#Malfattore
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“You were complicit with that puttana di donna, Solari, and her rotten brothel of pests.” Malfatto accuses, rather matter of fact within himself, before he continues to let leak the venom from his words, “You can run into the arms and beds of every politician and soldier of the state, but you will still never escape me.” // @malfattore — ✠
Fiora sneers and steps closer to Malfatto pointing a finger at him angrily. "You think me complicit to Solari and Santino solely on the basis I worked for them?" she throws her head back and laughs mockingly. "You know nothing of the cruelties I had to endured to be where I am right now your fixation on murdering my sisters blinds you to the reality of who those two were."
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NOTE INTONATE
Caro malfattore, mi dà allegria trovare una tua lettera nella bussola, anche se non è più quella rossa dell’infanzia e non c’è più il postino a recapitarla. O tempora, o mores! Qui non sono tutti trogloditi, solo alcuni e sempre agguerriti, certo, ma siamo fortunatamente riusciti a ingentilirci per poter sedere dignitosamente alla tavola dei pari. Credo che sia così, ma frequento poco la…
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@ persone nell'askbox che chiedono "ma l'hai visto" riferito a contenuti sparsi di lollo e nino siete a forma di cuore e sì, ho visto tutto, vedo sempre tutto, ho tutto archiviato e quando meno ve lo aspettate comparirà sulla vostra dash
#hanno fatto!!! il cuore è!!! un malfattore!!! sono!!!! GAY!!!!!#(sono as in Io Sono Gay non Loro Sono Gay)#(cioè)#(vabbè si dai ci siamo capiti)
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Gli americani sono dei pezzenti anche nel dramma.
Cioè al Biscione noi abbiamo tirato il Duomo, c'è tutta una simbologia dietro, l'immagine più viva della milanesità in piena faccia, e poi la condanna ma anche il recupero del malfattore, il gesto di clemenza, "vien't a piglia' 'u perdon", manco il migliore don Salvatore Conte. L'attualità che diventa teatro.
C'avete solo i proiettili.
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Gli esecratori del brutto pestaggio del Quarticciolo, ai danni di uno scippatore straniero, non si credano poi tanto cristiani. Bernardo di Chiaravalle scrisse: “Chi uccide un malfattore, non deve essere reputato un omicida ma un malicida”. E Bernardo di Chiaravalle era un Santo. Leone XIII scrisse: “L’arrendevolezza dei buoni aumenta l’audacia dei malvagi”. E Leone XIII era un Papa. Vittorio Mathieu scrisse: “Attribuire la giustizia sommaria solo a ignoranza, e la vendetta solo a un meschino desiderio di rivalsa, significa non vedere in essi tentativi che, per quanto difettosi, mirano già alla giustizia”. E Mathieu era un filosofo cattolico. Gli esecratori del brutto, evidentemente brutto, pestaggio del Quarticciolo, sappiano di essere soprattutto hegeliani. Anni fa Carlo Nordio ricordò che i fortissimi limiti all’autodifesa contenuti nel nostro codice penale sono stati inseriti nel 1930 per assicurare allo Stato (lo Stato etico di Hegel) il monopolio della violenza. Da Vincenzo Manzini e Alfredo Rocco: giuristi fascisti e dunque hegeliani, o forse hegeliani e dunque fascisti.
Assolutamente senza forse (retorico): idealisti, provincia della provincia tedesca che assieme al liberalismo traviato di Croce, han mandato completamente fuori strada il "moderatismo laico" in Italì, tenendolo cinquant'anni indietro; via https://www.ilfoglio.it/preghiera/2023/09/09/news/non-si-creda-tanto-santo-chi-esecra-il-brutto-pestaggio-del-quarticciolo-5659578/
Chissà perché rilancio sempre più frequentemente e sempre più volentieri gli articoli di CAMILLO LANGONE: ma perché il suo è normale buon senso, spiegato con quel garbo ed eleganza che la cultura vera non i salotti ti dà; elegante ma diretto dirompente spiazzante senza sconti; nel panorama di penoso pensiero debole diffuso oggi, diviene manifesto di autentica ANTROPOLOGICA SUPERIORITA'.
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𝗖𝗢𝗥𝗦𝗜 𝗘 𝗥𝗜𝗖𝗢𝗥𝗦𝗜, 𝗜𝗟 𝗩𝗢𝗟𝗧𝗢 𝗦𝗖𝗜𝗘𝗡𝗧𝗜𝗙𝗜𝗖𝗢 𝗗𝗘𝗜 𝗧𝗢𝗧𝗔𝗟𝗜𝗧𝗔𝗥𝗜𝗦𝗠𝗜
Di Luisella Scrostati
(La Nuova Bussola Quotidiana)
𝙇’𝙖𝙨𝙨𝙤𝙘𝙞𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙧𝙖𝙯𝙯𝙞𝙨𝙢𝙤-𝙣𝙖𝙯𝙞𝙨𝙢𝙤 𝙚 𝙨𝙩𝙖𝙩𝙖𝙡𝙞𝙨𝙢𝙤-𝙘𝙤𝙢𝙪𝙣𝙞𝙨𝙢𝙤 𝙚' 𝙞𝙢𝙢𝙚𝙙𝙞𝙖𝙩𝙖, 𝙢𝙖 𝙦𝙪𝙚𝙨𝙩𝙤 𝙣𝙤𝙣 𝙗𝙖𝙨𝙩𝙖 𝙖 𝙨𝙥𝙞𝙚𝙜𝙖𝙧𝙚 𝙞 𝙙𝙪𝙚 𝙩𝙤𝙩𝙖𝙡𝙞𝙩𝙖𝙧𝙞𝙨𝙢𝙞. 𝘾𝙤𝙢𝙚 𝙝𝙖 𝙢𝙤𝙨𝙩𝙧𝙖𝙩𝙤 𝙇𝙞𝙛𝙩𝙤𝙣 𝙞𝙣 𝙪𝙣 𝙡𝙖𝙫𝙤𝙧𝙤 𝙨𝙪𝙡 𝙣𝙖𝙯𝙞𝙨𝙢𝙤, 𝙡𝙖 𝙘𝙤𝙡𝙡𝙖𝙗𝙤𝙧𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙘𝙡𝙖𝙨𝙨𝙚 𝙢𝙚𝙙𝙞𝙘𝙖, 𝙨𝙖𝙡𝙫𝙤 𝙦𝙪𝙖𝙡𝙘𝙝𝙚 𝙧𝙚𝙨𝙞𝙨𝙩𝙚𝙣𝙯𝙖, 𝙚𝙗𝙗𝙚 𝙪𝙣 𝙧𝙪𝙤𝙡𝙤 𝙙𝙚𝙘𝙞𝙨𝙞𝙫𝙤.
Quando pensiamo ai totalitarismi del Novecento, l’associazione più immediata è quella razzismo-nazismo e statalismo-comunismo. Che il raggiungimento della purezza della razza ariana fosse il più forte motore ideologico di tutto il sistema che ruotava attorno ad Adolf Hitler non credo sia contestabile. Né vi sono dubbi che la statalizzazione dei mezzi di produzione e del capitale fosse l’obiettivo verso cui orientare ogni azione criminale del sistema sovietico. Analogamente, la volontà di eliminare gli ebrei da una parte e quella dello sterminio dei kulaki dall’altra sono realtà storiche ampiamente suffragate.
Tuttavia, ritenere che queste fossero le uniche componenti dei due sistemi totalitari, sufficienti per comprendere quanto accaduto, insieme ad un lato quasi demoniaco di coloro che si prestavano ad atti gravemente immorali pur di attuare l’ideologia, è decisamente riduttivo. Aspetti che portano la nostra generazione a ritenere di non avere nulla a che spartire con quei due sistemi. Il che è sotto certi aspetti vero. Ma le domande da porsi sono altre: sono rinvenibili delle strutture e delle dinamiche fondamentali che consentano a un sistema totalitario di nascere, crescere e rafforzarsi, a prescindere dal volto storico con cui si presenta? Banalmente: è possibile riconoscere il malfattore da alcune caratteristiche apparentemente non così evidenti, anche se cambia l’abbigliamento, la capigliatura, il modo di parlare?
In un lavoro monumentale, Robert Jay Lifton, psichiatra quasi centenario, che ha dedicato i studi alle tecniche di riforma del pensiero (lavaggio del cervello) in Cina e ai rapporti tra psicologia delle persone e storia, mostra i tratti comuni, non immediatamente rinvenibili, di quanti hanno tenuto in vita il regime nazista e hanno reso possibili le grandi iniquità di cui siamo (forse) a conoscenza. Lunghe interviste a 41 ex-nazisti, di cui 29 medici, e 80 ex-internati che avevano lavorato nei blocchi medici hanno permesso di portare alla luce aspetti molto interessanti. Anzitutto, «l’inquietante verità psicologica che la partecipazione all’eccidio di massa non richiede necessariamente emozioni così estreme o demoniache quali sembrerebbero appropriate a un progetto così malvagio. O, per esprimerci in un altro modo, persone normali possono commettere atti demoniaci» (R. J. Lifton, I medici nazisti. Storia degli scienziati che divennero i torturatori di Hitler, BUR, Milano 2022, p. 19).
Quali condizioni dunque possono portare una persona normale a compiere «atti demoniaci»? Lifton ha fiutato che la pista da percorrere era quella medica: non solo perché senza il coinvolgimento dei medici sarebbe stato impossibile mettere concretamente in atto un piano di eliminazione degli “indegni di vivere”, ma soprattutto perché era fondamentale ancorarsi ad una giustificazione medico-scientifica di quanto si stava operando. Lifting l’ha battezzata medicalized killing, omicidio medicalizzato o medicalmente giustificato, non solo possibile, ma necessario all’interno del preteso controllo totale sulla vita e sulla morte. Il progetto nazista, spiega Lifton, puntava ad «una visione di controllo assoluto sul processo evolutivo, sul futuro umano biologico» (p. 36).
Si trattava di una vera e propria «biocrazia», nella quale tutto era orientato al supremo principio biologico, che ovviamente aveva rivendicato la propria fondazione scientifica, e al quale si prestarono luminari ed esperti di ogni ambito, soprattutto medico. «Come si espresse un sopravvissuto che era stato testimone attento di questo processo: “Auschwitz fu come un’operazione chirurgica” e “il programma di sterminio fu diretto da medici dal principio alla fine”» (p. 38). Il regime aveva l’ossessione delle scienze biologiche, al punto che, nel 1934, il generale Rudolf Hess (1894-1987), per sei anni vice di Hitler, fino alla “promozione” del generale Hermann W. Göring (1893-1946), poteva dire, davanti a tutti gli aderenti al partito, che «il nazionalismo non è altro che biologia applicata». In sostanza, organizzazione scientifica della società.
Il passaggio fondamentale per nazificare la medicina e renderla strumento adeguato per il progetto biocratico era quello di mettere ai margini la sua vocazione alla cura del malato, per trasformarla in uno strumento di perfezionamento della società. Non doveri verso il singolo, ma verso la collettività. Il manuale del dott. Rudolf Ramm, della facoltà di Medicina dell’Università di Berlino, Ärztliche Rechts- und Standeskunde (1943), testo di etica medica assai influente, aveva spinto verso questa decisiva “apertura” della medicina: «Il medico doveva interessarsi alla sanità del Volk ancor più che alle malattie dell’individuo e doveva insegnare alla gente a superare il vecchio principio individualistico del “diritto al proprio corpo” e ad abbracciare invece il “dovere di essere sani”» (p. 53).
Corsi e ricorsi storici. Il diritto al proprio corpo e alla propria salute deve cedere il passo alla salute del corpo collettivo, in nome della quale è dunque possibile obbligare chiunque ad adottare soluzioni sanitarie di volta in volta ritenute scientificamente evidenti. La classe medica ‒ che nel frattempo era divenuta un insieme di funzionari dello Stato in camice bianco ‒ diventa così uno strumento imprescindibile per poter “mantenere sano” l’organismo sociale e per poter eliminare tutto quello che è considerato pericoloso, secondo la visione “scientifica” adottata, incluse persone in carne e ossa. Le massicce campagne di sterilizzazione ed eutanasia dal parte del Reich si comprendono solo alla luce di questa medicalizzazione della società e della nuova vocazione della medicina.
È interessante notare che, dal punto di vista giuridico, nella Germania nazista gli aborti erano proibiti; eppure «i tribunali per la sterilizzazione potevano ordinare l’interruzione della gravidanza per ragioni eugeniche in situazioni di “emergenza razziale”» (p. 70). La tanto cara e flessibile emergenza, sempre utile per fare esattamente il contrario di quanto prevede la legge, senza la briga di dover cambiare la legge.
L’emergenza aveva reso flessibili anche i medici. Come il ginecologo Carl Clauberg (1898-1957), professore universitario, che aveva fatto numerose ricerche sugli ormoni femminili, per trattare la sterilità della donna, ma che, dopo l’incontro con Himmler, si era reinventato come ricercatore di metodi non chirurgici per la sterilizzazione di massa. La sfida era quella di sterilizzare più persone in meno tempo possibile; ideò così l’iniezione di formaldeide, direttamente nell’utero, senza anestesia. Degli effetti avversi ovviamente non interessava niente a nessuno, sebbene nel gruppo di prova, formato rigorosamente da donne ebree e rom, ci fossero stati anche dei decessi. Sempre corsi e ricorsi: basta sostituire al verbo “sterilizzare” qualcos’altro.
Clauberg tornò poi al suo primo amore, le ricerche sulla sterilità, diventando, come se nulla fosse, direttore di un istituto: la Città delle Madri. Clauberg purtroppo non fu un caso isolato: «Benché alcuni medici abbiano opposto resistenza, e molti abbiano avuto poca simpatia per i nazisti, come professione i medici tedeschi si offrirono al regime. Lo stesso comportamento si riscontra anche nella maggior parte delle altre professioni; ma nel caso dei medici quel dono comprese l’uso della loro autorità intellettuale per giustificare ed eseguire uccisioni, situate in una prospettiva medica» (p. 71).
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Lorenzo: (”Il cuore è un malfattore”) è una canzone che parla di amicizia
Cattelan, uno di noi: 🤣 amicizia 🤣🤣 certo 😆 ””amicizia”” 😜😏
#colapesce#dimartino#alessandro cattelan#ma quanto boni in questa intervista va qua che roba#bellissimi E parlano di peni??? semplicemente uomini perfetti#amicizia 🥰#italy tag#musica italiana#roba mia
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Più liberi che mai
“Si fa, ma non si dice“, consigliava Vittorio Mascheroni in una celebre canzone del Ventennio, che fa ancora scuola. Accade così senza fare troppo clamore che la polizia inglese arresti un giornalista che non pubblica veline. Questo malfattore – udite, udite! – scrive di Gaza e parla di “apartheid coloniale e razzista”. Ha torto? Ha ragione? Un liberale direbbe che non importa: se la pensa così…
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Belmonte Mezzagno: Carabinieri arrestano rapinatore seriale
Belmonte Mezzagno: Carabinieri arrestano rapinatore seriale. I Carabinieri della Compagnia di Misilmeri hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Termini Imerese, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di un 27enne, del luogo, già noto alle forze dell'ordine e accusato di rapina. L'attività d'indagine ha consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza, sostanzialmente accolti nel provvedimento cautelare, a carico del 27enne ritenuto il presunto autore materiale di due diverse rapine, messe a segno tra marzo e maggio di quest'anno in danno della stessa farmacia di Belmonte Mezzagno. Nel primo caso, in pieno giorno, un uomo con il volto coperto da un passamontagna ed armato di un coltello è entrato all'interno dell'attività e ha minacciato una dipendente facendosi consegnare l'incasso di 250 euro. In quell'occasione, è stato l'immediato intervento dei militari della locale Stazione che ha consentito, grazie anche all'analisi delle immagini estrapolate da diversi impianti di video sorveglianza, di ricostruire il percorso effettuato poco prima dal presunto malvivente, il quale, in base a quanto delineato dagli investigatori avrebbe addirittura abitato a poche centinaia di metri dalla farmacia. Ad aggravare la posizione del 27enne sarebbe stato altresì il rinvenimento, durante la perquisizione dell'abitazione di quest'ultimo, di alcuni indumenti indossati il giorno della rapina, insieme con il coltello utilizzato per minacciare la farmacista. A stringere il cerchio intorno al possibile malvivente sarebbe stato inoltre quanto individuato dai Carabinieri subito dopo la seconda rapina; infatti, armato di un taglierino, un uomo è entrato all'interno dell'attività minacciando la farmacista dalla quale si faceva consegnare questa volta la somma di 400 euro. Anche in questo caso fondamentale è stato il tempestivo intervento dei Carabinieri, che ha consentito di individuare il malfattore, che dai sistemi di videosorveglianza acquisiti, sarebbe stato addirittura immortalato in volto nel momento in cui indossava il passamontagna prima di fare ingresso nel locale commerciale. L'indagato è attualmente ristretto presso la casa circondariale di Palermo "Lorusso-Pagliarelli".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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😳 Sapevi che in questo paese deriva il detto "fare il bastian contrario". Fu infatti Bastiano Contrario, malfattore, morto impiccato, in seguito alle sue vicende a dare origini ad esso ...
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I nuovi capi hanno facce serene
Mi capita di incontrare delle storie. Di solito avviene di notte e ognuna è di un colore diverso, ma questa è forse quella più strana che mi sia capitata. Stavo passeggiando a piedi per trovare un poco di fresco, queste temperature assurde di luglio impediscono un giusto riposo, perciò stavo recandomi verso i giardini comunali quando ho incrociato il passo con un ragazzo che quasi mi viene addosso. Stava derilando, o meglio questo è il primo pensiero che mi è passato per la mente. - Ci stanno cercando, dobbiamo andarcene, vieni con me prima che sia troppo tardi - - Ehi calmati un attimo. Non vedo nessuno qui intorno e mi sembri pazzo - - Non vedi nessuno perché sei ingenuo. Loro sono così bravi da rendersi invisibili - - Loro chi ? - - I cattivi pensieri. Ci hanno fatto il lavaggio del cervello perciò non li vedi. Non mi dire che non te ne sei accorto. Pensaci un attimo. Quante volte senza motivo apparente ti sei sentito pieno di odio nei confronti di qualche povero pezzente. L'hai guardato con disgusto e lo hai allontanato oppure ti sei scagliato contro di lui perché magari dormiva in terra nel tuo quartiere ? - - Guarda che io abito in un quartiere popolare, in condominio con persone che vengono dai paesi più strani. Pensa che sotto il mio piccolo appartamento c'è un tipo che tutte le mattine alle quattro si sveglia e canta. C'è una ragazza che credo faccia la vita, mi capita spesso di incontrare qualche suo cliente sulla rampa delle scale. Li dovresti vedere come cercano di non dare nell'occhio eppure ormai li conosco tutti. Una sera è venuto anche un prete. Mi ha sorpreso dicendo che veniva a dare la benedizione ma era ottobre e per Pasqua mancavano diversi mesi. Eppure ci vivo bene. - - Ecco ora mi vorrai far credere che i cattivi pensieri sono un'invenzione ? - - No, no, i cattivi pensieri esistono, credo che li abbiamo conosciuti tutti. Quello che intendo è altro. Non devi averne paura ma affrontarli. Non risolvi niente scappando - - Hai ragione. Infatti non ci crederai ma sono un malfattore. Ti ho avvicinato per compiere una rapina. Ho un coltello in tasca ed ero pronto a toglierti la vita. Quanto hai con te da darmi ? - - Guarda che sono solo uscito a fare due passi e non porto mai il contante perciò rispondimi, vale la pena di farmi la pelle per poche monete? Mi sembra di avere un euro e cinquanta e per la mia salvezza potrei anche darteli. - - Scusami mi sono sbagliato, quando ti ho seguito mi sembravi un avvocato. - - In realtà da un poco di tempo faccio lo scrittore e non guadagno niente. Cioè non ho iniziato a farlo per questo. Mi sembrava il miglior modo per incontrare gente. - - Ti interessano le persone ? - - Anche, ma mi interessano soprattutto i cattivi pensieri che hanno nella mente. Stanotte sono stato fortunato. Ho incontrato te e mi hai salvato- - Perché dici questo? Io non ho fatto niente, anzi volevo rapinarti. - - Hai fatto molto più di quello che pensi. Ora vai a casa che sta facendo giorno. - Mi ha salutato sorridente scuotendo leggermente la testa. Avrà pensato che sono pazzo. In realtà non si è accorto che avevo in tasca una Beretta. Prima di uscire ero un killer a pagamento che quando ha poco lavoro esce a caccia. Ora dopo questo incontro ho buttato l'arma in un cassonetto della spazzatura e ho fatto un giuramento. Da domani spedisco i miei ultimi scritti. Ho una miriade di racconti e se mi chiedono di pubblicarli li chiamerò " Cattivi Pensieri " credo che avranno successo. Lo so, molto di questo scritto lo invento al momento, ma ditemi voi se questa non è una resurrezione e infatti ho detto a quel ragazzo - ci si incontrerà in giro Fratello. - Foto di Giordano Pieralisi per Cinque Colonne Magazine Read the full article
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il cuore è un malfattore ha quasi sicuramente la stessa progressione di accordi di mama dei mcm, pace e amore sul pianeta terra
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16. (Zombie)
La situazione era alquanto bizzarra, non v’era dubbio. Era insolito il luogo, erano insolite le circostanze. Persino il mio abito era inadatto all’occasione, ma forse questo era il meno. D’altronde non credo avrei potuto trovarne uno adatto, finché fossi rimasto un uomo … comune. Nulla mi era familiare, a parte Alfred, o perlomeno la parte di Alfred che ancora conservava il simulacro che avevo di fronte. Bizzarra, eppure con una qualche ironia di cui mi sfuggiva il senso.
New Orleans non era una cittadina uggiosa, tutt’altro, sebbene non fossi abituato alla sua atmosfera tropicale. La lettera che Alfred mi aveva scritto, qualche tempo prima, la sua disperata richiesta di aiuto, non avrebbe potuto lasciarmi indifferente. Abitavamo oramai in città lontane, ma da giovani avevamo nutrito quell’amicizia che non muore, non invecchia. Che torna a vivere fresca appena serva, come quelle piante a cui basta un velo d’acqua, dopo anni di siccità, per rinverdirsi come se nulla fosse mai accaduto. Il viaggio era durato abbastanza per immaginare ogni ipotesi, ma in realtà la lettera sembrava partorita da un uomo in preda alla febbre: se non quella del corpo, di certo quella dello spirito.
Avevo salutato le coste dell’Inghilterra in preda ad una mescolanza di eccitazione e tristezza. La speranza di poter fare qualcosa stava accanto alla paura di perdere il mio amico. Alfred non era mai stato troppo eccentrico. Originale, sì, sempre preso in qualche avventura dell’intelletto, sempre curioso di conoscenze. Aveva viaggiato molto, Asia, Africa e adesso, l’America. Credo gli mancasse poco ad aver completato il giro del pianeta. Un brav’uomo. Un uomo dalla conversazione stimolante. Mi era molto dispiaciuto non averlo potuto più conservare tra le consuete frequentazioni, ma tant’è, la vita stessa ci aveva portati a vivere troppo distanti.
Nel suo delirio, Alfred m’aveva messo sull’avviso. Con ogni probabilità, sarei riuscito ad incontrarlo di sera, in una specie di bettola. Altre informazioni non ero riuscito a raccogliere. E il quartiere, manco a dirlo, aveva tutta l’aria di essere malfamato. Di certo avrei potuto essere un buon affare, per qualche malfattore del posto. Confidavo unicamente nel fatto di avere una certa prestanza fisica e abbastanza sicurezza nel portamento. Non ottime carte, ma non avevo altro. Del resto non mi ci sarei mai avventurato, laggiù, se non fosse stato per il caro Alfie.
La prima fortuna, quella sera, fu di trovare un mezzo che mi portò vicino all’ingresso del locale. Quando già m’ero addentrato nel quartiere, avevo incrociato per caso quella specie di carrozza. I soldi fecero il resto. Almeno m’ero risparmiato la camminata per strade sconosciute. Dissi al conducente di farsi rivedere dopo due ore. Ad ogni buon conto avevo lasciato in albergo una nota con l’indicazione della mia destinazione. Non volevo essere troppo timoroso, ma neanche malaccorto.
Al locale si accedeva da una stretta scala poco illuminata, invasa da un forte odore alcolico. Sulla porta d’ingresso c’era un uomo robusto, con lo sguardo tra il torvo e lo stupito, ma, fatto il nome di Alfred, si mise da parte e mi lasciò passare. Doveva conoscerlo. Pensai non ce ne fossero molti di Alfred, da queste parti, e che quindi non fosse passato inosservato. Era un indizio, forse ero sulla strada giusta. Leggermente rincuorato, salii i gradini.
Lo stanzone era come me l’aspettavo. Ampio e scuro, dava piuttosto l’idea di un emporio. Una luce bluastra filtrava dai finestroni, affacciati sulla notte. Gli uomini seduti sembravano indifferenti, ma di sicuro erano stati già avvisati della mia presenza. Sembravano anzi in attesa. C’era un fumo leggero, più denso sul soffitto; l’odore dell’alcol si mischiava a quello di qualche sconosciuta pietanza che bolliva. Squadrai lo spazio intorno, cercando di mantenermi calmo.
E poi lo vidi. In realtà, scorsi soltanto la sua schiena, ma non potevo non riconoscere quella sagoma. Mi dava le spalle e non si girò. Sembrava strano che proprio a lui non fosse arrivata, la notizia del mio arrivo. O c’era qualche altro motivo? Era costretto da qualcosa a trattarmi con tanta sufficienza? Avanzai nel locale, nell’aria che s’era fatta straordinariamente spessa. Camminavo sugli sguardi di tutti e sulla mia stessa perplessità. Non si girò neanche quando gli toccai la spalla. Forse fu meglio così. Se si fosse girato e l’avessi visto così, all’improvviso, mi sarei spaventato troppo. Invece, scoprii il suo volto girandogli intorno lentamente, come fossi una nave cui si sveli, nell’appressarsi, il profilo di una città.
Se era una città, il mio amico era una città dimenticata dagli uomini. Il volto smunto, grigio. Gli occhi cerchiati, le labbra esangui. Le mani grigie anch’esse, con la pelle vizza, posate sul tavolino come fossero state deposte là da una infinità di anni. Eppure non fu l’aspetto fisico a turbarmi di più. Fu lo sguardo, fisso, diretto oltre il fondo della sala, verso un indefinito orizzonte. Non ebbe un cenno per me finché non lo chiamai.
Anche allora mi spaventai. Non ebbe alcun moto di sorpresa e neppure, purtroppo, di quell’antico affetto che ricordavo quanto teneramente ci unisse. “William...?”. Questa fu la sua prima parola. Dovetti comunque mettermi davanti ai suoi occhi per riuscire ad estorcergliela. Poi presi una sedia e mi sedetti esattamente di fronte a lui. Questa algida accoglienza mi fece sospettare il peggio. Pensai ad un male terribile ed inconfessabile. Ad un estremo smarrimento dell’anima. A qualche disgraziatissimo affare nelle cui spire era evidentemente ancora intrappolato. O che stesse magari pagando le conseguenze di qualche atto gravissimo.
“William?”, ripeté, e parve riaversi un poco. Ero lì lì per chiedergli qualcosa, ma la voce si perse. Restai a guardarlo. Quasi senza accorgermene, infilai la mano nella tasca della giacca. Tenevo ancora qui la sua lettera e cominciai a rigirarmela tra le dita, finché non la tirai fuori e la poggiai sul tavolo, davanti alle sue dita smorte. Era quella la domanda più diretta che potessi fargli. “Una lettera?” Le sue parole erano lente, lente come la corrente di un fiume, largo, e come una corrente sembravano avere una profondità, una pesantezza, da portare al fondo. “Certo … la lettera. Ecco perché sei qui.” Parlava senza espressione. Mi feriva. Ma non volevo interromperlo. Ero lì per salvarlo da qualunque cosa. Fui tentato di prenderlo per il braccio, l’avrei portato giù in strada, a costo di dovermela giocare con quelle facce malefiche che ci osservavano e che forse lo tenevano in qualche modo prigioniero.
Ma lui sembrò capirmi. “Lascia stare, William. Sono io che voglio stare qui.” Ovviamente non poteva bastarmi. “E’ una storia lunga.” Era una storia lunga. Si era perso nelle sue peregrinazioni, a quanto pare un po’ per trovare ed un po’ per perdere. Qualcosa lo tormentava. Era la sua vecchia sete? Un qualche dolore? Cercava il modo di liberarsene, ma come? Dimenticandolo? Guarendone? Dal sole impazzito di Porto-Novo era giunto fin qui, passando dalle spiagge di Haiti.
“Li vedi? Loro sono zombie. Sono uno zombie anch’io.” Vedevo gli altri clienti, sì, ora li vedevo bene. Condividevano quello stesso smarrimento, quella stessa indifferenza che giaceva nel fondo degli occhi di Alfred. Non conoscevo quella parola, “zombie”, né sapevo come mai quegli uomini si trovassero in quello stato. Cominciavo a credere fosse un male come poteva esserlo la lebbra, che costringe gli esseri umani a rifugiarsi ed a nascondersi. Ma non potevo credere che Alfred m’avesse scritto, per condurmi in un luogo dove potessi perdermi anch’io. Venne fuori che, quando m’aveva scritto, ancora voleva e non voleva diventarlo, uno zombie. S’era risolto a chiedere il mio aiuto perché mi stimava l’unico in grado di tirarlo fuori da quell’impiccio, se impiccio era, dato che lui non riusciva a distinguerlo. Ora che aveva fatto il passo decisivo, invece, ci si trovava bene, in quello stato.
Questa poi. Non potevo comprenderlo. Quegli esseri più morti che vivi, che mai potevano trovarci, in quella deperita condizione, da preferirla alla salute di un giorno benedetto dal sole?
Non dico che accennasse un sorriso, quando, manifestando i miei dubbi, nominai la parola “vivi”. Sembrò però non rimanere completamente distante, come appariva esserlo da ogni altra cosa in quella stanza, me compreso. “Vivi?”- mormorò - “Ho osservato la gente che tu chiami … vivi. Li ho visti camminare, parlare. Li ho visti uccidere. Li ho visti piangere, li ho visti mangiare con avidità. Ma non ne ho mai visto uno che fosse completamente vivo … Neanche tu lo sei.” - mi riprese, casomai il mio stupore non mi fosse sembrato troppo - “Quelli che tu chiami "vivi" non sono poi così diversi da me. Da noi. Considera cosa è la loro cosiddetta vita. Il loro corpo è vuoto, uno sciocco bozzolo. Hanno messo in un baule in soffitta le cose più importanti ed ecco, passeggiano, pavoneggiandosi del loro vuoto involucro. Guarda a cosa pensano, per cosa si agitano. Non potrai non essere d’accordo con me, la loro vita è vuota. Non sanno neanche quanto hanno perso, non l’avranno neanche sospettato quando poi dovranno scendere per sempre nell’oscura eternità.” Ebbi l’impressione che una ombra di tristezza gli passasse nella voce. “Dicono che noi zombie siamo schiavi, ma non crederci. Sono dicerie. Quelli che tu chiami “vivi”, allora, come li definiresti? Sanno forse cos’è la loro vita? Non sono forse ignari burattini di ignari burattinai? Non si muovono forse a comando, non è la loro stessa carne talmente usa alla commedia da aver dimenticato, per sempre, il profumo della propria unicità? Chi è lo zombie, Alfred?”
Il suo discorso, o forse l’eccezionalità della serata, filtravano nella mia mente come un olio tiepido, come un sonno avvincente. Pareva dovessi dargli completa ragione, eppure c’era ancora in me come un ostacolo residuo, o un sentore di buon senso, non saprei dirvelo, mentre assorbivo le sue parole. Non capivo ancora perché fosse in quello stato, e in cosa la sua condizione fosse tanto diversa da essere preferita a quella dei miserabili che andava così precisamente descrivendo. Se li condannava, perché li imitava? Non capivo.
“Non è più onesto, allora? Cosa credi che mi sia successo, William? Ti basterebbe mangiare una zuppa, la cucinano proprio ora, là dietro, e saresti come me. Vuoto come gli altri, ma senza doverne soffrire, senza mentire, senza dare agio all’inganno che ci è stato giocato.” Era diventato uno stoico, Alfred? Stentavo a crederci e poi il suo stoicismo aveva lo stesso olezzo del salone dove ci trovavamo. Forse il dolore, sì, il dolore … tutto questo spettacolo poteva essere una cura per il dolore. Poi, d’improvviso, mi balzò in mente l’immagine stessa che m’aveva presentato Alfred. La soffitta, con le cose buone lasciate in un baule dimenticato. Ma non potemmo discuterne oltre.
Mentre noi due eravamo intenti a capirci, gli zombie alle mie spalle s’erano alzati. Preso dai discorsi del mio amico, non me n’ero accorto. Ma ora lo sentivo, che mi erano quasi addosso. Erano ancora fermi, ma s’erano avvicinati parecchio. Mi prese una profonda paura. Mi sentii in trappola. M’alzai di scatto. Sì, erano troppo vicini. Ed erano in molti. Alfred non fece una mossa. L’ultima cosa che ricordo di lui fu il suo sguardo fisso, oltre le sagome dei suoi compagni, oltre le finestre, smarrito in qualche luogo irraggiungibile. Non potevo aspettare oltre, non potevo aspettare di capire se le intenzioni di quegli uomini fossero amichevoli. E non so cosa mi salvò. Forse anche io ero un bozzolo, come diceva Alfred, ma qualcosa mi spingeva a fuggire. Lo chiamerei istinto, o vitalità, se non fosse che le parole di Alfred, ancora oggi, sono una specie di tarlo, quando mi ritrovo a pensare a certi argomenti. Comunque sia, fuggii.
La mia baldanza mi aiutò. Corsi via, nessuno riuscì a fermarmi. Rimasi in giro tutta la notte come un animale braccato, i sensi aperti come non mai, finché non raggiunsi zone della città perfettamente rispettabili. Tornai in albergo il mattino successivo, quando vidi che si riempiva del traffico delle persone. Caricai le mie cose e partii di lì a poche ore. Sono passati sei mesi da quella notte. Non so ancora cosa fare. Vorrei tornare a salvare il mio amico, ma non so se lui ne abbia voglia e neppure se sia giusto farlo. Vorrei comunque avere almeno il modo di parlargli. Di sicuro, se mai tornerò laggiù, tornerò bene in forze. Con l’aiuto capace di qualcuno. Effettivamente non sarei più tranquillo, ad andarci da solo. Non mi piacevano quei tizi, alla fine mi sono sembrati dei fanatici ed io non sopporto il fanatismo, con tutto che avrebbero potuto essere anche molto pericolosi. Devo saperne di più, su questi zombie.
Devo confessarvi che le parole di Alfred sono rimaste con una specie di dolcezza, nella mia testa. Una strana dolcezza. Penso anche, però, che, se non le avessi ascoltate, ora starei meglio. L’unica cosa che mi rasserena è guardare il roseto nel giardino. Quando tocco quei petali carnosi, sodi, vedo per converso le dita di Alfred, povero amico mio. Ecco, mi viene da chiamarlo povero, perché queste rose non sembrano un inganno.
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Tutto torna nella mia civiltà.
La radice medievale del famoso slogan popperiano laico e illuminista: "TOLLERANZA VERSO TUTTI MA NON VERSO I FANATICI INTOLLERANTI" è la questione del Malicidio (malicidium, in latino).
Elaborata da Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) in base ad una specifica questione postagli dai Cavalieri Templari sulla difficoltà per un cristiano di conciliare la guerra difensiva con la parola di Dio (V Comandamento, non uccidere).
«Egli» [il soldato di Cristo, ndr] «è strumento di Dio per la punizione dei malfattori e per la difesa dei giusti. Invero, quando egli uccide un malfattore, non commette omicidio ma malicidio, e può essere considerato il carnefice autorizzato di Cristo contro i malvagi.» Bernardo giustifica la violenza come mezzo di DIFESA dei più deboli (allora erano i pellegrini), dichiarando che «Non si dovrebbero uccidere neppure i pagani qualora ci fosse una maniera diversa per impedir loro di opprimere.».
Pur restando nel medioevo, la distinzione con attuali Jihad, "guerre sante", martiri suicidi e decapitazioni di donne e bambini dei nemici è enorme, spaziale. Non confondiamo.
Prima di tutto la Crociata è un momento ascetico e penitenziale, non vanagloria militaresca o hybris indistinta e irrazionale "tutto è lecito". Tipo samurai, NON si scende in campo per uccidere indistintamente ma per sacrificarsi e difendere. Altro che "'ndo cojo cojo", altro che considerare "nemici" dei bambini e celebrarne per le strade il sangue sparso. San Bernardo serba parole durissime contro questo approccio: «Tra voi null'altro provoca le guerre se non un irragionevole atto di collera, desiderio d'una gloria vana, bramosia di qualche bene terreno».
La mia civiltà offre tutte le risposte.
[quote banalmente prese da wikipedia: san bernardo, malicidio].
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La pace è una benedizione (Lc 2, 16-21)
È sempre commovente nel primo giorno dell’anno ascoltare parole di benedizione. “Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio".
Queste erano le parole del sacerdote. E voi ricordate che Zaccaria, il padre di Giovanni il Battista, non riuscì a dirle perché era rimasto muto. Perché non aveva creduto che a Dio nulla è impossibile e che anche il grembo inaridito di sua moglie Elisabetta, anziana, potesse ricevere il miracolo della vita. Non aveva creduto e così sulle sue labbra si era spenta la benedizione. Noi ci facciamo gli auguri, ma è solo come un gioco, e nulla cambierà. O tutt'al più la novità la lasciamo al caso, alla fortuna.
Il trasalire di un grembo vecchio appartiene alla potenza creatrice di Dio e anche il trasalire di questa terra che viene dipinta come un vecchio continente, un mondo ormai decrepito appartiene a Dio. E noi crediamo che questa terra e questo cuore potranno rigenerarsi e generare qualcosa di nuovo in questo anno. La tua parola, Signore, è efficace, la tua benedizione è vera, e si compie. Fa che crediamo, Signore, per non rimanere muti. il volto di Dio nella sua benevolenza si è fatto visibile, è brillato su di noi.
I pastori tornavano ai loro greggi, alle loro notti, alla fatica di vivere, ma su di loro era brillato il volto di Dio. Così noi ritorniamo alle nostre case, alla fatica di vivere, ma su di noi è brillato il volto di Dio. Il Signore ci sia propizio. Questa parola dice il piegarsi di Dio, il suo curvarsi amoroso. Ha inclinato i cieli ed è disceso e si è curvato su di noi. Discenderà anche nei nostri prossimi giorni e ancora si curverà. la fede ce lo dice. Ce ne andiamo con questa certezza. Come saranno i giorni, i giorni futuri non lo sappiamo ma sappiamo che il Signore si curverà su di noi.
Iniziamo un anno. Lo iniziamo con questa eucaristia che veglia sull'inizio. Forse ognuno di noi ha iniziato l'anno in modo diverso. Ma qui ci è chiesto di iniziarlo insieme. Come comunità che si è data convocazione nell’eucaristia. Sappiamo che eucaristia significa ringraziamento. E allora diamo inizio all'anno ringraziando. Ringraziano coloro che hanno occhi aperti, occhi che si interrogano, occhi che riconoscono i doni. Non ringraziano i distratti. Ringraziano i pastori che con i loro occhi sono andati oltre il buio della notte. Si interroga Maria, che conserva nel cuore le cose che accadono e cerca di capire. "Darai alla luce un figlio, lo chiamerai Gesù. Sarà grande e sarà chiamato figlio dell'Altissimo. Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre".
E quanto al trono, Maria fissava la mangiatoia. Cercava di legare le parole a ciò che vedeva, non le era facile. Nemmeno per noi è sempre facile legare la parola di Dio a ciò che vediamo. Forse anche Maria si interrogava sull'identità di quel bambino che aveva messo alla luce nella notte. Penso che un po' tutti, madri e padri, si interrogano sull'identità del bambino quando nasce un figlio. Che l'identità fosse in quel nome? Forse Maria se lo chiedeva, perché era stato l'angelo a portarle il nome.
Il nome dato dall'angelo, "Gesù", significa "Dio salva". Forse ci commuove pensare che Gesù è stato per tutta la sua vita fedele al nome che portava. Lui è vissuto per salvare. Pensate ai suoi incontri, alle sue parole, ai suoi gesti, ai suoi sguardi: la sua passione era salvare, fino all'ultimo. L'ultimo lo salvò sulla croce, dalla croce, un malfattore, appeso come lui a una croce, gli disse: "In verità io ti dico: Oggi sarai con me in paradiso". Lo ha salvato. Era la sua vita, era la sua passione.
Non pensate che su questa immagine di Dio si gioca anche la pace? In nome di un Dio che salva, tu non puoi fare la guerra o uccidere. Non puoi vivere nell'indifferenza. "Il volto di Gesù" dice il papa "è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda.
Nasce di qui la pace: da un Dio a cui importa l'umanità. "Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace".
Don Paolo Zamengo SDB
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Don Alberto Ferrara"Come avvocato, un malfattore"
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) – Cristo Re (26/11/2023) Vangelo: Mt 25,31-46 Ed ecco il Vero Re, sul suo trono: come Reggia il mondo, come trono una croce conficcata tra i sassi e come corona regale, due rami di spine intrecciate. I soldati, i presenti come in un grande spettacolo, recitano la loro parte: c’è chi omaggia il re, chi lo ringrazia, chi si inchina, altri lo…
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#Commemorazione dei fedeli defunti (messa II)#OMELIE#Vangelo#Vangelo di Domenica prossima#XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re
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