenza di altri esseri attorno a me. Non li riconoscevo, ma sapevo che mi amavano molto e che mi stavano proteggendo. Capii che c’erano sempre stati e che mi avevano circondato di amore, anche quando non ero consapevole… Sebbene non stessi più usando i cinque sensi, godevo di una percezione illimitata, come se avessi un senso nuovo a mia disposizione, molto più elevato rispetto alle normali facoltà la mia visione periferica spaziava di 360° e aveva una consapevolezza totale di ciò che mi circondava. E per quanto possa sembrare assurdo, avevo l’impressione che fosse del tutto normale. Essere dentro il corpo, adesso, sembrava uno stato limitato. Anche il tempo aveva un aspetto diverso in quella dimensione, e sentivo ogni cosa contemporaneamente ero simultaneamente consapevole di tutto ciò che mi riguardava: il passato, il presente, il futuro. Ero consapevole delle vite passate che si erano chiuse. In una di queste incarnazioni dovevo aver avuto un fratello minore ed ero protettiva nei suoi confronti. Ma sapevo che la sua essenza era identica a quella di mio fratello attuale, solo che in quella vita lui era più piccolo di me invece che più grande. Percepivo che avevamo vissuto in un ambiente rurale sottosviluppato, in un tempo e luogo che non riuscivo a definire. Vivevamo in una capanna di fango e io badavo a lui quando i nostri genitori uscivano a lavorare nei campi mentre sperimentavo la sensazione di essere una sorella maggiore protettiva, che rassicurava sulla disponibilità del cibo e sulla sicurezza dell’ambiente domestico rispetto a possibili pericoli, avevo l’impressione che non si trattasse di una vita passata. Anche se la scena sembrava appartenere a un altro momento storico, pareva che stesse accadendo proprio in quell’istante. In altre parole, il tempo non procedeva nel modo lineare a cui siamo abituati sulla terra. È come se la nostra mente terrena convertisse in sequenze ciò che avviene attorno a noi, ma in realtà, quando siamo fuori dalla dimensione terrena, tutto avviene simultaneamente, che si tratti di passato, presente o futuro…. L’universo ha senso! Compresi. Ora finalmente capisco perché ho sviluppato il cancro! Ero troppo rapita dalla meraviglia di quel momento per soffermarmi sulla causa, sebbene la esaminai subito più da vicino. Inoltre, capii anche perché fossi giunta proprio in quell’esistenza: mi resi conto di quale fosse il mio scopo…. Vidi la mia vita profondamente intrecciata con tutto quello che avevo saputo fino a quel momento. La mia esistenza era come un singolo filo intessuto nelle grandi immagini complesse e colorate che rappresentavano le mie relazioni, compresi tutte le vite che avevo toccato. C’erano fili che rappresentavano mia madre, mio padre, mio fratello, mio marito e tutte le altre persone che erano entrate nella mia vita, sia che essi si fossero rapportate con me in modo positivo o negativo. Continuavo a sentirmi avviluppata in un oceano di amore incondizionato e accettazione. Ero in grado di guardarmi con occhi nuovi e mi vedevo come un essere dell’Universo pieno di bellezza. Mi rendevo conto che già solo fatto di esistere mi faceva meritevole di questa dolce accettazione piuttosto che del giudizio. Non dovevo fare niente di speciale, meritavo di essere amata per il solo fatto di stare al mondo, niente di più e niente di meno. Questa fu una rivelazione alquanto sorprendente per me, perché avevo sempre pensato di dover fare qualcosa per meritare l’amore degli altri…. …Divenni consapevole del fatto che siamo tutti interconnessi. Non solo ogni persona e ogni essere vivente, perché l’unificazione interconnessa sembrava espandersi al di fuori, fino a comprendere l’universo intero: ogni essere umano, animale, pianta, insetto, montagna, mare, oggetto inanimato, il cosmo intero! Mi resi conto che l’universo è vivo e dotato di coscienza, abbraccia la vita di ognuno e la natura. Ogni cosa appartiene a un infinito Tutto. Sapevo che la vita e lo scopo di Danny erano inestricabilmente collegati ai miei, e che se fossi morta, lui mi avrebbe seguito di lì a poco. Ma capivo anche che se ciò fosse accaduto, sarebbe stato ugualmente perfetto nel grande disegno. Compresi anche che il cancro non era una punizione per qualche errore commesso, né si trattava del karma negativo scaturito dalle mie azioni come avevo creduto un tempo. Era come se ogni istante racchiudesse infinite possibilità e il punto in cui mi trovavo in quel momento rappresentava il culmine di ogni decisione, di ogni scelta e di ogni pensiero che avevo fatto nella mia vita. Le mie paure e il mio grande potere si erano manifestati sotto forma di malattia… Ero stupita del mio nuovo livello di comprensione nell’altra dimensione e godevo di quella coscienza onnicomprensiva, la esploravo. Nel farlo, mi resi conto che avevo una scelta da compiere. Raggiunsi un punto in cui, ancora una volta, avvertii molto forte la presenza di mio padre attorno a me, quasi come se mi stesse abbracciando. “Papà, mi sembra di essere arrivata a casa! Sono così felice di trovarmi qui. La vita è troppo dolorosa!” Gli dissi. “Ma tu sei sempre a casa, tesoro” impresse queste parole dentro di me. “Lo sei sempre stata e lo sarai sempre. Voglio che te lo ricordi.” Anche se io e mio padre non avevamo mai avuto un rapporto molto stretto quando ero piccola, quello che sentivo provenire da lui adesso era puro amore incondizionato. Non comunicavamo con le parole, ma attraverso la fusione totale della nostra reciproca comprensione. Non solo capivo mio padre, ma era come se fossi diventata lui. Sapevo che era rimasto accanto a tutta la famiglia nel corso degli anni successivi alla sua morte. Era stato con mia madre, infondendole la forza necessaria e vegliando su di lei; ed era stato anche vicino a me durante le nozze e la malattia. Mi resi conto che l’essenza di mio padre comunicava con me in modo più diretto: “Tesoro, voglio che tu sappia che non è ancora giunta l’ora per te di ritornare a casa. Ma sta a te scegliere se venire con me o rientrare nel corpo.” “Ma il mio corpo è malato, prosciugato e corrotto dal cancro! Che senso ha tornare?” Ciò che avvenne dopo è molto difficile da descrivere. Per prima cosa fu come se tutto quello su cui avevo diretto la mia consapevolezza apparisse davanti a me. Poi, il tempo perse completamente significato. Come se non esistesse. Prima che accadesse tutto questo, i medici avevano eseguito degli esami sul funzionamento dei miei organi e avevano già scritto i referti. Ma in quella dimensione, era come se gli esiti dipendessero dalla mia decisione, se vivere o proseguire verso la morte. Se avessi scelto la seconda strada, i risultati degli esami avrebbero evidenziato la sofferenza dei miei organi. Se avessi scelto di ritornare alla vita terrena, avrebbero mostrato che i miei organi funzionavano ancora…. …Scoprii che, dal momento che avevo capito chi ero veramente e avevo compreso la grandezza del mio vero io, se avessi scelto di tornare alla vita, il mio corpo sarebbe guarito rapidamente, non nel giro di mesi o settimane, ma in pochi giorni! Compresi che il mio corpo è solo un riflesso del mio stato interiore. Se il mio io fosse stato consapevole della sua grandezza e connessione con Tutto Ciò Che E’, il mio corpo ne sarebbe stato un riflesso e sarebbe guarito rapidamente….. Mi resi conto che in tutti quegli anni, sarebbe stato sufficiente essere me stessa, senza giudicarmi né sentirmi sbagliata. Allo stesso tempo, capii anche che la nostra essenza è costituita da puro amore. Siamo puro amore, ciascuno di noi. Sapevo che rendersene conto significava non avere paura di ciò che siamo. Perciò, essere amore ed essere se stessi è la stessa cosa! Capii che solo incarnando l’amore di cui era composta la mia essenza avrei guarito il mio corpo e gli altri. Non ne ero mai stata consapevole prima, eppure mi sembrava talmente ovvio. Seppi che quello era l’unico scopo della vita: essere se stessi, vivere esprimendo la propria verità e incarnare l’amore insito nella propria esistenza.
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