Tumgik
#guarda los pesos okay?!!
silentgrim · 2 years
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we’re not in the conditions to be spending $40 on half assed shit, conserve your pennies amigorinos!
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spookyscaryagatha · 3 years
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«Ti sei mai riascoltato quando parli alla radio?» posa le mani sui fianchi, poi ciondola la testa e gli si para davanti, quasi potesse bloccargli qualsiasi via di fuga semplicemente imponendogli il suo peso piuma davanti allo sguardo. «Immagino di no» un sorrisino a mezzaluna sorge spontaneo sulla bocca, sebbene sia poco credibile mentre combatte contro un paio di polmoni che arrancano ancora. «Quello che voglio dire è che sei un bravo cronista, questo sì. Ma manca il commento tecnico. Lo spiegone per gli imbecilli, quello che t’infila chicche di informazioni per infinocchiare gli allocchi»  « perché dovrei? » un sopracciglio che si alza, il capo che si piega appena, mostrando il suo scettismo. E si becca pure il dire successivo, e quei complimenti (!!) che gli strappano un sorrisetto soddisfatto e fiero, che però come compare va a dissolversi. Nel momento in cui gli viene detto che "manca il commento tecnico"; e lui va ad aggrottare le sopracciglia, con un piccolo cipiglio che si forma sulla fronte, segno che evidentemente sta pensando - strano. Ha pure distolto lo sguardo in tutto ciò, tornando a guardarla solo per quella piccola "mossa" finale, cogliendo però la frase nel suo intero. Un po` spaesato ancora, caccia fuori l`accenno di un sorriso nel vedere quel finto cenno deliziato, il tutto però oscurato da un pensiero, un dubbio, che gli si è fissato nella testolina « ma tu quanto ne sai di quidditch o B1? »  «Basti tu, per quello. Tu dici una roba come: e Goltraighe effettua uno Sloth Grip Roll per eludere i bolidi agli anelli, eccezionale! E io ti rispondo: hai proprio ragione, Sebastian. È come se il tempo si fosse fermato. Una menzione d’onore al suo balsamo per capelli!» //
«sarò pure il gramo, secondo tanti… ma qualcuno te lo dovrà pur dire. Stai su bolidi parecchi imbecilli, MacNamara» prende un bel respiro profondo, ma non ha nessun riguardo nel comunicare al Grifondoro la nota dolente della sua ricerca sociologica fra gli spalti. «Non ho mai visto tanta gente alzare gli occhi al cielo, rabbrividire, simulare conati di vomito e mandare a quel paese qualcuno come quando tu hai iniziato a parlare al microfono» una pausa doverosa, condita con un mezzo sorrisino e quella che potrebbe quasi assomigliare a una riverenza «a parte quando entro io in Sala Grande.»   « ma a me non frega un bolide » con le sopracciglia alzate. Non ha colto il punto del discorso, no. E finché avrà quel microfono, probabilmente, non lo coglierà del tutto. E non va a fare nessuna battuta, nessun ghignetto troppo furbo « e nemmeno a te dovrebbe fregare, comunque » in caso qualcuno se lo dimenticasse, ci pensa lui a portare una sana dose di menefreghismo. Detto con tutta la leggerezza del caso. «Beh è qui che sbagli. Un contro è non lasciare che queste cose ti tocchino, come faccio io» pugno chiuso, solo il pollice fuori dalla mano serrata – un dito soltanto che si preme sul petto, due o tre volte per ribadire il concetto «e un conto è fregarsene. Non devi fregartene, anzi» a volte si è Serpeverde per questo, e non per motivi più concreti o per un’innata antipatia nei confronti della vita. Differenze d’opinione, sguardi sul mondo completamente diversi. «Se pensano che io sia un gramo, allora sarò il gramo di ogni stramaledettissima partita»  « comunque per me è okay. » se lei fa la telecronaca con lui, facendo spallucce « cioè, non ho capito perché vuoi farla » farsi odiare in due? E la guarda appena interrogativo, salvo poi « però okay, grinzafico. Ci divertiamo » «Ormai è fatta non puoi tirarti più indietro. Socio» cerca la mano destra del quintino con la sua gelida e farebbe per stringerla in fretta, con la velocità febbrile di chi vorrebbe aggiungere qualcosa, ma non prima di aver siglato quel patto in maniera ufficiale. «Comunque ti devo insegnare due cosine, figlio di Godric. Ero disposta anche a corromperti… ci avresti guadagnato. Che peccato che ORMAI SIAMO SOCI» e non può più tirarsi indietro. Non se Agatha arretra, camminando a ritroso a velocità sostenuta per impedire a Sebastian di controbattere o, peggio, ritrattare. «CHE PECCATO, MACNAMARA»  « figlia di morgana » ma non realmente dispiaciuto, seppur serri le labbra e gli occhi, guardandola male - seppur ci sia sempre quel sorrisetto affilato a smorzare il tutto « tanto » e va a fare quel passetto verso di lei, anche più lungo, così da guardarla bene dall`alto al basso, in modo quanto più minaccioso riesca « pensi DAVVERO di poterm- » e se lei inizia a correre, lui dopo averla seguita in quei passetti non fa altro che seguirla. Con troppe energie in corpo e il giusto modo per sfogarle. Un sorriso da bimbetto stampato in volto, di chi forse si sta divertendo più del dovuto, andando ad urlare - a scapito del suo stesso udito - un « TANTO MICA C`HAI NIENTE DA POTERMI DARE, MORGANELLA » e no, non è psicologia inversa, non è così intelligente. E proverebbe pure ad acchiapparla, se riuscisse effettivamente a raggiungerla o ad avvicinarsi.
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« mi tengo a te? »
« mmh » lo sguardo vaga dal suo bellissimo manico alla Corvonero, come se stesse valutando qualcosa di preciso « tu stai dietro » conclude così, senza nemmeno dare la scelta alla Corvonero sulla quale solleva lo sguardo. 
Sta già per allungare le mani verso la scopa che « ma come dietro? » okay lei pensava gliela prestassi proprio per fare un giro da sola. È un attimo confusa, ma non vuole rischiare che l’altro molli tutto e quindi dopo poco aggiunge « cioè come vuoi tu! » e mette anche le mani avanti che lei il giro lo vuole fare, da sola o con Seb è uguale a questo punto.
Nota quell`allungare la mani sulla sua Nimbus, un po` confuso in quel rimarcare un « dietro » e l`espressione interrogatoria, andando poi ad aggrottare ulteriormente le sopracciglia che forse forse ha capito - a scoppio ritardato, sì « pensavi me ne stessi qua a rompermi il gramo, scusa? » e sbuffa pure una mezza risata, con quel sorriso che va ad allargarsi al dire successivo « ecco » e tié, va pure a toccarti la fronte e spingere leggermente come volesse allontanare il suo musetto dalla sua bellissima scopa « come voglio io » nel mentre gli fa l`eco con un ghignetto tutto soddisfatto al poter aver completa scelta. E mentre va a mettersi il manico in mezzo alle gambe le lancia un`occhiatina « se vediamo che te la cavi e non caschi » occhiolino che, appunto, non preannuncia nulla di buono in contemporanea a quel ghignetto furbo « il prossimo giro te lo fai da sola. » 
Ed è chiaro che non si sono proprio capiti, perché Meg era già pronta a svolazzare da sola con Seb che le faceva ciao ciao con la manina da terra (?). « Ma nooo, mica a romperti il gramo eh! te ne stavi a vedere come sono brava » insomma potevi fare da giudice, allettante proposta. Maegan comunque decide che la scopa sua e la decisione è sua, ma quando le tocca la fronte Seb si prende un altro schiaffetto « ouu non toccare! » il tono è divertito comunque, e non riesce nemmeno a mettere il broncio visto che è troppo elettrizzata di farsi un giro in scopa sul Lago, anche se le tocca stare dietro. 
« seh, così poi morivi e magari mi graffiavi pure la scopa! » priorità. Il tono chiaramente sarcastico e divertito dalle sue stesse parole, andando a mordersi il labbro in quel trattenere le risate al "non toccare" che quasi quasi sarebbe pure tentato di allargare le molestie, ma l`altra mano è troppo impegnata a reggere la scopa quindi prova solo ad infilare l`indice nel fianco altrui - giusto per il gusto di infastidirla - e montare poi sulla scopa. 
Lo osserva mentre si mette la scopa tra le gambe e al “magari il prossimo giro te lo fai da sola” un altro grande sorriso è tutto per Seb, e con quella promessa di posiziona alle sue spalle e sopra il manico di scopa. E poi rimane un attimo incerta perché non sa dove posizionare le braccia, visto che a tenerle sul manico è un po’ scomoda « ma… » … « mi tengo a te? » sì lo sta chiedendo, quasi volesse chiedere il permesso per quel contatto fisico.
Imbarazzo zero a quella distanza che va ad accorciare ulteriormente, lo sguardo fisso davanti a sé ed un sorrisone sulle labbra mentre quella si posiziona. Non va nemmeno a rispondere a quel "mi tengo a te" perché si limita a dare una spinta contro il pavimento così da sollevarsi, un piccolo piegare le ginocchia mentre si spera che Meg colga il tutto e da qualche parte si attacchi. Un`accelerata dove sotto la concentrazione è palese ci sia tutta la felicità del caso nel sferzare l`aria, il sorrisone sulle labbra e gli occhi che vanno un po` a serrarsi in quel volare ad un metro appena dalla superficie dell`acqua, per poi sollevare un poco la schiena rallentando quel minimo che gli serve per girare la testolina e « bleaah non mi toccare! » e si scuote appena tenendo però attaccati alla scopa gambe e manine.
Maegan si posiziona proprio dietro l’altro e con il sedere già sulla scopa ed è incerta su come appoggiarsi, e anche un tantino imbarazzata. Seb ovviamente non collabora, anzi. Dà un spinta sul pavimento e Meg non aspettandoselo assolutamente appoggia le braccia sulla cosa più vicina a lei e quindi proprio sul secondino, in una specie di abbraccio da dietro. Non ha nemmeno il tempo di imbarazzarsi o altro che inizia anche ad accelerare e quindi si stringe involontariamente ancora di più all’altro finendo anche con una guancia appoggiata alla sua schiena. Chiude per un attimo gli occhi, un po’ perché tutto quel freddo che sferza sul viso la porta a farlo e un po’ per godersi la sensazione di volare in un giorno di neve. E poi rallentano un attimo e in tutto ciò Meg non ha detto nulla, si è limitata a fare un sorriso mezzo da ebete per tutto il tempo e al “non mi toccare” d’istinto si irrigidisce e dice « oh… ehm scusa » e così facendo si staccherebbe un pochino dall’altro, cercando anche di rimanere in equilibrio senza dover stare appicciata come una cozza a lui. 
Molestie a parte, si passa al vero contatto, al prendere il volo e ritrovarsela lì attaccata. Che poi a lui figurati se spiace - anzi, è pure più semplice volare in quel modo - ed infatti il fatto che lei non colga quel suo scherzare lo spiazza per un attimo, andando a girarsi di scatto mentre rallenta ulteriormente « ma sei scema? » proprio così, schietto schietto ma con tono bonario « stavo scherzando! » il tono allegro e un sorrisetto ad accompagnare, come la dovesse rassicurare per quell’mbarazzo-moment. [...]  Prendono un bel po` di quota nemmeno troppo veloce rispetto a quanto farebbe solo, e poi ancora con la solita sorpresa « TIENITI! » se già non si fosse attaccata a lui a mo` di cozza le tocca farlo, visto che lui va a compiere un dietro-front, così da ritrovarsi il castello proprio davanti; e rallenta nuovamente mettendosi dritto con la schiena per godersi il paesaggio un po` più a lungo, andando poi ad arrestarsi lì.
Felicità che per un attimo sfuma quando lui le dice in modo ironico di non toccarla, ma peccato che lei non la colga l’ironia e si è staccata in modo da non dare fastidio all’altro. “ma sei scema?” e lo guarda confusa « ah » stava scherzando « e che ne so ioo, pensavo parlassi sul serio » e salda un po’ di più la presa intorno alla vita dell’altro ma comunque non torna a spiaccicarsi tipo cozza sulla sua schiena. Perché adesso non è convinta lei di quel contatto così ravvicinato. Again la prende alla sprovvista e allora si ripete un po’ di nuovo la scena di prima: per istinto si aggrappa forte a lui, stringe ginocchia e cosce e chiude gli occhi per la velocità e i conseguenti fiocchi di neve negli occhi, visto che stanno virando verso l’alto. A quel “tieniti” lei si stringe ancora più forte a lui, manco si aspettasse di fare il giro della morte e va ad appoggiarsi completamente alla sua schiena, anche per bilanciare meglio il peso. La virata non se la aspetta e un « uuh » precede una risata. Si raddrizza insieme a Seb quando l’altro lo fa, ma non allenta il contatto fisico sta volta. Magari perché ha deciso così o magari perché ha solo paura che la prenda un’altra volta di sorpresa. [...] « Qual è il tuo ricordo più bello fino ad ora? » dice riportando lo sguardo verso il castello e con i fiocchi di neve che continuano a cadere e riempirli di puntini bianchi.
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Lo sguardo perso puntato sul castello come non volesse più muoversi da lì, va ad aspirare tutta l`aria in un respiro profondo che lo smuove un poco, dilatando le narici come volesse imprimere nella mente il ricordo, l`espressione serena dipinta sul volto: perché semplicemente è lì lontano da tutte le preoccupazioni, in compagnia di una personcina che, in qualche modo, lo fa un po` distrarre da tutto il resto. Si gode bene quella stretta che è chiaro apprezzi, andando pure ad appoggiare il suo braccio su quello altrui, le manine che vanno a toccarsi per una breve stretta che va a schiacciare contro il suo petto, il suo palmo sul dorso della mano di lei. Torna poi con il pugno sulla scopa, andando a ragionare su quella domanda che apprezza per tutta la spontaneità con la quale esce. Serra le labbra « quando mi hanno ammesso qua. » che potrebbe essere pure banale agli occhi altrui, ma nella sua voce non c`è ombra di dubbio. E` quello il ricordo più bello, al momento « il tuo? » girandosi verso questa e scambiandole pure un sorriso grato.
Se in un primo momento non sembrava volesse recuperare quel contatto fisico così ravvicinato si ritrova quasi obbligata a farlo, ma in realtà – stranamente – non la infastidisce così tanto. E forse è più questo a stranirla che il contatto in sé. Ma tant’è che è proprio in posizione koala tra tutti quegli accelerare e virare , e rimane così anche quando si fermano davanti allo spettacolo del Castello innevato che non fa altro che allargarle ancora di più il sorriso sul volto e involontariamente appoggiarsi un po’ di più sul Grifondoro. E sta bene. Così bene che quando questo le tocca la mano non la ritrae e nemmeno arrossisce, si limita a stringere un pochino le braccia intorno al corpo dell’altro. Una pressione molto leggera, ma percepibile. Non chiede niente a proposito della risposta del ragazzo, anche se non l’ha capita. Ma forse preferisce non capirle certe cose e basta. Lei sta ancora guardando il Castello ma quando sente la testa di lui girarsi verso di lei cattura il suo sguardo con quei grandi occhi blu, che tra il bianco della neve e il rossore del nasino sicuro risaltano, e gli rivolge di rimando un piccolo sorriso. Per rispondere torna a guardare il Castello « Forse quando sono arrivata e l’ho visto per la prima volta con le barche » il castello intende « per quello mi piace così tanto la Rimessa perché… beh mi ricorda sempre quel momento » e fa spallucce, quello è stato sicuramente il momento più magico di tutti. Anche se i ricordi belli stanno diventando tanti. Torna a guardare Seb facendogli un altro piccolo sorriso.
Forse si ferma un po` di più a scambiarle quel sorriso, catturando pure il suo viso in questo ricordo che di sicuro entrerà a far parte tra i più belli. Torna a voltare lentamente la testolina sul castello poi, accennando alla risposta con il capo in modo silenzioso [...] « scendiamo? » che quasi si sente in colpa ad interrompere tutta la magia del momento ma tant`è, lo dice con quel tono accomodante in un sussurro, andando a lanciarle un`altra occhiatina arricciando il labbro in un mezzo sorriso. 
« ancora cinque secondi e poi sì » gli dice con un sorriso grato. Perché sì lei sta un po’ congelando lì, e nonostante il calore da contatto fisico e la termica calda ormai sta un po’ battendo i dentini. Però ancora cinque secondi in cui guarda ancora il castello, chiude forte gli occhi e poi li riapre forte, proprio come se stesse fotografando il momento nella sua testa. Torna con lo sguardo verso Seb e annuisce sorridendogli, scendiamo.
[...]
 « alloooora » sorrisone divertito per tutta l`adrenalina che una picchiata come quella provoca, oltre ad un po` troppo entusiasmo « me la cavo bene, eh? » con tanto di strizzata d`occhio. Vai, gonfiaci l`ego ancora un po`.
 « sì dai non sei troppo male te lo concedo » dice divertita e ridacchiando un po’, che qui soddisfazioni complete non arriveranno mai. Cerca gli occhi di lui e quando li trova gli dice un altro « Grazie Seb » molto sentito, con sorriso speciale annesso.
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megmacgillivray · 4 years
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sei carina con la frangetta
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Lui si limita ad arrestarsi sul posto ad una certa distanza, aspettando che lei lo veda a sua volta mentre un ghignetto va a piegargli le labbra; solo ora tira fuori le mani dalla tasca ma solo per incrociarle sotto il petto con lo sguardo puntato su Meg, la spalla che va ad appoggiarsi al finestrino sostenendone il peso.
«Mi stavi aspettando?»
« Ti piacerebbe »
Si posiziona proprio di fronte a lui nella stessa posizione, appoggiandosi al finestrino con la spalla, braccia incrociate al petto e con un faccino quasi in attesa di qualcosa. Tipo dei complimenti. E infatti lo guarda con quell’aria furbetta di chi non parlerà fin quando non le verrà detto ciò che si vuol sentir dire.
Come non avesse già avuto il tempo di notare quella frangia oppure l`outfit più curato del solito, e la guarda con un sorriso furbo a sua volta, il sopracciglio che si alza come se avesse un qualche dubbio su ciò che lei sta aspettando - sì, sta facendo finta (male) di non aver notato nulla. Ed è pure abbastanza palese, visto che quella frangetta la adocchia.
«Daiiiii Seb! Dimmi quanto sono grinzafica con la frangia!!!»
« La frangetta? » spaesato, vagando con lo sguardo fino alla fronte di lei «ooh» falsissimo « super grinzafica! » facendo un`espressione incredula a tanta meraviglia, la bocca che va pure a spalancarsi, palpebre ben aperte e le sopracciglia alzate. Vabbè, manco a dirlo è ironico e sì, la sta prendendo un pochino in giro
Lui ha pure il coraggio di fare ironia e quindi lei sbuffa pure. «Tanto mi hanno detto tutti che sto benissimo!» quindi il tuo parere non conta se è negativo. «e poi mi sta bene» e rincara la dose perché fa bene all’ego.
(...)
« comunque » così, a caso « io non ho capito una cosa »
«cosa?»
Sguardo in avanti ma il tono rimane tranquillo, come stesse parlando del tea delle cinque « cioè, tu fai tanto la femmina gnégné non mi toccare gnégné » e le sta facendo il verso, seppur al momento sia troppo serio per fare pure la vocina e anzi, si stringa un po` nelle spalle « però non ho capito, se scherzi o che » questi grandi dubbi che lo attaglianano, e visto che tra pensiero e bocca non c`è filtro « cioè perché secondo me tu fai finta » e qualcuno aveva un dubbio su cosa ne pensasse lui? No? « però tu sei str- » si blocca « cioè » una manina a passare tra i capelli, spallucce « quindi? » quindi che? Lui la scruta con lo sguardo, cercando di acchiappare qualsiasi piccola reazione.
Ovviamente non lo guarda, se non con la coda nell’occhio e subito sta zitta. Non dice niente nemmeno quando le fa il verso. È un po’ rossa sulle gote e si sta torturando il labbro inferiore ma dopo alcuni istanti parla «ehm» cioè ci prova dai «io non sono… abituata» al contatto fisico «cioè nessuno mi…» tocca? Abbraccia? «cioè hai capito» e magari no, ma okay. e ora lo sguardo vetta su Seb in maniera un po’ più insistente e capisce che non può più tergiversare. E quindi «nonmidafastidiochelofacciatu» tutto d’un fiato e magari nemmeno si capisce «solo che… devo farci l’abitudine» e fa spallucce. 
Si limita a guardarla mordendosi un po` l`interno del labbro, un`ombra di un sorriso a quel suo arrossire seguito da un piccolo cipiglio che però è solo una contrazione, prima dell`annuire silenzioso. Ha capito? Gli occhi si incrociano e lui va ad arricciare il labbro, quell’espressione confusa in cerca di qualche spiegazione. E` all`ammissione però che compare un sorrisetto felice felice, mordendosi il labbro a trattenere un sorriso che sennò sarebbe too much per i suoi standard. E vabbè, compie quel passo che li divide facendo ben capire le sue intenzioni, cercando - Meg permettendo - di portarsela contro petto con un solo braccio in un mezzo abbraccio che durerebbe quanto lei vuole - poco, coff coff. Niente di che, il tempo di andare a fare un sospiro un poco più profondo, inalare l`aria dilatando le narici e riconoscendo quell`odore che, diciamolo, gli era mancato. Abbassa la sua testa sui capelli altrui, la stringe a sé contro il petto, la mano sulla sua nuca ma sono solo un paio di secondi, lasciando che si allontani quando preferisce e non costringendola a nulla. Quando si allontanerebbe un guardarla un`ultima volta con quel sorriso che boh, cosa significa « sei carina, con la frangetta » ah, ecco. Lasciato così, in mezzo a loro, prima di ricominciare ad incamminarsi come non fosse successo nulla.
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ti sei ripreso dal ballo?
« Mefistyy! Devi scendere giùù daaai! » il gatto è dispettoso e lei è alta un metro ed una gelatina tutti i gusti +1, quindi oggettivamente impossibilitata a riprendere il gatto che non vuole mettere sotto alcun tipo di incantesimo. « Vedi che ti ho portato con me per scoprire quel posto, non per cialtronare in giro. » e si mette anche con le braccia conserte ora, un ancheggio, sculettando, per spostare il peso del corpo dal fianco destro al sinistro, come farebbe sua mamma quando ne combina qualcuna delle sue.
« Ciao » la saluta gentilmente, mettendola a fuoco e riconoscendola giusto quando se la trova praticamente a due metri di distanza « Ehm... » in effetti le probabilità che fosse qualcuno con cui hai confidenza erano bassine, Jer « serve una mano? » chiede, nervosamente, alternando lo sguardo tra lei e il gatto. Abbozza anche un sorriso gentile, continuando comunque a rimanere goffamente fermo in attesa di istruzioni.
« Non te lo dico più, sce-nde-reeee! » ma il gatto sembra voler rimanere lì ancora di più. « Guarda che tiro fuori la bacchetta. » finge di minacciarlo mettendo anche mano al fodero della bacchetta che ha legato in vita. Ma niente.
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« È che non vuole scendere e io.. » non ammette di essere una gnoma da giardino, ma insomma è abbastanza palese. « Ma tu sei quello di Grifondoro o quello di Corvonero? » indicandolo, chiaramente nell’intento di capire chi dei due sia, facendo sì che i suoi grandi occhi chiari si facciano due piccole fessure per capire chi sia. « In realtà comunque potresti forse darmi due mani, anche se prima devo capire chi sei. »
« Jeremy » dice, affrettandosi ad aggiungere « corvonero » perchè in effetti la domanda era quella. Si toglie il taccuino da sotto il braccio, andando a poggiarlo per terra in modo da avere entrambe le mani libere, mani che mostra alla quartina « sono innocuo, giuro. Forse anche troppo » afferma, lanciando un`occhiatina preoccupata al gatto. « ...pensavo che tra giocatori di quidditch vi riconosceste » osserva semplicemente, inclinando la testa di lato per squadrarla - in maniera del tutto innocente e si spera non troppo insistente. « per par condicio dovrei capire anche io chi sei tu, no? » chiede, con tono logico ma anche un po` scherzoso. Figuriamoci, la favolosah è famosa anche in torre Ovest.
« Jeremy. » ripete con la sua vocina tranquilla mentre lo guarda andare verso al gatto con fare innocuo come lui si descrive. E nonostante le sue attenzioni il gatto si muove indietro lontano da lui nei limiti del possibile. « Uhm si ma io conosco e riconosco solo quello bravi. » supponendo quindi che William non lo sia? Chissà.  « Tu lo sai chi sono. » facendogli un occhiolino « Ahn, ma ti sei ripreso dal ballo? » ridacchiando alla fine, avvicinandosi a lui, allungando solo la mano per toccarlo sulla manica un momento solo « Dai mefisty, lui è innocuo. » inutili tentativi di convincerlo.
« Ma lui è bravissimo, lo dicono tutti » ma tutti chi? Non vale se i grifondoro se la cantano e se la suonano da soli. Sospira poi, come a voler evitare conflitti. La osserva, rimanendo f4 basito per qualche secondo da quella scenetta da donnina di mondo, con tanto di occhiolino. In tutta risposta lui ha anche le labbra leggermente dischiuse in un`espressione un po` da ebete. A un certo punto si riprende, eh, dopo un paio di secondi, limitandosi ad ammettere con un sorriso imbarazzato « in effetti sì » portandosi anche le mani dietro la schiena e dondolando leggermente sul posto « dal ballo...? » le fa eco, leggermente confuso da quella domanda. Quasi non si ricordasse di essere quasi andato in iperventilazione davanti a tutta la scuola. E chiaramente lei non avrà problemi a toccargli una manica, perchè è lì fermo come un brocco.
« Charlotte comunque va bene, eh. » se la vuoi chiamare in qualche modo, Jer. Puoi chiamarla così. Si sorprende quasi di sentirlo così tranquillo del ballo e lei sorride solamente alzando gli angoli della bocca. « Mh, ho mandato alcuni perfetti a salvarti non so.. mi sembravi un po’ che avevi problemi, non lo so. » piegando le labbra, così toccandogli il braccio per tornare dal gatto che cercano di riportare giù. « È Mefisto, ma io lo chiamo anche così. » Mefisty per l’appunto. Ma invece che guidarlo, prova a premere sulla manica per cercare di coinvolgerlo a dare le spalle al felino. « Sto cercando il sotterraneo delle Lumache, sai quello che dicevano nell’eco. Sai dove si trova? » chiedendomi più piano come se fosse un super segreto.
« Ah sì, g-grazie per l`interessamento, io... » boccheggia leggermente, portandosi di nuovo la destra alla nuca e guardandosi intorno come se cercasse di fuggire da quell`argomento. « ... ero solo m-molto imbarazzato, q-quella stupida cosa » e lascia la frase a metà, sventolando la mano libera come a liquidare la questione, intanto che il colorito sembra stia tornando del colore normale. « Mefisto mi piace » afferma, nonostante nessuno abbia chiesto il suo parere. « Oh » dice, cercando di fare mente locale su questo sotterraneo e scuote leggermente il capo. Anche lui abbassa il tono di voce « purtroppo no, ma... hai qualche indizio in particolare? » le domanda, incuriosito.
« Sei pure ora molto in imbarazzo o mi sbaglio? Dài su. » picchiettandogli ancora sull’avambraccio con un paio di dita che poi fa tornare dietro le spalle quasi « Non ci pensare ti ha solo visto mezza scuola! » che non è per nulla rassicurante a dire il vero. Ma okay. « Pure sul treno, quando si tornava a casa.. » a dicembre qualcuno e parlava allora. O questo è quello che dice lei. « Boh, credo di aver capito che sia in su, su sopra al quarto piano. Ma non so se letteralmente o metaforicamente o cose così. » stringendosi nelle spalle. « ho cercato su alcuni pomelli, e su alcune armature.. ma non ho visto granché. » ancora niente di nuovo sul fronte occidentale.
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« siamo ad Hogwarts, Remy. » permettendosi di chiamarlo così. « Chiunque è sulla bocca di chiunque chi più chi meno, e tu hai un clone a scuola che per altro è anche un giocatore di quidditch ed un prefetto. Quiiiindi, non sei così sfigatello come pensi. Visto che tu sei il fratello intelligente, o almeno così si dice in giro.. » ridacchiando visto quando detto da lui prima ma vabe. Fa un lungo sospiro, mostrando ora un gentile sorrisetto verso di lui, tranquilla e pacata come sempre.
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homo-homini-lupus-0 · 4 years
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Quanto è frustrante quando tu noti fin troppe cose, come uno sguardo di disprezzo dopo una frase apparentemente generica, la differenza nel tono di voce usato con te, una dimenticanza nei tuoi confronti, come se tu non esistessi, l'indifferenza dopo che ti sei rivolta chiaramente a quella persona e l'altra neanche ti guarda in faccia facendo finta di non aver sentito... Tutto questo lascerebbe da pensare a chiunque no? Farebbe del male a chiunque o sbaglio? Ma certo che no, "sei paranoica" mi dicono, "ma lascia perdere, che fa" mi dicono, "ma non significa nulla" mi dicono. E allora io vi dico "fottetevi tutti quanti perché per voi magari sarà un nonnulla? Okay complimenti, siete davvero forti. Ma sapete, a qualcuno può far male e se io ve lo dico chiaro e tondo mi spiegate che cazzo ci vuole a dirmi che sinceramente tutto questo voi non lo avete notato, che non ci date peso, ma che almeno porca troia vi dispiace per me, per come mi sento ora?". Ma ci vuole tanto?
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armyhome · 4 years
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You Are In Love (Hoseok)
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↳ sinopse- Primeira história de uma série que será feita baseadas em eras de Taylor Swift , projetadas nos membros do Bangtan, começado com Hobi em You are in love  (1989) é, na minha perspectiva, sobre encontrar o amor nos detalhes do cotidiano; ↳ rating-  Livre; ↳ pairing- Hobi x reader; ↳ word count - 1457; ↳ gênero - Amorzinho gostoso e saudável; ↳ avisos- Você vai se apaixonar pelo Hobi novamente.
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Sinto a respiração calma de Hoseok contra meu pescoço, seu corpo está parcialmente sobre o meu, sua perna sobre a minha cintura me segurando na cama, respiro fundo para sentir seu perfume, passaram-se anos e meu coração ainda acelera, aos poucos minha visão começa a ter foco, observo os desenhos no teto que a luz do sol faz contra as persianas.
Afago os fios do cabelo dele, não quero levantar, mas tenho compromisso, observar ele dormindo tão tranquilo era a melhor coisa do mundo, o tempo tinha passado tão rápido, parece que foi ontem que decidi deixar as memórias tristes no passado, mudar de pais, seguir em frente, construir memórias felizes.  
Com o dedo indicador desenho sobre o nariz de Hobi, felicidade foi tudo que ele me ajudou a construir,  eu estagiando na galeria de artes, ele na  gravadora, nos encontrávamos no ônibus, ele era uma das poucas pessoas sorrindo, se tinha uma coisa que  me fazia sentir falta do meu pais, era o sorriso das pessoas, ele trazia isso até mim, um dia quando sorri de volta suas bochechas ficaram escarlate, o que me fez rir alto.  
Na volta para casa ele parava na frente da galeria e me esperava para irmos juntos, dizia que mesmo sendo mais seguro que muitos lugares, era sempre melhor andar em dupla naquele horário. Então um dia fiquei sozinha para arrumar tudo após uma exposição, mandei mensagem avisando que para ele avisando que não sairia no mesmo horário, que ele poderia ir sozinho, se achasse muito perigoso voltaria de táxi.  
Dez minutos depois do horário de sempre, Hoseok aparece pronto para me ajudar, ainda suado de tanto praticar, ele me fala sobre como o fandom do seu grupo está crescendo, se gaba de ser muito querido na minha terra natal, quando terminamos ofereço café, sentamos no chão com as nossas xícaras, observando o trabalho bem feito, ele apoia a cabeça em meu ombro, respiro fundo buscando seu perfume “Somos uma boa dupla não acha? Você é a minha melhor amiga sabia?” questiona, me soco por dentro para não me iludir com as suas palavras, “Não me deixe mal acostumada Jung Hoseok, você se tornará uma estrela internacional em breve e não terei mais meu anjo da guarda” ele se levanta e estende a mão para mim, me arrepio em lembrar, sua mão estava cheia de curativos por causa da prática “Vem, hoje vamos de carro, peguei emprestado o do meu chefe hehehehe” ele balança o chaveiro.  
Vamos o caminho inteiro em silêncio, ele usa uma mão para dirigir e outra para segurar a minha, meu coração bate tão forte dentro do peito, achei que sairia de lá. “Estou me apaixonando por você, então se não estiver sentindo a mesma coisa me avise, por favor.”  
Suas palavras sugam todo ar do ambiente,  geralmente sou a melhor pessoa para fugir desse tipo de situação, mas pela primeira vez não quero, então tento beija-lo de supetão, o que ocasiona uma situação constrangedora, por que o cinto de segurança me impedem de alcançar seu rosto, ele ri e quero morrer ali, então aos poucos ele se aproxima de mim, foi como assistir os fogos de artifício no ano novo na praia.
-Está se apaixonando por mim novamente, não está? – Pergunta sonolento.
-A verdadeira questão é: quando não estou me apaixonando por você Jung Hoseok? – Ele sorri ainda de olhos fechados – Preciso levantar, combinei de me encontrar com sua irmã, para organizar as coisas do casamento dela.
-Se o casamento é dela, a organização também é responsabilidade dela, essa mania que ela desenvolveu de te tirar de mim está ficando irritante! – Ele me abraça firme – Não se vá, minha folga hoje, fique aqui dormindo comigo, fazendo cafuné...
-Gosto que sua família me insira nas atividades Hobi, me faz sentir parte de algo! - Ele suspira, então se ergue, sentando sobre mim sem apoiar seu peso no meu quadril – Volto antes que você sinta minha falta, prometo!  
-Okay... - Se rende, ele segura meu rosto entre a suas mãos e calmamente se aproxima, mas antes que nossos lábios possam se tocar meu celular toca, na tela o nome da minha cunhada – Eu amo minha irmã, mas nesses momentos, reflito se esses sentimentos são reais ou a sociedade que me obriga a sentir...  
-Você precisa parar de surrupiar os livros do Namjoon amor e eu preciso ir encontrar com a cunhada! - Atendo o telefone “Coloque no: viva voz”, ordena ela do outro lado da linha.
-JUNG HOSEOK, É MELHOR QUE VOCÊ NÃO ESTEJA ATRAPALHANDO MEUS PLANOS PARA HOJE! - Hoseok revira os olhos - NÃO REVIRE OS OLHOS PRA MIM! Estou esperando aqui fora okay?
-Sim, já estou indo! - Respondo prontamente. Quase derrubo Hobi enquanto levanto, desligo o telefone e corro para o armário vestindo as primeiras coisas que encontro, uma calça jeans e uma camiseta social do Hoseok, que ficava muito bem em mim aliás, ele me assiste sentado na cama. Prendo meu cabelo com uma mão - Preso ou solto?  
-Preso, assim dá para ver seu rosto melhor... - Enquanto prendo o cabelo ele ajeita a parte de frente da camiseta dentro da minha calça e alinha a parte de trás, sua mão para no meu quadril e ele me dá um selinho – Volte logo!  
O gosto da família Jung era impecável, tudo era tão lindo que eu me sentia perdida ali, consigo sentir todos me olhando, é quase como um peso nos meus ombros, mas Dawon sorri para mim e me abraça pelo ombro.
-Não precisa ficar tão tensa, não a chamei para coloca-la a teste nem nada do tipo – Ela faz um biquinho enquanto escolhe as palavras – Hobi disse que queria ser padrinho junto com você, como não conheço muito bem seu estilo ainda, achei que poderíamos encontrar algo na metade do caminho juntas!  
A família de Hoseok me tratou assim desde o começo, como se eu já fizesse parte dela. Fiquei tão nervosa quando ele me chamou para conhecê-los a primeira vez, tive medo que não gostassem de mim, mas naquele jantar a mãe dele me abraçou como se fosse a própria filha em seus braços, seu pai dançou comigo na sala e todos rimos dos meus dois pés esquerdos.  
Já era final de tarde quando finalmente achamos o vestido perfeito.
Quando chego em casa tem um bilhete em cima do balcão de Hoseok dizendo que tinha ido malhar, então Guinho vem correndo se embolando nas quatro patas para me cumprimentar, ele pula no meu colo e prontamente vira sua barriguinha para cima atrás de carinho.
-O Hoseok hyung te deixou sozinho no escuro foi? Aquele hyung malvado! -Ele late me respondendo.
No corredor as nossas fotos, primeiro encontro, jantando com a família dele, piquenique no dia que adotamos Guinho, primeiro dia na nossa casa, brigamos tanto aquele dia, cada detalhe era motivo para argumentos e mais argumentos. Chegando na sala Guinho pula do meu colo para se acomodar na sua pelúcia no sofá, me sento ao seu lado e ligo a televisão.
A imagem de mim e Hoseok, cobertos de tinta em uma selfie antiga, seguida pelo vídeo de nós dois no parque com Guinho, corta rapidamente para estamos pintando o apartamento, depois estou dormindo com a cabeça apoiada em seu peito, “Então isso que é ter o mundo nos meus braços?” sussurra “Eu te amo Hobi”  digo ainda dormindo, provavelmente sonhando, minhas bochechas ardem, ele sempre se gabou de ter se declarado primeiro, mas ali estava a prova do contrário, então Hobi aparece na gravação, sorrindo, meu coração acelera mais um pouco “Consigo imaginar esse momento desde pequeno, como seria a pessoa, seu nome, cheiro tudo, mas nunca foi remotamente perto do que é você, porque pra mim, tudo no nosso relacionamento, foi além de qualquer expectativa que eu possa ter criado durante toda na minha vida! Nossa amizade, cumplicidade, uau, como conseguimos isso? Olhe pra cima meu amor!” Ele aponta para o teto, então vejo estrelas fosforescentes, quando olho pra frente novamente lá está ele, pessoalmente dessa vez.
-Eu queria fazer isso em um estádio, cheio de pessoas, gritar pra o mundo inteiro como eu te amo! - Confessa – Mas, isso te faria fugir, então... - Ele se ajoelha, sinto que estou muito perto de um ataque cardíaco de tão forte que meu coração bate no peito – Quer casar comigo?  
-Eu te amo – Respondo em meio as lágrimas, ele me abraça - Eu te amo tanto que as vezes acho que meu coraçãozinho vai explodir! É obvio que quero me casar com você - Ele então beija a pontinha do meu nariz, percebo que também está chorando.
Ficamos abraçados em silêncio, porque mesmo no silêncio, era possível escutar nossos sentimentos.  
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stupid-exaggerate · 5 years
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Okay, ci siamo, proverò con calma a raccontare come sono andate le cose, anche per fare un po' di chiarezza dentro la mia testa, dato che sinceramente qui è tutto un casino immenso.
Durante le feste, fra Natale e l'epifania, capita il mio compleanno. Per la mia famiglia non dovrebbe essere una novità, credo, mi hanno fatta nascere loro.
Io non ho mai chiesto niente per quel giorno, anche perché mia sorella è più piccola, ed è a lei che vanno tutti i regali; è lei che deve credere a babbo natale, alla befana e alla magia di questo periodo.
Quest'anno, dato il periodo un po' difficile che sto vivendo -a livello mentale intendo-, ho fatto il madornale errore di aspettarmi qualcosa anche io, ma non un regalo. Io desideravo semplicemente una sorpresa: magari essere svegliata il 30 dicembre con una torta e un tanti auguri, oppure una piccola cena organizzata per me.
E come capita ogni volta che si spera, quando poi si rimane delusi, la tristezza è difficile da nascondere; per Natale non ho ricevuto nulla, ma non mi sono lamentata. Sapevo che doveva andare così.
Per il mio compleanno non ho ricevuto niente, assolutamente niente, neanche un briciolo di quella sorpresa che tanto desideravo.
Ma di nuovo, ho tenuto tutto dentro, perché in qualche modo ero convinta che una sorpresa per me ci fosse. In qualche modo ero convinta che la mia mamma conoscesse ancora sua figlia, e sapesse trovare il modo di farla sorridere.
Arriva l'epifania, ovvero ieri. Qui a casa mia "passa la befana" durante la notte per mia sorella, quindi anche qua non mancano i regali.
Mi sveglio, e vedo un mucchio di regali accanto all'albero di natale, e mia sorella che inizia ad aprirli.
Vuoi mica che ci sia qualcosa anche per me?
Ad un certo punto mia mamma si avvicina con un pacco regalo e me lo posa di fianco, guardandomi; di colpo in me si riaccende la speranza. E se avesse davvero pensato a qualcosa per me? Allora davvero mi conosce?
Con calma scarto il pacchetto, cercando di immaginare che cosa possa avermi preso, e quando lo apro beh... non so che faccia potreste fare voi se trovaste uno spazzolino da denti.
Si, mia madre mi aveva regalato uno spazzolino da denti.
Io, ancora attonita mentre guardo il pacchetto, provo a chiedere spiegazioni, e la spiegazione è stata "eh è una cosa che possiamo usare tutti quanti!"
A quel punto, la mia speranza si era nascosta da qualche parte a fustigarsi per aver anche solo provato a pensare che una madre potesse conoscere sua figlia.
Una figlia non tanto complicata eh, innamorata della scrittura, della lettura, degli animali, della fotografia e dell'arte. Una figlia che un tempo scriveva poesie, disegnava, ed è uscita con 90 dal suo liceo.
Per questa cosa, successivamente, abbiamo litigato. Io ho espresso gli stessi argomenti che vedete scritti qua sopra, e lei ha ribattuto dicendo che non aveva tempo di pensare ad un mio regalo, e che siccome sono intelligente sarei dovuta andare io da lei a dirle cosa volevo.
Ma come si dice a qualcuno che vuoi una sorpresa? Una sorpresa dovrebbe venire dal cuore, o sbaglio?
Ad un certo punto la litigata è sfociata in frecciatine, e ha toccato un punto che mi ha fatto completamente esplodere; dalla bocca di mia madre è uscita esattamente questa frase: "se vuoi morire fallo, non c'è problema"
Non c'è problema.
Non c'è problema.
Ancora adesso nella testa mi rimbalzano quelle tre parole come fossero punte di spillo.
Ho scritto questa cosa al mio ragazzo, nonostante fossimo in pausa, e lui per tutta risposta ha chiamato mia madre e insieme hanno chiamato il 118 per farmi portare via.
Il mio ragazzo invece che parlare con me, ha parlato unicamente con mia madre, come se io fossi matta, e mi hanno privata della libertà di decidere.
Io piangevo, piangevo tanto e graffiavo la mia pelle con le unghie fino a farla sanguinare, stavo avendo un attacco di panico enorme, perché tutte le volte che mia mamma ha parlato di 118 era per minacciarmi.
Durante il viaggio in ambulanza le persone all'interno mi prendevano in giro, mi guardavano e ridevano per come piangevo: "guarda questa, a 20 anni ridotta così... io almeno a 20 anni mi drogavo!" E ridevano, mentre io non riuscivo davvero a smettere di trattenere le lacrime.
Ero da sola. Sola con me stessa. E non potevo fare altro che piangere.
Arrivata in ospedale mi hanno abbandonata da sola su una sedia, poi mi hanno spostato in un'altra stanza dove mi hanno attaccato una flebo di tranquillante. Mi hanno fatto domande, ma le risposte che davo non contavano. Passavano ad un'altra domanda senza che la mia risposta fosse in qualche modo importante.
Alla fine mi hanno lasciato in un'altra stanza, da sola, con quella flebo attaccata alla mano; ad ogni goccia sentivo che la mia vita perdeva di peso, di consistenza. Ogni goccia che vedevo scorrere giù era un pezzo della mia esistenza che crollava a causa dei miei errori.
Stavo tanto male, ed ero da sola.
Ho lasciato il mio ragazzo. Gli ho detto che se non cancellava il numero di mia madre fra noi era finita, e lui si è rifiutato, per cui basta così.
Ora sono sorvegliata a vista, sto male, mi sento sola, e le persone che sono intorno a me sembrano le guardie di un carcere. Io non ho più un amico, non ho più qualcuno disposto a parlare con me come se fossi sana di mente, mi credono tutti matta, prossima al suicidio.
E nulla, questo è ciò che è capitato. Mi spiace per aver scritto così tanto, ma volevo raccontare per filo e per segno tutto quanto, anche per me stessa. Io non mi sento matta. Non sono pazza. Ho solo sperato in qualcosa che alla fine mi ha portato al peggio.
Non succederà mai più.
Scusatemi ancora per il testo così lungo.
-Giulia
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steffydragun · 4 years
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Mi batte forte il cuore.
Troppo forte.
Non va bene.
«Io sono lo psicologo della scuola. Come ti è stato detto, a causa della depressione in costante crescita ogni anno fra gli studenti, il nostro istituto ha voluto far fare una seduta a ciascuno di voi, così che possiamo intervenire e aiutarvi il prima possibile»
Annuisco senza dire una parola.
La mia gola è asciutta e le mie mani tremano.
«Ti chiedo quindi di raccontarmi come ti senti, cosa hai provato e cosa provi tuttora da quando sei al nostro liceo.
Sarà in fine mio compito valutare se ti servirà una serie di sedute o meno.
Prego»
Prende un block notes e segna il mio nome.
Poi allunga un braccio e prende il mio questionario; in breve era un test a crocette sul nostro stato d'animo in generale ed in specifiche situazioni e noi dovevamo segnare con una x l'opzione che più ci rappresentava.
Guarda tutte le mie risposte e sorride.
Sembra soddisfatto.
«Basandomi su questo pare che tu non abbia nessun problema, non soffra d'ansia o abbia paure, tanto meno ti senta male nella tua classe o in collera con te stessa »
I suoi occhi leggono velocemente tutto il foglio.
«Ciononostante, ci tengo a sentire cosa provi tu, con le tue parole. »
Si sistema gli occhiali e si mette comodo su quella poltrona che cigola sotto al suo peso, come se si stesse preparando a sentire una storiella.
Qualcosa dentro me scatta.
Nonsocosastofacendo.
«Vuole la mia versione?
Innanzitutto il mio questionario è completamente falso, e lo capirebbe chiunque che ho mentito spudoratamente; nessuno è sempre e costante mente “felice”, nessuno non ha mai problemi con la famiglia e con i suoi coetanei e nessuno non ha delle paure.
Ma che razza di psicologo eh, scusi?
Lavora tutto il giorno con degli adolescenti e non sa ancora che chi sta davvero male e si sente sprofondare non lo dice così apertamente, non ne va fiero ma, anzi, se ne vergogna e cerca di nasconderlo finché può.
Dato che non sa leggere fra le righe, glielo dico chiaro e tondo; aiuto.
Aiuto per ogni cosa.
Vuole parlare della scuola? Va bene.
Da quando sono entrata qui non faccio altro che sentirmi inadeguata, costantemente non un gradino, ma chilometri di scale dietro ai miei compagni.
Loro capiscono subito ogni materia, ogni lezione. Sono sempre preparati, impeccabili e hanno ottimi voti.
Io mi sforzo, studio giorno e notte e continuo a fare schifo, continuo a non essere abbastanza per nessuno.
Sa cosa significa impegnarsi e dare il massimo, ma essere sempre l'ultima a capire un'argomento, l'ultima a consegnare la verifica, quella che prende sempre il voto più basso? Significa che in me sorgono complessi, inizio a pensare di essere stupida, di non valere quanto valgono gli altri, e anzi, orma ne sono più che convinta.
Vuole parlare delle mie relazioni coi miei coetanei?
Okay, semplice; vanno a puttane.
Non mi riescioad inserire in nessun gruppo, vengo giudicata una sfigata solo perché non fumo e non bevo, mi prendono in giro perché i miei capelli non sono impiastricciati di colori e la mia pelle non è ricoperta di tatuaggi.
Ormai se ogni sera non vai ad ubriacarti in discoteca e non sei insultare il prossimo per far ridere chi ti sta accanto sei un perdente.
Bello schifo.
E guardi, davvero, fra ragazzi che vogliono solo giocare coi tuoi sentimenti e spezzano il tuo cuore in mille frammenti, ragazze che se non ti vesti e ti trucchi da Troia ti ignorano, ma se ti metti una maglia scollata ti dicono i peggior insulti del mondo, io preferisco stare sola.
E la mia situazione familiare?
Ah beh, sa, avere una figlia che sta tutto il giorno chiusa in camera o fra le pagine di un libro perché odia le persone e non esce con nessuno, e a scuola ha voti pessimi, e non è la sorella perfetta o ideale, non è che ne vanno molto fieri, tanto meno ne sono orgogliosi.
E la mia vita?
Tralasciando il fatto che non riesco a dormire a causa dei miei incubi che come catene mi stringono il collo, il petto, la pancia, le gambe, il corpo, e mi schiacciano al suolo, soffocandomi, ed i miei demoni che hanno la permanenza fissa nella mia mente, anche quella fa schifo.
Sa, più volte quando sono sul balcone di camera mia mi domando cosa accadrebbe se saltassi giù, e questo pensiero mi perseguita ogni qualvolta vedo un edificio alto, peccato che sono sempre troppo bassi.
O smesso di passeggiare in strada perché ero tentata di gettarmi sotto al primo camion che passava.
Ho gettato i temperini perché sono tormentata dal desiderio di tagliarmi le vene, di dissanguarmi con le mie stesse mani e punirmi una vola per tutte per ciò che sono.
Ultimamente credo di meritare solo dolore, vorrei farmi sempre più male, fino ad affogare nelle mie stesse lacrime e frantumarmi le ossa.
Mi odio. Mi odio all'inverosimile, mi sto distruggendo ma lo merito.
È giusto così.
E sa perché? Perché certe persone non vogliono essere salvate.
Mi basta tenermi tutto dentro, finché non implodo e scompaio lentamente »
Respiro.
Respiro.
Respiro.
No. Non posso.
Saprei già come andrebbe a finire.
Già lo vedo sto qui farmi altre mille sedute e telefonate ai miei genitori, così che abbiamo un altro problema e, grida a caso, chi l'avrebbe mai detto, di nuovo per colpa mia.
Lo psicologo mi richiama dai miei pensieri «Prego, ci tengo a sapere la tua storia. Le tue emozioni. »
Sorrido.
«Non c'è nulla da dire sul mio conto. Come può osservare dal questionario appena svolto, sono una ragazza che è felice con poco e si rallegra con ancora meno.
Ho così tante amiche che tendo a confondere i loro nomi e fatico a sistemare gli appuntamenti per riuscire ad uscire con tutte, senza dimenticarne nessuna.
La mia famiglia è il mio punto di forza» che schifo, una recita peggiore non la posso fare, magari questa volta si accorge che sto mentendo «mi incoraggiano costantemente e mi fanno sentire amata. A scuola ho buoni voti, ottenuti senza stress o ansia. Mi consideri un adolescente normale, con una vita tranquilla e ricca di serate, alcol, e cazzate. »
Lo guardo negli occhi, sinceramente spero che mi tradiscano «Non potrei essere più felice».
Lui mi sorride«come immaginavo, i questionari non sbagliano mai. Prego, puoi andare»
Lo saluto ed esco.
La porta si chiude alle mie spalle e non si è reso conto che il mio era un addio, un “me ne vado, per sempre”.
I veri assassini sono quelli che sanno che vuoi farti del male, ti guardano distruggerti, e se vanno mentre cerchi di ucciderti.
Perché è molto più facile così.
Non essere un assassino.
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itslexkno-w-x · 4 years
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𝙸𝙸 𝚊𝚗𝚗𝚘 - "𝘏𝘰 𝘗𝘢𝘶𝘳𝘢 𝘋𝘪 𝘝𝘰𝘭𝘢𝘳𝘦"
Alli: «Lex abbiamo bisogno che tu entri in squadra…» proverebbe a poggiare due mani sulle spalle, questa volta con grazia, provandole a rifilare uno sguardo magnetico «Volare non è la tua specialità…ma hai preso E no? E poi sei la persona più combattiva che io conosca» ora comincerebbe a scuoterle leggermente le spalle se la secondina lo lascerebbe fare «Non puoi dirmi di no!»
Lex: La piccola Knox rimane per un momento pietrificata, mentre il compagno le poggia le mani sulle spalle e inizia ad elencarle i motivi per i quali dovrebbe accettare. «No!» esclama «no, no e no» col gramo che non può dire di no! Scuote un po` le spalle cercando di scrollarsi le mani di Allister da dosso «ho già paura di andare su una scopa senza distrazioni!» spiega «figurati se voglio andarci con altre tredici persone in campo e palle che volano da un punto all`altro!» e bolidi che volano, soprattutto «avrò anche preso E, ma ti ricordo che tremavo!» continua a lamentarsi «e poi volare per poco non è mica come una partita!» non la finisce più di cercare motivi per continuare a dire «no», e non lo farà se non verrà interrotta
Alli: La tempesta di “no” non lo scompone minimamente, sembrerebbe che il suo cervello stia schivando Matrixmode i “no” che arrivano. Certo lo stesso cervello che non sarà decisamente e propriamente sano da aver pensato una cosa del genere «Si si si…lo so che mi dirai si» L’entusiasmo è vibrante nel terzino – comincia a correre in tondo per la sala comune, salta in piedi sopra le poltrone «LEXXXX ENTRA IN SQUADRAAA» urlando molestamente. Quando la scarica di adrenalina sembrerebbe aver mollato il biondo, tornerebbe sotto alla secondina con i soliti modi pacati e gentili «Allora che ruolo vorresti fare?»
Lex: «No, non ti dirò di si, Allister!» esclama, alzando leggermente il tono di voce, ma il terzino sta già girovagando festoso per la sala comune come se fosse già arrivata una risposta affermativa. «SMETTILA!» esclama alzandosi in piedi di scatto per raggiungerlo alla poltrona sulla quale si è elevato, tentando di strattonarlo per un braccio per tirarlo giù «torna a sederti» dice a bassa voce per evitare di destare ancora attenzione «non ho neanche una scopa, Allister» spiega mentre torna verso la poltrona a sedersi, per affondarvici a braccia incrociate, sbuffando «come faccio? E poi cadrei di sicuro nei primi minuti di partita. Mettici le vertigini, mettici l`ansia e.. puf!» mimando con la manina una discesa ripida «ruolo?» domanda, quasi spazientita «NON-CI-VOGLIO-ENTRARE» 
Alli: «Pensa quando tutta la casata inneggerà alle tue gesta invece…pensa questa celebrità» ma di cosa esattamente? «la scopa te la fai prestare, te la fai mandare…non è un problema»  poi assume un’aria solenne, le braccia conserte «e poi avresti sempre il tuo cavaliere pronto a difenderti» dai i danni verso cui stesso lui ti sta portando.
Lex: «La celebrità?» sbotta «io penso alle prese in giro! Nessuno si dimentica del platano, pensa se dovessi fare una figuraccia durante una partita!» A questo punto sbuffa, scioglie lentamente le braccia che prima erano incrociate appoggiandole sui braccioli della poltrona. Guarda fisso il compagno negli occhi, con sguardo quasi rassegnato, e domanda con tono serio «è proprio, proprio necessario?»
Alli: Un ghignetto compare sul visino di Allister che si increspa in una smorfia di difficile interpretazione – è contento per aver fatto breccia o c’è altro? Si avvicina lentamente alla compagna, provandola ad avvolgere in un abbraccia rapido, difficile da sfuggire, ma allo stesso tempo estremamente delicato « Si è necessario…ma non perché non c’è più nessuno…ci sarebbe una fila di secondini a cui chiedere, ma io non conosco nessuno combattivo come te» nel caso in cui Alexa si sia lasciata abbracciare, al termine del discorso si staccherebbe dalla “presa” allontanandosi di qualche centimetro, per piazzargli uno sguardo profondo e denudante, un movimento rapido del capo proverebbe poi a stampargli rapido un bacino sulla guancia, che si sposta verso il labbro, lasciando il dubbio di quanto sia voluta e quanto casuale. Si staccherebbe definitivamente dalla compagna, andandosi a buttare di peso su una poltrona poco distante, senza proferire verso, con un’espressione apparentemente soddisfatta sul volto,
Lex: Non oppone resistenza per quell`abbraccio e, sicura che gli occhi del compagno in quel momento non possano vederla, si lascia scappare un sorrisino «credi più in me di quanto lo faccia io stessa» gli sussurra, mentre si sta allontanando, ricambiando il suo sguardo con un po` di timore, ma ormai quasi del tutto convinta. Chiude gli occhietti come fa spesso mentre il terzino gli si avvicina alla guancia, ma la sensazione del tocco di quel bacio le arriva sul labbro, alchè spalanca gli occhi, arrossendo di colpo «quello..» sta per domandare, ma scuote la testa: dopotutto i suoi occhi erano chiusi, magari si è soltanto impressionata «o-okay, ci provo» dice finalmente «verrò alle selezioni» alleluia, no?
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olstansoul · 4 years
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Sacrifice, Chapter 27
Pairing: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Oh ma guarda chi si rivede!"
Appena sentì la voce di Sam, James sorrise andando ad abbracciare sia lui che Steve che erano vicino al cancello principale della scuola.
"Ciao ragazzi mi siete mancati anche voi..."disse lui una volta che si staccò da loro due.
"Dai vieni, così ci racconti cosa succede"disse Sam.
Evidentemente lui non sapeva la questione a fondo ma intuiva che c'era qualcosa che non andava specie riguardo i genitori di James e da bravo amico che si rispetti lo avrebbe aiutato a qualsiasi costo. Proseguirono verso l'entrata della scuola e camminavano tutti e tre insieme, James al centro con Steve e Sam ai suoi lati. Roba da attirare l'attenzione a chiunque ma nessuno dei tre voleva questo. Piuttosto a James serviva qualcuno che lo ascoltasse e chi se non i suoi perfetti migliori amici?
"Quindi quella che lui aveva con sé, non era chi pensavi che fosse?"chiese Steve.
"No..."
"E tua madre come sta?"chiese Sam.
"Dice di stare bene ma per quante volte me l'abbia detto non so se crederle"
"Vedrai che tutto si risolverà..."disse Steve poggiandogli una mano sulla spalla e insieme entrarono nella classe della signora Van Dyne.
James si sedette in mezzo con Sam al suo fianco e con Steve dietro di lui, presero il loro libro e quando la professoressa di storia entrò, dietro di lei entrarono anche Natasha e Wanda con dei sorrisi sulle loro labbra. Anche se la seconda sembrava più terrorizzata che sorridente al massimo. La signora Van Dyne iniziò a fare l'appello e quando finì Wanda iniziò ad alzarsi e James rimase sopreso. Ma era ovvio che lo fosse, non la vedeva da tre giorni ed è stato davvero un duro colpo rivederla. Non che fosse successo qualcosa, almeno non fra loro due. Piuttosto nella testa di James regnava ancora quel sogno strano di questa notte, ma per quanto strano fosse non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine della ragazza che era sopra di lui. Anche se era stato un sogno, poteva sentire perfettamente le mani di lei su tutto il suo corpo e come muoveva i fianchi su di lui.
"Allora ragazzi..."
"Oh, grazie al cielo signora Van Dyne! Se non fosse stato per lei James sarebbe ancora nel mondo dei sogni ad immaginare di fare l'amore con..."disse il suo cervello.
"Oh, perfavore..."gli rispose lui dentro di sé.
"Sai che non mento mai"gli rispose invece il suo subconscio rimanendo zitto per tutto il resto del tempo.
"...non so se ve ne ricordate ma la scorsa settimana avevamo deciso tutti insieme che ognuno di voi avrebbe esposto, come lezione, un argomento di storia. Ed oggi tocca alla signorina Maximoff. Prego Wanda..."
La signora Van Dyne lasciò il posto a Wanda a cui bastò fare un respiro profondo e iniziò a parlare.
"Nel 1941 gli Stati Uniti decisero di restare fuori dal conflitto mondiale che vedeva protagonista l'Europa, scegliendo così l'isolazionismo ma il presidente Roosevelt inviava del materiale militare sia agli inglesi che ai russi. Nell'agosto dello stesso anno in accordo con Churchill firmò la Carta Atlantica una dichiarazione di principio contro il Nazifascismo. Il 7 dicembre 1941 l'aviazione giapponese bombardò la base militare di Pearl Harbor alleata con Hitler..."
James non smetteva di guardarla, non le toglieva gli occhi di dosso un secondo. Era così preso ad osservarla che non sentì Sam chiamarlo al suo fianco.
"Ho una scorta se vuoi..."
"Che cos'hai?"chiese lui non capendo.
"Aspetta ora te li prendo, saranno tutti tuoi..."
James non capiva fin quando Sam tirò fuori una confezione da sei di fazzoletti, piena di motivi molto carini e la maggior parte di questi erano fiori, e li poggiò sul suo banco.
"Cosa vuoi che me ne faccia?"
"Come cosa voglio che ne fai, ti serviranno...non smetti di guardarla"
"Non è vero! Riprenditi i tuoi fazzoletti e poi sono adatti per Rebecca non per me..."
"Vedi, in un modo o nell'altro comunque ti serviranno..."
James li prese e li lanciò addosso a Sam che sorrise mentre Steve li guardava da dietro ridendo con una mano davanti alla bocca. Intanto Wanda continuava a parlare nonostante l'attenzione dei tre fosse un po' scostante, ma mai quella di James.
"Il Giappone credeva di poter creare un'alleanza con l'America in modo da potersi espandere in Cina e nell'Asia Sud Orientale, proprio per questo Roosevelt ruppe l'isolazionismo e dichiarò guerra al Giappone cambiando così l'andamento del conflitto. Fra maggio e giugno del 1942 gli americani sconfissero i giapponesi nelle battaglie navali delle Midway e Guadacanal..."
"Okay, Wanda così può bastare...credo che una A è quello che ti meriti"
"Una A?"chiese lei sottovoce e la signora Van Dyne la rassicurò con un sorriso.
Ritornò al suo posto con un sorriso sulle labbra e con Natasha che sorrideva insieme a lei. James si godette quella scena, fin a quando la lezione di storia non finì e tutti e cinque uscirono fuori.
"Ti sei preoccupata per nulla, visto? Dovresti avere più fiducia in te stessa..."
"Natasha è quasi impossibile farle credere di più in se stessa, ci ho provato ma..."
"James!"disse Wanda entusiasta appena lo vide e si avvicinò di poco per poterlo abbracciare.
James rimase completamente sorpreso da questo gesto e l'unica cosa che fu capace di fare è stata quella di avvolgere le sue braccia attorno alla schiena. Rimasero alcuni minuti così sotto gli occhi curiosi di Sam, Natasha e Steve.
"Oddio, scusa non avrei dovuto..."
"Tranquilla, va tutto bene"
"Allora Wanda, hai pensato di lavorare come guida nei musei? Potresti veramente incartare tutti quanti con la tua voce..."disse Sam e James gli rivolse un'occhiataccia.
"Beh, non è proprio il mio forte...preferisco più i libri"disse lei dando uno sguardo di sfuggita a James.
"Oh, quindi ancora meglio...sappi che a qualcuno qui farà molto piacere ascoltare la tua voce"disse lui con un braccio attorno alle spalle di James.
"Va bene Sam nel caso Wanda ti informerà riguardo il suo lavoro, okay? Per ora noi andiamo nella classe del signor Barton...ci vediamo dopo"disse Natasha trascinando Wanda con sé che non smetteva di guardare James.
"Sei un'idiota"disse Steve che non smetteva di ridere a Sam.
"Quanto hai ragione Steve"disse James rassegnandosi di fronte alle mille prese in giro che gli faceva Sam.
"Non solo Steve ha ragione ma anche io! Non negare che sia così, ti ho guardato tutto il tempo e fin quando non ha smesso di parlare tu non le toglievi gli occhi di dosso...se non ne sei innamorato allora cosa devo pensare?"
James sbuffò mettendosi le mani nei capelli e poi da lì iniziò a nascondere tutto quello che aveva dentro.
"È complicato..."
Durante l'intervallo...
"Io credo che tu gli piaccia, insomma è vero. Non è la prima volta che ti guarda così, ma non ti guarda solo, ti fa sentire bene e questo da quando ti ha cercato dopo quella discussione che hai avuto con Sharon..."
"Può essere"disse Wanda rispondendo alla mega supposizione di Natasha.
Ma in fondo, ovviamente, era vero.
"No, non può essere o è così oppure no"
Stanca delle mille supposizioni e dei mille dubbi che le sarebbero venuti poi, Wanda decise di tirare fuori tutto e non perché si sentiva costretta in quel momento e neanche per zittire Natasha ma perché sapeva che così, in un modo o nell'altro, avrebbe sentito dentro di sé un peso in meno.
"Si, è cosi"
"Che intendi?"
Wanda prese un respiro profondo e decise di affidarsi alla completa fiducia di Natasha.
"Intendo dire che mi piace, che...che mi fa sciogliere il cuore quando si avvicina a me e quando mi guarda con quelle sue pozze blu e..."
"Okay, devo dire che sei innamorata e anche troppo direi!"
"Si, ma è complicato..."
"Hai paura di dichiararti?"
"No, non è questo..."
"E allora cosa?"
Wanda non poteva dirle tutto, non poteva dirle che era complicato per lei stare con James per colpa di un tumore che le stava portando via i migliori anni della sua vita.
Come avrebbe potuto reagire Natasha? Forse bene, perché Wanda era l'unica vera amica che lei aveva avuto e viceversa? Quindi tutto sarebbe andato bene? Oppure male perché non gliel'aveva detto dall'inizio? E poi James? Come avrebbe reagito? Sarebbe stato lo stesso con lei nonostante i mille controlli da fare e le mille paure che le attanagliavano il cuore?
"Se non vuoi dirmelo non fa nulla, okay? Va tutto bene...prenditi il tuo tempo"disse la bionda stringendo la mano di Wanda che come al solito era fredda.
"Intanto potresti fare la stessa cosa..."disse Wanda rivolgendosi a Natasha.
"A che ti riferisci?"
"A Steve, potresti dichiararti tu..."
A quell'affermazione la bionda fece un'espressione spaventata, l'avrebbe fatto si ma forse ci voleva più tempo del previsto però di meno di quello che serviva a Wanda per potersi dichiarare a James. Lei rise all'espressione della bionda e continuarono a rimanere sul quel muretto fin quando non tornarono in classe insieme, una che teneva l'altra e viceversa.
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ilarywilson · 4 years
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Take your time
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25th April 2076
I: «Sei in anticipo» lo saluta ironicamente, e se alluda al fatto che avessero un appuntamento, o al fatto che lui di norma la stalkerizzi anziché anticiparla, non ci è dato saperlo. «Dunque è questo il segreto della tua invidiabile tintarella?» alludendo al suo starsene disteso su un prato assolato impeccabilmente vestito. Il capino a sbucare sopra il suo, facendogli ombra.
«Mi togli il sole» «Tz. Io sono il sole» «Miss Wilson, ora sai anche essere ironica?» «Guarda che sono sempre ironica».
Anche oggi, su quel prato, la mente di Duffany appare confusa.
H: «A me non dispiace averti intorno. Ma preferirei vederti sdraiata, almeno non devo ciecarmi, se ho il sole accanto e non davanti». La mano va a posarsi sulla coperta, dove si può stare tranquillamente in due, dando una paio di colpetti con il palmo sul tessuto verde. 
«Vieni?»
I: «Cerchi di coprire le tracce di un omicidio?» domanda alludendo prima alla coperta, poi alle ceneri di quella lettera e poi a lui, su cui torna con sguardo curioso.
H: «No, è morto mio padre» con lo stesso tono che si utilizza per un` informazione tipo “sto andando a fare la spesa”.
I: «Sul-sul serio? Non è una di quelle metafore fraintendibili tipo quella dei pagamenti in natura o-o dei cani e dei maiali nel labirinto…?» Ilary Wilson saprà sempre come tirar fuori la cosa più inopportuna di tutte. «Mi dispiace. Stai-stai bene?»
H: Le sorride di nuovo, quando osserva il tono della sua voce cambiare da “sono preoccupata per te” a “ti tratto con dolcezza”.«Non preoccuparti, Ilary, sto bene» la rassicura, alla sua ennesima occhiataccia di apprensione. Non necessita in questo momento della crocerossina, in realtà. «Non è stato un buon padre e non ci parlavamo da anni… lo stesso con mio fratello».
«Dannazione, Wilson», ora mi fai anche raccontare di me.
Avverte quella mano piccola -dalla pelle liscia e profumata- tirare verso di sé quella più grande dell`uomo che, come un fulmine inaspettato, riavverte di nuovo le viscere dentro di lui scomporsi e fremere. E poi all`improvviso, si ritrova a non produrre solo endorfine, ma sicuramente qualcosa di più a cui però ancora non riesce a dare un nome. Deglutisce, mentre la osserva fare. Quelle braccette vanno a coprire le spalle larghe dell`uomo che, inerme, non fa altro che deglutire ancora. E ancora, cinge la vita di lei con un braccio, inspirando quell`odore forte di camomilla non del tutto sconosciuto, che lo inebria e lo avvolge.
I: «Nel peggiore dei casi, tra trenta secondi avrai comunque prodotto endorfine e starai meglio di prima. Ma se te ne approfitti ti brucio» il sorriso lui lo potrà sentire in quel sussurro che gli raggiunge l`orecchio, mentre lei gli concede -magnanima- il beneficio del dubbio di un abbraccio made in Wilson in piena regola. 
H: «Magari mi dessi solo endorfine, Wilson…» sussurra di rimando, con il fantasma di suo padre ormai dimenticato e la presenza di un sorriso spensierato sulle labbra. Come potrebbe approfittarsene? Harry Duffany è tornato adolescente.
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La teoria degli abbracci da almeno-trenta-secondi
«Regola numero uno del Credo Wilson» oggi sei fortunato, Duffany, iniziamo addirittura a decantare la sua bibba personale. «Gli abbracci non si chiedono, si danno» sollevando il pollice davanti al suo viso. «Regola numero due, durano almeno trenta secondi» per la questione delle endorfine «Regola numero tre, non si rifiuta mai un abbraccio e soprattutto non si interrompe prima che chi ne aveva bisogno accenni a volersi liberare di te» e magari è giusto un modo per spiegargli perché non si sia ancora scollata. Ingenua rompitrice di gusci, spontanea conceditrice di abbracci e disinvolto animaletto che infine riesce ad accoccolarglisi contro senza dare a quella vicinanza niente di malizioso. Lo lascia ricambiare quella stretta, finendo ad incastrare la testolina nell`incavo della sua spalla, gli occhi socchiusi a riaprirsi un istante quando lui parla e a lei tocca reprimere un brivido che non è chiaro se sia la semplice reazione involontaria a quel sussurro troppo vicino, se sia colpa del contenuto ambiguo che sceglie saggiamente di non approfondire o ancora dell`angoscia viscerale che a quanto pare ora le prende quando sente qualsiasi cosa che non sia più che prevista e calcolata. Alla faccia della reputazione di fatina spensierata, eh Sorriso Wilson?
Profumi ancora di muschio bianco, Duffany? Potremmo esserci affezionate al tuo colletto, tutto sommato.
H: Quella mano che prima si agganciava alla vita, ora si sposterebbe sul caschetto biondo, esattamente sulla nuca, andando ad accarezzare con il dorso dell`indice quei capelli soffici e camomillosi. Un accarezzare lento, ritmico e distratto. Sdraiato sulla schiena Harry Duffany si ritrova a guardare il cielo.
«Non ho proprio intenzione a liberarmi di te» sussurra, a mezzavoce. «Da un cielo terso e limpido che non nasconde alcun rumore… Perdendomi negli angoli del tuo splendore, mi chiedo dove mai sia finito il sole…» canticchia persino.
I: Lo sanno tutti che non bisogna mai toccare i capelli a qualcuno. E` sleale. E ora le palpebre sono così pesanti che potrebbero quasi convincerla ad abbandonarsi a quella bella sensazione. Ma poi lui inizia a canticchiare e lei cade vittima dell`ennesimo flashback intrusivo che le fa strizzare gli occhi. «Dannazione, Duffany» annaspa, per scacciare la sensazione formicolante di pericolo. Ora deve davvero impegnarsi per non dire qualcosa di scortese, per non far ritrarre lui, giacché si sente un po` colpevole d`avergli chiesto di piantarla con le maschere. Scatta a sedere. Privandolo in un colpo solo di testolina, camomilla, calore, abbraccio e vicinanza. How rude, Wilson.
«…S-scusa è che… Mi sono appena ricordata… di una sostituzione…d`emergenza, in ospeda- un collega si diploma! Come ho fatto a scordarlo!»
H: «Dannazione, Wilson». Sì, se la prende con lei, perché ovviamente non crede di aver sbagliato qualcosa. Le afferrerebbe la mano, in un gesto altrettanto brusco e repentino. I suoi occhi si sposterebbero sugli altri azzurri, quasi a supplicarla di rimanere. «Resta».
I: «Sto impanicando» confessa senza troppi giri. «Restaci tu, fermo, mentre impanichi!» E una Wilson spaventata è una Wilson aggressiva. «Non è logico!» esattamente come lei in questo momento. L`unica cosa chiara nell`ombra di sincera difficoltà che le attraversa le iridi, è che su quelle microscopiche spalline verde acqua sosti forse un peso più ingombrante del previsto. La manina libera a sfregare nervosamente contro una gamba e le dita dell`altra a impastare altrettanto nervosamente il palmo altrui. Nonmollarelapresa-nonmollarelapresa-nonmollarelapresa diventa un mantra silenzioso.
H: La mano è ancora a presa salda con la sua. Non riesce a capire cosa sia effettivamente successo. La maschera, quella che lei gli aveva minacciosamente detto di togliere, torna al suo posto, e un involucro invisibile si riadatta al suo corpo, caldo come un vecchio amico. Sarà perché lui non ha mai affrontato un divorzio, sarà che per lui le relazioni siano qualcosa di completamente inesistente, sarà perché era davvero la prima volta che si toglieva quella maschera. Si irrita quando non riesce a spiegare una cosa. E se non riesce a spiegarla, automaticamente è sbagliata.
«Dammi un motivo valido».
I: «Ti sei scottato» proprio quello che lui doveva evitare di fare. «E` che… sono veramente un casino in questo momento. Ho divorziato solo venerdì scorso, ho una casa di cui non so che fare e…»
«Potresti per favore provare a portare pazienza?»
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H: Appena terminate quelle tre parole “ti-sei-scottato”, lascia andare la presa perché, nel profondo, sa che quella sbruffona ha pienamente ragione. La sua bocca si assottiglia in una linea e volge lo sguardo altrove: non ha proprio voglia di guardarla.
Inspira. «No. E ora vai a fare la tua sostituzione del gramo, e non tornare a cercarmi». Espira.
I:  «Avevo ragione. Volevi solo venire a letto con me» provocazione numero uno? «E o hai pensato che bastassero un paio di carinerie a farmi capitolare o hai...» beneficio del dubbio numero due «chiaramente fatto finta» arroganza sbruffona parte... 1000? «di non sentire quando ti ho detto che stavo male, che era presto» no, questo non l`hai mai detto «e che se cercavi qualcosa di facile avresti dovuto cambiare tavolo» oh, questo lo ha detto davvero. «Per cui no, Duffany, non puoi arrabbiarti solo con me, perché te l`avevo detto!» Scossa e paonazza, ora che s`è sfogata pure lei, si allontanerebbe di un paio di passi da quella coperta prima di fare dietrofront per un`ultima, importantissima postilla. «Sei un idiota che preferisce mandare tutto a morgane piuttosto che fare lo sforzo di conversare col proprio ego, per spiegargli che non tutto gira intorno a lui, solo perché è troppo… spaventato per farlo!»
H: Due falcate e la raggiunge. «Se tu pensi che il mio unico obiettivo era quello di portarti a letto, allora di me non hai capito una scopa». Respira. Inspira. Espira. «Ti ho dimostrato in tutti i modi che tengo a te. E che l` unico tavolo al quale vorrei sedermi, porta inciso il tuo nome sul legno, a caratteri cubitali. 
I: Oh. Un leggero fremito, mentre il respiro rallenta e quella dichiarazione miete i polmoni come prime vittime. Le seconde sono le corde vocali che vibrano dell`ennesima uscita inappropriata. 
«Beh... devi davvero sperare che non abbia un`omonima, allora» seriously, Wilson?
H: «Mi sono aperto con te e ancora non so quali siano le tue intenzioni. Mi mandi in pappa il cervello!» Si toglie il cappello di paglia dalla testa e se lo rigira tra le mani, guardandolo con un tiepido sorriso sulla bocca. «Dannazione, Ilary…»
I: «Cosa?» è nuovamente la domanda retorica che gli rivolge. Ma non è così crudele da osservarlo scoprire le carte senza dargli almeno un croccantino di ricompensa. «Okay. Sono stata molto bene con te. Mi dispiace se ho mandato segnali ambigui. Non l`ho calcolato. E` solo successo. E` stato spontaneo, ok? Non sapevo dove stavo andando, devo per forza? E` che sei capitato, bello e facile» oh, come suona male ma è Ilary Wilson, fate uno sforzo. «E sono un po` frastornata, adesso. Mi sento una bambina al luna park che ha appena scoperto le insalate russe. Perciò puoi darmi qualche momento di assestamento prima di decidere se farmi cappottare a testa in giù da un mucchio di ferro arrugginito? Soffro di vertigini» grazie. 
«Non lo so... comprami una mela caramellata mentre io guardo gli altri suicidarsi e rido e dico "ahah-che troll, IO non lo farò mai" ma poi lo faccio e tu non mi ricordi che mi sono contraddetta perché... beh, perché mi devi un`incoerenza» 
H: Quel battibecco lo sta stancando e quel sole gli sta offuscando la vista.  Eppure, c`è ancora qualcosa, in quelle iridi azzurre, che lo tengono ancorato alla proprietaria. Non gli vuole dare un nome. Ilary ha ragione: per paura. «No, non devi» sapere dove stavi andando. Abbassa lo sguardo, non ce la fa a sopportare lo sguardo di lei. «È la prima volta che ho intenzione di conoscere tutto dell`altra persona. Cosa mangi a colazione, se ti piacciono più i pancakes o il porridge, se dormi con i calzini o senza, che tipo di musica ti piace ascoltare». Ok, basta, Duffany. 
«Quindi prenditi tutti i giorni che vuoi, e quando pensi di essere pronta, mi troverai nello stesso posto. Però, ti prego. Se torni, non mandarmi segnali ambigui...»
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I: Gli occhi si sbarrano increduli. Un piccolo broncio antilacrima le curva le labbra all`ingiù, mentre le deglutisce appena in tempo tutte le risposte a tutte le domande, per non mandare segnali ambigui. Non riesce a trattenere solo quel «dici sul serio?» che esce fuori come un mormorio incredulo.
Il tempo è decisamente qualcosa che non è mai stata abituata ad avere.
«Posso vedermi accordata un` ambiguità, Sir?» «Dipende». «Sei bello».
H: Schiude la bocca, giusto per far entrare un po` d`aria nei polmoni, non per far uscire una risposta.   “Anche tu” è la prima. “Dannazione, Wilson” è la seconda. “Non puoi uscirtene così” è la terza e ultima. Quella sensazione d`assenza di superficie sotto i suoi piedi è tornata più solida che mai. Senza dire alcunché, la vede voltarsi, quel vestito che la rende irresistibile si apre a ruota con lei, e lì un sorriso gli scappa.
Sicuro, sarà una giornata da dimenticare.
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faresramettas · 6 years
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prima di sorridere un po’
prompt: marti and nico’s first fight (ita)
thank you @revengeisalwaysanoption for the prompt <3 i got carried away and this turned out to be over 3000 words. anyway, i hope you like it!
read below or on ao3
***
Martino era nella merda. A pochi giorni dalla maturità, quando l’unica cosa che desiderava fare era annegare i nervi in litri di birra, la realtà dei fatti era che gli mancava ancora mezzo programma di storia, letteratura non l’aveva manco sfiorata e se avesse fatto un'altra versione di greco per esercitarsi avrebbe vomitato direttamente sul dizionario.
Le sue giornate ormai si dividevano in gruppi di studio, tra Eva e le ragazze per storia e filosofia e Giovanni, Elia e Luchino per matematica, per poi tornare a casa e continuare a ripetere chino sulla scrivania o sdraiato a letto circondato dai libri. Martino era bravo a scuola, la tesina l’aveva finita un mese fa, non aveva niente di cui preoccuparsi, gli ripeteva anche la madre per rassicurarlo, ma era l’ansia il problema, quella paura di deludere le proprie aspettative e quelle degli altri che gli attorcigliava lo stomaco e non lo faceva dormire. Da giorni poi non vedeva Niccolò, che a sua volta era nel bel mezzo della sessione estiva all’università. Era stato Martino a imporre a malincuore quella distanza dopo l’ennesimo pomeriggio di studio trasformatosi in scopata. 
"Guarda che ti posso aiutare a studiare." "Lo sai benissimo che quando ci vediamo non combiniamo mai un cazzo”, gli aveva risposto Martino, passando una mano tra i capelli appiccicati alla fronte di Niccolò. "Un po' come ora." "Ma ci vediamo già così poco", Niccolò aveva protestato, sdraiandosi addosso a Martino, che in cambio aveva riso dolcemente. Era fine giugno e Roma era già caldissima. Niccolò, nudo e incollato a lui dal petto alle caviglie, non aiutava di certo a combattere l'afa ma Martino non se ne sarebbe mai lamentato. "Lo so, amore. Ma solo per qualche giorno. Giusto per concentrarmi fino alla terza prova. Poi mi puoi aiutare per l’orale." "Okay”, aveva sospirato Niccolò, rivolgendogli un sorriso beffardo. “Secchione." "Vaffanculo. Ti ricordo che anche te c'hai gli esami, eh", Martino l'aveva punzecchiato. Niccolò aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva fatto il verso, al quale Martino aveva risposto pizzicandogli i fianchi e ribaltando d'improvviso le loro posizioni, suscitando la sorpresa eccitata negli occhi e nel respiro di Niccolò, che l’aveva tirato giù per i capelli per un bacio. E allora fanculo Schopenhauer, aveva pensato Martino. Niccolò gli mancava. Si parlavano tutti i giorni al telefono, ma non era lo stesso. Aveva ragione, da quando aveva iniziato l'università si vedevano poco. Era un cambiamento inevitabile al quale avevano compensato in anticipo passando l’estate precedente sempre insieme, ma al quale tutto sommato erano riusciti ad adattarsi, almeno fino a gennaio. Niccolò non era riuscito a dare tanti esami nella prima sessione invernale perché la sua testa aveva avuto altri piani. Martino gli era stato accanto ogni giorno, da quando Anna l'aveva chiamato il mercoledì a scuola per dirgli che Niccolò aveva saltato il primo appello e si rifiutava di alzarsi dal letto. Martino era andato a casa sua dopo scuola e gli era bastato guardare Niccolò in faccia per capire la gravità della situazione e che Niccolò non avrebbe aperto bocca. Allora gli si era semplicemente sdraiato accanto, abbracciandolo e accarezzandogli i capelli, sussurrandogli che lui c’era, che sarebbe andato a casa più tardi ma domani avrebbe dormito con lui. Il secondo giorno si era portato dietro una borsa col cambio e lo spazzolino da denti e aveva chiesto a sua madre se poteva dormire da Niccolò per un paio di giorni, che poi erano diventati quattro. Finalmente, il terzo giorno Niccolò aveva tirato fuori tutto ciò che lo torturava, un rigurgito di autocommiserazione e considerazioni distorte su di sé che Martino avrebbe voluto strappare via come erbacce. "Non dovevo iscrivermi all'università. Non so che cazzo ci vado a fare. Non so neanche se mi piace sociologia. Così faccio solo buttare soldi nel cesso ai miei genitori, come se non fossi già abbastanza un problema per loro. Non so fare niente, sono solo un peso per tutti.” Martino lo aveva lasciato sfogare, perché aveva imparato che era la cosa migliore da fare, anche se sentirgli dire quelle cose lo riempiva di sgomento. Il cuore di Martino si spezzava ogni volta che la testa di Niccolò non gli permetteva di vedere quanto fosse meraviglioso. In quei momenti, Martino avrebbe solo voluto potergli prestare i suoi occhi. “E te, Marti. Non so neanche dove trovi la pazienza di starmi dietro. Non ti meriti a diciott’anni di avere un cappio al collo--” A quel punto lo aveva interrotto, prendendogli la faccia tra le mani e guardandolo dritto negli occhi, e poi aveva demolito ogni sua affermazione infondata, finché Niccolò non aveva smesso di piangere e un sorriso fievole ma pieno di gratitudine era riapparso sul suo volto. I due giorni successivi Martino li aveva passati a coccolare Niccolò, a farsi un bagno insieme, a cambiare le lenzuola, a farlo mangiare e sorridere anche davanti ai suoi, all’insegna del minuto per minuto che era diventato un pilastro della loro esistenza, una filosofia che entrambi avevano abbracciato anche al di fuori della loro relazione. Tre settimane dopo, avevano festeggiato il primo trenta di Niccolò insieme. Non aveva avuto altri episodi così gravi e Martino sperava che la sessione estiva non avrebbe comportato una ricaduta. Sebbene Niccolò esprimesse ancora dubbi sulla scelta dell'università di tanto in tanto, era riuscito ad ambientarsi e a stringere qualche amicizia, anche se preferiva ancora la compagnia di Martino e i suoi amici, che lo rimproveravano di continuo perché invece di farli imbucare ai festini universitari pieni di fregna se ne stava sempre lì con loro il venerdì sera a bere la birra artigianale del Peccio e ascoltare i problemi di cuore di Giovanni, che a due anni dalla rottura e nonostante la breve parentesi Argentina non aveva ancora superato Eva e aveva intenzione di provarci un'ultima volta prima della fine degli esami. Niccolò non si era mai offeso. Martino aveva conosciuto le sue nuove amiche e i suoi nuovi amici e per quanto fossero simpatici, erano meglio i suoi. Gio, Elia e Luchino si erano lamentati ieri dell'assenza di Niccolò, che nelle settimane precedenti li aveva aiutati quando possibile a studiare e soprattutto a non andare nel panico grazie alla sua saggezza da superstite della maturità peggiore della storia. "Gli ultimi giorni sono critici, zì. Ci poteva da’ una mano”, aveva detto Luchino. "Ho capito, se c'è lui io non mi concentro. Se vuoi che ti aiuti puoi sempre scrivergli, eh", Martino aveva risposto infastidito. "Va beh, stai tranquillo”, aveva commentato Elia. "Scusa, frà. Sto sclerato.” Gio gli aveva dato una pacca sulla spalla, fissandolo con lo sguardo attento che aveva sempre quando capiva che c’era qualcosa che non andava. Martino aveva sospirato e si era lamentato degli esercizi sulle derivate che non riusciva a risolvere, chiedendo aiuto a Elia per cambiare il discorso. Sì, perché Elia era il più bravo in matematica, anche se nessuno l’avrebbe mai detto. Era da fine aprile che avevano cominciato a vedersi sempre meno. Un po' per il carico di studio di Martino che era triplicato nel tentativo di dare uno slancio finale alla media e di finire la tesina in anticipo per non preoccuparsene a giugno. Un po’ per Niccolò, che forse improvvisamente nostalgico di Radio Osvaldo si era unito ai volontari della radio universitaria e in più aveva iniziato a dare lezioni private di pianoforte per racimolare qualcosa che gli desse un senso di indipendenza. I weekend passati a letto abbracciati che prima erano una loro abitudine ora erano quasi un miracolo. Riuscivano a vedersi a malapena due volte a settimana e mai per due giorni consecutivi. Ma Martino sapeva che non sarebbe stato sempre così, si consolava pensando che presto avrebbero avuto di nuovo settimane intere di dolce far niente e che i primi di agosto avrebbero fatto il suo viaggio di maturità insieme, a Berlino. Niccolò non smetteva mai di ripetergli quanto non vedesse l’ora di partire, di vedere la East Side Gallery e l’Isola dei musei, di avere Martino tutto per sé in una camera d’albero per cinque giorni, e Martino aveva iniziato a contare i giorni che mancavano nella sua testa perché Niccolò era campione olimpico di entusiasmo contagioso. Ma adesso era il giorno prima della prima prova e Martino era nella merda. Per tutta l’ansia che aveva, aveva dormito sei ore in tre notti e si sentiva teso come una corda di violino. Forse per questo quando Niccolò si presentò a sorpresa a casa sua nel tardo pomeriggio non reagì come si sarebbe aspettato. "Ni? Che ci fai qua?" "Mi mancavi”, esordì Niccolò, baciandolo sulle labbra e facendosi strada in salotto. "Poi non ti va di passare la notte prima degli esami con me?" aggiunse ridacchiando. "Sì", rispose Martino, titubante. Riconobbe subito nei movimenti a scatti della testa e nel tremore delle mani i segnali dell'umore impulsivo di Niccolò e immediatamente si preoccupò, aggrottando le sopracciglia. "Però devo studiare." "Ma che, per la prima prova?" "Per tutto il resto”, mormorò Martino. Una piccola parte di sé era quasi lusingata che Niccolò avesse resistito solo sei giorni prima di bussare alla sua porta ma oggi c’era qualcosa che lo infastidiva nella sua solita strafottenza, qualcosa che gli faceva storcere il naso. Niccolò lo intuì forse dal suo tono di voce e si avvicinò, posandogli una mano sul collo e cercando il suo sguardo. "Non sei felice di vedermi?" "Certo che lo sono", gli sorrise, rilassando il volto. "Se vuoi me ne vado, eh”, disse Niccolò, sgranando gli occhi e stringendo le labbra all'ingiù. "Ma che", scosse la testa Martino, “però davvero, devo studiare almeno un altro paio d'ore. Poi facciamo quello che vuoi." Non voleva cacciarlo ma sperava che fosse chiaro che non sarebbero state ammesse distrazioni. "Okay, okay. Non preoccuparti”, gli rispose Niccolò, prendendogli la mano e incamminandosi verso la stanza di Martino. "Come stai? Che stai studiando?" "Greco. Me voglio spara'." "Zitto e ringrazia che non hai avuto quella merda di seconda prova dell’anno scorso”, disse Nico, buttandosi sul letto di Martino mentre lui tornava a sedersi alla scrivania. Martino sorrise, ricordando la disperazione di quelli di quinto quando era uscita la notizia della seconda prova con greco e latino. La maturità peggiore della storia. E fortunatamente l'unica. Marti riprese in mano le fotocopie di versioni già fatte e piene di sottolineature e annotazioni a matita. Se la cavava, col latino ovviamente più del greco, ma non vedeva l’ora di abbandonare 'ste lingue morte di merda, come le chiamava sempre Giovanni. Niccolò riuscì a starsene buono sul letto per 10 minuti prima di avvicinarsi a Martino e abbracciargli le spalle da dietro. Martino dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo. Non sapeva perché avere Niccolò intorno oggi lo infastidiva. Non era mai successo prima, e Martino era consapevole che fosse un problema suo. “Ni”, Martino lo avvertì. "Marti", rispose Nico canticchiando il suo nome. Quella sensazione sgradevole nello stomaco di Martino non faceva altro che aumentare. "Ni, sto nella merda, sul serio.” "Dieci minuti con me cosa ti cambiano? M'hai a malapena salutato", disse Niccolò con il tono dolce ma lamentoso di un bambino. Se Martino si fosse girato per guardarlo in faccia avrebbe scommesso di trovarci un broncio. "Puoi aspettare che finisco la versione? Ti prego, ti prego, ti prego." "Okay, okay", sospirò, “capito, me ne sto fermo e immobile”. Si sdraiò di nuovo in mezzo al letto, facendo finta di essere un robot o un burattino. Martino gli sorrise, mormorando un “grazie” dispiaciuto, e tornò chino sul dizionario. "Che poi non c'hai da studiare? Non ti sei portato i libri?" commentò sovrappensiero. Niccolò sbuffò. "Madò, Marti, sembri mia madre." "Perché? Che ho detto?" "Lo saprò da solo quando e se devo studiare?" Martino rimase allibito dalla risposta seccata di Niccolò e in tutta sincerità non fu più in grado di nascondere la sua, di seccatura. Se c’era qualcosa che Martino aveva imparato nell’anno e mezzo con Niccolò era che la sua pazienza andava ben oltre i limiti che Martino si era sempre immaginato di avere. Stare con Niccolò gli aveva rivelato una versione migliore di sé che sapeva ascoltare, che pensava prima di parlare, che metteva al primo posto sempre Niccolò, mai se stesso, e questo altruismo con lui non gli era mai sembrato un obbligo, Martino non si era mai sentito costretto a farlo. L’amarezza, la meschinità, la piccolezza che Martino serbava da prima di Niccolò venivano scatenate solo dalle conversazioni con suo padre e dai momenti di debolezza psicofisica dovuti a stress e insonnia, due cose che non aveva mai saputo gestire, che lo portavano a sbottare con la madre anche quando non se lo meritava e evidentemente anche con il ragazzo che amava più di ogni altra cosa al mondo. C’erano giorni in cui Martino non sapeva controllare le sue emozioni, figuriamoci quelle così imprevedibili di Niccolò, e il piedistallo sul quale a volte si sentiva inconsciamente posto dal suo ragazzo si sgretolava. Martino oggi si sentiva così: piccolo, infastidito, irascibile, e Niccolò era venuto da lui pensando di fargli piacere e invece era diventato il catalizzatore di tutte le ansie e il nervosismo che Martino aveva accumulato da settimane. "Era così per dire, stai calmo." Si rese conto di quando sembrasse stronzo non appena le parole gli uscirono dalla bocca e se ne pentì immediatamente. Passò qualche attimo di devastante silenzio, poi Niccolò si alzò dal letto. "Vabbè, ho capito, me ne vado.” Martino si alzò di scatto per prendergli il polso. "Ni…" "Non mi va di stare qui se devo romperti il cazzo", gli disse, guardando ovunque pur di evitare il suo sguardo. "Non mi rompi il cazzo, sto solamente in ansia, lo sai. Lo sai che non reggo bene lo stress”, cercò di scusarsi Martino. “Tu non c’entri niente.” "Scusami se ho pensato che ti facesse piacere vedermi. Ci rivediamo dopo gli scritti, o dopo l’orale. O quando cazzo ti pare”, disse Niccolò, la voce bassa piena di amarezza. "Smettila, dai.” "Tanto già non ci vediamo mai”, borbottò Niccolò, strappando il braccio dalla presa di Martino. "E che cazzo ci devo fare, Ni?" sbottò Martino. Aveva alzato la voce con Niccolò. Non avrebbe mai pensato di poter essere così coglione. Nessuno dei due aveva mai alzato la voce con l'altro. Era la prima volta. Avevano avuto momenti difficili, certo, momenti di tensione, ma non avevano mai discusso così. E per quale motivo aveva urlato a Niccolò? Perché aveva la luna storta? Che testa di cazzo, pensò. "Di chi è la colpa se ho la maturità e te sei in sessione?" disse Martino, abbassando il tono e lo sguardo. La testa gli pulsava e si stropicciò gli occhi. Niccolò, di profilo tra lui e la porta, si morse il labbro tremolante e non disse niente. Allora Martino continuò. "Certo che mi manchi e mi fa incazzare che non ci vediamo spesso... ma avevo bisogno che mi facessi sto favore." "Ah", annuì Niccolò. "E sono talmente incapace e bisognoso d'attenzioni da non essere riuscito neanche a far questo?" Martino sospirò, esausto. "Io non ho detto questo, perché devi sempre far così? Nico, per favore", si avvicinò e provò a prendergli il viso ma Niccolò si scansò come se il palmo di Martino fosse incandescente. Martino abbassò il braccio e aspettò che fosse lui a parlare. "Lo sai che le cose all’uni non vanno bene. Che i miei mi stanno col fiato sul collo. Non serve che me lo ricordi anche tu", disse Niccolò guardandolo finalmente negli occhi. Gli tremavano le spalle e negli occhi verdi c'era riflesso tutto il male che Martino gli aveva appena fatto. "Se ti fa schifo vedermi basta dirlo." Non capisco perché ti fa così schifo stare un po' con me, gli aveva detto sua madre così tanto tempo fa che Martino non si ricordava neanche quando. O meglio, si ricordava solo che era prima che risolvesse con Niccolò, perché Martino era diventato una persona così diversa da quando le cose avevano iniziato a andare bene con lui che non si sarebbe mai aspettato di sentirsi rivolgere di nuovo quasi le stesse identiche parole proprio dal suo ragazzo. L'avevano colpito come un secchio d'acqua gelida e Martino si sentì quasi fisicamente sgonfiare. Abbandonò ogni voglia di continuare a discutere e stavolta pensò a lungo prima di fiatare, mentre Niccolò lo fissava come se stesse aspettando la prossima sfuriata. "Mi dispiace, non volevo. Lo giuro. Quando sono così sono ingestibile, mi faccio schifo. Non sai quanto mi dispiace, Ni", sussurrò. "Io volevo solo stare un po’ insieme.” "Lo so. Non è colpa tua. Sono solo io che sono uno stronzo.” C’era sempre un momento critico in cui a seconda delle parole che venivano scelte una lite poteva proseguire o scemare. Martino aveva dato a Niccolò l'opportunità di scegliere la via d’uscita. Sperava che l'avrebbe colta. "Mh. Un po' sì." Martino gli sorrise, grato, e lo strinse forte. Lo baciò e gli sussurrò scuse e ti amo sulle labbra che Niccolò contraccambiò. “Sai ora che facciamo? Chiudiamo i libri, ci buttiamo a letto e--" "Non devi mandare a puttane lo studio per me. Finisci. Però fammi aiutare almeno", lo interruppe Niccolò. Prese i quaderni e il dizionario e li spostò per terra, nell'angolino sotto la finestra coi cuscini e il tappeto dove d'inverno avevano passato ore accoccolati accanto al termosifone. Si sedette e batté il palmo sul pavimento per invitarlo a avvicinarsi, come farebbe con un gatto schivo. "Sicuro?" chiese Martino, sedendosi accanto a lui con le ginocchia abbracciate al petto. Niccolò annuì. Martino ci pensò su e poi prese fotocopie, quaderni e dizionario e li lanciò ai piedi del letto tra le proteste deboli di Niccolò. "No, sticazzi. Voglio stare con te. Parlami. Dimmi come stai." Nico sorrise. Appoggiò la testa al muro e girandosi verso di lui lo guardò negli occhi. "Mi manchi" sussurò, fragile, scosso da una lite che non aveva avuto ragione di esistere. Martino sentì la grandezza di quelle parole colpirlo nel petto. "Mi manchi anche tu." Si baciarono e Martino continuò a scusarsi finché Niccolò non glielo proibì, esasperato. Parlarono, mentre le mani di Martino giocavano con quelle di Niccolò, gli attorcigliavano i capelli, gli accarezzavano le guance. Parlarono, ma per lo più stettero in silenzio abbracciati, perché a volte ci si consolava meglio col silenzio che con le parole. La vibrazione del telefono sorprese Martino. Era una nota vocale di Gio. "Oi, Marti, stasera siamo tutti al Baretto. Ci stanno anche le ragazze. È la notte prima degli esami e tu vieni, non rompe’ il cazzo. E porta Niccolò che ce manca a tutti. Va bene, zì?" Marti sbuffò una risata e rivolse uno sguardo rassegnato ma complice a Niccolò. "Te la senti di essere circondato da un coro di liceali sull'orlo di una crisi di nervi che cantano Venditti?” Niccolò rise, quella risata che gli faceva tremare tutto il corpo, col mento abbassato e gli occhi che scompaiono, quella di cui Martino si era innamorato quel giorno di metà ottobre sul divano di casa sua. Poi alzò lo sguardo e si avvicinò per dargli un bacio. "Mi offenderei se me lo perdessi.”
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ritahasaproblem · 6 years
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L'obbligatoria circa-quasi-fic sui metamoro al concerto per Emergency
Note: Non è proprio una fanfiction (tbh è veramente troppo grezza per esserlo, ci vorrebbero Dio sa quanti giorni a macerare nelle bozze e una bella rimpolpata in alcuni punti) né aveva un indice abbastanza alto di gnegnosità (?) per diventare un bulletpoint. Né lupo, né cane. Sa quello che non è ma non quel che è. Praticamente è Balto. Ma siccome ogni tanto bisogna lasciar andare le cosine senza mettersi troppo a pensarci, vi lascio questo piccolo Balto, nato perché, come in tutte le cose della vita, io ho detto a @trashmouthgently, riguardo Fabrizio al concerto per Emergency “E comunque, headcanon semi-angst: magari stava a farsi le pare mentali perché non ha mai sentito così forte la mancanza di qualcuno e non sapeva se per ermal fosse lo stesso e quindi stava tutto gnegnino teso pure per quello” e lei mi ha risposto “Okay ma elabora” e io ho elaborato 1.7k di roba perché lE PERSONE SANNO COME MANOVRARMI COME UN BURATTINO mannaggia Paolo Pastorino perdonami non so renderti fiero di me. Essendo scritta nel giro di un paio di sere come passatempo sui mezzi, non aspettatevi chissà cosa, però mi andava di farmi sentire visto che su questo social sembro sempre mezzo morta e lasciare comunque segno del mio passaggio, spero possa piacervi!
(Ne lascio una metà sotto “read more” perché è LUNGA e non voglio appestare troppo la tag ok)
Fabrizio è abituato ad adattarsi alla distanza, al vedersi una volta al mese o anche meno, e non sentirne il peso più del necessario. Lo ha fatto per anni persino con la sua stessa compagna -in un rapporto costi/benefici, lo stare a contatto col suo pubblico batteva la lontananza.
Non stavolta. Stavolta si ritrova a mandare messaggi appena prima di salire sul palco e desiderare di essere da qualche parte lontano, solo con Ermal, e la cosa lo stravolge abbastanza. I primi giorni si dice che è l'abitudine, perché dopotutto hanno passato quasi due mesi a stretto contatto -molto stretto- e passerà presto, quando si riabituerà ai ritmi frenetici della vita estiva di un cantante, ma più passa il tempo e più si sente come qualcuno a cui avessero amputato il braccio, non importa quante chiamate o vocali si scambino durante il giorno.
Si vedono un paio di volte, e pensa che questo potrà bastargli, perché, insomma, passare un paio di settimane senza vedersi non è tantissimo, può resistere senza problemi.
E invece no, quelle tre settimane da ferragosto in poi sono un inferno di calore e assenza; e, come se non bastasse, il treno in ritardo gli ruba il tempo che avrebbe potuto usare per loro.
Arriva in camerino trafelato, e la prima cosa che vorrebbe fare è stringersi ad Ermal e baciarlo un po' ovunque, perché gli è mancata persino la sensazione della barbetta di due giorni terribilmente ispida e il ritrovarsi i suoi capelli in bocca anche se voleva baciargli la tempia, ma si limita a un abbraccio con un paio di pacche sulla spalla, a beneficio di Nek che li guarda. E forse ha stretto un po' troppo forte, perché Ermal gli ha sussurrato "Ti sono mancato?" con una risatina, e la cosa lo fa sentire un po' troppo trasparente, gli ricorda che sono solo tre settimane, nemmeno un mese, e lui sta reagendo come se non si sentissero ogni singolo giorno, più volte al giorno.
Si chiude in sé stesso. Non lo fa volontariamente, e ripensandoci in seguito gli sembrerà ancora più evidente, un segnale al neon del suo disagio, ma non riesce ad impedirselo. Calcola e ricalcola quali gesti fare per non far notare la sua smania di avvicinarsi, così finisce per allontanarsi del tutto; gli occhi enormi delle telecamere non aiutano di certo, lo fanno sentire osservato ancor di più.
È Ermal ad avvicinarsi, ad invitarlo a giocare a rincorrerlo, e la cosa lo lascia con un certo calore addosso, anche se non lo scuote del tutto, non riesce a scrollargli dalla testa la paura di mostrare troppo, di non essergli mancato tanto quanto è mancato a lui.
In poco tempo -troppo poco- lo deve lasciar andare, l'ultimo abbraccio sul palco che è più un groviglio di braccia e durante il quale Ermal, il volto affondato sulla sua spalla, riesce a lasciargli un bacio rapido alla base del collo prima di andar via.
(Lo nota, con la coda dell'occhio, osservare la  sua esibizione dal lato del palco, e mentirebbe se dicesse che non si sta esibendo anche un po' per lui, per il suo sorriso ampio e il modo in cui muove la testa a tempo, e lo guarda di sottecchi mentre si arrotola le maniche della maglia sulle spalle, solo per vederlo ridere nonostante il luccichio malizioso negli occhi.)
Si ritrovano tutti sotto il palco, a fine concerto, Fiorella che cerca di strappargli qualcosa sul nuovo disco e convincerlo che, davvero, devono di nuovo scrivere insieme.
"Tanto ormai alle collaborazioni ci sei abituato, no? Magari andiamo al prossimo Sanremo e fai doppietta" gli dice, e lo sguardo di Fabrizio si dirige automaticamente su Ermal, perché come potrebbe non farlo? È stato uno sforzo eroico trattenersi finora.
"Vuoi davvero fargli fare il terzo Sanremo di fila?" s'intromette quello, e senza che lui capisca come, in un attimo ha il braccio che gli circonda la vita. "Guarda che non ha abbastanza resistenza, un altro anno non lo regge."
"Tu sicuramente lo sai meglio di me" è la replica maliziosa di Fiorella, che fa sbottare entrambi in una risata imbarazzata.
La mezz'ora successiva è dedicata al discutere con colleghi ed organizzatori, la social band che chiude il concerto come sottofondo alle loro chiacchiere; è un tempo che sembra infinito, e non riesce a non ricambiare i tocchi di Ermal, le mani che si stringono sulla vita e le carezze sul braccio e il modo in cui si sporge verso di lui nel ridere, dopo averlo preso in giro per la camicia legata in vita.
"Ti vedesse Enzo Miccio, ti metterebbe su una pira seduta stante, non pensare ti salveresti solo perché sei bono" gli dice, e ride, ride così di gusto che in automatico lo deve cingere con le braccia, a metà tra un placcaggio e un gesto d'affetto, nonostante si renda conto quasi subito della macchina fotografica puntata addosso con non poco fastidio -ma è Andrea, realizza, con una punta di sensi di colpa, Andrea che segue Ermal tutto il tour e che è venuto alla sua data con una pizza e uno sguardo indulgente, come se avesse a che fare con i capricci di due ragazzini piuttosto che di due adulti.
Andrea che, a fine serata, quando Ermal gli sta già tirando la mano perché la loro macchina è arrivata ("'spè amò, un secondo e andiamo" gli ha detto, senza pensare, e l'ha visto abbassare il capo con un sorriso, anche se ormai dovrebbe esserci abituato) gli mostra le foto, un "Claudio mi ha chiesto di ricordarti che devi postare qualcosa" a mo'  di spiegazione mentre fa le sue magie per passargliele sul cellulare una per una.
Alcune sono così belle che è contento le abbia fatte Andrea e non un paparazzo a caso che le potrebbe svendere al miglior offerente, il sorriso di Ermal mentre parla con Gino Strada e il modo in cui si lanciano sguardi nonostante siano immersi in conversazioni differenti limpido anche attraverso i pixel.
Tenendo bene a mente la raccomandazione di Claudio, scorre le foto mentre il servizio d'ordine li accompagna all'uscita, scartando automaticamente tutte quelle per cui non hanno posato e puntando, infine, su quella in cui lui sta facendo una smorfia, il suo braccio attorno al collo di Ermal. La didascalia la scrive di getto, senza nemmeno rileggerla perché sa benissimo che quando scrive è ancor più trasparente di quando parla, e tentare di non svelare la sua anima tra le righe sarebbe perfettamente inutile. Chiude il social network l'attimo prima di entrare in macchina, libero dal peso combinato di Max e Claudio che gli gravava sulla coscienza e nei messaggi di whatsapp -Claudio è andato via prima perché si sentiva stanco, e forse, realizza nel rendersi conto che sono solo lui ed Ermal oltre il conducente, era un po' una scusa.
Ermal siede alla sua maniera scomposta, le gambe larghe tanto da accavallarsi alle sue e la testa abbandonata sul sedile, il torso inclinato verso di lui quasi stesse aspettando il suo tocco. La cosa lo fa sorridere, e lo spinge a lasciare il braccio sopra il poggiatesta, la mano che va a sfiorare le punte dei ricci, anche mentre il conducente intima loro di mettere le cinture con un'occhiataccia.
"Ciao, eh" esordisce Ermal, voltandosi verso di lui, metà viso inglobato nella stoffa.
"Ciao" ripete, un po' confuso. "Ci siamo visti per due ore, ma ciao."
"Pensavo non lo avessi notato, perso nel tuo mondo com'eri, quasi non mi cagavi" replica quello, e il fastidio nella sua voce è evidente, nonostante sia poco più che un sussurro, nonostante il tentativo di canzonarlo.
"Ero un po' distratto, col treno e tutta quella roba là. Scusa" tenta, e un po' è vero, il ritardo e l'impossibilità di provare lo hanno scombussolato parecchio, ma sa che è una comoda mezza verità.
"Me ne sono accorto, Fabbrì" risponde, ma il suo tono ora è solo un po' triste e tanto, tanto stanco.
Il conducente ha acceso la radio, forse perché li ha sentiti sussurrare e vuole dar loro un'illusione di privato, o semplicemente per farsi un po' di compagnia; i lampioni scorrono veloci dietro il capo di Ermal, sempre voltato verso di lui: non ne illuminano l'espressione abbastanza per poterla vedere nei particolari, ma a Fabrizio basta la linea triste delle spalle per sentirsi incredibilmente in colpa.
"La verità..." mormora, e benedice il fatto che la cintura del posto centrale non limiti le braccia, perché così può stringere Ermal a sé e non sentirsi completamente messo a nudo mentre sussurra la sua confessione contro la sua tempia. "La verità è che me sei mancato troppo, capito? E io in queste cose so' negato, mica te lo dicevo per scherzo, non le so fare, chiedi a chi ti pare. E sono tutto o niente, non ce le ho le vie di mezzo, non potevo arrivare là e fare come se fossi... che ne so, un Simone, perché Simone non m'è mai mancato così. Non m'è mai mancato nessuno, così" aggiunge, e un po' sente il groppo in gola a mettere giù tutte le sue carte.
Ermal resta in silenzio a lungo, e a lui ballano le gambe, la paura che il suo 'tutto' sia in realtà troppo che gli fa venir voglia di scappare via, un riflesso che non è mai riuscito a lasciar andare, nonostante ci abbia provato non sa più quante volte. Sta in silenzio, ma non si allontana, e questo, l'ha imparato in quella notte, a Sanremo, in cui rimuginavano e rimuginavano senza arrivare a nessuna nuova conclusione, non significa che non sia più lì con lui -ci è arrivato tardi, dopo quell'abbraccio, dopo che i silenzi si sono riempiti del rumore delle loro braccia, ma ci è arrivato.
Strofina il capo contro il suo petto, Ermal, e una ciocca gli finisce in bocca, tra le labbra schiuse.
Dio, persino quello gli è mancato, in queste settimane. Persino le cose più fastidiose.
"Mi sei mancato anche tu, Bizio" mormora, infine. "Un casino. Troppo." Lo dice baciando piano il suo petto, coperto dalla maglia.
A Fabrizio si secca la gola, mentre stringe un po' più forte la presa sulla sua giacca, ma le gambe smettono di muoversi nervosamente e sente una nuova calma posarsi sulle sue spalle.
"Se aspetti che arriviamo in hotel ti dimostro pure quanto."
"Quanto sei cretino? Perché a quello ci ero già arrivato" replica lui, ma finalmente si sente in pace.
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unaperiko · 6 years
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metamoro fanfiction
note: okay, ‘sta roba nasce dopo aver letto l’intervista di Fabrì in cui parla del periodo sanremese e di come si sentisse responsabile per Ermal, soprattutto nel caso di una loro possibile sconfitta. È ambientata in un momento futuro quando cominceranno una nuova collaborazione assieme. Doveva essere un momento, un flash di loro due assieme, ma invece è uscita fuori così, amen. Ringrazio @bluebandit16 e @flickres per essersela sorbita in anteprima: tanto bene davvero. <3
You make a fool of death with your beauty
And for a moment
I forget to worry
 Se ne stanno seduti su una terrazza di un hotel da qualche parte di Roma. Ermal sente l’intreccio di vimini della sedia sfregargli le scapole, quando aggiusta la postura poggiando i gomiti in avanti. Fabrizio sta invece con il capo chino sui fogli spiegazzati davanti a sé, la penna in bocca che dondola in sincrono con il groviglio dei suoi pensieri. Sembrano entrambi due naufraghi e il tavolo là davanti l’isola deserta che li ha fatti incontrare. Deja-vù.
Rispetto a più di un anno e mezzo fa, oggi fa quasi caldo se non fosse per il vento che si insinua tra le maniche della camicia di Ermal: sta arrivando l’estate, pensa. In realtà con la mente si sta perdendo in quello che ormai sembra essere un filo conduttore di vita. Nei suoi ricordi, si ripete sempre la stessa identica scena: loro due che si trovano da qualche parte, in un punto fisso e irraggiungibile, a condividere l’anima e pungolarsi la mente. Come quella volta all’Ariston.
<< Non ti devi preoccupare, capito? >>
Fabrizio continuava a ripeterglielo tra una serata e l’altra del festival.
<< Guarda che sono tranquillissimo >>
A quel punto lo attirava a sé circondandogli il collo con un braccio e con la mano che tamburellava piano sul suo petto. << Non ti preoccupare >>.
 Solo mesi dopo aveva capito che in realtà stesse cercando di rassicurare se stesso. Al tempo continuava a respingere le sue attenzioni più per timore di non essere in grado di riuscire a fare altrettanto, che per presunzione.      
Gli ritorna in mente un qualcosa di simile, eppure così lontano dall’essere circoscrivibile a una sola realtà: quando erano rimasti da soli al dopo party del festival, in bilico sulle scale dell’hotel con il premio tra le gambe e le braccia a sorreggersi a vicenda.
Ermal non sapeva davvero quantificare la percentuale di alcol in corpo, non è abituato come Fabrizio, ma al tempo quello che riusciva a fare era poggiarsi all’altro condividendo l’euforia. Se ne stavano in silenzio dopo l’ennesima risata. D’un tratto Fabrizio prese a stringergli i riccioli con una mano muovendo piano le dita. Ermal rimase immobile a sentire il solletichio del movimento espandersi per tutta la cute. Avrebbe voluto scostarsi e dirgli di piantarla, così lo spettinava e basta, invece non fece nulla. Non faceva mai nulla.
<< Stai a scintillà tutto >>. Fabrizio gli tirò via un lustrino incastrato tra i capelli mentre sorrideva e ritirava via la mano. Ermal avrebbe voluto rapire il calore di quel gesto ancora per un po’, anche un momento solo, ed è forse proprio questa realizzazione a fargli scrollare le spalle di riflesso.
<< Dà qua, non te lo fregare >>.
Ma Fabrizio lo allontanò dalla sua presa mettendoselo dietro un orecchio a mo’ di fiore.
<< Sta meglio a me >>.
Ermal guardò i riflessi oro e fucsia che facevano capolino tra l’ammasso di onde nere che erano i suoi capelli. Poi si soffermò sugli occhi di Fabrizio che ridevano di lui in maniera quasi bonaria. Ancora, poco più sotto, le lentiggini si stendevano tirate dalla smorfia semi-trattenuta del suo gioco: non le aveva mai notate prima, rifletté, con un ennesimo pensiero che sapeva di bugia.
<< Narciso è morto affogato, per la cronaca >>.
Fabrizio portò la lingua tra le labbra in un gesto che a Ermal suonava come un campanello fin troppo familiare nella memoria.
<< Sei bono pure te >>.
Ermal avrebbe voluto replicare che non era quello il punto cardine della questione, però c’era un calore che cominciava a risalire lungo il collo e carezzare il pomo d’Adamo in una stretta impietosa.
<< Bizio, s’è fatto tardi >> riuscì solo a dire. Era sempre un rincorrersi di secondi mancati e modi condizionali tra di loro.
A quel punto Fabrizio si era alzato facendo leva sul suo ginocchio arrivando poi ai capelli.
<< A domani, cespugliè >> gli augurò come buonanotte stringendogli un’ultima volta i riccioli. Quella notte Ermal sognò di tocchi lievi e brividi sulla pelle.
 Ora si sfrega il dorso di una mano sulle labbra e in parte lo fissa dall’altro capo del tavolo, in parte ha lo sguardo rivolto verso il panorama di cemento immaginando il mare. Quando è con lui ha un tale mondo di parole e richieste e silenzi in testa da non riuscire a trovare spazio per il reale.
<< C’è troppa calma >> si lamenta Fabrizio mettendo da parte gli spartiti abbozzati.
<< Vado a prendere la chitarra >>
<< No, non è quello >>
Ermal sapeva a cosa si stesse riferendo. La loro prima collaborazione aveva preso vita tra un letto a castello e disegni appiccicati ai quattro muri di una cameretta.
<< Dovrei avere un paio di peluche nella valigia >>
<< Ancora coi peluche? Vai pe’ i quaranta, eh >>
<< Li ho vinti tutti per te, non te lo ricordi? >>
Ermal sente lo sguardo di Fabrizio su di sé: gli sembra di stare sull’orlo di un precipizio altissimo e i suoi occhi sono il peso che cerca di spingerlo nel baratro.
<< Seh, te piacerebbe >>.
Fabrizio sorride in maniera aperta ora ma una mano va a dargli un buffetto sulla guancia. Ermal piega la testa di lato prima che le sue dita scivolino via intrappolandole tra la guancia e la spalla, tentando di mordergli il dorso con la bocca. Fabrizio lascia che i denti gli sfiorino le nocche mentre la sua risata riempie l’aria tutt’attorno.  << Sei proprio un ragazzino >>.
Lo dice senza malizia e più come se volesse sfuggire da qualcos’altro. Ma Ermal non gli concede tregua: poggia le labbra sul tatuaggio del sole, quasi a mo’ di baciamano, più e più volte. La consapevolezza dell’intimità di quel gesto lo investe in ritardo, quando sente il battito rimbombare frenetico dalle orecchie in fiamme. È un continuo stare in bilico tra l’assedio delle proprie emozioni e la facilità che ha di lasciarsi andare, per lui. Così è capitato a Lisbona, poi all’olimpico, poi ancora e ancora e ancora all’inizio di autunno: ogni volta sa sempre più di una promessa lasciata in sospeso.
Alla fine Ermal si scansa.
<< D’accordo, chitarra >> ripropone facendo per alzarsi ma la mano di Fabrizio ora gli stringe la spalla, in una sorta di richiesta implicita. Potrebbe scrollarsela di dosso facilmente. Potrebbe scusarsi e fare finta di aver frainteso. Potrebbe cominciare a straparlare del niente e prenderlo in giro di qualunque cosa.
Potrebbe potrebbe potrebbe.
Invece stavolta aspetta. Aspetta che Fabrizio si avvicini e cerchi i riccioli con le dita. Aspetta che ricambi il suo sguardo e veda il caos emotivo che gli imperversa nella testa, nel cuore, fin dentro le viscere. Aspetta che, finalmente finalmente, copra il viso con il suo.
Per la prima volta da tanto tempo, Ermal è in pace.
 note bis: la strofa iniziale è presa da Hunger, di Florence + the Machine. Ci rivedevo tantissimo Ermal che guarda Fabrizio e trova la calma di tutto.
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la-suonatrice-jones · 6 years
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Ok dato che mi sento una rompipalle a chiedere sempre, ecco una piccola cosina Metanari che mi è venuta in mente stanotte mentre non riuscivo a dormire.
È praticamente la prima cosa che scrivo così so be merciful (???)
Also è mezza ispirata a cose vere, che una mia amica ha visto e sentito durante un instore, probabilmente non c’era manco bisogno di dirlo ma io l’ho detto lo stesso don’t @ me. Enjoy???
Ennesimo instore per Ermal (e Marco che lo segue sempre e gli porta la chitarra e occasionalmente le medicine per quando si ammala, cioè sempre)
Marco se ne sta in disparte, seduto a qualche metro da Ermal in modo che se per caso avesse bisogno di qualcosa gli basterebbe girarsi e chiedere ma che comunque in modo che non stia in mezzo ai fan
Fan che sono tantissimi?? Ma quanti diavolo siete pensa Ermal
Ma alla fine è contento che siano così tanti, è solo che ha un po’ di raffreddore e sono almeno 4 ore che è iniziato l’instore e comincia a sentire la stanchezza
Marco si alza un attimo dalla sua postazione per il solito controllo tra un’ora e l’altra
Sì ok super cheesy, Macco è dolce e si preoccupa per il suo ragazzo
Appena Ermal finisce con una fan, Marco ne approfitta per parlargli e per dargli una caramella (again, Macco si preoccupa molto e cerca di farlo mangiare per ridargli un po’ di forze)
Ermal mugugna un grazie
Poi alza gli occhi su quelli di Marco e Marco povero vorrebbe tanto portare Ermal a casa e metterlo a letto e rimboccargli le coperte perchè ha proprio la stanchezza che gli si legge in volto
“Macco che ore sono, non ce la faccio più” Macco sente il cuore fare crack perchè odia vederlo così stanco e vorrebbe poter fare qualcosa
“Mezzanotte e un quarto” dice avvicinandosi un pochino “non manca tanto dai. Vuoi fare una piccola pausa? Se vuoi lo dico io”
Ma Ermal non vuole fare una pausa perchè sennò finirebbe ancora più tardi, quindi fa di no con la testa
Macco gli accarezza la guancia con una mano e gli sorride “dai non manca tanto, poi filiamo in hotel e dormi”
Ed Ermal riprende con i fan
E firma e parla e ascolta on repeat per un’altra oretta
Finalmente arriva l’ultimo fan
E quando finisce Ermal lascia il pennarello con le dita indolenzite e chiede un po’ d’acqua
E Marco gli porta una bottiglietta e un bacino sulla guancia perchè dopo tutta quella fatica se lo merita pure
Salutano i gestori del negozio (li salutano??? Sinceramente non lo so ma nella mia testa sì quindi ok)
E vanno fuori dove c’è il taxi che Marco ha chiamato 5 minuti prima
Salgono nei posti di dietro e appena Marco si è messo comodo e ha detto il nome dell’hotel al tassista, sente un peso sulle gambe
E guarda giù e vede tanti ricci neri
Ermal s’è sdraiato su di lui il momento in cui è entrato in macchina perchè ha davvero tanto sonno
E il cuore di Marco esplode perchè ma quanto sembra un angioletto Ermal così, indifeso e pacifico
E Marco comincia ad accarezzargli i capelli piano piano e sente Ermal che si rilassa sotto il suo tocco
E vorrebbe non doverlo svegliare 15 minuti dopo quando sono arrivati all’hotel ma deve
Perchè potrebbe anche portarlo in braccio (con un po’ di fatica perchè è un po’ troppo alto ma con pazienza ce l’avrebbe fatta a portarlo a mo di principessa) ma sinceramente chi lo sentirebbe il giorno dopo il signorino che “ma come mi hai preso in braccio, ti sembro un bambino? Dovevi svegliarmi!”
Esatto, lui. Lui dovrebbe starlo a sentire rompere perchè ha osato portarlo in braccio come se non avesse 37 anni
E quindi piano piano gli sussurra nell’orecchio per svegliarlo
“Ermal siamo arrivati”
Niente
“Ermal”
Muto
Prova a smuovergli delicatamente il braccio
In risposta Ermal avvicina le gambe al petto e si appallottola su se stesso
Come i bambini.
“Dai Ermal che andiamo a letto”
“Mmmmmpf”
E un braccio che va sopra il viso per coprire meglio gli occhi
“Okay ho capito, ti prendo in braccio e ti porto in stanza così”
Sapeva che avrebbe funzionato
Ermal comincia ad alzarsi dal suo grembo e a bofonchiare qualcosa tipo “rompipalle”
Ma Macco sorride, perchè lo trova dolce
Also ridacchia perchè Ermal ha il segno delle spieghezzature (esiste questa parola? Ora sì) dei suoi jeans sulla guancia
So cute
E quando arrivano in stanza Ermal non ha la forza di fare niente se non buttarsi a letto
Con vestiti e tutto, senza mettersi il pigiama
Marco che entra in stanza poco dopo con le valigie e lo vede lì decide di non disturbarlo facendo la mammina e “dai mettiti il pigiama”
Che poi ma quale pigiama che dormono sempre in boxer
Invece gli toglie gentilmente le scarpe (almeno quello oh sai che schifo dormire con le scarpe addosso) e dopo essersi spogliato e rimasto solo in boxer si butta a letto accanto ad Ermal
E gli dà un bacio leggero sulla guancia per non svegliarlo seh vabbè come se un bacino potesse svegliarlo dal letargo
E si avvicina di più al suo corpo per sentire il suo calore e la sua pelle a contatto con la sua
E lo abbraccia da dietro, circondandogli la vita con un braccio
Cosa che non succede mai perchè di solito è Ermal ad essere the big spoon
Ma stasera va bene così, stasera è lui a proteggerlo
E dormono come due ghiri, uno avvinghiato all’altro, facendo sogni sereni.
Okay poi mi spiegate perchè quando me le immagino le cose sono tutte carine e arcobalenose e poi quando provo a scriverle non mi piacciono.
In ogni caso sappiate che nella mia testa era tutto più cute e meglio organizzato
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