#ho detto prima perché ce ne sono state altre
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Cercare un appartamento in Giappone è un'esperienza a sè che in Italia non ho mai fatto (per ovvie ragioni) e che, personalmente trovo tanto stressante (lo è già di suo, poi i giapponesi ci mettono il loro).
(Scrivo quindi queste cose senza sapere niente di come funziona in Italia e in Europa, quindi in caso funziona uguale e bestemmio troppo questo popolo, fatemelo sapere senza problemi).
Partiamo dalle cose belle, quelle che gli stranieri metterebbero nei reels di Instagram mostrando quando il Giappone sia futuristico e attento al cliente.
1. Quando sono entrata in agenzia mi hanno dato un bottiglietta piccola di tè verde
2. Quando vai a vedere un appartamento abbastanza lontanuccio dalla sede, prendono l'auto e ti portano di qua e di là, raccontandoti i pro e i contro della zona
Passiamo alle cose brutte. Costa decisamente troppo.
Traslocare di per sé è caro perché devi pagare il trasporto e (credo) una cifra per la firma del contratto.
In Giappone quando entri in un posto nuovo le spese non si contano.
Esistono prima di tutto 2 voci:
1. 礼金 (reikin) una cifra di ringraziamento per il padrone di casa
2. 敷金 (shikikin) la cauzione, che paghi quando entri ma sono le spese che servono al padrone di casa quando esci (pulizia e altro)
Poi, esistono le spese per l'agenzia che ti fa da garante: una volta entrati si paga dal 40% fino al 100% dell'affitto e poi, in base al tipo di contratto, paghi o una volta l'anno o una piccola somma (tipo l'1% dell'affitto) ogni mese.
Poi il cambio delle chiavi (circa 200€), le pulizie complete, la disinfestazione, altre menate di assicurazione ecc.
Alla fine dei giochi, entri che devi pagare letteralmente un intero stipendio per tutte le spese. Minimo minimo metà stipendio, ma è veramente economico se riesci ad arrivare a quella cifra (e, se ci riesci, vuol dire che c'è qualche altra voce nell'affitto mensile, quindi i soldi se li prendono da un'altra parte).
Poi devi pensare agli elettrodomestici perché qui non ti danno niente: lavatrice, cucina, frigorifero, elettrodomestici, stoviglie, tavoli, sedie, mensole ecc. Zero assoluto, tutto vuoto.
In ultimo, ma non per importanza, ti devi preoccupare se accettano o meno gli stranieri.
Poi, gli spazi. Piccoli, se non piccolissimi. Mi aspettavo una cosa del genere, ma a volte è veramente troppo. Non è difficile infatti trovare monolocali (che monolocali non sono, sono proprio "stanze") di 13-15 metri quadri. Considerando che dentro ci deve essere lo spazio per la cucina e il bagno, quello che rimane è a malapena lo spazio per il letto.
La stanza più grande che ho visto oggi è di 20 metri quadri (non in foto) e, nonostante fosse bella ampia, mi ha fatto pensare che forse sarebbe meglio passare al futon giapponese (così lo metto via in armadio durante il giorno e arrivederci).
Poi l'armadio. Sono femmina ma dei vestiti mi interessa zero e non a caso quando sono venuta 2 valigie sono state abbastanza. La mia roba estiva entra tutta abbondantemente in una valigia sola. Nonostante ciò, in un'altra camera che ho visto l'armadio era talmente piccolo che penso non sarebbe entrato quasi niente di quello che ho. Era molto nuovo e pulito quindi bello tant'è che la ragazza ha detto che è molto in voga... ma, personalmente, dopo che ho visto l'armadio e quanto cupo e buio fosse l'ambiente per me è un grande no. (Foto 3)
L'appartamento che invece era la mia prima scelta perché potrei raggiungere l'ufficio persino a piedi è anche grande abbastanza con un armadio decente, ma non è stato ancora pulito (foto 2) e non sapendo quanto a fondo puliranno sono leggermente impaurita (nonostante io sia zero schizzinosa, ma quando è troppo è troppo).
Poi, quello che loro considerano "importante" sono per me europea solo delle frivolezze. Esempi sono essere vicini a un grande supermercato; se i ristoranti sono più per "gruppi" o se puoi andare da solo; la ragazza che mi ha mostrato i posti mi ha detto che mi consiglia di cambiare tutto della serratura (anche tutte e due se ce ne sono due) perché sono una ragazza (il mondo vede questo paese il più sicuro al mondo eppure le donne giapponesi sono quelle che si sentono meno al sicuro al mondo, perché non sanno che giungla sia fuori). Poi ovviamente mi chiedeva in quale zona preferissi vivere, ma, da straniera, non ne ho la più pallida idea né mi interessa. L'unica cosa che mi interessa è essere vicino all'ufficio, niente più.
Altra cosa che mi ha stranita è la velocità con cui decidono. C'era in programma di andare a vedere un'altra camera, ma era stata appena presa.
Il motivo è abbastanza comprensibile (dal loro punto di vista) perché spesso si cambia lavoro o si è costretti a fare trasferimenti lunghi per lavoro. In più, come mi ha detto la ragazza, le persone che vivono in un posto che non piace sono tante, quindi a un certo punto si decidono e cambiano. Nonostante costi così tanto cambiare stanza... e questa per me è la follia più folle di tutte.
Quando ho incontrato persone adulte di 40-50 anni e passa che vivono nella mia sharehouse mi sono chiesta in parte come facciano... ora considerando quanto pago di affitto con spese incluse e tutte le stoviglie ed elettrodomestici e quanto poco costi solo entrare (50.000 yen che io credevo fossero esagerati) ho capito perché lo facciano. E questo la dice lunga su quanto possiamo essere poveri pur essendo lavoratori in questo paese.
#my life in tokyo#trasloco#appartamento#camera#alla fine dei giochi mi sa che non trasloco più#boh vediamo#poi dite l'Italia....#ah quante mazzate vi darei
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Come mai hai scelto proprio proprio ingegneria?
Wow, ma che è successo? Fino a ieri le persone passavano e mi tiravano un po’ di pane, ma una conferenza stampa era proprio lontana dalle mie aspettative :)
Beh, sin da bambino il mio giocattolo preferito era il cacciavite. Lo portavo sempre con me, smontavo tutto. I miei erano sempre incazzati perché rompevo TV, radio, frullatori, mi piaceva capire come funzionavano le cose, ero molto curioso.
Sempre a quell’età (sui 7/8 anni, credo), presi la mia prima scossa, perché volli riparare la lampadina della macchina per cucire di mia madre, il cavo elettrico era spezzato. Non avendo alcuna conoscenza della materia, mentre lei era distratta, presi i 4 fili (2 per capo), li unii insieme e infilai la spina. Considera che negli anni ‘80, in molti impianti del Sud Italia, non esisteva il magnetotermico. Fece una botta mostruosa, ricordo solo il lampo e come se mi avessero dato uno schiaffo fortissimo alla mano, che diventò tutta nera (con tutta probabilità si ustionò la superficie della pelle). Mia madre me ne diede tante, ma talmente tante, che non ho mai capito se sarebbero stati meglio i calci in culo o gli ampere nei muscoli. Però quel giorno capii che i fili vanno sempre tenuti divisi, un concetto che sembra banale, ma non lo è.
La passione per i computer arrivò poco dopo. Ero ai primi anni delle medie (’89, credo), mio padre tornò a casa con un piccolo fascicolo sul Commodore 64, uscito in allegato con un volume di Educazione Tecnica che aveva comprato. Quel fascicolo divenne il mio peluche. Non ci capivo nulla, ma lo portavo sempre con me, guardavo le figure, tutte quelle scritte, il fatto che sembrasse un oggetto magico, pieno di tasti, luci, colori. La curiosità di capire come funzionasse ovviamente era alle stelle, e il fatto di non averlo (e quindi non poterlo smontare) lo rese ancora più mistico ai miei occhi. Da lì nacque una passione che poi non ho più perso. A 15 anni ebbi il mio primo PC, e da allora non c’è stato un giorno nel quale io non abbia scritto una riga di codice.
Capisci che, con questi presupposti, i corsi di studi disponibili non erano poi così tanti :)
#Papero e la 220V#il primo amore non si scorda mai#ho detto prima perché ce ne sono state altre#l'ultima di striscio tipo un 6 mesi fa#Anonymous
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“Ragazzi scuoiati vivi, bambine abusate. Io piango e vomito”… – Sacchi pieni di morti, ragazzini scuoiati vivi, bimbi morti di fame, e le donne tutte violentate. Difficile persino riconoscere questi corpi: molti non hanno più nemmeno le impronte digitali. Questi sono i “pazienti” del dottor Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, che da decenni ormai accoglie i migranti stremati dalla traversata, quelli vivi e quelli morti. Il racconto di quanto ha vissuto nei suoi anni di servizio lo ha fatto Virginia Di Vivo, una studentessa di Medicina dell’Università di Modena. Questo il suo post su Facebook. “Mi reco molto assonnata al congresso più inflazionato della mia carriera universitaria, conscia che probabilmente mi addormenterò nelle file alte dell’aula magna. Mi siedo, leggo la scaletta, la seconda voce è “sanità pubblica e immigrazione: il diritto fondamentale alla tutela della salute”. Inevitabilmente penso “e che do bali”. Accendo Pokémon Go, che sono sopra una palestra della squadra blu. Mi accingo a conquistarla per i rossi. Comincia a parlare il tale Dottor Pietro Bartolo, che io non so chi sia. Non me ne curo. Ero lì che tentavo di catturare un bulbasaur e sento la sua voce in sottofondo: non parla di epidemiologia, di eziologia, non si concentra sui dati statistici di chissà quale sindrome di lallallà. Parla di persone. Continua a dire “persone come noi”. Decido di ascoltare lui con un orecchio e bulbasaur con l’altro. Bartolo racconta che sta lì, a Lampedusa, ha curato 350mila persone, che c’è una cosa che odia, cioè fare l’ispezione cadaverica. Che molti non hanno più le impronte digitali. E lui deve prelevare dita, coste, orecchie. Lo racconta: “Le donne? Sono tutte state violentate. TUTTE. Arrivano spesso incinte. Quelle che non sono incinte non lo sono non perché non sono state violentate, non lo sono perché i trafficanti hanno somministrato loro in dosi discutibili un cocktail estroprogestinico, così da essere violentate davanti a tutti, per umiliarle. Senza rischi, che le donne incinte sul mercato della prostituzione non fruttano”. Mi perplimo”. A quel punto la studentessa si domanda: “Ma non era un congresso ad argomento clinico? Dove sono le terapie? Perché la voce di un internista non mi sta annoiando con la metanalisi sull’utilizzo della sticazzitina tetrasolfata? Decido di mollare bulbasaur, un secondino, poi torno Bulba, devo capire cosa sta dicendo questo qua. “Su questi barconi gli uomini si mettono tutti sul bordo, come una catena umana, per proteggere le donne, i bambini e gli anziani all’interno, dal freddo e dall’acqua. Sono famiglie. Famiglie come le nostre”. Mostra una foto, vista e rivista, ma lui non è retorico, non è formale. È fuori da ogni schema politically correct, fuori da ogni comfort zone. “Una notte mi hanno chiamato: erano sbarcati due gommoni, dovevo andare a prestare soccorso. Ho visitato tutti, non avevano le malattie che qualcuno dice essere portate qui da loro. Avevano le malattie che potrebbe avere chiunque. Che si curano con terapie banali. Innocue. Alcuni. Altri sono stati scuoiati vivi, per farli diventare bianchi. Questo ragazzo ad esempio”, mostra un’altra foto, tutt’altro che vista e rivista. Un giovane, che avrà avuto 15/16 anni, affettato dal ginocchio alla caviglia. Mi dimentico dei Pokémon. “Lui è sopravvissuto agli esperimenti immondi che gli hanno fatto. Suo fratello, invece, non ce l’ha fatta. Lui è morto per essere stato scuoiato vivo”. Metto il cellulare in tasca. ”Qualcuno mi dice di andare a guardare nella stiva, che non sarà un bello spettacolo. Così scendo, mi sembrava di camminare su dei cuscini. Accendo la torcia del mio telefono e mi trovo questo..”. Mostra un’altra foto. Sembrava una fossa comune. Corpi ammassati come barattoli di uomini senza vita. “Questa foto non è finta. L’ho fatta io. Ma non ve la mostrano nei telegiornali. Sono morti li, di asfissia. Quando li abbiamo puliti ho trovato alcuni di loro con pezzi di legno conficcati nelle mani, con le dita rotte. Cercavano di uscire. Avevano detto loro che siccome erano giovani, forti e agili rispetto agli altri, avrebbero fatto il viaggio nella stiva e poi, con facilità, sarebbero usciti a prendere aria presto. E invece no. Quando l’aria ha cominciato a mancare, hanno provato ad uscire dalla botola sul ponte, ma sono stati spinti giù a calci, a colpi in testa. Sapeste quanti ne ho trovati con fratture del cranio, dei denti. Sono uscito a vomitare e a piangere. Sapeste quanto ho pianto in 28 anni di servizio, voi non potete immaginare”. Ora non c’è nessuno in aula magna che non trattenga il fiato, in silenzio. “Ma ci sono anche cose belle, cose che ti fanno andare avanti. Una ragazza. Era in ipotermia profonda, in arresto cardiocircolatorio. Era morta. Non avevamo niente. Ho cominciato a massaggiarla. Per molto tempo. E all’improvviso l’ho ripresa. Aveva edema, di tutto. È stata ricoverata 40 giorni. Kebrat era il suo nome. È il suo nome. Vive in Svezia. È venuta a trovarmi dopo anni. Era incinta” ci mostra la foto del loro abbraccio”. Di Vivo spiega la preoccupazione di Bartolo: “La gente non capisce. C’è qualcuno che ha parlato di razza pura. Ma la razza pura è soggetta a più malattie. Noi contaminandoci diventiamo più forti, più resistenti. E l’economia? Queste persone, lavorando, hanno portato miliardi nelle casse dell’Europa. E io aggiungo che ci hanno arricchito con tante culture. A Lampedusa abbiamo tutti i cognomi del mondo e viviamo benissimo. Ci sono razze migliori di altre, dicono. Si, rispondo io. Loro sono migliori. Migliori di voi che asserite questo”. Fa partire un video e descrive: “Questo è un parto su una barca. La donna era in condizioni pietose, sdraiata per terra. Ho chiesto ai ragazzi un filo da pesca, per tagliare il cordone. Ma loro giustamente mi hanno risposto “non siamo pescatori”. Mi hanno dato un coltello da cucina. Quella donna non ha detto bau. Mi sono tolto il laccio delle scarpe per chiudere il cordone ombelicale, vedete? Lei mi ringraziava, era nera, nera come il carbone. Suo figlio invece era bianchissimo. Si perché loro sono bianchi quando nascono, poi si inscuriscono dopo una decina di giorni. E che problema c’è, dico io, se nascono bianchi e poi diventano neri? Ha chiamato suo figlio Pietro. Quanti Pietri ci sono in giro!”. Sorridiamo tutti. “Quest’altra donna, invece, è arrivata in condizioni vergognose, era stata violentata, paralizzata dalla vita in giù… Era incinta. Le si erano rotte le acque 48 ore prima. Ma sulla barca non aveva avuto lo spazio per aprire le gambe. Usciva liquido amniotico, verde, grande sofferenza fetale. Con lei una bambina, anche lei violentata, aveva 4 anni. Aveva un rotolo di soldi nascosto nella vagina. E si prendeva cura della sua mamma. Tanto che quando cercavo di mettere le flebo alla mamma lei mi aggrediva. Chissà cosa aveva visto. Le ho dato dei biscotti. Lei non li ha mangiati. Li ha sbriciolati e ci imboccava la mamma. Alla fine le ho dato un giocattolo. Perché ci arrivano una montagna di giocattoli, perché la gente buona c’è. Ma quella bimba non l’ha voluto. Non era più una bambina ormai.” (…) “Ci mostra un altro video. Dei sommozzatori estraggono da una barca in fondo al mare dei corpi esanimi. “Non sono manichini” ci dice. Il video prosegue. Un uomo tira fuori dall’acqua un corpicino. Piccolo. Senza vita. Indossava un pantaloncino rosso. “Quel bambino è il mio incubo. Io non lo scorderò mai”. Non riesco più a trattenere le lacrime. E il rumore di tutti coloro che, alternandosi in aula, come me, hanno dovuto soffiarsi il naso. “E questo è il risultato” ci mostra l’ennesima foto. “368 morti. Ma 367 bare. Si. Perché in una c’è una mamma, arrivata morta, col suo bambino ancora attaccato al cordone ombelicale. Sono arrivati insieme. Non abbiamo voluto separarli, volevamo che rimanessero insieme, per l’eternità”. Il post si conclude con le parole della Di Vivo: “Penso che possa bastare così. E questo è un estratto. Si, perché il Dottor Bartolo ha parlato per un’ora. Gli altri relatori hanno lasciato a lui il loro tempo. Nessuno ha osato interromperlo. E quando ha finito tutti noi, studenti, medici e professori, ci siamo alzati in piedi e abbiamo applaudito, per lunghi minuti. E basta. Lui non ha bisogno di aiuto, “non venite a Lampedusa ad aiutarci, ce l’abbiamo sempre fatta da soli noi lampedusani. Se non siete medici, se non sapete fare nulla e volete aiutare, andate a raccontare quello che avete sentito qui, fate sapere cosa succede a coloro che dicono che c’è l’invasione. Ma che invasione!”… (ninofezzacinereporter)
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💬 Paperinik 64 🗯 commento 📚
L’odore della carta e una storia dopo l’altra senza inutili fronzoli lo rendono perfetto.
È la prima volta che leggo questo mensile e premetto subito che il Paperinik non è il mio personaggio preferito ma non ho saputo resistere alla necessità di capire che cos’era questa pubblicazione. Ero abituata a PK, ne avevo letti alcuni numeri e non sapevo neanche che era ormai finito tanti che mi sono sorpresa di questo formato ben più ridotto. Mi aspettavo non so perché il formato di PK. Sono rimasta piacevolmente sorpresa dall’odore della carta diverso da quello di Topolino e assai più simile a quello del passato. Non sapevo che fosse una raccolta di storie e per la precisione ce ne sono sei. La prima storia è nuova mentre le altre vengono riprese da vari numeri di Topolino usciti negli anni: fantastico!
Credo che Topolino dovrebbe ispirarsi a questa predisposizione, una storia dopo l’altra senza inutili rubriche che non servono a niente al massimo lettere da parte dei lettori con i loro disegni e quant’altro ma non calcio TV spettacolo gossip… Solo storie! È stata veramente una bella sorpresa ritrovare le storie degli anni 80 degli anni 90 di inizio 2000 quando i cellulari o non esistevano o comunque non erano così infestanti.
1
Paperinik e il ciondolo del brigante.
Questa è la storia nuova ma potrebbe sembrare un classico e dunque migliore se non fosse stato per la prima battuta: grazie per averci aiutato pubblicitari il mercatino online zio Paperino! Dice Qui. Una battuta inutile, sembra che Internet deve essere per forza inserito in tutte le storie tanto per sottolineare che questa è nuova! Che palle, i mercatini non hanno certo bisogno di Internet però a parte questo l’ho trovata molto piacevole anche se, se proprio vogliamo essere puntigliosi, Rockerduck compra a questo mercatino per 50 $ un medaglione che sa lo porterà ad un tesoro e viene per questo definito truffatore! Ma siamo davvero sicuri che sia una truffa? Come mai Qui, Quo e Qua che sono sempre così intelligenti vanno a vendere un cimelio potenzialmente prezioso? Dopotutto gli affari sono affari e io ero per Rockerduck!
2
Paperinik e lo sfratto rovinoso
da Paperinik e altri supereroi 38, del 1 novembre 1996
Perfetta! Paperino viene sfrattato all’improvviso da Paperone e tutto ciò innesca l’indagine di Paperinik che andrà a risolvere la situazione… Mi sono divertita grazie alle battute di Paperino che sono state simpatiche e ho adorato soprattutto quando ha borbottato: “al posto del cuore lo zio ha un registratore di cassa!” È un piacere leggere e divertirsi proprio quello che mi aspetto da Topolino … era il 1996 e non c’erano inglesissimi come i pancake e Paperino e i nipoti stavano mangiando delle semplici frittelle ovvero pancake come venivano tradotti anche nei film all’epoca. Paperinik durante le indagini si mette a lavorare con un computer che funziona per quello che è senza diventare il protagonista principale come spesso succede con i cellulari nelle nuove storie di Topolino.
3
Paperinik è un Paperino di troppo
da Paperinik e altri supereroi 78, del 1 aprile 1999
Semplice e geniale. Forse un po’ troppo lunga ma sicuramente interessante divertente e anche originale. Tutti credono che Paperinik sia il ragazzo di Paperina e Paperino deve fare di tutto per convincerla che stare con un supereroe non è piacevole e ci riuscirà… Bella, che nostalgia il 99…
4
Parodia di grandi film: Paperinik e larga dimenticata
da Topolino 1573, del 19 gennaio 1986
Anche se non viene detto esplicitamente è chiaro che si tratta di una Parodia de “I predatori dell'arca perduta” del 1981.
Premetto che non odio le parodie e quindi non mi sono entusiasmata per niente a leggerla soprattutto perché è un film che adoro e accetto solo la versione originale…. Nonostante tutto non è stata male male, sono riusciti a rappresentare i punti principali del film senza farla troppo lunga, come il medaglione, il cattivo che si scotta la mano, i serpenti nella piramide, Marion che qui è Paperina, il bastone che indica la soluzione dell’enigma, la corsa con le Jeep, la scimmietta dispettosa… L’unico problema è che Paperinik non c’entra niente! Indiana Jones non è mascherato e poi c’è Indiana Pipps ma questo numero era del 1986 e Indiana Pipps sarebbe venuto fuori solo due anni dopo! Peccato, forse era meglio che lui vestisse i panni del vero Indiana… Ovviamente i cattivi sono meno cattivi e l’arca non contiene niente di spaventoso però ci sta.
5
Paperinik, il terrore dei furfanti
da Topolino 2881, del 15 febbraio 2011
Si vede che è una storia un po’ più recente soprattutto per l’uso della parola “must” nel senso di “è un must” ma non da fastidio non ci sono cellulari non ci sono computer. È una classica storia divertente scorrevole veloce in cui Paperino “finge“ di essere Paperinik per intrappolare al volo un furfante che voleva derubare lo zio… anche piuttosto geniale!
6
Sotto zero
da PK - Pikappa 031, del 1 febbraio 2005 Pk
Premetto che non sono una grande amante di PK perché l’ho spesso trovato troppo complicato. Inoltre mi è sembrato anche strano vederlo in questo formato e con questo tipo di carta diverso… Però ha fatto la sua figura, è stata una storia interessante e coinvolgente e anche piuttosto semplice. Di solito non mi piacciono molto le storie di PK perché sono troppo ingarbugliate ma questa volta mi è andata bene.
C’è poi una cosa divertente ovvero che Paperinik e i suoi per così dire colleghi venivano chiamati i guardiani della galassia e all’epoca nel 2005 non era ancora uscito il film i guardiani della galassia (2014) della Marvel e dunque andava bene ma ormai non si sarebbe più potuto usare un simile nome…
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Cittadino di serie B
A fine luglio mio fratello mi dice che ha trovato una macchina da comprare, e che ha bisogno che porti il contratto di lavoro e l’ultima mia busta paga per fargli da garante. Gli hanno chiesto solo quello, ma io, previdente, mi porto dietro il passaporto (italiano) e codice fiscale.
L’agente della concessionaria prende tutto e mi dice la finanziaria ha bisogno del codice fiscale plastificato e della tessera sanitaria. Questo non era stato detto prima.
All’indomani dicono a mio fratello che la finanziaria non accetta il mio passaporto, ma vuole obbligatoriamente la carta d’identità. Per me che giro il mondo la carta d’identità è, a tutti gli effetti, carta straccia. Ho un passaporto con ben due visti lavorativi per USA e che mi fa arrivare ovunque nel mondo, ma per la finanziaria di Modena, che deve prestare 6 mila euro a mio fratello, quel passaporto non vale nulla in confronto alla carta d’identità. Capite?
Sono contrariato, ma porto pazienza e mi reco in comune. Mi rimbalzano tra loro e i carabinieri trattandomi da idiota (ed ho già raccontato di questo) e ci metto 3 giorni per farla al costo di 22,5 euro.
Ricordo che la carta d’identità contiene l’indirizzo.
Dalla concessionaria arriva la richiesta che, oltre a tutti i documenti, dobbiamo portare un certificato di residenza a testa con marca da bollo da 16 euro. L’ennesima cosa che salta fuori all’ultimo.
A me sembra una palese presa per il c#lo, e dico a mio fratello che se si fosse chiamato Mario Rossi a quest’ora non eravamo qui a dannarci con tutti questi documenti.
Facciamo pure quelli e la settimana dopo veniamo chiamati per andare a firmare. Sembra quasi tutto fatto ma c’è un piccolo problema, di nuovo.
Mio fratello ha 24 anni, ed è in Italia da quando ne ha 6. Parla italiano, impreca in italiano e mangia italiano. Lavora e paga le tasse allo stato italiano.
Sono 4 anni e mezzo che ha fatto la richiesta di cittadinanza e la sta ancora aspettando.
QUATTRO ANNI E MEZZO.
In famiglia è l’unico straniero.
La finanziaria esige il suo passaporto perché è prassi per i cittadini stranieri. Lo è ora dopo un mese che trattano la pratica?
Poi il mio italiano non valeva, ma ora vogliono il suo ghanese?
Lui il passaporto non ce l’ha perché è scaduto, e non essendo mai uscito dall’Italia, non ha mai avuto la necessità di rinnovarlo, soprattutto perché sa che a breve (si spera), potrà fare quello italiano.
Niente, la finanziaria non chiude la pratica finché lui non porta il passaporto scaduto, e voglio ricordare che loro hanno tutti i documenti di riconoscimento esistenti.
Permesso di soggiorno, tessera sanitaria, carta d’identità, certificato di residenza e codice fiscale.
Hanno tutto, e dopo più di un mese di avanti e indietro e di disagi, all’ultimo tirano fuori che il documento irrinunciabile è un passaporto scaduto senza alcuna validità legale.
Io ero talmente esasperato che ho detto a mio fratello di cercarsi un’altra macchina da un’altra concessionaria. In due giorni ne ha trovato una uguale, gli ho dato i soldi di tasca mia, e il giorno dopo aveva l’autovettura.
Ora, quando dite che la riforma della cittadinanza è inutile, che non bisogna farla e che tanto la legge attuale funziona benissimo per chi state parlando esattamente? Per voi che vi chiamate Mario Rossi e Anna Verdi? O siete portavoce di chi vive questi disagi quotidianamente?
Bisogna essere egoisti, ed anche un po’ str#nzi, per impedire con così tanta forza un diritto altrui che a voi non tocca minimamente.
Per più di un milione di persone averla farebbe una differenza che non immaginate, ma a voi cosa verrebbe a mancare esattamente? Che pericolo vi crea? Che cosa vi toglie?
Non ci vogliono soldi, né risorse. Non sarà una distrazione rispetto ad altre leggi o riforme.
Ci sono cittadini a cui lo Stato ha stampato in faccia il bollino di Serie B, e questa è un’enorme ed insensata ingiustizia.
Abi Kobe Zar, fb
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MA CHE PICCOLA STORIA IGNOBILE MI TOCCA RACCONTARVI
Chi ha riconosciuto la citazione saprà cosa starò per scrivere, anzi... cosa ha scritto una mia amica (incidentalmente anche tamblera sopita) ad Alley Oop, nome-de-plume di un collettivo di giornaliste del Sole24ore
Cara Alley,
Da qualche giorno avevo giramenti di testa. Non volevo crederci troppo perché non era molto che provavamo ad avere un figlio. Il 3 novembre decido di fare il test di gravidanza. La seconda linea si colora: sono incinta.
I primi mesi della gravidanza proseguono bene, qualche fastidio, ma nemmeno troppo invadente. Il 16 dicembre compio 37 anni. Di solito dopo i 35 si consiglia di fare amniocentesi o villocentesi, ma nel mio caso, anche vista la presenza di un utero fibromatoso, insieme al mio ginecologo decidiamo di fare il Prenatal Safe. Il 22 dicembre faccio una breve ecografia e il prelievo di sangue da inviare al centro analisi.
Normalmente queste analisi forniscono i risultati dopo 5 giorni lavorativi, ma in questo periodo ci sono le festività di mezzo quindi so che impiegheranno più giorni. Non sono giorni sereni, ma do la colpa ad uno stato di preoccupazione perenne che mi attanaglia da sempre quando aspetto i risultati di qualsivoglia tipo. Il 2 gennaio partiamo per il Veneto (io sono di Roma), per una breve vacanza. La mattina del 3 Gennaio mi telefona il ginecologo “Buongiorno signora, mi hanno telefonato dal laboratorio, c’è un problema, sospettano ci sia una trisomia 13. Mi dispiace dirglielo così ma purtroppo non c’è un modo meno brutto per dire una cosa del genere“. Vuoto. Sono sotto shock.
“Ah. Certo, no non si preoccupi”. Mi dice, però, che quella del laboratorio non è una diagnosi e che, quindi, deve essere confermata con la villocentesi o con l’amniocentesi. La prima deve essere fatta entro la 14esima settimana, quindi sono proprio al limite, per la seconda, invece, dovrei aspettare almeno altre 3 settimane. “Ok”. Dico sì a tutto, sperando che quella conversazione finisca il prima possibile.
Riattacco e inizio a piangere. Ci metto un po’ per spiegare al mio compagno che è seduto vicino a me che cosa mi ha appena detto il medico. Mi sento come se il mondo mi fosse crollato addosso. Mi faccio inviare il report dal laboratorio in cui leggo in rosso che “è stata rilevata un’aneupladia del cromosoma tredici (TRISOMIA 13)” e più in basso la percentuale di probabilità (in realtà, in termini tecnici viene chiamato Valore Predittivo Posi): 92.86%.
Ma poi cos’è questa trisomia? L’unica trisomia che conosco è la 21, di questa non ne ho mai sentito parlare. Ci informiamo. Non parlerò di cosa comporta questa malformazione genetica, perché non è questo il punto. La definiscono “incompatibile con la vita”. Mentre inizio a fare mente locale, mi giro verso il mio compagno e gli dico “se dovessero confermare la diagnosi, io non ce la farei a portarla a termine”. Lui mi guarda, è stravolto anche lui, e mi dice che sì, è d’accordo con me. Non ci ho messo molto a prendere la decisione. Non è stata a cuor leggero, ma ci sono state tante motivazioni (personali e non sindacabili come lo sono tutte le motivazioni che spingono una donna a fare una scelta del genere) che mi hanno portato a pensare da subito che quella fosse la decisione giusta. L’unica possibile per me. Per noi.
Da quel momento in poi iniziano una serie di telefonate frenetiche per trovare un centro che facesse la villocentesi in poco tempo. Trovare posto in strutture pubbliche con così poco preavviso è impensabile, si parla di liste d’attesa di mesi. Per questo chiamiamo i centri d’analisi più grandi di Roma e finalmente dopo diversi tentativi troviamo posto per l’8 gennaio. Costo della villocentesi 1300 euro. Per fare l’esame, però, servono delle analisi, alcune delle quali già fatte nei mesi precedenti, altre da fare (tra cui il Test di Coombs, un esame che fanno davvero pochi centri). Altri soldi. Per fortuna lo stesso laboratorio che fa la villocentesi, è aperto il 6 gennaio e fa tutte le analisi che mi servono, quindi prenotiamo lì in modo tale da non correre il rischio di non avere le risposte in tempo.
Alla fine della giornata con il mio compagno siamo riusciti a prendere tutti gli appuntamenti necessari e a sistemare tutte le cose prettamente organizzative. Ci sentiamo stravolti, stanchi, distrutti. Per la prima volta da quando è iniziata quella giornata mi trovo a fare i conti con la mia decisione. Tutti continuano a dirmi di ‘rimanere positiva’, ‘che non ho ancora la certezza che il feto non sia sano’, ‘che magari è un falso positivo’. Ma la mia esperienza mi ha insegnato che è sempre meglio prepararsi al peggio, che per il meglio si fa sempre in tempo o per dirla come una canzone dei The Ark “hoping for the best, but expecting the worst” (spero nel meglio, aspettandomi il peggio).
Metto a fuoco che ho superato i 90 giorni entro cui, per legge, si può praticare l’IVG (interruzione volontaria di gravidanza). Quindi? Inizio a leggere freneticamente tutto ciò che trovo su internet. In questi casi si parla di aborto terapeutico. Ricordo di averne letto in passato e i ricordi delle storie lette mi tornano alla mente e mi terrorizzano. Quanti sono gli ospedali che praticano l’aborto terapeutico a Roma? Pochi, troppo pochi. Pensavo, ingenuamente, che tutti quelli che praticano l’IVG, facessero anche quello terapeutico. Non è così. Sono una piccola parte. A Roma mi sembra di capire che sono 5 o 6. Reperire informazioni precise, inoltre. non è facile, non esiste una pagina dove sono elencati, cerco di capirlo leggendo le pagine dei singoli ospedali o leggendo esperienze di altre donne, ma è tutto confuso.
Una volta identificati gli ospedali, provo a capire quali sono quelli con meno obiettori di coscienza. In uno, ad esempio, c’è solo una dottoressa a praticare aborti, tutti i suoi colleghi sono obiettori di coscienza. Anche negli altri la situazione è simile. Una piccola percentuale dei medici lo pratica. Gli altri sono obiettori. Mi rendo conto che devi, quindi, essere molto molto fortunata a capitare nel turno di uno di quei dottori e devi anche essere veloce ad eseguire la ‘pratica’ perché se ci metti troppo ed entri nel turno degli obiettori (e potrebbero essercene anche 2-3-4 di seguito) rischi di rimanere ignorata per ore (se non giorni).
La mia ansia cresce e cresce ancora di più quando capisco superata la 15esima/16esima settimana (a seconda delle gravidanze) l’aborto non è più tramite raschiamento, ma con parto indotto. Il feto deve essere partorito. Io sono già alla 14esima settimana e il tempo di attesa dei risultati della villocentesi mi porterà oltre quella data. Sono paralizzata dalla paura, dalla paura di dover affrontare un ‘parto’, di rischiare di doverlo affrontare da sola su un lettino di un ospedale durante il turno di obiettore, magari in mezzo a donne che stanno portando a termine la loro gravidanza (sì, succede anche questo).
Cerco così qualcuno in rete che possa aver vissuto quello che sto vivendo io. Ed anche per questo che scrivo tutto ciò, affinché qualche ragazza che si ritrovi nella mia storia si senta meno sola. Navigando con chiavi di ricerca quali “esperienza+aborto+terapeutico+Roma”, “aiuto+donne+aborto+terapeutico” trovo il blog di una ragazza che aveva abortito dopo una diagnosi terribile. Le scrivo una mail sperando che sappia darmi delle informazioni più precise. Lei mi risponde immediatamente e mi dice di rivolgermi ad una associazione che chiamata “Vitadadonna”. Vado sul sito e scrivo alla dottoressa Canitano che mi dà immediatamente il suo numero di telefono. In pochi messaggi mi tranquillizza e mi assicura che se l’esito della villocentesi dovesse confermare quello del Prenatal Safe, lei mi indicherà un ospedale dove praticare l’aborto, tentando di capire anche i turni dei medici obiettori. Un’altra organizzazione che avevo trovato in quella ricerca è la “Casa Internazionale delle Donne” e, se la ragazza del blog e la dottoressa Canitano non mi avessero risposto così rapidamente, avevo deciso di rivolgermi a loro, perché a Roma sono una delle poche associazioni che danno supporto alle donne in queste occasioni. E io avevo bisogno di supporto, avevo tanto bisogno di supporto.
Arriva l’8 gennaio, il giorno della villocentesi. La notte non riesco a dormire. Arriviamo al centro e vedo tante donne con il pancione, mi chiedo se arriverò anche io ad averlo o se finirà tutto prima. Ci fanno entrare nella stanza di un medico che ci informa che prima di fare l’esame devo essere sottoposta ad una breve ecografia. Mi stendo sul lettino. Il medico mi mette il gel sulla pancia e subito dopo mi dice “signora, mi dispiace” prende fiato “non c’è più battito”. Il mio compagno mi stringe la mano, ha gli occhi lucidi, io piango.
“Signora non pensi che può essere stato un suo comportamento, non c’entra essere andati in motorino, aver bevuto il caffè, non è colpa sua in nessun modo, probabilmente il Prenatal Safe aveva ragione.“ Apprezzo tanto quelle parole, non sono ovviamente mai andata in motorino in gravidanza, ma ho capito cosa volvolev dirmi e in quel momento mi è sembrata una cosa molto dolce. Gli sorrido, lo ringrazio e ce ne andiamo.
Esco dalla stanza e improvvisamente mi sento sollevata. So che può essere difficile da comprendere ma la natura aveva scelto al posto mio, anche se avevo già scelto. La natura, soprattutto, mi aveva risparmiato tutto quel percorso di ricerca dell’ospedale, del parto indotto, degli obiettori che era stato l’incubo di quei giorni. Ora, infatti, si trattava di un aborto spontaneo. Potevo farlo nell’ospedale dove avrei dovuto partorire, ospedale che non pratica l’aborto terapeutico.
Il 14 gennaio vado in ospedale e, in day hospital, mi sottopongo all’intervento. I medici e gli infermieri sono gentilissimi e mi trattano davvero bene, ma mi viene naturale chiedermi se sarebbe stato lo stesso se quella decisione l’avessi presa io (come poi in effetti era) e non la natura.
Quando ripenso a quei giorni mi trovo a fare i contri con gli effetti che ha avuto su di me quell’esperienza e non riesco a non pensare a cosa sarebbe successo (e, in realtà, a cosa succede) se al mio posto, una donna di 37 anni sicura di sé e della sua relazione, sicura della sua scelta, appoggiata dal proprio compagno e dalla propria famiglia, fortunatamente senza grosse difficoltà economiche che vive a Roma, ci fosse stata una ragazza di 18 anni, una donna straniera che parla poco l’italiano, una ragazza madre che vive in un paesino sperduto, ma anche, più semplicemente una donna come me che non può permettersi di spendere 1300 euro di villocentesi, più i soldi delle analisi, più i soldi del medicinale. Una donna che, detto banalmente, non ha i miei stessi privilegi, le mie stesse possibilità.
Una donna quando compie una scelta del genere non dovrebbe avere altri pensieri, dovrebbe sapere che la sua scelta verrà rispettata e che verrà fatto il possibile per fargliela portare a termine in sicurezza. Ma così, troppo spesso, non è.
Questo non è un Paese per donne.
https://alleyoop.ilsole24ore.com/2020/07/01/aborto/?uuid=106_NirPCDFP
Non che il mio dolore conti molto di fronte al suo e a quello del suo compagno ma questa sua lettera mi ha fatto tornare in mente i momenti in cui ci sentivamo e lei mi chiedeva prima delucidazioni che ero felicissimo di darle e poi rassicurazioni che invece non potevo regalarle.
Come le ho scritto ieri sera ‘tutta la tua gioia, la tua speranza, poi il dubbio, i miei miseri incoraggiamenti e poi la conclusione’.
Per rimanere fedeli al titolo, la vita che buffa cosa, ma se lo dici nessuno ride.
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Nuovi infetti e nuovi contagiati.
Io mi chiedo, ma perché deve essere così facile prendervi per le chiappe?
Lo sapete cosa sono i Postulati di Koch?
Robert Koch è stato un medico, batteriologo e microbiologo tedesco vissuto a cavallo tra il 1800 e il 1900 il quale ha ricevuto il Nobel, nel 1905, per la medicina. Koch ha formulato i quattro postulati che portano il suo nome i quali stanno alla virologia come il Teorema di Pitagora sta alla geometria.
Se vi interessasse sapere cosa dicono i postulati ve li cercate ma, sappiate, che su quattro il Coronavirus non ne rispetta neppure uno. Tanto per cominciare perché il celebrissimo SARS-CoV2 non è stato ancora isolato e quindi come diamine pretenderanno di farci un vaccino pure questo è un mistero che solo loro sanno.
La storia dei nuovi infetti e nuovi contagiati che sembrano moltiplicarsi come i conigli che escono dal cilindro di un mago e di cui vi parlano i TG – omettendo di dire che sono tutti asintomatici – fa acqua da tutte le parti e su tutti i fronti.
Non vi dicono che sono “asintomatici” A, perché vogliono farvi credere che gli ospedali siano pieni di gente che non respira e, B, sanno bene che gli asintomatici in realtà non esistono, quindi si tengono nel vago.
Una persona che non ha sintomi è sana, caproni!!
Se il soggetto è sano non può trasmettere ciò che non ha.
Questo è quanto affermava Koch.
Ma allora perché risultano positivi al tampone? Facciamo un'altra piccola regressione con la quale rischio di ripetere quanto ho affermato in precedenti post - ma spero ne valga la pena.
Il tampone è una brillante invenzione di Kary Mullis, pure lui premiato col Nobel nel 1993 proprio per questa scoperta.
Mullis inventò per l’esattezza il processo PCR: Polymerase Chain Reaction.
“La PCR viene utilizzata in tutte quelle situazioni in cui bisogna amplificare un quantitativo di DNA fino a livelli utili per analisi successive. I campi di applicazione sono enormi. La tecnica viene sfruttata oggi, per esempio, in campo medico per riconoscere cellule tumorali, quando esse sono troppo poche per essere evidenziate da altre metodiche. Estremamente utile è l’uso della PCR in medicina legale e in vari campi dell’ingegneria genetica. Il suo utilizzo consente inoltre di rivelare eventuali malattie genetiche”.
Avete letto bene? Capite quale era l’uso per il quale Kary Mullis inventò tale processo? Lo scopo era quello della ricerca, visto la possibilità di AMPLIFICARE (ricordate bene questa parola) un campione genetico.
Lui, Mullis - tutt’altro che un topo da laboratorio ma, anzi, surfista appassionato e personalità irreverente - fino a quando era in vita HA IN CONTINUAZIONE RIPETUTO CHE IL TAMPONE NON E’ AFFATTO IDONEO PER NESSUN TIPO DI DIAGNOSI.
Il tampone è uno strumento di ricerca.
Sapete quando è morto? L’anno scorso, il 7 agosto, giusto in tempo verrebbe da dire.
Se fossi un complottista penserei male.
E grazie a Dio lo sono.
Tornando al tampone: il metodo PCR funziona per “amplificazioni”, giusto? Più amplifichi e meglio vedi.
Sotto le 35 amplificazioni il test è sempre negativo (e certo! non è nato per fare diagnosi!!), sopra le 60 è sempre positivo.
Quindi di quanto amplificazioni ha bisogno una menzogna per stare in piedi? Concludete voi.
Ma non solo! Se il coronavirus, il SARS-CoV-2, non è mai stato isolato, il tampone cosa cerca? Cerca tutti i coronavirus e ce ne sono almeno una decina. Quindi, supponendo che si stia cercando un tale GI-anni vengono presi anche tutti i GI-ovanni, i GI-no, i GI-anluca, i GI-ancarlo, i GI-anmarco, i GI-ancristiano, i GI-anmaria e così via.
E la fabbrica di positivi lavora h24. Insieme a quella della vostra ignoranza.
Ma aspetta, se c’è una possibilità che si sviluppi una immunità è proprio quella che tutti diventino, impropriamente, “positivi asintomatici”. Costoro sono coloro che hanno con molta probabilità contratto il letalissimo Covid19, poi liquidato come fastidioso raffreddore, e infine "digerito".
Se esistono degli anticorpi naturali si trovano proprio nel loro organismo.
La gente dovrebbe riunirsi invece che distanziarsi, per immunizzarsi. E’ sempre stato così da quando esiste memoria in campo medico.
E voi? Voi invece li temete. Mascherinati come non ci fosse un domani.
Non solo! – perché non vi accontentate di essere ignoranti ma dovete anche rompere i coglioni – adesso dall’alto della vostra indiscutibile rettitudine e profondo senso civico condannate tutti coloro che sono andati in vacanza in Croazia o in Grecia o Malta e premiando al contrario, con le vostre vuote lodi, chi in vacanza è andato a Viserbella con mascherina ben posizionata anche a bordo del pedalò col quale ha raggiunto le boe a 250 metri dalla riva.
Veramente ragazzi, mi fate venire voglia di fare il dittatore da grande; avrei gioco facile con dei pappagalli ripetitori di “ordini superiori” altrui come voi.
Vediamo. A Malta, ad esempio, ci sono meno di quindici ricoverati nell’unico centro Covid dell’isola; nessuno di loro si trova in terapia intensiva. Ma i media vi dicono che a Malta è in corso una crisi epidemica e una ragazza di Palermo si è “infettata” proprio mentre vi si trovava in vacanza; e poi scopri che nel reparto Covid di Palermo non ci sono infettati provenienti da Malta e, pure qui, zero presenze in terapia intensiva. Come faccio a saperlo? Ho cercato.
Prima si cerca e poi si scrive, capito?
Ma i TG insistono con ‘sta storia. Per chi stanno lavorando? Ve lo siete mai chiesti invece di scrivere stronzate?
In Grecia ci sono pochissimi casi, e chiedetelo ad un greco invece di guardare gli articoli degli scribacchini corrotti italiani. Mentre in Croazia, per farsi fare un tampone al fine di rientrare in Italia senza rompimenti ulteriori di coglioni, un amico mio (greco, guarda caso) che l’ha appena attraversata da sud a nord in macchina, ha dovuto aspettare che il dottore dell’unico centro Covid della Nazione si riprendesse dallo stato catatonico nel quale era caduto (per noia) poiché il centro è completamente vuoto.
Ma dai telegiornali sembra che proprio in quei Paesi frequentati dalle inarrestabili macchine della perdizione che sono i vacanzieri italiani, sia scoppiato un massacro epidemico tale da ritenere quello di Wuhan una bazzecola.
Puttanate. Puttanate enormi alle quali voi credete come allocchi.
Voi invece vi sentite di essere, insieme agli altri lobotomizzati certi di aver individuato nelle discoteche il covo dei lanzichenecchi di manzoniana memoria, gl’unici pilastri della morale (di questo cazzo), gli eroi disposti al sacrificio della propria gioventù per il bene comune (siete già vecchi, mi dispiace, il sistema vi ha metabolizzati malgrado i vostri 20 anni), i soli muniti di senno e senso civico.
Mi dispiace.
Se non siete disposti a leggere qualcosa che vi potrebbe fare male, fermatevi qui.
Siete esattamente a 90°, e da questa scomoda posizione vi state preoccupando che il pene di chi vi sta sodomizzando sia ben irrorato di sangue al fine che l’erezione sia mantenuta a dovere. Questo fate.
Difendete i vostri boia. Questo fate. E mi chiedo anche se quella posizione ormai non vi cominci anche a piacere. Dicono sia una questione di abitudine.
Non sapete un cazzo, non leggete un cazzo. E infatti parlate a cazzo. Questo fate.
E non pensate che mi stia "vanagloriando" di chissà quale sapere. Io non so un cazzo. Ho un umilissimo diploma di media superiore, però, se è per la mia libertà che devo farlo, cerco di informarmi e di usare la ragione.
Mi faccio sempre delle domande. La più importante è
perché?
Perché ci stanno raccontando delle cazzate? Perché se sono morte tutte queste persone per il Covid, ad oggi in Italia – ma anche altrove – l’ISTAT registra meno decessi dell’anno scorso? Perché nessuno, ma proprio nessuno tra i rappresentanti del governo né, tanto meno, tra quelli delle strapagatissime Task del cazzo Force ci ha mai detto di assumere vitamina C in quantità, vitamina D, vitamine del gruppo B. Perché ci hanno impedito di stare al sole, indispensabile e salvifico aiuto per la sintesi della vitamina D; perché ci hanno impedito di fare il minimo movimento: passeggiate in campagna e giri in bici, e invece ci hanno fatto stare all’ingrasso all’interno di rinstrimizziti appartamenti senza raccomandare una dieta ipervitaminica povera di zuccheri? Le attività fisiche, le corrette abitudini alimentari, la giusta integrazione con vitamine avrebbero reso chiunque una fortezza inespugnabile.
Invece? Sono aumentati i diabetici e i cardiopatici, lo sapevate?
Macché. Intanto vogliono vaccinare la fascia anziana della popolazione col vaccino anti influenzale. Siete a conoscenza del fatto che a Bergamo e Brescia sono state iniettate qualcosa come 180.000 dosi di vaccino anti influenzale e anti meningococco fino ai primissimi mesi del 2019?
Poi cosa è successo lo ricordate, vero?
Allora ragazzi, voi siete indispensabili. Esattamente così.
Indispensabili.
Ci servite “di qua”, dove stanno quelli che vi stanno difendendo malgrado i vostri sforzi di denigrarci.
Ci serve che vi svegliate e cominciate a vedere il disegno. Non va tutto bene.
Al contrario, se non diventiamo in tanti saranno cazzi. Abbiamo bisogno di voi, abbiamo bisogno di tutti.
Se vi offendo è perché spero in uno shock che vi faccia rinsavire. E non vi chiederò scusa.
Studiate, leggete, fatevi domande e trovate le risposte.
Chiedete aiuto, siamo qui.
Che ci crediate o no, tra poco il gioco si farà duro.
Io ve l'ho detto.
Alessandro Giuliani
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Il malvagio piano di Fiorello
Parole: 1609
No beta, we die like men
Fandom: Sanremo RPF (Non ci credo che ho davvero scritto questa cosa)
Ship: Amadello, side Bossille/Domille, mentioned Ferro e suo marito
Note autore: Doveva essere una drabble, è diventata una one-shot... Dal fondo del trash, vi prensento la fanfiction amadello ufficiale! Yay! Non ho idea di cosa ho scritto perché non ho riletto una parola... Potrebbe essere piena di errori e salti di logica, ma va beh... Godetevela in tutto il suo trash!
Fiorello si sta preparando nel suo camerino. Questa è l’ultima serata, la grande finale, l’epica conclusione del settantesimo festival di Sanremo e tutto è andato secondo i piani.
Fiorello sorride al suo riflesso nello specchio mentre si sistema la sua elegante e luccicante giacca. Gli mancherà un po’ indossare abiti così sfarzosi una volta finito il festival, ma al momento gli interessa solo quanto bene gli sta questa giacca e quanto renderà migliore la serata che sta per iniziare.
Qualcuno bussa alla porta «Signor Fiorello, tra cinque minuti sul palco!» annuncia un tecnico aprendo appena uno spiraglio per farsi sentire. «Certo, certo. Grazie.» risponde Fiorello e improvvisamente sente che gli tremano le mani. Era completamente calmo fino ad ora, ma adesso, con la realizzazione che la serata sta davvero per cominciare, l’agitazione ha cominciato a salire. «Ce la puoi fare. Sei uno showman. Sarà una passeggiata per te.» si dice guardandosi un’ultima volta allo specchio. «È andato tutto perfettamente secondo i piani fino ad adesso e così sarà anche stasera.»
L’Ariston è pronto per la finale, il palco sembra più luminoso che mai, file di vasi pieni di fiori decorano ogni angolo libero e Amadeus sta salutando il pubblico. Fiorello si incanta un momento a guardarlo e si lascia scappare un sorriso “Quella giacca è orrenda…” pensa “Ma minchia, gli sta da Dio…” e prima che possa ritornare del tutto alla realtà sente il suo segnale e deve correre sul palco per il suo sketch di apertura.
Fiorello sorride con il suo miglior sorriso da showman, ma è ancora disorientato e assorto nei suoi pensieri. Non riesce proprio a concentrarsi. Amadeus se ne deve essere accorto perché gli lancia un’occhiata un po’ preoccupata e poi cerca di coprirla con una battuta «Ah, niente costumi stasera?» chiede con quel sorriso a trentadue denti e Fiorello è abbastanza sicuro di aver visto una traccia di rossore sulle guance del suo Ama’. «Ah, no, no… Stasera dobbiamo essere molto seri, Amadeus. È la finale dopotutto, è importante, non c’è spazio per le sciocchezze.» risponde Fiorello facendo del suo meglio per rimanere serio fino alla fine. L’espressione confusa di Amadeus è abbastanza per confermargli che ci è riuscito. Amadeus si riprende e annuncia la prima esibizione prima di ritirarsi velocemente dietro le quinte insieme a Fiorello.
«Fiore, senti, tutto okay? Ti ho visto un po’… Troppo serio… Stai cercando di nascondermi qualcosa? Uno sketch particolare? Mi vuoi fare qualche scherzo?» chiede subito Amadeus con gli occhi pieni di preoccupazione e Fiorello deve fare del suo meglio per non mettersi subito a rassicurarlo. Si costringe a ricordarsi il suo piano e risponde con il tono più freddo possibile «Sono molto serio, Amadeus. Sei il conduttore, dovresti capire che questa è la serata in cui bisogna essere seri, o forse hai dimenticato come fare il tuo lavoro?» Amadeus resta senza parole e Fiorello pensa che forse ha esagerato, ma adesso è troppo tardi per tornare indietro, così decide di non aggiungere altro e si allontana.
Amadeus è un professionista, in fondo, e riesce ad affrontare il resto della serata senza farsi distrarre troppo dalle parole di Fiorello, ma lui lo osserva bene, lo conosce, sa che nel fondo della sua mente Amadeus ci ha rimuginato tutta la sera. Ma il conduttore continua a comportarsi come le altre sere: accoglie i suoi sketch con entusiasmo, ride ampiamente alle sue battute e continua a chiamarlo “ciurì”. Il cuore di Fiorello si scioglie ancora ogni volta, ma deve mantenere la sua apparenza seria e posata: non ricambia il soprannome, non ride tanto quanto le altre sere, si tiene sempre ad un passo o due di distanza e si comporta con la sua solita amichevolezza solo con gli ospiti e gli artisti. In particolare con Tiziano Ferro da il suo massimo: se qualcuno dovesse spiegare il significato di “gay” userebbe sicuramente qualche immagine di Fiorello e Tiziano in questa serata. Ogni limite che si può oltrepassare, Fiorello lo oltrepassa, ma sempre mantenendo le distanze da Amadeus.
Nel backstage Tiziano lo prende da parte per un attimo «Non stai esagerando un po’? Vic mi ha dato il permesso di aiutarti con il tuo folle piano, ma… Insomma, Fiore non credevo che arrivassi a tanto…» il cantante sembra genuinamente preoccupato e Fiorello è un po’ commosso «Tranquillo Tiziano, ho tutto sotto controllo e il bello deve ancora arrivare.» risponde lui sorridendo con aria di sfida, mentre Tiziano sgrana gli occhi «Oh no. Così mi spaventi sul serio, Fiore.» Fiorello ride «Beh, puoi dire a Vic che si divertirà molto…» Tiziano lo guarda male per un attimo «Rosario, Vic è in sala stasera, faccio un po’ fatica ad andare a parlargli, non credi?»
La serata continua a scorrere e Fiorello può vedere la confusione crescere sul volto di Amadeus di minuto in minuto. Si sente un po’ in colpa, ma solo un po’. Adesso sta per esserci l’ultima esibizione, quella di Achille Lauro, e l’attenzione di tutti è al massimo. Fiorello si affretta a raggiungere il giovane cantante nel backstage.
Achille sfoggia un meraviglioso costume da diavolo ispirato a quello di Elton John: ha davvero superato sé stesso stasera con la sua sfida a tutti i boomer di Sanremo, non solo un vestito provocante, non solo un vestito ispirato ad una grande icona LGBT, ma un vestito che richiama il Diavolo. Fiorello si sente fiero come un genitore. «Pronto, Fiorello?» chiede Achille mentre finisce di controllare il suo costume, Boss Dom è accanto a lui che lo aiuta. «Sono nato pronto, caro Achille. Vuoi due?» rilancia Fiorello e Boss Dom sorride compiaciuto «Stavamo aspettando questa occasione da quando siamo stati selezionati per il festival. Sarà epico.» Fiorello annuisce e sono tutti pronti per partire. Un attimo prima del loro segnare Achille da un bacio a Boss Dom «Dovresti risparmiarti per dopo.» lo prende in giro lui e Achille risponde a tono «Scusa, non potevo resistere.» Fiorello continua a sentirsi un genitore fiero, ma anche un po’ un terzo incomodo.
Ed ecco il momento decisivo. Achille viene chiamato sul palco e arriva accolto da scoscianti applausi. Il suo costume fa davvero effetto. Fiorello segue a ruota con una specie di vestito addosso e il pubblico è visibilmente confuso dalla sua presenza. La musica parte e Fiorello divide il microfono con Achille, dando tutto sé stesso. Ed ecco che al ritornello si toglie il vestito per rivelare la tutina semitrasparente da Freddie Mercury che Achille ha indossato la prima sera. Boss gli sorride e Achille gli si avvicina per mettergli il rossetto. Fiorello continua a cantare e a saltellare di qua e di là, il pubblico è sempre più confuso, ma non può evitare di essere anche entusiasta: è una performance meravigliosa. Purtroppo finisce quasi troppo presto. Le ultime note scompaiono e Fiorello si appoggia ad Achille esausto, ma con un sorriso soddisfatto. Il pubblico si alza in piedi per applaudire, Fiorello riesce a vedere che Vic, il marito di Tiziano, sta già ridendo come un matto. Adesso bisogna vedere se tutto si concluderà come previsto.
Amadeus torna sul palco confuso, estasiato e rosso come un peperone. Fiorello se la ride tra sé e sé. «Achille Lauro, signore e signori! E Rosario Fiorello! Wow! Eh… Non sapevo che questo sarebbe successo… Ma wow! Le sorprese della diretta, eh?» si avvicina ai due artisti e continua a lanciare occhiate a Fiorello che non muove un dito per rimettersi qualcosa addosso e coprire quella tutina. «Rosario… Rosario, ciurì, non mi avevi detto di questa cosa… Da quanto…? Non so neanche se vale come esibizione dato che hai cantato anche tu…» Amadeus è disorientato e non sa più cosa dire, lo ha pure chiamato per nome… Fiorello è un po’ intenerito. «Ma, Ama… L’esibizione non è finita.» risponde sorridendo come lo Stregatto. Il momento è arrivato. «Ah no?» Amadeus non riesce ad aggiungere altro per un momento «Che cosa c’è adesso?» aggiunge ancora incantato da Fiorello. Lui si avvicina, afferra il bavero del conduttore e lo bacia.
È uno di quei momenti in cui nessuno capisce cosa stia succedendo, c’è solo una gran confusione e un sussulto che coinvolge tutto il teatro, poi l’orchestra inizia a suonare una musica romantica. Se avessero detto ad Amadeus che l’ultima esibizione di Sanremo 2020 si sarebbe conclusa con Fiorello che se lo limona in mondovisione vestito da Freddie Mercury, non ci avrebbe mai creduto. Eppure eccolo qui, tra le braccia di Fiorello, del suo ciurì, con svariati segni di rossetto intorno alla bocca.
Quando Fiorello lo lascia andare sono entrambi senza fiato per un qualche momento «Fior… Fio… Fiore… Credev… Credevo che non mi sopportassi più… Insomma da come mi hai trattat…» Amadeus cerca di parlare, ma Fiorello lo interrompe con un altro bacio, molto più casto, che dura appena un secondo. Amadeus sa che dovrebbe condurre il dannato settantesimo festival di Sanremo in questo momento, ma per come Fiorello lo sta guardando, può andare tutto al diavolo: il festival, l’Ariston e la Rai. «Volevo farti ingelosire un po’… Per tastare il terreno vedere se avevo una chance… E stasera volevo sorprenderti… Quindi il miglior modo era tenerti lontano, farti credere che non ci fosse assolutamente niente, che le scorse serate fossero state solo show. Ma nemmeno io sono uno showman così bravo da fingere tutto quello: era davvero tutto per te, il vestito da Don Matteo, il vestito da De Filippi, la canzone che ho cantato ieri… E avevo detto di aver messo la tutina di Achille, no?»
I microfoni sono ancora accesi. Tutti hanno sentito tutto. Tutti hanno visto tutto. E adesso all’Ariston regna un silenzio di tomba. L’unica cosa che si sente è Vic, che continua a morire dal ridere.
#sanremo#sanremo 2020#amadello#bossille#domille#cosa ho fatto?#Mi vergogno di me e mi sento fiera allo stesso tempo#Chiedo umilmente scusa al mondo in generale ed a tutte le persone coinvolte per questo#amadello fanfiction#fanfiction
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Un coro di emozioni mi stava cantando negli orecchi. Tante voci confuse insieme, con il risultato di confondermi ancora di più. Ero deluso da me stesso, ero triste, arrabbiato, confuso, affamato. Si, tra le tante cose, mi era arrivata anche la fame. Ma soprattutto sentivo il bisogno di parlare con Pietro. Volevo scusarmi, spiegare le mie ragioni, volevo che capisse, doveva capire! Con fare incerto, mi avvicinai, eravamo rimasti soli. Antonio era uscito, non so per dove, ma non era più lì e la madre era salita al piano superiore, forse per preparare i letti.
Avevo un groppo in gola, ma non mi avrebbe fermato. "Io non volevo...Scusami, Pietro, avrei dovuto tacere, non dire nulla, ma mio padre mi ha costretto. mi avrebbe ammazzato di botte!" Che figura di merda! Lui aveva preso una sventola paurosa senza fare un fiato ed io mi ero cagato addosso solo per la promessa di prenderle. Proprio una gran bella figura di merda. Poi mi ricordai che non era solo per quello, che avevo parlato anche perché, al mio vecchio, avevano raccontato delle falsità. "Poi Alberto Maria aveva raccontato un mucchio di stronzate, per non dire al padre che le aveva buscate da uno più piccolo, così ho dovuto dire la verità! Io..."
"Chi è Alberto Maria?" Mi chiese, come se fosse appena arrivato. Come se in tutto il casino che era scoppiato lui non c'entrasse affatto.
"Come chi è? Quello che se ne è tornato a casa con il naso spappolato!" Risposi tutto d'un fiato. Poi feci una cosa di cui mi vergognai immediatamente. E di cui mi vergogno ancora. Scoppiai a piangere come un poppante cui hanno rubato il ciuccio. Saranno state le troppe emozioni accumulate, non saprei, il fatto è che un fiume di lacrime mi sgorgò dagli occhi e non riuscii a trattenerne neanche una.
Pietro rimase immobile e immobile la sua espressione distante, poi si voltò, mi guardò serio, mi cinse le spalle in un abbraccio e disse: " Non stare lì a preoccuparti, amico mio. Hai fatto la cosa giusta. Tanto, prima o poi, i miei lo avrebbero saputo lo stesso. Al tuo posto, avrei fatto la stessa cosa."
Non era vero, lo sapevo. lui era un duro, un duro vero, non gli avrebbero cavato una parola, neanche con le pinze. Però gli credetti lo stesso. Avevo bisogno di crederci e lo feci. Mi sentii subito meglio. Eravamo ancora amici. Era proprio forte il Maremmano, sapeva sempre cosa dire e fare. Era un grande. Più grande degli adulti.
"Chissà cosa si staranno dicendo lì fuori, è già un bel pezzo che sono usciti." Dissi, rinfrancato nel corpo e nello spirito.
"Mio padre starà raccontando al tuo di mio fratello."
"Tuo fratello? Che cazzo c'entra tuo fratello con noi?"
"Quando abitavamo a Tuscania, vivevamo in paese, come te, un pomeriggio di un paio di anni fa, stavo giocando al pallone con i miei amici, in una piazzetta del centro. Non ci crederai, ma quel giorno mi avevano messo in porta. Non avevo voglia di correre ed ero il più piccolo della banda. Successe che uno degli avversari tira in porta una cannonata spaventosa ed io in porta sono una pippa. Naturalmente segna, neanche lo vidi il tiro, ma, purtroppo, centra in pieno lo specchietto retrovisore di un'auto parcheggiata lì vicino. Era una centododici abarth, così c'era scritto su quella macchina, non me lo dimenticherò mai. E quando dice male, dice male, esattamente in quel momento, stava arrivando il proprietario in compagnia di un amico. E vuoi sapere un'altra cosa?"
"E me lo chiedi? Certo che la voglio sapere!"
"Erano tutti e due vestiti da carabinieri!"
"Una jella nera!"
"E già, proprio una jella nera. tutti i miei amici se la filano gambe in spalla, lasciandomi lì da solo, come un coglione."
"Ma che cazzo! Perché non te la sei squagliata anche tu?" Era la cosa più logica da fare.
"Perché il pallone finito sotto quell'auto era il mio pallone. Non volevo perderlo. Uno dei carabinieri, quando vide lo specchietto rotto, si incazzò come un picchio, mi chiamò, mi fece avvicinare e quando gli fui a tiro, mi mollò una sberla in faccia. Non piansi, non ho mai pianto per le botte ricevute. Questo lo fece incazzare ancora di più, aprì lo sportello della macchina, ricordo che pensai: ora mette in moto e se ne va, così recupero il pallone. Ma non lo fece, non subito, prese un cacciavite e con quello bucò il mio pallone."
"Brutto figlio di puttana!" Dissi accalorato dal racconto, poi mi guardai subito intorno, preoccupandomi che nessuno mi avesse ascoltato, "Solo, non capisco: cosa c'entra tuo fratello?"
"Dammi tempo, ci sono quasi. I due carabinieri salirono in macchina e partirono, io raccolsi il pallone sperando che, in qualche modo, si potesse riaggiustare, mi avviai verso casa, quando, da un vicolo, sbucò fuori Marchetto, il mio migliore amico di allora. Era scappato, ma si era pentito ed era tornato ad aspettarmi, e decise di accompagnarmi a casa. Sotto le scale di casa mia, incrociammo mio fratello che stava tornando dal lavoro. Hai visto come è fatto, no? Ci si fece incontro sorridendo, ma quando mi fu vicino, si accorse che qualcosa non andava. Poi notò il pallone sventrato e il segno rosso delle cinque dita che quel verme mi aveva stampato sulla faccia. Mi chiese spiegazioni, io non volevo dire nulla, ma la rabbia mi fece scoppiare in lacrime. Fu Marchetto a spifferare tutto. Ho pure pensato che fosse stata colpa sua di quello che successe dopo; ma so che non è vero."
"Cosa è successo dopo?" non volevo sembrare troppo curioso, ma era più forte di me. Il Maremmano era un narratore favoloso e quella storia sembrava un film.
"E' successo che Antonio, invece di rientrare a casa, è andato a cercare quei due, portandosi dietro me e Marchetto, visto che, da solo, non avrebbe potuto riconoscerli."
"E l'avete trovati?"
"Eccome se l'abbiamo trovati! Anche se, a conti fatti, sarebbe stato meglio di no. Erano seduti ad un tavolo, fuori da uno dei bar del centro, che ridevano e scherzavano beati. Mio fratello ha detto a Marchetto di aspettarci sul marciapiede, mi ha preso per la mano e si è avvicinato a loro. Era calmo. Almeno lo sembrava. "Quale di voi due coglioni ha messo le mani addosso a mio fratello?" Ha detto quando stavamo ad un passo da loro.
"Ha dato del coglione ad un carabiniere? Un carabiniere in divisa?" Domandai stupito. Era da pazzi. Almeno secondo il mio modo di vedere. Era come scavarsi la fossa con le proprie mani.
"Magari si fosse limitato a quello. I due, che non si erano resi conto del nostro arrivo, si voltarono di scatto con le facce truci, credo non fosse loro capitato spesso di essere stati insultati sotto al muso, e davanti ad altre persone, scattarono in piedi come molle, le loro facce da ebeti dimostrarono tutta la loro sorpresa. Poi quello che mi aveva picchiato mi notò e riuscì a collegare i fili. Sorrise cattivo e disse:" Ora capisco, lui è lo stronzetto che mi ha rotto lo specchietto, ha avuto quello che si meritava. Tu invece chi sei? Attento che..." non si seppe mai a cosa doveva stare attento. Non riuscì a terminare la frase. Antonio lo colpì a mano aperta, uno schiaffo, non un pugno, me lo ricordo come se fosse adesso. Uno schiaffo, ma lo fece volare in aria come un fantoccio. Come se non pesasse un cazzo di niente. Andò a schiantarsi su un altro tavolo, fracassandolo. Non si alzò più. Dormiva che era un piacere guardarlo. L'altro sbirro, vista la mal parata, cercò di mettere mano alla pistola, anche se, negli occhi, si leggeva la paura. Mio fratello fu, ancora una volta, più lesto dell'avversario. Lo piegò in due con un pugno allo stomaco, lo sollevò in aria come un fuscello e lo scaraventò in strada; lui e la sua cazzo di pistola."
Mi ero sbagliato, non sembrava un film, era un film! Meglio di un film! Antonio aveva due mani come due prosciutti e pensai che quelli avevano avuto un bel culo a non finire dritti al creatore. Che scena doveva essere stata! Avrei anche pagato non so cosa per poter dire: c'ero anch'io. Ecco il Maremmano da chi aveva preso!
"E non finì lì. Nessuno dei due era in grado di rialzarsi. Pensai: ora ce ne andiamo, ora è meglio se ce ne andiamo, Antonio sembrò leggermi nel pensiero, mi prese nuovamente per mano e scendemmo in strada. Fatti pochi passi, si accorse della loro macchina parcheggiata. Era facile da riconoscere, gliela avevo descritta ed era l'unica cui mancava lo specchietto. Mio fratello lasciò la mia mano, si appoggiò all'auto da una fiancata e la ribaltò completamente. Uno spettacolo da non credere. Nessuno dei presenti osò emettere un solo fiato. E' stata la cosa più incredibile che abbia mai visto."
"Poi? Poi come è andata finire?" Pendevo dalle sue labbra.
"Poi niente. Stavolta era finita davvero. Mi mise un braccio intorno alle spalle e disse: Chissà forse la prossima volta ci penserà due volte prima di picchiare un bambino." Concluse fissandomi. Io me ne accorsi che era triste.
"Cazzo, aveva ragione! E anche tu avevi ragione!"
"Anch'io la penso così, ma, forse ci sbagliamo. Forse non è così. Perché Antonio lo arrestarono la sera stessa e lo rinchiusero nel carcere di Viterbo. Hai capito ora perché mio padre me le ha suonate così forte?"
"Brutti figli di puttana!" Fu l'unica cosa che fui capace di dire.
"E già. Siamo venuti via da Tuscania per questo motivo. Mio padre dice che lo abbiamo fatto per lavoro. Perché comprare questa casa e questa terra è stato un ottimo affare, ma io lo so che non è vero. Era stato per via di mio fratello. Si vergognava che fosse finito in carcere. Ecco il vero motivo. Ora ha paura che la stessa cosa possa succedere a me."
"Ma a te non succederà mai! Io, Bomba, Tonino, Sergetto, Schizzo, il Tasso, i nostri genitori, stiamo tutti con te! Ti difenderemo! Gliela facciamo vedere noi a quella testa di cazzo dell'avvocato Terenzi!" Urlai. Ero diventato tutto rosso per la rabbia. Ero pronto a dar battaglia.
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Oggi non parlerò di cosplay, e non scriverò in inglese, cosa che purtroppo farà floppare questo post malissimo, di un blog già morto perché quest’anno la voglia di continuarlo è stata pari allo zero assoluto. Difatti ho intenzione di resettarlo completamente e farlo diventare il mio angolino sicuro di sfogo. Lasciare questo come primo post. Perciò cominciamo con il discorsone. Vi è mai capitato di sentire questa frase? “I panni sporchi si lavano in casa. “ Io un’infinità. Tanto che nella mia infanzia ero fermamente convinta che fosse una regola della società, da tenere segreta e ben custodita. I panni sporchi si lavano in casa. Quello che non ti dicono, da piccolo, è che se nascondi troppa polvere sotto il tappeto alla fine diventa una montagna. Ed è così che è cominciata. Se vi aspettate tutti i dettagli della mia vita mi dispiace, dovrete tirare fuori un po’ di p*lle e venirmele a chiedere. Non ho nulla da nascondere, se chiedete vi verrà risposto. D’altronde sto facendo questo post sia per sfogarmi che per , magari, aiutare qualcun’altro. Posso dire sommariamente che c’è un motivo se non menziono spesso mio padre, che mia madre ed io abbiamo iniziato ad avere un rapporto semi civile adesso, che molte cose nella mia vita mi hanno portata spesso a chiudermi in me stessa, o a buttarmi a capofitto in decisioni sbagliate, oltre che a sentirmi sempre un peso per il prossimo. In sostanza: prendete un bello shacker, mixatelo, ed avrete un bel margarita alla depressione. Qual’è il problema? Semplice, non volevo ammetterlo con me stessa. O, almeno, non fino in fondo. Sono sempre stata convinta, in cuor mio, di essere uscita abbastanza bene da ogni situazione. O che, comunque, avrei faticato di meno ad andare avanti se avessi mentito a me stessa, e così ho fatto. Purtroppo non per un giorno, questa cosa è stata perpetrata per anni. Anni in cui mi trascinavo avanti, senza sapere bene il perché. Anni in cui mi sentivo una fallita, inutile, sola, sbagliata e che se fossi scomparsa dal mondo sarebbe stato meglio. E non vi mentirò, quella sensazione non svanisce una bella mattina con il canto degli uccellini che ti svegliano dopo un sonno ristoratore da tutta la merda. Ancora mi sento così, diciamo solo che abbiamo iniziato a spazzare quella polvere sotto al tappeto con uno spazzolino. Ma, al contempo (perché sono gemelli e YEY ho una doppia personalità [?] ... Oh, dai, concedetemi almeno la battuta.), mi buttavo a capofitto sul lavoro, o in progetti che iniziavo per tenermi la mente impegnata. Per crearmi dei bei ricordi, per ribellarmi dal mio stesso essere che mi diceva che ero 0, ripetendosi in cacofonia con delle voci esterne che non riuscivo a scacciare. Anche questo lo faccio tutt’ora. E odio che i piani si scombinino, in quel caso. Non vi nego che questo mi ha portato a sbagliare, con molte persone. (E delle volte mi ha salvato da certe altre.) Qual’è il punto? Il punto della questione è “semplice”, vorrei aiutare chi si ritrova davanti una testina di minchia come me, o dare una pacchetta alla testina di minchia come me e dire “Ehy, lo so, non sembra. Mi prenderai per stupida, o solo una che ti vuole sbolognare presto perché non crede che hai un vero problema. Ma è vero, cazzo. C’è una luce in fondo al tunnel. E’ piccola, sembra quasi inarrivabile. Dovrai alzare le chiappe da quel letto/sedia proprio come ti dicevano se vuoi averla. Ma, ehy, ne sono riuscita a vedere uno spiraglio e... Non è L’eden, ma cazzo se è meglio di questo schifo.” Per chi cerca di aiutare: Se la testina è come me, non proponete soluzioni estreme al problema. Molte persone, forse, si offenderanno. Me lo hanno detto in tantissimi negli anni. “Vai via da quella casa” “Dagli un pugno” “Reagisci” “Chiama la polizia” “Fregatene e ---*continuare a parlare del problema*” Sembra la soluzione più ovvia e logica, e non dico di non farlo per nulla: è un vostro consiglio da amici. Ed in molti, molti casi può essere giusto. Quel che succede però nel momento della crisi è violento e fa un male boia. La soluzione PER ME, e che sono riuscite a carpirla solo le mie amicizie più strette, è parlare a voce. Devo sfogarmi, anche piangendo sapendo che c’è qualcuno all’altro capo del telefono che mi ascolta solo singhiozzare in silenzio. Pian piano riesco a calmarmi, ad aprirmi... E parlare anche di qualcosa di divertente quando la situazione si è appena sbollentata, esterna al problema principale, mi aiuta. A voi amici aiutanti non vi mentirò: le testine sono snervanti. Perché per un completo check del “lo facciamo stare meglio” avranno bisogno di contatto continuo, anche fuori dalla situazione di crisi. Basta poco, un meme, un messaggio ogni tanto, parlare relativamente di cagate... Ma sappiate che se non sono loro i primi a cercarvi, non lo fanno apposta. Noi testine ci sentiamo di troppo. Un peso. Delle volte tentiamo di non mostrare i disagi fino al crollo massimo. Non forzate troppo la conversazione, ma non abbandonateci. E soprattutto non traditeci. Nel mio caso... le seconde possibilità non sono contemplate. Si diventa come fantasmi, perché se vi abbiamo lasciato avvicinare e dopo ci scaglierete contro pietre, con quelle pietre ci costruiremo un muro per tenervi fuori, come se non foste mai esistiti. E per quelli che rispondono con:-E’ solo un momento, passerà -Sei solo un po’ tragico -Stai provando sul serio ad essere felice? -Prova a cambiare il tuo stile di vita -E’ tutto nella tua testa, sei tu che decidi -Sei tu che non vuoi stare meglio, è colpa tua. -C’è chi sta peggio. -Non ti servono i farmaci! Esagerato/a ....Abbiamo detto di non mentire, no? Bene. Allora sappiate che delle volte, se non si ha nulla di utile o intelligente da dire, è meglio tacere. Peace and love. Per le testine: Ciao, anche tu qui nel girone della cacca? Bene ma non benissimo. Anche a te non mentirò, è uno sbatti di quello potente. Ma proprio potente. Il mio tipo di depressione era quello disordinato: Avevo camera che era una giungla. Sistemavo le minime cose e mi sembrava di aver fatto tanto, faticavo come se avessi fatto tanto, ed invece non riuscivo a fare un cazzo di niente. Certo, fuori in casa aiutavo tranquillamente, facendo brillare anche una stanza intera. Ma la mia stanza? Pf. Non solo. Mi sono chiusa in me stessa, e mi sono al contempo sempre affidata agli altri. Mostravo una faccia sorridente, da piccola mutavo anche il mio carattere per provare a farmi accettare. Poi ho capito che fa schifo. Così, verso le medie, ho provato ad essere asociale. Spoiler:fa schifissimo anche quello. Ho donato tutta me stessa alle persone, ma indoviniamo? E’ pericolosissimo e FA SCHIFO ANCHE QUELLO YUHUUUU. Perciò, come si può fare? Semplice: ammettiamo di avere bisogno di aiuto. Ci sembrerà un crimine gravissimo, che gli altri ci possano prendere per vittimisti, perché abbiamo osato disturbarli, esternare che stiamo male. Perché ce lo insegnano da bambini che stare male è una brutta cosa e va nascosta. Ma non è così. E’ normale. E’ DAVVERO normale. E chiedere aiuto non è sbagliato. Chiedere aiuto è davvero la soluzione. I vostri amici/parenti/san crispini non ci credono? Lo so, non è facile. Ma se in fondo, molto in fondo, vi vogliono bene lo capiranno che state dicendo la verità. Soffro di tricotillomania da quando avevo 8 anni. Fortunatamente non in maniera grave, mi tolgo giusto un po’ le sopracciglia. Mia madre lo sapeva, e non ci ha mai dato troppo peso. Fino a due mesi fa, quando in una delle crisi ha visto proprio il gesto, a cui prima non aveva mai fatto, volontariamente o non. Ha visto che era un mio modo per autolesionarmi. Si, mi faceva scaricare lo stress,come mangiare le unghie può essere per qualcun’altro, ma non era sano. Ora? Ora ho una cura di prova. Sto un pochino meglio. La mia camera sta prendendo una forma carina. Pulire ancora mi pesa (forse sono un po’ disordinata anche nell’animo) ma riesco a dormire di più, a mangiare meglio, a svegliarmi la mattina. (WAH) La cosa più importante per me, però, è che io e mia madre riusciamo ad avere un contatto umano, fisico e non, senza che implichi il litigio o i soldi. Riesce a non guardarmi più solo con disprezzo, ma ad apprezzare tutto ciò che non vedeva prima perché ero sommersa da questa coltre nera di schifo, ed io che percepivo da lei quella negatività e rigetto che mi faceva ancora più male. Sono solo due mesi, sono ancora all’inizio. Lo spiraglio non è ancora abbastanza grande per farmi passare, è piccolo come una mandorla. Ma ho iniziato, e voglio continuare. Non mi basta un assaggio, voglio tutta la fottuta torta, cazzo. Non so se ci riuscirò, delle volte mi sento ancora giù.. E ad i miei amici ancora fatico a chiedere aiuto se non nei momenti di stremo. Ma non è una cosa che va fatta di fretta. Un passo alla volta, piano piano. E non importa se vorrai esternarlo come ho fatto io o meno. Decidi tu dove vuoi lavarli i tuoi panni sporchi <3
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Club del Libro ma solo per noi? (22/11)
« Ah, prima che mi dimentico. Ieri pomeriggio ho incontrato Dominic nel corridoio » sì, esatto, ha usato il nome intero perché non c’è pietà per chi la chiama Blythe (?). « E mi ha detto di chiedere a te per le fiabe di Beda il Bardo..? Si chiamano così? Credo non gli piacciano i libri che leggo, quindi ha detto di venire da te » scrolla le spalle, mentre con la coda nell’occhio osserva Chandra avvicinarsi ed annusare una delle felpe che guarda caso sono state riservate a lui.
Peccato che le parole su Dominic gli strappino un sorrisetto gentile. Piccino «Quindi sei tu. Cioè mi aveva detto che aveva detto a qualcuno di venire da me. Se vuoi. Possiamo finire la storia della piovra, e poi possiamo leggerne qualcuna.» sentenzia, come a chiederle se è una cosa che possa andare. «Altrimenti posso prestarti il libro. E` un regalo a cui tengo, quindi niente caramelle sopra!» che no, non è serio. Esce pure con un occhiolino complice e molto, molto stupido.
« Oh sì! Va benissimo, sarei contentissima di leggere assieme » ed una risatina le scappa nel ricevere quell’occhiolino. « Però… ho un’idea al riguardo » lo informa, andando ad incrociare le mani dietro la schiena e inclinando la testa verso una spalla. « Invece che prestarmi il libro, se ci piace leggere insieme questa sera potremo darci appuntamento altre volte per leggere altre fiabe. Così tieni il libro anche se non te lo rovinerei mai, ma mi sento più tranquilla se ce l’hai » le paranoie, quelle gravi « E poi ho un altro libro che sto finendo, me l’ha prestato mio fratello e da sola non riuscirei a leggerli entrambi. Se ti va bene come proposta, ovviamente » che stasera vanno avanti a permessi.
« Una specie di club del libro ma solo per noi? » per comprendere bene « Mi piacerebbe un sacco. Così almeno possiamo continuare a leggere quello che ci va negli altri giorni e poi decidiamo cose da leggere per quando siamo assieme?? » domanda, con gli occhioni che si aprono ancora un poco di piu` « Ad esempio - potremmo fare una lista. » e quando mai. « o magari solo improvvisare. » sembra piacergli pure di piu`. « che libro stai leggendo ora? Magari lo conosco. » magari no, ma lui ci prova.
E le piace sapere che la sua proposta riguardo i libri vada bene anche a lui, a giudicare dal sorriso entusiasta che le illumina il volto. « Sì sì, proprio quello che intendevo! E secondo me se improvvisiamo è più divertente, magari una sera portiamo entrambi due libri e quello che non viene scelto lo si rimanda alla volta dopo. E poi ricominciamo » già non sta quasi nella pelle al pensiero. [...] « Le Cronache di Narnia. Il volume con tutti i racconti messi insieme. E’ un po’ lungo ma ne vale la pena o almeno così mi hanno detto » indoviniamo chi gliel’ha prestato e consigliato, o viceversa?
Annuisce poco dopo anche sulla scelta dei due libri, prima di farsi un poco pensieroso « Dobbiamo riuscire allora a coordinarlo anche con i gufi, perché tipo così so cosa farmi spedire da mamma. » visto che non tiene esattamente tutti i libri che ha letto nel baule « I fumetti valgono? » per capire anche se può usare quella carta.
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“A fine luglio mio fratello mi dice che ha trovato una macchina da comprare, e che ha bisogno che porti il contratto di lavoro e l’ultima mia busta paga per fargli da garante. Gli hanno chiesto solo quello, ma io, previdente, mi porto dietro il passaporto (italiano) e codice fiscale. L’agente della concessionaria prende tutto e mi dice la finanziaria ha bisogno del codice fiscale plastificato e della tessera sanitaria. Questo non era stato detto prima. All’indomani dicono a mio fratello che la finanziaria non accetta il mio passaporto, ma vuole obbligatoriamente la carta d’identità. Per me che giro il mondo la carta d’identità è, a tutti gli effetti, carta straccia. Ho un passaporto con ben due visti lavorativi per USA e che mi fa arrivare ovunque nel mondo, ma per la finanziaria di Modena, che deve prestare 6 mila euro a mio fratello, quel passaporto non vale nulla in confronto alla carta d’identità. Capite? Sono contrariato, ma porto pazienza e mi reco in comune. Mi rimbalzano tra loro e i carabinieri trattandomi da idiota (ed ho già raccontato di questo) e ci metto 3 giorni per farla al costo di 22,5 euro. Ricordo che la carta d’identità contiene l’indirizzo. Dalla concessionaria arriva la richiesta che, oltre a tutti i documenti, dobbiamo portare un certificato di residenza a testa con marca da bollo da 16 euro. L’ennesima cosa che salta fuori all’ultimo. A me sembra una palese presa per il c#lo, e dico a mio fratello che se si fosse chiamato Mario Rossi a quest’ora non eravamo qui a dannarci con tutti questi documenti. Facciamo pure quelli e la settimana dopo veniamo chiamati per andare a firmare. Sembra quasi tutto fatto ma c’è un piccolo problema, di nuovo. Mio fratello ha 24 anni, ed è in Italia da quando ne ha 6. Parla italiano, impreca in italiano e mangia italiano. Lavora e paga le tasse allo stato italiano. Sono 4 anni e mezzo che ha fatto la richiesta di cittadinanza e la sta ancora aspettando. QUATTRO ANNI E MEZZO. In famiglia è l’unico straniero. La finanziaria esige il suo passaporto perché è prassi per i cittadini stranieri. Lo è ora dopo un mese che trattano la pratica? Poi il mio italiano non valeva, ma ora vogliono il suo ghanese? Lui il passaporto non ce l’ha perché è scaduto, e non essendo mai uscito dall’Italia, non ha mai avuto la necessità di rinnovarlo, soprattutto perché sa che a breve (si spera), potrà fare quello italiano. Niente, la finanziaria non chiude la pratica finché lui non porta il passaporto scaduto, e voglio ricordare che loro hanno tutti i documenti di riconoscimento esistenti. Permesso di soggiorno, tessera sanitaria, carta d’identità, certificato di residenza e codice fiscale. Hanno tutto, e dopo più di un mese di avanti e indietro e di disagi, all’ultimo tirano fuori che il documento irrinunciabile è un passaporto scaduto senza alcuna validità legale. Io ero talmente esasperato che ho detto a mio fratello di cercarsi un’altra macchina da un’altra concessionaria. In due giorni ne ha trovato una uguale, gli ho dato i soldi di tasca mia, e il giorno dopo aveva l’autovettura. Ora, quando dite che la riforma della cittadinanza è inutile, che non bisogna farla e che tanto la legge attuale funziona benissimo per chi state parlando esattamente? Per voi che vi chiamate Mario Rossi e Anna Verdi? O siete portavoce di chi vive questi disagi quotidianamente? Bisogna essere egoisti, ed anche un po’ str#nzi, per impedire con così tanta forza un diritto altrui che a voi non tocca minimamente. Per più di un milione di persone averla farebbe una differenza che non immaginate, ma a voi cosa verrebbe a mancare esattamente? Che pericolo vi crea? Che cosa vi toglie? Non ci vogliono soldi, né risorse. Non sarà una distrazione rispetto ad altre leggi o riforme. Ci sono cittadini a cui lo Stato ha stampato in faccia il bollino di Serie B, e questa è un’enorme ed insensata ingiustizia”. Abi Kobe Zar (Fabrizio Delprete)
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Descendants Of The Sun, Commento
Questa serie mi è piaciuta molto, una delle più belle che ho visto finora in questo 2020. Sarò sincera, quando penserò a questo drama la prima cosa che mi verrà in mente sarà il protagonista e il suo sorriso affabile e spiritoso, questo perché Big Boss è stato la mia cotta degli ultimi giorni.
Mi ricorderò anche sicuramente alcune bellissime canzoni che ho già scaricato e che in questi giorni ho ascoltato con grande piacere ed emozione.
Dunque, non so bene da dove iniziare. Non posso parlare della trama perché... questo drama una trama vera e propria, non ce l'ha. Diciamo che la trama è la storia di questa storia d'amore tormentata e poco facile. E poi ci sono varie tragedie che circondano il tutto.
Sul serio, dato il numero elevato di disgrazie che accadono lungo il corso degli episodi questa serie avrebbe dovuto chiamarsi Descendants of the sun-Disgrazie a Urk. Codesta Urk (a quanto pare un posto sperduto nei Balcani) è la località più sfigata esistente sulla faccia della terra: traffico di armi e di esseri umani, epidemie, terremoti, avvelenamento da piombo, malnutrizione. Una sciagura dietro l'altra.
Questa mancanza di una trama orizzontale è stata una cosa particolare, che finora non mi era mai capitato di vedere nei drama. Non dico che non mi è piaciuto, è stato semplicemente strano e particolare.
Ma un paio di cose che non mi sono piaciute ci sono state:
Il villain. Pensavo che Capitan Agus fosse il villain della storia e speravo che rappresentasse la linea della trama (illusa!), e invece sono rimasta delusa su tutta la linea. Agus è stato un villain abbastanza pessimo: poteva essere interessante l'idea di un soldato che abbandona l'esercito, però sembra che l'abbia fatto solamente per mettersi nel mercato nero e guadagnare un po' di soldi. Mi è risultato un personaggio semplicemente fastidioso ed infantile, privo di una complessa caratterizzazione o di una bella storia.
La storia d'amore.
Non dico che la boccio. Questa ship è stata molto carina, a tratti divertente, a tratti angosciante. Mi sono però accorta di non "tifare" ardentemente per questa coppia, perché per sedici episodi tutto ruota attorno a una sola questione: quanto sia pericoloso il lavoro di lui, quello del militare. È interessante, ma dopo sedici puntate che i due protagonisti parlano SOLO di questo, la cosa risulta ripetitiva e mi va a perdere di emozione. Come mi ha fatto giustamente notare @dilebe06, dei due innamorati a parte il lavoro non sappiamo nulla. Per esempio, io ho trovato assurdo che Yoo Shi-jin, tanto innamorato della dottoressa Kang tanto da considerarla la donna della sua vita, non l'abbia mai presentata al padre (peraltro un personaggio letteralmente BUTTATO LÌ IN DUE SCENE E POI CIAO).
Per il resto, particolari difetti non ne ho trovati.
I due protagonisti mi sono piaciuti un sacco.
La dottoressa Kang è di certo quella che compie l'evoluzione più profonda: se prima faceva il medico per guadagnare tanti soldi, le tragiche esperienze a Urk la spingono ad andare oltre il materialismo e a dedicarsi al volontariato. Inoltre, se all'inizio vedeva il proprio lavoro e il lavoro di Yoo Shi-jin come due cose opposte - lei medico che salva le vite e lui soldato che le uccide - col tempo capisce che essere un soldato è molto più di questo: se un soldato uccide lo fa per proteggere e salvare altre persone, mette continuamente in gioco la propria vita per la salvezza della patria (una patria che, in certe occasioni, nemmeno riconosce gli sforzi fatti). Alla fine, la serie ci dice che il medico e il soldato non sono poi così diversi.
Devo però ammettere che tra i due quello che mi è piaciuto di più è stato lui, anche se non compie una particolare evoluzione. Spiritoso, divertente, carismatico, simpatico, bello, birichino, coraggioso, onorevole, capace, in gamba.
Come si fa a non amarlo?
Ammetto inoltre che mi ha ricordato Wuxian di The Untamed: spiritoso e sempre con la battuta pronta, è in realtà molto serio quando deve esserlo, ed è molto bravo in quello che fa.
Un'altra cosa che mi è piaciuta UN SACCO di questa serie è stata la bromance. Dopo i fiaschi di My Country e Black and White, FINALMENTE UNA BROMANCE DEGNA DI QUESTO NOME.
Yoo Shi-jin e Seo Dae-young mi hanno strappato varie risate nel corso della storia. Il loro rapporto, come è nato, come è proseguito, la loro chimica, le dinamiche tra i due, è stato tutto molto bello. Mi ricorderò sempre il modo in cui Big Boss riusciva a incastrare il compagno facendogli scrivere i lunghissimi rapporti sulle loro peripezie (povero Wolf).
È una bromance che ho sentito poco potente in alcuni momenti, ma in generale è stata costruita bene e devo dire che li ho amati.
Il sergente Seo pure mi è piaciuto molto. Mi ha colpito fin dal primo episodio per il suo modo di fare quasi "meccanico", come se fosse un robot. È infatti molto imbranato nell'esprimere i suoi sentimenti, cosa che a un certo punto causa qualche problema con la sua amata, ma mi ha sempre fatto ridere la sua "Poker Face" che ho trovato esilarante in varie occasioni.
AH.
Ecco un'altra cosa che non mi ha fatto impazzire (sì, io scrivo i commenti come vengono, un po' alla cazzum): la questione della storia d'amore "impossibile" tra Seo e il primo luogotenente Yoon. Il padre di lei si dice contrario alla relazione, ecco perché è un amore contrastato, peccato che io non ho capito e mai capirò per quale dannato motivo il generale schifasse un sergente come genero. La motivazione "sei solo un sergente" mi è sembrata talmente assurda e anche ridicola (pare un ragionamento da Medioevo), che l'angst l'ho sentita pochissimo.
Sono comunque molto contenta che alla fine i due riescano a ritrovarsi e riappacificarsi. È stata una liberazione vedere il riservato e distaccato Seo dichiarare il proprio amore e lasciarsi totalmente andare. Il bacio che Seo e Yoon si scambiano nella mensa è stato bellissimo, penso che sia il mio preferito della serie.
Yoon Myeong-joo è stata un bel personaggio. Mi viene da definirla una "stronza buona". Schietta e diretta, possiede anche un gran cuore.
Mi è piaciuta anche la terza ship della serie, che a un certo punto ha cominciato a volare e mi ha fatto molto piacere. Il dottor Song e l'infermiera Ja-ae sono stati davvero carini, lui che è da sempre innamorato di lei e l'ha aiutata nel corso degli anni, e lei che fa tanto la dura e la distaccata ma che poi si scioglie per lui.
Sono stata orgogliosa del dottor Song quando si fa in quattro e fa mille ricerche per trovare un rimedio in occasione dell'epidemia scoppiata a Urk, per poi trovare un farmaco efficace.
Del team medico (un team molto carino ma mi dispiace il team di Romance con la Walk of fame non si batte), è stato evidenziato anche il dottor Lee Chi-hoon, un medico molto giovane che svolge il suo lavoro con il cuore e che a un certo punto si ritrova a vivere una sorta di crisi. La questione tra lui e il ragazzo sopravvissuto del terremoto l'ho trovata esagerata: in pratica il ragazzo mette su il muso per 3/4 episodi accusando il dottore di averlo abbandonato.
MA STAVA CROLLANDO TUTTO E A MALAPENA RIUSCIVA A TOCCARTI.
Cosa doveva fare, buttarsi di sotto e morire assieme a te??? Giusto per capire.
A parte questo, la crisi alla fine passa e i due fanno più o meno la pace.
Un altro personaggio che mi è piaciuto un sacco e che considero uno dei migliori per la sua evoluzione, è il ladruncolo del primo episodio pestato a sangue dalla gang. Da ladro di strada, il ragazzo entra nell'Esercito, prende il diploma scolastico, e fa pure carriera. Seo è di certo orgoglioso di lui, e pure io.
Infine, ho apprezzato tantissimo tutte le varie riflessioni che il drama mi ha fatto fare nel corso di sedici episodi. Ogni puntata porta in campo delle questioni differenti, e sono tutte belle e molto interessanti: i favoritismi in ambito lavorativo, le molestie di un datore di lavoro, l'obbligo di un medico di curare CHIUNQUE sia in pericolo, i traumi con cui i militari devono fare i conti, la bastardaggine di dover scegliere tra chi salvare e chi lasciar morire (io l'ho detto fin dalla prima puntata che il militare e il medico sono due lavori di mer*a).
Queste sono solo alcune delle tante riflessioni che la serie ha portato in campo, e mi sono piaciute tutte.
Ah, mi sono ricordata ora del personaggio di Fatima, una giovanissima ragazza che la dottoressa Kang prende sotto la sua ala pagandole tutti gli studi (altro segno di evoluzione della protagonista), spingendo la ragazza a voler fare lei stessa la dottoressa per poterla aiutare. Qui ci ho rivisto un po' il rapporto tra Seo e il ladruncolo.
Concludendo..
Consigliata: Sì.
Voto: 8.
AHHH MI MANCHERANNO I COLOMBI DI URK:
Gif di @dilebe06
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Generalmente non mi espongo su questi fatti, perché non sono informata a modo, ma questa cosa ve la devo troppo raccontare. Mi reco molto assonnata al congresso più inflazionato della mia carriera universitaria, conscia che probabilmente mi addormenterò nelle file alte dell’aula magna. Mi siedo, leggo la scaletta, la seconda voce è “sanità pubblica e immigrazione: il diritto fondamentale alla tutela della salute”. Inevitabilmente penso “e che do bali”. Accendo Pok��mon Go, che sono sopra una palestra della squadra blu. Mi accingo a conquistarla per i rossi. Comincia a parlare il tale Dottor Pietro Bartolo, che io non so chi sia. Non me ne curo. Ero lì che tentavo di catturare un bulbasaur e sento la sua voce in sottofondo: non parla di epidemiologia, di eziologia, non si concentra sui dati statistici di chissà quale sindrome di *lallallà*. Parla di persone. Continua a dire “persone come noi”. Decido di ascoltare lui con un orecchio e bulbasaur con l’altro. Bartolo racconta che sta lì, a Lampedusa, ha curato 350mila persone, che c’è una cosa che odia, cioè fare il riconoscimento cadaverico. Che molti non hanno più le impronte digitali. E lui deve prelevare dita, coste, orecchie. Lo racconta:”Le donne? Sono tutte state violentate. TUTTE. Arrivano spesso incinte. Quelle che non sono incinte non lo sono non perché non sono state violentate, non lo sono perché i trafficanti hanno somministrato loro in dosi discutibili un cocktail antiprogestinico, così da essere violentate davanti a tutti, per umiliarle. Senza rischi, che le donne incinte sul mercato della prostituzione non fruttano”. Mi perplimo. Ma non era un congresso ad argomento clinico? Dove sono le terapie? Perché la voce di un internista non mi sta annoiando con la metanalisi sull’utilizzo della sticazzitina tetrasolfata? Decido di mollare bulbasaur, un secondino, poi torno Bulba, devo capire cosa sta dicendo questo qua. “Su questi barconi gli uomini si mettono tutti sul bordo, come una catena umana, per proteggere le donne, i bambini e gli anziani all’interno, dal freddo e dall’acqua. Sono famiglie. Famiglie come le nostre”. Mostra una foto, vista e rivista, ma lui non è retorico, non è formale. È fuori da ogni schema politically correct, fuori da ogni comfort zone. “Una notte mi hanno chiamato: erano sbarcati due gommoni, dovevo andare a prestare soccorso. Ho visitato tutti, non avevano le malattie che qualcuno dice essere portate qui da loro. Avevano le malattie che potrebbe avere chiunque. Che si curano con terapie banali. Innocue. Alcuni. Altri sono stati scuoiati vivi, per farli diventare bianchi. Questo ragazzo ad esempio”, mostra un’altra foto, tutt’altro che vista e rivista. Un giovane, che avrà avuto 15/16 anni, affettato dal ginocchio alla caviglia. Mi dimentico dei Pokémon. “Lui è sopravvissuto agli esperimenti immondi che gli hanno fatto. Suo fratello, invece, non ce l’ha fatta. Lui è morto per essere stato scuoiato vivo”. Metto il cellulare in tasca. ”Qualcuno mi dice di andare a guardare nella stiva, che non sarà un bello spettacolo. Così scendo, mi sembrava di camminare su dei cuscini. Accendo la torcia del mio telefono e mi trovo questo..” Mostra un’altra foto. Sembrava una fossa comune. Corpi ammassati come barattoli di uomini senza vita. “Questa foto non è finta. L’ho fatta io. Ma non ve la mostrano nei telegiornali. Sono morti li, di asfissia. Quando li abbiamo puliti ho trovato alcuni di loro con pezzi di legno conficcati nelle mani, con le dita rotte. Cercavano di uscire. Avevano detto loro che siccome erano giovani, forti e agili rispetto agli altri, avrebbero fatto il viaggio nella stiva e poi, con facilità, sarebbero usciti a prendere aria presto. E invece no. Quando l’aria ha cominciato a mancare, hanno provato ad uscire dalla botola sul ponte, ma sono stati spinti giù a calci, a colpi in testa. Sapeste quanti ne ho trovati con fratture del cranio, dei denti. Sono uscito a vomitare e a piangere. Sapeste quanto ho pianto in 28 anni di servizio, voi non potete immaginare”. Ora non c’è nessuno in aula magna che non trattenga il fiato, in silenzio. “Ma ci sono anche cose belle, cose che ti fanno andare avanti. Una ragazza. Era in ipotermia profonda, in arresto cardiocircolatorio. Era morta. Non avevamo niente. Ho cominciato a massaggiarla. Per molto tempo. E all’improvviso l’ho ripresa. Aveva edema, di tutto. È stata ricoverata 40 giorni. Kebrat era il suo nome. È il suo nome. Vive in Svezia. È venuta a trovarmi dopo anni. Era incinta” ci mostra la foto del loro abbraccio. “..Si perché la gente non capisce. C’è qualcuno che ha parlato di razza pura. Ma la razza pura è soggetta a più malattie. Noi contaminandoci diventiamo più forti, più resistenti. E l’economia? Queste persone, lavorando, hanno portato miliardi nelle casse dell’Europa. E io aggiungo che ci hanno arricchito con tante culture. A Lampedusa abbiamo tutti i cognomi del mondo e viviamo benissimo. Ci sono razze migliori di altre, dicono. Si, rispondo io. Loro sono migliori. Migliori di voi che asserite questo”. Fa partire un video e descrive:”Questo è un parto su una barca. La donna era in condizioni pietose, sdraiata per terra. Ho chiesto ai ragazzi un filo da pesca, per tagliare il cordone. Ma loro giustamente mi hanno risposto “non siamo pescatori”. Mi hanno dato un coltello da cucina. Quella donna non ha detto bau. Mi sono tolto il laccio delle scarpe per chiudere il cordone ombelicale, vedete? Lei mi ringraziava, era nera, nera come il carbone. Suo figlio invece era bianchissimo. Si perché loro sono bianchi quando nascono, poi si inscuriscono dopo una decina di giorni. E che problema c’è, dico io, se nascono bianchi e poi diventano neri? Ha chiamato suo figlio Pietro. Quanti Pietri ci sono in giro!”. Sorridiamo tutti. “Quest’altra donna, invece, è arrivata in condizioni vergognose, era stata violentata, paralizzata dalla vita in giù... Era incinta. Le si erano rotte le acque 48 ore prima. Ma sulla barca non aveva avuto lo spazio per aprire le gambe. Usciva liquido amniotico, verde, grande sofferenza fetale. Con lei una bambina, anche lei violentata, aveva 4 anni. Aveva un rotolo di soldi nascosto nella vagina. E si prendeva cura della sua mamma. Tanto che quando cercavo di mettere le flebo alla mamma lei mi aggrediva. Chissà cosa aveva visto. Le ho dato dei biscotti. Lei non li ha mangiati. Li ha sbriciolati e ci imboccava la mamma. Alla fine le ho dato un giocattolo. Perché ci arrivano una montagna di giocattoli, perché la gente buona c’è. Ma quella bimba non l’ha voluto. Non era più una bambina ormai.” Foto successiva. “Questa foto invece ha fatto il giro del mondo. Lei è Favour. Hanno chiamato da tutto il mondo per adottarla. Lei è arrivata sola. Ha perso tutti: il suo fratellino, il suo papà. La sua mamma prima di morire per quella che io chiamo la malattia dei gommoni, che ti uccide per le ustioni della benzina e degli agenti tossici, l’ha lasciata ad un’altra donna, che nemmeno conosceva, chiedendole di portarla in salvo. E questa donna, prima di morire della stessa sorte, me l’ha portata. Ma non immaginate quanti bambini, invece, non ce l’hanno fatta. Una volta mi sono trovato davanti a centinaia di sacchi di colori diversi, alcuni della Finanza, alcuni della polizia. Dovevo riconoscerli tutti. Speravo che nel primo non ci fosse un bambino. E invece c’era proprio un bambino. Era vestito a festa. Con un pantaloncino rosso, le scarpette. Perché le loro mamme fanno così. Vogliono farci vedere che i loro bambini sono come i nostri, uguali”. Ci mostra un altro video. Dei sommozzatori estraggono da una barca in fondo al mare dei corpi esanimi. “Non sono manichini” ci dice. Il video prosegue. Un uomo tira fuori dall’acqua un corpicino. Piccolo. Senza vita. Indossava un pantaloncino rosso. “Quel bambino è il mio incubo. Io non lo scorderò mai”. Non riesco più a trattenere le lacrime. E il rumore di tutti coloro che, alternadosi in aula, come me, hanno dovuto soffiarsi il naso. “E questo è il risultato” ci mostra l’ennesima foto. “368 morti. Ma 367 bare. Si. Perché in una c’è una mamma, arrivata morta, col suo bambino ancora attaccato al cordone ombelicale. Sono arrivati insieme. Non abbiamo voluto separarli, volevamo che rimanessero insieme, per l’eternità”. Penso che possa bastare così. E questo è un estratto. Si, perché il Dottor Bartolo ha parlato per un’ora. Gli altri relatori hanno lasciato a lui il loro tempo. Nessuno ha osato interromperlo. E quando ha finito tutti noi, studenti, medici e professori, ci siamo alzati in piedi e abbiamo applaudito, per lunghi minuti. E basta. Lui non ha bisogno di aiuto, “non venite a Lampedusa ad aiutarci, ce l’abbiamo sempre fatta da soli noi lampedusani. Se non siete medici, se non sapete fare nulla e volete aiutare, andate a raccontare quello che avete sentito qui, fate sapere cosa succede a coloro che dicono che c’è l’invasione. Ma che invasione!”. E io non mi espongo, perché non so le cose a modo. Ma una cosa la so. E cioè che questo è vergognoso, inumano, vomitevole. E non mi importa assolutamente nulla del perché sei venuto qui, se sei o no regolare, se scappi dalla guerra o se vieni a cercare fortuna: arrivare così, non è umano. E meriti le nostre cure. Meriti un abbraccio. Meriti rispetto. Come, e forse più, di ogni altro uomo.
Virginia Di Vivo
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Clip 1.2
E: C'è un problema perché, Luchino...
L: Mi sono dimenticato i bicchieri da Giovanni.
M: No, tu sei un cane sei. Una cosa dovevi fare. Una.
G: Che palle Luchino.
L: Regà, ma come una cosa? Trenta cose mi avete detto...
M: A questi cento giorni?
G: Oh regà, stappo?
M: Vai! A questi cento giorni!
[ Ooh! ]
-
[ Giù, giù, giù, giù, giù! ]
S: Vabbè, avete finito? Andiamo a scrivere i voti?
M: Sì.
[ Dai, vai. Andiamo. Voti. ]
-
S: Strazio. Questo si chiama "Lo strazio" di Silvia Mirabella.
SI: Perché?
S: Terrificante.
M: Qualcuno vuole un altro Mojito?
F: Io.
L: Io se ci sta un pezzettino di lasagna me lo mangio.
M: Te sei una fogna.
F: Grazie.
M: Prego.
L: Regà, ci sta Elia che è morto completamente.
E: Non sono morto.
L: Sì, che lo sei.
M: No no no, levagli l'alcool a lui. Basta.
G: Regà, ma a voi vi prenderebbe di andare a Santa Marinella?
L: Perché a Santa Marinella?
SI: Volete andare dalle UFB?
M: Che sono le UFB?
F: Unione Fregne Bastarde.
G: Cioè?
SI: La Covitti, quella nuova stronza di Milano, Laura...
L: Ma non eravate amiche con la Covitti voi?
E: Figa la Covitti.
EVA: Eravamo.
G: Vabbè, comunque regà, pare ci sia un festone da paura.
S: Sì, però non ci hanno invitate.
G: E chissenefrega. Pure Sofia non l'hanno invitata, però sta là.
SI: Ma scusa fanno venire quelle di quarto ai cento giorni?
G: Sì, perché non sono tutte Nazi come voi.
S: Vabbè, voi se volete andate, noi stiamo benissimo da sole qua.
G: Oddio che palle!
M: Te guarda che se per un weekend non fai le zozzerie non succede niente, eh? Te lo giuro.
G: No, non ho capito. Stai parlando di me o di te?
M: Ah, vedi Nico qua?
G: No, non lo vedo, però non sono io ad avere un cassettino delle porcate.
M: Quale cassettino scusa?
G: Eh, non fare il finto vago. Marti.
M: Scusate voi...che ne sapete?
SI: Eh, al compleanno di Nico stavamo cercando un cerotto per Sana che si era presa una freccetta sul dito e quindi...
EVA: Siamo finite nel cassettino.
M: Regà, ma che state a dí?
G: Il magicassetto. Aspe'...
M: Fanculo!
G: Boni, boni, boni un attimo. - Ohi amore. Dimmi. Sì. -
M: Amore. Amore mio.
G: Vaffanculo Marti. - No è Martino che è un coglione, lo sai. -
M: Daje, che scherzo gli facciamo?
L: Sì, scherzo.
F: Ce l'avete un preservativo?
L: Eh, io mi sa che ce l'ho, perché?
F: Quando ero agli scout riempivamo i preservativi col sapone liquido e poi li mettevamo sotto i cuscini.
S: Che schifo.
M: Geniale cazzo. Dai, preservativo subito, vai.
F: Andiamo.
-
L: L'avete preso il sapone?
F: Dammelo dammelo dammelo.
-
ELE: Abbelle come sta andando?
Ci mancate!
-
F: Oh, l'avete preso il sapone?
-
ELE: Qui ora è estate 😎
-
SI: Vado io, vado io, vado io.
EVA: Dai, va Silvia.
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S: È meglio se non ti dico cosa stanno facendo 😄
-
L: Oh zì. Ce l'hai un preservativo?
E: Eh?
L: Un preservativo ce l'hai?
E: Guarda di là nello zaino.
L: Lo zaino...
E: Che fanno?
S: Ah no, uno scherzo a Giovanni.
E: Che freddo! Ti dispiace se vengo qui?
S: Che è? Perché mi fissi?
E: Te l'ho mai detto che ti amo?
S: Per fortuna no.
E: Però mi sa che io ti amo.
S: Ok...ne riparliamo quando sarai più sobrio, ok? Ragazzi! Avete fatto lo scherzone?
L- F: No!
L: Aspetta.
S: Ancora no?
F: No.
S: Ah.
E: Quindi quando sono sobrio usciamo?
S: Non ho detto questo.
E: Perché no?
S: È impossibile.
E: Perché non sono musulmano?
S: Eh.
E: Dai.
S: Eh, è così.
E: Però se lo fossi tu usciresti con me?
S: Vuoi diventare musulmano?
E: È difficile?
S: Be', devi imparare un po' l'arabo, devi smettere di bere, devi pregare cinque volte al giorno, devi fare il digiuno e tante altre cose.
E: Tipo?
S: Tipo circonciderti anche.
E: Ah! E se facessi tutte queste cose...poi usciresti con me?
S: No, dovresti prima chiedermi di sposarti.
E: Vuoi sposarmi?
S: No!
E: Perché no?
S: Ma sei troppo stupido.
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EVA: Cazzo cazzo sta arrivando!
F: Che schifo!
G: Che avete fatto? Dai con ste facce, uno scherzo del cazzo come al solito. Dai Luchino mi hai lasciato la caccola sullo spazzolino come l'altra volta? Luchino t'ammazzo, te lo giuro. Dai che palle, che schifo.
E: Però Sana, in confronto a te sono tutti stupidi.
G: Regà, che palle! No!
S: Be', non tutti.
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Dalla vita ho imparato tante lezioni una di queste anche se difficile è quella di mettere da parte la rabbia ed il dolore e pensare a qualcosa di bello , perché le cose belle fanno andare davvero avanti e visto che anche tu mi hai donato alcune cose nella vita sia belle che brutte ,voglio donartene una io , per questo ho deciso per quanto mi sia possibile ricordare ,di scriverti una lettera.
Dopo che mi hai salutato ho pensato molto a tutto...ho pensato al nostro primo incontro , alla nostra prima parola , a come ci siamo conosciute insomma. Io quel nostro primo giorno me lo ricorderò sempre ed è stato uno dei più belli della mia vita , perché in quel giorno ho trovato una persona speciale , che mi sapesse capire ,ascoltare , aiutare , essere il mio piccolo raggio di sole che anche quando non volevo mi faceva ridere per forza. Dopo quel giorno ci sono stati dei cambiamenti che ovviamente nella vita di una persona avvengono ...ci sono state liti , pianti , rabbia ma l amicizia ha sempre rettò anche se un po’ ammaccata è sempre andata avanti, e per rendere più forte la nostra amicizia abbiamo fatto entrare persone che senza che ce ne rendessimo conto ci hanno fatto prendere un cammino diverso , decisioni diverse , vite diverse ....fino ad allontanarci. Da quel nostro primo giorno ormai è passato un bel po di tempo abbiamo dovuto affrontare altre difficoltà anche più grandi di noi, anche forse irrisolvibili ma sempre con la speranza addosso .Da quel giorno ovviamente sono cambiate tante cose , ma in tutto questo tempo sei sempre rimasta la mia persona speciale . Ma è pur vero che le persone speciali come gli angeli vanno da chi ha bisogno del loro aiuto e una volta che il loro compito è finito passano a qualcun altro bisognoso .....Ora finalmente capisco tutto , tu hai portato a termine il tuo compito , mi hai resa più forte ed è ora che passi a qualcun altro ......non smetterò mai di ringraziarti di tutto dei sorrisi , delle risate , delle chiacchierate e persino delle lacrime perché quelle soprattutto mi hanno insegnato a crescere e ad andare avanti ed è per questo che con il cuore in mano io ti RINGRAZIO e ti auguro tutto il meglio e le cose più belle dalla vita ...ovviamente come ogni bimba attaccata al proprio angelo alla propria allegria fatta persona non accettavo l idea di lasciarti andare , perché anche se la nostra amicizia è stata complicata e anche un po’ dolora per molte scelte , è stata anche un dono quindi oggi con la consapevolezza di tante cose come quella di non essere ciò che stai veramente cercando da una sorella /(fortuna per altri) ti auguro tutta la felicità , la gioia il divertimento e l amore di questo mondo. ma soprattutto ti auguro di trovare persone che ti facciano sentire sempre in ogni posto del mondo a casa e che si prendano cura della tua felicità . In tutto il nostro percorso abbiamo avuto e superato dubbi , paure di non essere all altezza e tante altre cose .....forse questa volta non è una di quelle però ciò non toglie che avrai sempre una parte del mio cuore anche se il cuore che sceglierai non sarà il mio , esso avrà sempre una parte per te , mi scuso se lo troverai un po’ rotto e pieno di cicatrici ma è ancora sincero .Detto ciò non posso dirti altro se non ABBI CURA DI SPLENDERE perché sei perfetta così come sei anche con i tuoi errori con i tuoi difetti , non cambiare perché chi ti ama ti accetta così come sei ... io forse non posso ancora valorizzarti come meriti però sono sicura che hai già trovato chi ti renderà sempre felice senza farti versare una lacrima o avere un minimo dubbio .....tanti auguri per tutto e Buona vita.
@isognibrillanocomestelle
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