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#In fondo al bosco
viendiletto · 8 months
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Foiba di Basovizza e Monrupino (Trieste) – Oggi monumenti nazionali. Diverse centinaia sono gli infoibati in esse precipitati.
Foiba di Scadaicina sulla strada di Fiume.
Foiba di Podubbo – Non è stato possibile, per difficoltà, il recupero. Il Piccolo del 5.12.1945 riferisce che coloro che si sono calati nella profondità di 190 metri, hanno individuato cinque corpi – tra cui quello di una donna completamente nuda – non identificabili a causa della decomposizione.
Foiba di Drenchia – Secondo Diego De Castro vi sarebbero cadaveri di donne, ragazze e partigiani dell’Osoppo.
Abisso di Semich – “…Un’ispezione del 1944 accertò che i partigiani di Tito, nel settembre precedente, avevano precipitato nell’abisso di Semich (presso Lanischie), profondo 190 metri, un centinaio di sventurati: soldati italiani e civili, uomini e donne, quasi tutti prima seviziati e ancor vivi. Impossibile sapere il numero di quelli che furono gettati a guerra finita, durante l’orrendo 1945 e dopo. Questa è stata fina delle tante Foibe carsiche trovate adatte, con approvazione dei superiori, dai cosiddetti tribunali popolari, per consumare varie nefandezze. La Foiba ingoiò indistintamente chiunque avesse sentimenti italiani, avesse sostenuto cariche o fosse semplicemente oggetto di sospetti e di rancori. Per giorni e giorni la gente aveva sentito urla strazianti provenire dall’abisso, le grida dei rimasti in vita, sia perché trattenuti dagli spuntoni di roccia, sia perché resi folli dalla disperazione. Prolungavano l’atroce agonia con sollievo dell’acqua stillante. Il prato conservò per mesi le impronte degli autocarri arrivati qua, grevi del loro carico umano, imbarcato senza ritorno…” (Testimonianza di Mons. Parentin – da La Voce Giuliana del 16.12.1980).
Foibe di Opicina, di Campagna e di Corgnale – “Vennero infoibate circa duecento persone e tra queste figurano una donna ed un bambino, rei di essere moglie e figlio di un carabiniere …” (G. Holzer 1946).
Foibe di Sesana e Orle – Nel 1946 sono stati recuperati corpi infoibati.
Foiba di Casserova sulla strada di Fiume, tra Obrovo e Golazzo. Ci sono stati precipitati tedeschi, uomini e donne italiani, sloveni, molti ancora vivi, poi, dopo aver gettato benzina e bombe a mano, l’imboccatura veniva fatta saltare. Difficilissimi i recuperi.
Abisso di Semez – Il 7 maggio 1944 vengono individuati resti umani corrispondenti a ottanta – cento persone. Nel 1945 fu ancora “usato”.
Foiba di Gropada – Sono recuperate cinque salme. “Il 12 maggio 1945 furono fatte precipitare nel bosco di Gropada trentaquattro persone, previa svestizione e colpo di rivoltella “alla nuca”. Tra le ultime: Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari”.
Foiba di Vifia Orizi – Nel mese di maggio del 1945, gli abitanti del circondario videro lunghe file di prigionieri, alcuni dei quali recitavano il Padre Nostro, scortati da partigiani armati di mitra, essere condotte verso la voragine. Le testimonianze sono concordi nell’indicare in circa duecento i prigionieri eliminati.
Foiba di Cernovizza (Pisino) – Secondo voci degli abitanti del circondario le vittime sarebbero un centinaio. L’imboccatura della Foiba, nell’autunno del 1945, è stata fatta franare.
Foiba di Obrovo (Fiume) – È luogo di sepoltura di tanti fiumani, deportati senza ritorno.
Foiba di Raspo – Usata come luogo di genocidio di italiani sia nel 1943 che nel 1945. Imprecisato il numero delle vittime.
Foiba di Brestovizza – Così narra la vicenda di una infoibata il “Giornale di Trieste” in data 14.08.1947. “Gli assassini l’avevano brutalmente malmenata, spezzandole le braccia prima di scaraventarla viva nella Foiba. Per tre giorni, dicono i contadini, si sono sentite le urla della misera che giaceva ferita, in preda al terrore, sul fondo della grotta.”
Foiba di Zavni (Foresta di Tarnova) – Luogo di martirio dei carabinieri di Gorizia e di altre centinaia di sloveni oppositori del regime di Tito.
Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) – Vi furono gettate circa ottanta persone.
Capodistria – Le Foibe – Dichiarazioni rese da Leander Cunja, responsabile della Commissione di indagine sulle Foibe del capodistriano, nominata dal Consiglio esecutivo dell’Assemblea comunale di Capodistria: “Nel capodistriano vi sono centosedici cavità, delle ottantuno cavità con entrata verticale abbiamo verificato che diciannove contenevano resti umani. Da dieci cavità sono stati tratti cinquantacinque corpi umani che sono stati inviati all’Istituto di medicina legale di Lubiana. Nella zona si dice che sono finiti in Foiba, provenienti dalla zona di S. Servolo, circa centoventi persone di etnia italiana e slovena, tra cui il parroco di S. Servolo, Placido Sansi. I civili infoibati provenivano dalla terra di S. Dorligo della Valle. I capodistriani, infatti, venivano condotti, per essere deportati ed uccisi, nell’interno, verso Pinguente. Le Foibe del capodistriano sono state usate nel dopoguerra come discariche di varie industrie, tra le quali un salumificio della zona”.
Foiba di Vines – Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943 al 25.10.1943 cinquantuno salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell’acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, finirono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell’interno. Unico superstite, Giovanni Radeticchio, ha raccontato il fatto.
Cava di Bauxite di Gallignana – Recuperate dal 31 novembre 1943 all’8 dicembre 1943 ventitré salme di cui sei riconosciute. Don Angelo Tarticchio nato nel 1907 a Gallesano d’Istria, parroco di Villa di Rovigno. Il 16 settembre 1943 – aveva trentasei anni – fu arrestato dai partigiani comunisti, malmenato ed ingiuriato insieme ad altri trenta dei suoi parrocchiani, e, dopo orribili sevizie, fu buttato nella foiba di Gallignana. Quando fu riesumato lo trovarono completamente nudo, con una corona di spine conficcata sulla testa, i genitali tagliati e messi in bocca.
Foiba di Terli – Recuperate nel novembre del 1943 ventiquattro salme, riconosciute.
Foiba di Treghelizza – Recuperate nel novembre del 1943 due salme, riconosciute.
Foiba di Pucicchi – Recuperate nel novembre del 1943 undici salme di cui quattro riconosciute.
Foiba di Surani – Recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme di cui ventuno riconosciute.
Foiba di Cregli – Recuperate nel dicembre del 1943 otto salme, riconosciute.
Foiba di Cernizza – Recuperate nel dicembre del 1943 due salme, riconosciute.
Foiba di Vescovado – Scoperte sei salme di cui una identificata.
Altre foibe da cui non fu possibile eseguire recupero nel periodo 1943 – 1945: Semi – Jurani – Gimino – Barbana – Abisso Bertarelli – Rozzo – Iadruichi.
Foiba di Cocevie a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana
Foiba di San Salvaro
Foiba Bertarelli (Pinguente) – Qui gli abitanti vedevano ogni sera passare colonne di prigionieri ma non ne vedevano mai il ritorno.
Foiba di Gropada
Foiba di San Lorenzo di Basovizza
Foiba di Odolina – Vicino Bacia, sulla strada per Matteria, nel fondo dei Marenzi.
Foiba di Beca – Nei pressi di Cosina.
Foibe di Castelnuovo d’Istria – “Sono state poi riadoperate – continua il rapporto del CLN – le foibe istriane, già usate nell’ottobre del 1943”.
Cava di bauxite di Lindaro
Foiba di Sepec (Rozzo)
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cinemaslife · 11 months
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Cada cierto tiempo me gusta volver a ver Tesis, porque es una de esas películas por las que estudié cine, y porque en ella se encuentra uno de mis personajes favoritos Chema (Fele Martínez).
Chema es un estudiante de comunicación audiovisual que ve a través del cine, va más allá y no es el típico estudiante de la complutense, está fuera de la calzada, sabe quien es, la cara que tiene, y se mantiene fiel a si mismo porque no le queda otra. Y lo demuestra cuando le cuenta el cuento de La princesa y el enano a Ángela mientras recorren los pasillos del sótano de la universidad muertos de miedo.
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Ángela se enamora de Bosco porque es en apariencia todo lo que una chica podría desear, juegan en la misma liga, demasiado iguales y Chema se enamora de ella porque está lo más lejos posible de parecerse a él. Cuando en el fondo Chema y Ángela lo tiene todo en común.
Chema es cobarde y egoísta, irreverente y maleducado. Y por eso ella desconfía de él, Bosco es contenido y esconde lo que realmente es, Chema tampoco es lo que aparenta, pero lejos de ser un peligro para ella, en el fondo es todo lo contrario.
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Chema salva a Ángela de Crespo y al final ella misma se salva de Bosco, caminan por el hospital mientras todos ven la tele donde se va a emitir una de las pelis snuff que la policía recupera cuando cae la red. Totalmente en contra posición del inicio del film cuando ella intenta mirar pero no puede.
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LA PRINCESA Y EL ENANO
Había una vez una princesa que vivía en un palacio muy grande. El día en que cumplía trece años hubo una gran fiesta, con trapecistas, magos, payasos..... Pero la princesa se aburría. Entonces, apareció un enano, un enano muy feo que daba brincos y hacía piruetas en el aire. El enano fue todo un acontecimiento. Bravo, Bravo, decía la princesa aplaudiendo y sin dejar de reír, y el enano, contagiado de su alegría, saltaba y saltaba, hasta que cayó al suelo rendido. "Sigue saltando, por favor" dijo la princesa. Pero el enano ya no podía más. La princesa se puso triste y se retiró a sus aposentos..... Al rato, el enano, orgulloso de haber agradado a la princesa, decidió ir a buscarla, convencido de que ella se iría a vivir con él al bosque. "Ella no es feliz aquí" pensaba el enano. "Yo la cuidaré y la haré reír siempre". El enano recorrió el palacio, buscándola habitación de la princesa, pero al llegar a uno de los salones vio algo horrible. Ante él había un monstruo que lo miraba con ojos torcidos y sanguinolentos, con unas manos peludas y unos pies enormes. El enano quiso morirse cuando se dio cuenta de que aquel monstruo era él mismo, reflejado en un espejo. En ese momento entró la princesa con su séquito. "Ah estas aquí, qué bien, baila otra vez para mí, por favor". Pero el enano estaba tirado en el suelo y no se movía. El médico de la corte se acercó a él y le tomó el pulso. "Ya no bailará más para vos, princesa" le dijo. "¿Por qué?" preguntó la princesa. "Porque se le ha roto el corazón". Y la princesa contestó: "De ahora en adelante, que todos los que vengan a palacio no tengan corazón".
Oscar Wilde.
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lisia81 · 1 year
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FINITO!
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Cosa posso dire? di sicuro sale prepotentemente al secondo posto tra i miei drammi preferiti (il primo è inspodestabile) e la puntata 33 si colloca in cima alla classifica di quelle in cui ho pianto più a lungo. 20 minuti ininterrotti e un magone che mi sa resteranno a lungo un record.
Ma è tutta la serie che crea uno sconvolgimento emotivo fortissimo e ti lascia quella consapevolezza che a breve non troverai qualcosa del medesimo livello.
The Untamed è difficile da gustare lentamente, ti incalza a proseguire. L'unico rallentamento l'ho avuto nelle ultime 3 puntate al tempio. Mi continuavo a chiedere: “ma quanto ancora deve tirarla per le lunghe Lan Xi Chen?”Ringraziamo il cielo che è intervenuto Nie Hauai Sang con il suo escamotage, perchè se no, nel 2023, fra Jin Guang Yao con la sua incredibile resistenza e l'indecisionismo di big brother Lan saremmo ancora li al tempio ad aspettare una fine.
Sicuramente lo rivedrò con più calma e maggiore attenzione, perchè nella testa ho alcuni punti interrogativi a cui, per ora, non ho trovato risposte. E spero di trovarle. 😬 Per fare due esempi stupidi: Lan Zhan come fa a riconoscere Wei Ying quando ritorna dall'oltretomba? dalla spada? dall'ombra che scappa? perchè quella poteva essere benissimo Nie Hauai Sang. Quando arrivano alla tomba e lo sente suonare, sapeva già che era lui. La loro canzone è solo una conferma indelebile. Dall’espressione lo sapeva anche nel bosco. Quando We Wuxian glie lo chiede l'imperturbabile Lan risponde sempre: “pensaci”. Beh, siamo in 2 a pensarci!
Per non parlare del piccolo Ah Yuan. Mi sembrava folle che i Wen lo avessero portato con loro a "chiedere perdono". E continuavo a chiedermi, ma sto bimbo che fine ha fatto? Si scoprirà che Lan Zhan lo ha trovato nella caverna febbricitante e lo salvato e adottato. Ma in quella stessa caverna non è stato bloccato per 3 giorni We Wuxian? quando si è liberato, il bimbo non lo ha visto? Lo ha lasciato li da solo, convinto di tornare? da mamma di una bimba più o meno di quell’età la cosa mi allibisce abbastanza.
Ho letto che quando è andato in onda su Tecent trasmettevano 4 puntate settimana. Quello che è l'antefatto (non posso chiamarlo flashback, vista la durata) è lungo più di 32 puntate. A finire la serie ci ho impiegato circa una settimana. Quando la storia è ritornata al presente, io giuro non mi ricordavo quasi più nulla della storia di Mo il pazzoide e della spada. Sono stata tentata di tornare indietro (cosa che ho fatto a fine visione). Sono 32 puntate focali. Il nucleo solido del drama. Le ultime 20 sono belle, ma stile caso di Benoit Blanc e mi mancavano i pezzi 😅. Comunque stavo dicendo, gli spettatori ordinari hanno dovuto attendere 8 settimane e poi racappezzarsi. Poveri loro.
Altra cosa per cui dovrò rivederlo è l'infinità di nomi. Verso la fine tra titoli, soprannomi, appellativi facevo veramente fatica a identificare chi chiamasse chi o di chi stessero parlando.
Non voglio stare qui a scrivere molto altro. Mi ritrovo molto nelle recensioni e nei commenti delle due cultrici su questo drama @veronica-nardi e @dilebe06. Voglio solo aggiungere 3 cose.
E' da qualche giorno che mi domando: se @dilebe06 non mi avesse acculturato sulla questione BL, bromance, censura ecc.. cosa avrei pensato del rapporto Wei Ying/ Lan Zhan? Una risposta chiara non me la dare. Vi è una frase che viene ripetuta spesso nella serie: "nessuno conosce fino in fondo il cuore di qualcun altro". Questo non è vero per i due protagonisti, perchè il loro spirito è lo stesso. Nel loro essere agli antipodi, vi è un affinità e complementarità unica. Che credo sia anche soggetto di gelosia da parte di Jiang Cheng. Probabilmente è più giusto dire che, per buona parte della serie non conoscano veramente cosa c'è nel loro cuore. Per carità indizi ce ne sono molti. Al di la delle dichiarazioni, degli sguardi, dei gesti più o meno ecclatanti, mi rimarrà il dubbio di quanti ne sarei riuscita a cogliere. Per fare un esempio stupido: dopo la fuga dalla stanza degli orrori, Lan Zan porta Wei Ying ferito nella stanza del silenzio. Li lo ritrovo profumato e impigiamato e appena si sveglia, il nostro tenero padrone di conglietti bianchi gli spalanca la camicia e controlla la ferita. Segno di un'intimità che mai ti aspetteresti dal pudicissimo Lan Zhan, ma che c'è. Comunque che sia amore, è fuori di dubbio. Il tipo di amore, sinceramente mi interessa e non mi interessa perchè è bello così come ci viene mostrato.
C’è da dire che tra i due protagonisti vi è una chimica unica. Ed è quella che copre ogni magagna della trama e lo ha reso così popolare. Se sti due a distanza di anni non possono neppure incrociarsi con lo sguardo in pubblico, per il caos che ne è uscito, un motivo ci sarà. O si amano (99% si) o c’è dietro qualcuno di così geniale da aver capito che mantenere la fiamma fra i due farà sempre presa sul pubblico.
Santo Wen Ning che ha rivelato a Jiang Chen la verità sul nucleo d’oro. Ti ho sgamato subito che sei andato al tempio a cercare We Wuxian, per restituirgli il flauto come protezione. Lo avrai odiato, ma alla fine nel momento di maggior rabbia, non sei riuscito a trafiggerlo e alla fine come lo cercava Lan Zhan, lo stavi cercando pure tu e non certo per fare quello che non avevi fatto 16 anni prima! E comunque come in tutti i drammi: il non detto scava fosse profonde come le Marianne!
Ultima cosa il finale.
Quelle benedette collinette me le sono guardate e riguardate. Il punto è sempre lo stesso, solamente spostato di poco. L'idea che mi sono fatta è che non siano passati anni e We Ying sia ritornato. Lui si mette subito a suonare e Lan Zhan lo sente, dice fra se se che il titolo lo conosce già e torna indietro. Da li quello splendido il sorriso da contrapporsi allo sguardo affranto delle scene precedenti quando sembrava dovessero separarsi.
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crazy-so-na-sega · 6 days
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L'amore ai tempi dei lupi
– Sono nato nel 1926, un tempo su queste colline che vedi di fronte a te c’erano dei carbonai, estraevano il carbone necessario per far partire i treni – mi disse poco dopo essersi seduto accanto a me.
Mi aveva chiesto di potersi accomodare su una di quelle panchine della villetta comunale, dove andavo spesso a leggere un libro, perché lì giungeva l’ultimo raggio di sole di quella giornata di ottobre. Oggi non ricordo il suo volto, né so se l’ho mai più incontrato. Cominciò a raccontare senza che gli avessi chiesto nulla, era spinto da un’urgenza comunicativa e non me la sentii di oppormi.
– Devi sapere che sulle colline arrivarono dei lupi, forse scappati dal freddo dell’Abruzzo. Un giorno un carbonaio trovò un piccolo lupetto ferito a una gamba, che cercava di riscaldarsi sulla cenere ancora tiepida, e che era residuo del fuoco che gli uomini, i carbonai, avevano acceso la sera precedente. L’uomo si prese cura del lupetto, lo accudì, gli dava da mangiare, lo metteva a dormire al riparo, finché guarì dalla ferita. La sua natura lo riportò dai suoi simili un giorno che sentì un ululato provenire da un punto imprecisato del bosco.
Non sapevo perché avesse deciso di parlarmi di quella vicenda del lupetto, non sapevo nemmeno quanto di leggendario ci fosse nel suo racconto. Il tono con cui raccontava era così privo di enfasi, ma al tempo stesso così partecipato, che restavo ad ascoltarlo con piacere.
– L’anno successivo quello stesso carbonaio aveva posto della carne all’interno del suo accampamento di fortuna. Una sera, rientrando dal lavoro, trovò sei lupi affamati che gli stavano sottraendo il cibo. Si sentì spacciato. Sbagliava. Il capo – branco era il lupo che egli aveva salvato l’anno precedente. Con una serie di ululati strani, il lupo riconoscente quietò i suoi compari, che continuarono a mangiare la carne senza avventarsi sull’uomo. Il lupo ha buona memoria, a quanto pare.
Anche “l’uomo con gli occhi del 1926” ne aveva, a giudicare da quel che mi raccontava. Non indagai sulla veridicità della storia, del resto lui si limitava a riferirmela, e se anche avesse aggiunto elementi romanzeschi, che ci sarebbe stato poi di tanto grave?
Continuò in una sorta di flusso di coscienza ininterrotto, come spesso accade a coloro che hanno una certa età e che ricordano episodi lontani nel tempo in ogni minimo dettaglio.
Mi raccontò anche la sua personale storia di guerra, che in quanto personale è inevitabilmente soggettiva, condizionata, limitata, ma non per questo meno reale.
Dove oggi sorge un campo di calcetto, all’epoca della seconda guerra mondiale c’erano, almeno stando a quel che mi raccontò l’uomo, quattro cannoni della contraerea tedesca.
– I tedeschi, quelli che stavano nella mia zona, avevano un buon rapporto con la popolazione. Mussolini aveva emanato una legge per razionare il grano, quello in eccesso doveva essere portato all’ammasso.
Sui tedeschi e su Mussolini avevo da ridire, strabuzzai gli occhi e lui colse il mio sgomento, ma poi capii che lui non era un nostalgico fascista, che non ignorava, adesso, quel che il nazismo e il fascismo hanno rappresentato. Solo che “quei” tedeschi, quelli della sua minima e privata storia, non erano orchi, almeno a lui non apparvero tali.
– Gli americani, che erano giunti per liberarci, bombardarono senza stare troppo a distinguere i veri obiettivi delle bombe. Un giorno vidi a 40 – 50 metri da me cadere qualcosa dal cielo, pensavo fossero pacchi di pane o comunque cibo, invece erano bombe, ed è solo per un miracolo che sono qui a raccontarti questa storia. C’era un mulino, le madri di famiglia andavano lì a prendere il pane per sfamare i figli. Un giorno un bombardiere americano sganciò una bomba uccidendo una settantina di persone.
Ascoltavo ripromettendomi di indagare più a fondo sulle vicende, anche se temevo (cosa che infatti accadde) che di lì a pochi giorni mi sarei dimenticato di questo proposito, preso dalle mie questioni personali.
– Poi c’erano i tedeschi cattivi, lo so. C’erano anche tanti italiani che saltarono da un carro all’altro non appena si presentava l’occasione, gli apparati che avrebbero dovuto proteggerci erano tutti corrotti.
Parlava, ripeto, senza retorica, nonostante stesse descrivendo avvenimenti enormi. Pensavo a un uomo di oggi, mediamente inserito, né guerrafondaio né troppo impegnato politicamente, che all’improvviso si trova in mezzo a eserciti, bombe, armistizi, razzie, soprusi, stupri. Per quanti sforzi potessi fare, però, il mio pensiero non poteva neanche minimamente paragonarsi al suo ricordo. Lui aveva vissuto certe situazioni, io no, e questo scava un abisso.Lo ascoltavo, ogni tanto facevo qualche domanda ma lasciavo che fosse lui, se voleva, a raccontare, perché non avevo intenzione di risvegliare ricordi terribili oltre a quelli che già aveva.
Poi, improvvisamente, dopo un po’, cambiò discorso. Prese a parlarmi della sua vita sentimentale, di come aveva conosciuto sua moglie, della sua vita da esule all’estero, per lavoro, dove aveva incontrato italiani disonesti che l’avevano raggirato.
– L’uomo e la donna sono piccole colture selvagge, destinate a rimanere tali fino a che non s’incontrano per germogliare altri fiori. Mia moglie l’ho conosciuta in un pomeriggio del 1950. C’era il sole, come oggi. La vidi seduta di fronte a una bottega. Chiesi a un mio amico di accompagnarmi, mi vergognavo di dirle che mi ero innamorato.
Sorrisi, ripensando a quante volte mi ero sentito stupido nell’infatuarmi così, al primo sguardo. Ebbi la conferma che questo genere di follie erano sempre accadute.
– La mamma della ragazza mi disse che non era il caso. Poi, però, ci frequentammo, ci innamorammo l’uno dell’altro e dalla nostra unione nacquero dei figli. Le piccole colture selvagge avevano dato frutti.
L’uomo con gli occhi del 1926 mi aveva raccontato tutto questo, quel giorno, e ancora oggi non so perché.
– Tu ce l’hai una ragazza? – mi chiese poi alla fine del racconto.
– No – gli risposi sorridendo.
– Quanti anni hai?
– Trentadue.
– Ti facevo più giovane! Ti devi sbrigare, devi trovare una ragazza! – mi disse colpendomi affettuosamente sulla spalla sinistra.
Passeggio ancora per le strade del mio paese. Mi siedo spesso su quella panchina dove due anni fa “l’uomo con gli occhi del 1926” mi affiancò. Non sempre c’è il sole. Quasi mai c’è compagnia.
Oggi pomeriggio ho ripensato a quel giorno, alla sua pacca sulla spalla, alla storia delle “piccole colture selvagge”, alla bottega aperta in una domenica pomeriggio del 1950.
La strada principale del mio paese è illuminata a festa.Fa freddo. Pochi temerari girano per le strade. Ogni tanto passa una coppia. Allora può accadere che mi torni alla mente quella domanda.
– Tu ce l’hai una ragazza?
E’ strano come ciò che un tempo ti avrebbe ferito, solo due anni dopo ti fa sorridere. Non credo che la “maturità” in tutto questo c’entri qualcosa. Piuttosto penso che si tratti di “oblio”. Per essere più preciso: non penso più. Sorrido.
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mccek · 1 year
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Notte nera, notte in bianco
Mi apro un parco tra le paranoie
Nel porto pronto al grande sbarco
Ma questo non mi riguarda
Qualcosa qui non mi esalta
La febbre non c'è ma la temperatura sale su
La notte ha vomitato l'alba nei mari
Lupi di mare mannari
Che fissano una luna in fondo al mare blu
La notte cupa lupa, le sensazioni
Ogni genio prima o poi torna nella teiera
E quella lupa è da una vita che allatta questi due soli
È da una vita che è una strana luna di notte piena
Si fuma dentro una miniera
Chiacchierando con i vermi
Mentre già si stanno trasformando in hummus
Io faccio una preghiera
Per i figli di dio su croci di lamiera
Mentre mi sto trasformando in lupus
Licantropi io guido un autobus notturno
Il capolinea scritto sul display sembra un refuso
Recito ciò che è illecito, sveglio ma taciturno
E mi agito per questo strano turno in cui mi hanno recluso
È tragico, adesso accosto intanto che spengo i fari
Entro nel bosco ed esco con i lupi mannari
Il baffo magico di cranio fermerà il tuo sparo
Facciamo versi strani mettiti al riparo
L’abc del rap italiano Pt.45
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lunamarish · 3 months
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Le più belle fra le due lettere (ed è tutto dire, perché nel loro complesso e quasi in ogni riga sono la cosa più bella che mi sia toccata nella vita) sono quelle nelle quali dai ragione alla mia “angoscia” e nello stesso tempo cerchi di spiegare che non la devo avere. Infatti anch’io, anche se talvolta ho l’aria di essere un corrotto difensore della mia “angoscia”, le do probabilmente ragione nel profondo, anzi sono fatto di essa ed essa è forse la mia parte migliore. E siccome è la mia parte migliore, è forse la sola cosa che tu ami. Infatti, che altre cose potrei avere molto amabili? Questa però è amabile.
E se un giorno domandasti come mai abbia potuto chiamare “buono” il sabato con l’angoscia nel cuore, la spiegazione non è difficile. Siccome amo te (“e ti amo dunque, o donna tarda a capire, come il mare ama un sassolino sul fondo, proprio così il mio amore ti inonda – e possa io essere ancora accanto a te il sassolino, se i cieli lo permettono”), amo il mondo intero, e di questo fa parte anche la tua spalla sinistra, no, fu prima la destra e perciò la bacio se mi piace (e tu sei tanto gentile da scostarvi la camicetta), e di esso fa parte anche la spalla sinistra e il tuo viso sopra di me nel bosco, e il tuo viso sotto di me nel bosco, e il riposo sul tuo petto quasi nudo. E perciò hai ragione quando dici che già eravamo uno e io non ne ho alcuna angoscia, ma questa è la mia unica felicità, unico orgoglio, e non lo limito affatto al bosco.
Franz Kafka, Lettera a Milena
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susieporta · 11 months
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Chi sono io quando non c'è nessuno che mi conosce a qualche livello dal più profondo al più basilare, che stimola parti di me in base al pezzo di vita che abbiamo condiviso o stiamo condividendo? Chi sono io senza la mia storia rispecchiata dagli altri?
Si parla molto di disintossicazione sul piano prettamente alimentare e poco sul piano emotivo e mentale. Siamo così immersi nelle proiezioni nostre e degli altri che finiamo per recitare sempre gli stessi copioni, a pensare che quella persona lì siamo noi e a restringere l’idea di noi in spazi sempre più asfittici che rischiano di renderci incapaci di aprirci a nuovi modi di sperimentare le cose, gli spazi, le persone e in ultima analisi, noi stessi.
Per me la pratica della presenza non ha a che vedere unicamente con il momento della meditazione “formale” in cui sto seduta su un cuscino nel silenzio, per me praticare significa coinvolgere tutte le situazioni della vita: vedere, ascoltare e sentire durante l’intero corso della giornata mantenendo il più possibile uno stato di totale presenza a ciò che accade dentro di me.
L’incontro con una città con la sua struttura ha un forte impatto: dopo tante esperienze da sola in natura ero curiosa di confrontarmi con questa dimensione. Com’è lasciarsi arrivare una città sin dai primi momenti? Che cosa incontro di me stessa? Le mie paure, i miei pregiudizi, i miei pensieri. Com’è il mio respiro? Una città è come un amante sconosciuto: quali parti di me toccherà? Muoversi lentamente e lasciare che questo organismo vivente che è una città dia fondo a me stessa.
Quindi l’obiettivo di questo modo di viaggiare da “praticante” non è l’accumulo di cose da vedere, ma lasciare che la città stessa nella sua complessità pratichi con me attraverso la sua influenza. Diventa così un viaggio privo di meta, un processo continuo in cui immergersi osservando la mia capacità di rispettare ciò che si manifesta in me, di accoglierlo senza intervenire per cambiarla o per lo meno di accorgermi quando cerco di sfuggire. Forse questa potrebbe essere una nuova frontiera del viaggio di gruppo in cui condividere il movimento negli spazi di una città nel silenzio e nell’ascolto profondo di ciò che momento per momento accade in noi: chissà che prima o poi non lo realizzi.
Muovermi da sola in due città molto diverse in pochi giorni è stato molto più sfidante che camminare in un bosco.
Nella mia esperienza il bosco o l’ambiente naturale in generale accolgono e risorsizzano da subito, mentre la città mi ha subito fatto fare i conti con il mio bisogno di sicurezza in tutte le sue forme. La forza con la quale una città si impone mi faceva sentire schiacciata. Mi sembrava che esigesse che mi definissi, un po' come nell’esercizio in cui qualcuno ti pone all’infinito la stessa domanda: “chi sei tu?”.
Stare in uno spazio in cui non poter godere del riconoscimento di qualcuno, sentire di non essere né vista né importante mi ha messa in contatto con il vuoto del mio senso di identità, come se tutto ciò che sapevo di me fosse frutto di immaginazione e fosse del tutto irreale.
Ho accolto questo senso di irrealtà. Giravo un po' come uno zombie con una ferita aperta. Avevo bisogno di camminare tenendomi entrambe le mani sulla pancia che sentivo tremarmi dentro. Osservavo quanto questo tremore mi allontanasse da tutta la bellezza che mi circondava e che a tratti era soverchiante.
La cosa è andata avanti per i primi due giorni. Ad un certo punto mi sono seduta e ho ascoltato tutta la fatica che derivava da una qualche forma di resistenza e di rifiuto di ciò che mi accadeva.
Ho sentito il desiderio di essere accolta, di trovare una qualche forma di rifugio. In quel momento la mia attenzione si è spostata sul suono degli uccelli presenti nello spazio intorno a me che insieme al vociare delle persone creavano una sonorità molto rilassante. Tenendo le mani sulla pancia ho lasciato che questa esperienza venisse accolta da questo spazio sonoro e mi sono addormentata. Quando mi sono svegliata mi sentivo riposata e a qualche livello liberata. In quel momento ho pensato alla forza e alla grazia che si generano dall’istinto di sopravvivenza.
Quel dolore simile ad una ferita che sentivo nella pancia si era trasformato in un senso di pienezza. Mi sentivo finalmente parte. Quelle cose che ho sempre letto sul fatto che praticare e vivere diventano una cosa sola, che la comprensione diviene un’esperienza incarnata, erano qualcosa che sentivo di riconoscere come vere e mi sono sentita a qualche livello a casa.
Quando pratichiamo, tutto pratica con noi.
Gloria Volpato
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acquaconlimone · 6 months
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In fondo il Natale è sopravvalutato, al netto della parte religiosa è pur sempre una nascita cosa che tutte le donne possono fare. Mentre la Pasqua è una storia degna di un fantasy, abbiamo il tradimento non solo di Giuda ma anche di Caifa, il mistero e la tentazione del diavolo nel bosco degli ulivi, la tortura è l'umiliazione della via Crucis per poi virare all'horror con la crocefissione, l'agonia e il grido disperato rivolto al padre poi la morte.
Ma qui entra in scena il colpa da maestro, dopo aver svolto tutti i riti della tumulazione dove la scena viene data a delle donne compresa la Maddalena nota per il suo lavoro quindi passati tre giorni (il numero tre è importante, il Cristo muore a 33 anni) dalla tumulazione abbiamo la trasfigurazione del corpo e della l'ascesa al cielo quindi il trionfo sulla morte 💀.
Poi si aggiunge il soprannaturale cioè l'apparizione di Gesù ai discepoli 40 giorni dopo (v. di San Luca) al cenacolo.
Se non è un capolavoro, poco ci manca.
Buona Pasqua a tutti voi ed ai vostri cari.
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allecram-me · 1 year
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Mi pronuncio
Questo anno bianco di rumore e di umori fugaci è passato, e poche brecce nel muro di quella geometria serrata che ho imposto ai miei giorni hanno derogato il suo ritmo regolare. Praticamente, nel mio tentativo diretto e disperato di agire piuttosto che pensare, mi sono attribuita un sacco di responsabilità nuove, che dovevano avere il gusto della libertà dai vecchi epiteti, e dal naufragio che mi lasciavo alle spalle. Responsabilità estemporanee del tipo di indugiare tutta la serata in cucina, sigaretta dopo sigaretta, chiacchiera dopo chiacchiera - non vivere più sola mi ha posto condizioni che ho abbracciato come venivano, l’affitto sulle spalle lo pago ogni mese senza pensarci, e le bollette non le aspetto: i soldi che ci sono, se ne vanno, col tutto che mi fa meno effetto dello scorrere invano dell’acqua di quelle fontanelle pubbliche che ancora non hanno un interruttore a richiedere al flusso uno scopo. Sono sincera nel dire che non ho più chiesto a me stessa un bilancio, e lo testimoniano tutte le parole che avrei potuto scrivere - pensare - e che, sul serio, non sono venute più fuori. Adesso però sono qui a spolverare i banchi del mio dolcissimo e storico tribunale, e la tentazione potrebbe essere fortissima, è la cosa più animale che una creatura cerebrale come me potrebbe sperimentare in un lasso di tempo molto, moltissimo lungo. Sarà la voce che legge a giudicarmi, mi assolverò o disprezzerò con l’eleganza del distacco, la prossima volta. Poco fa ho fatto esperienza del fatto che questa capacità non si è persa al netto del poco esercizio, e a dire il vero a volte mi capita di trovarmi anche divertente, ma la verità è, credo, semplicemente che mi voglio bene come so voler bene al prossimo, e anche un po’ di più.
Qui giace, dunque, l’ammissione che mi piace davvero raccontare le mie storie, e forse sono a questo punto anche pronta a far pace col fatto che no, non era per le mie energie un percorso obbligato, non c’è determinismo a dettarmi una certa via di fuga alle pulsioni, adesso sì che ho in tasca un sacco di carte, le alternative. Il cerchio lo potrei chiudere dicendo che, in fondo in fondo, questo modo tutto sommato caratteristico di accettare sfaccettature di me attraverso esperimenti di astensione e imbocco della strategia diametrale, per imparare contemporaneamente il limite e l’onnipotenza, è il motore irriducibile di tutte le storie, e probabilmente assomiglia pure all’orizzonte di libertà coltivato in terapia, per quello che m’immagino. Come ballare, parlare in pubblico, non scrivere, disinnamorarsi, vivere in questo quartiere piuttosto ostile, lavorare per persone i cui valori sono il rovescio del mio cielo, fare chilometri a piedi per conquistare un tragitto in treno incredibilmente corto. E in tutto questo, poi, amarmi davvero, pelle, depressione, voce e ossa.
Mi è venuta voglia di farmi un tatuaggio, e di incidermi da qualche parte addosso qualcosa di molto simile a ciò con cui introdurrò nell’arco di un anno la mia tesi di dottorato. L’anima, la salvezza, la legittima, sacrosanta maniera squisitamente soggettiva di tenere insieme queste cose: dio mi fulmini se mi dimentico ancora di questo diritto. Dio mi fulmini se torno indietro. Ci meritiamo tutto: il rispetto, la scienza, e le storie. E anche la pace. Ci meritiamo di dimenticare, di ricordare, e di passeggiare tranquillamente in questo bosco.
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micantino · 8 months
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"In fondo la vita è un bruciare di domande. Crepitano come ceppi di legno, si sciolgono come candele, esplodono come petardi, ardono come carbone, anneriscono come la carta dei libri. Talvolta dalle montagne si avvicina un temporale, le nubi gonfie lasciano cadere al suolo una risposta qua e là, una domanda si smorza. Ma non appena questa si smorza, dai cespugli al di là del bosco, nella radura, spunta un nuovo focalaio, una nuova domanda avvampa. Siamo pompieri, soldatino, impugniamo una manichetta antiincendio dal primo momento in cui l'autocoscienza germoglia in noi, e non la molliamo più"
Ferrovie del Messico, Gian Marco Griffi pag 292
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lunamagicablu · 2 years
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Il suono di una mano sola C’era una volta un grande maestro Zen, e c’era un bambino di 9 anni che lo serviva. Moltissime persone giungevano dal maestro per prostrarsi ai suoi piedi, e chiedergli un koan che potesse aiutarli. Così anche il bambino, un po’ invidioso, decise un giorno, in tutta serieta’, di fare lo stesso. Il maestro rise, ma visto che il bambino insisteva proprio, gli disse: “Prova ad ascoltare il suono prodotto da una mano sola. Quando l’avrai sentito, fammelo sapere.” Il bambino s’impegno’ a fondo, tanto che non dormiva nemmeno la notte. Dopo qualche giorno torno’ dal maestro e disse: “L’ho trovato! E’ il suono del vento che soffia tra gli alberi!”. Ma il maestro scosse il capo: “Non è questo. Prova di nuovo.” E così il bambino s’impegno e s’impegno’, e quasi tutti i giorni tornava dal maestro per suggerirgli qualche suono – inevitabilmente sbagliato. Un giorno il bambino non si trovava da nessuna parte, e il maestro preoccupato mando’ dei discepoli a cercarlo. Lo trovarono nel bosco, assorto a contemplare un albero. I discepoli lo riferirono al maestro: “Non vogliamo disturbare il bambino: sembra possedere la vera natura di un buddha! Forse ha sentito quel suono.” Così fu il maestro ad andare dal bambino, e gli chiese se aveva finalmente sentito il suono prodotto da una mano. Rispose il bambino: “L’ho sentito, ma è privo di suono.” © Poetyca **************************** The sound of one hand clapping There once was a great Zen master, and there was a 9 year old boy who served him. So many people came from the teacher to fall prostrate at his feet, and ask a koan that could help them. So the baby, a little ‘jealous, decided one day, in all seriousness’, to do the same. The teacher laughed, but seeing that the child insisted on their own, said: “Try to listen to the sound produced by only one hand. When you hear that, let me know.” He engaged the child ‘in depth, did not sleep much that night either. After a few days back ‘from the teacher and said: “I found it! It is the sound of wind blowing through the trees.” But the master shook his head: “It’s not that. Try again.” And so the child committed himself and committed himself ‘, and almost every day he returned from the master, prompting some sound – inevitably wrong. One day the child could not be found anywhere, and send the teacher concerned ‘disciples to look for him. They found him in the woods, intent to contemplate a tree. The disciples told the teacher: “We do not want to disturb the child seems to possess the true nature of a Buddha! Maybe he heard that sound.” So the teacher was going to a child, and asked if he had finally heard the sound produced by a hand. The child replied: “I’ve heard, but no sound.” © Poetyca
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"Ma i sentimenti allungano o piuttosto accorciano la vita?” si domandò l'uomo e “sentì” che, per quanto ingiusta fosse, la seconda ipotesi era la più reale se non la più probabile.
Abitarono tre giorni al Lido, in un vecchio albergo che ora non esiste più e che si chiamava: Regina. Le grandi finestre delle immense stanze erano ombreggiate di glicine e di altri rampicanti, campanule parevano colorare le bianche tende ottocentesche e le lenzuola. Lei era nera, con la pelle scottante e si muoveva sulle lenzuola e nei capelli come sulla neve. L’uomo (a cui la febbre era scesa) la guardava: nera sulle lenzuola, oppure nella vasca da bagno, oppure la seguiva con lo sguardo e con il cannocchiale, nuotare lontano nella calma e fidata acqua lagunare tra minuscoli guizzi, ogni tanto. Lei parlava poco e possedeva un’autonomia animale, lenta e armonica, che la poneva in contatto diretto con le cose essenziali ed elementari della vita. Così il suo modo di camminare, di nuotare, di mangiare, di dormire e di amare e così il suo fiato profumato di sangue. Egli si sentiva escluso da questo contatto, perché era un uomo indiretto ma gli piaceva molto vederlo in lei e per questo l’amava. Passarono gli anni, il giovane uomo e la ragazza di nome Maria scomparvero uno dall'altra, insieme al tempo. Ma un altro giorno l’uomo (che era diventato vecchio) si svegliò, come sempre e come tutti i vecchi molto presto, e aprì la finestra: c’era un grande prato d’erba appena falciata nell'ombra, con dei covoni, in fondo al prato un bosco quasi nero con dentro un fagiano, sopra il bosco un cielo limpido e ventoso di settembre, con aria di mare. In mezzo al cielo viola una stella, che scintillava in modo arabo. L’uomo pensò ai giorni qui descritti, soprattutto alla pelle scottante e all'alito profumato di sangue, e nella sua mente di vecchio formulò la parola gioventù.
Goffredo Parise
ph Man Ray
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artide · 2 years
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Ho scoperto fosse SanGiuseppe mangiando una zeppola facendo colazione al bar prima di passeggiare nel bosco nebbioso e pieno di neve. Siamo andati nel mio posto del cuore, c'era tanto silenzio e altro spazio. Lo abbiamo abitato di passi e di parole, di risate lanciandoci dalla discesa, di respiri affannati, di sorrisi.
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Ci siamo ascoltati con attenzione. Io penso che anche tu abbia spazio dentro di te. Io l'ho scoperto da poco, perché prima tutto era ingombro di questa figura che non ne lasciava, che ti assorbiva le energie che si proiettava anche a chilometri anche ad anni di distanza. In fondo non ho ucciso mio padre, ma ho ridimensionato tutto ciò che ha rappresentato. Si è fatto spazio dentro di me. Spazio per sentire, per ascoltarmi, per permettermi e per concedermi. Spazio che ora posso condividere senza comprimere, condividere senza paura. Abbiamo passeggiato insieme oggi e nonostante le parole, le fantasie, c'era il bosco, la neve e c'eravamo noi, senza ingombri.
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viviandthestars · 1 year
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Posizione letto #5
Descrizione: il baldacchino è dotato del corredo scolastico base, con lenzuola, trapunta e il resto della biancheria da letto coi colori di Tosca, più la copertina speciale che ha portato da casa; quest'ultima non è che un patchwork confusionario di diverse sezioni di stoffe, qualcuna raffigurante costellazioni colorate, altre fantasie orientali e via così ( nb è più ampia dell'anno scorso ). Ai piedi del letto si trova un baule che ha conosciuto tempi migliori, consunto ma elegante, in legno di acacia. Sul dorso sono applicate le iniziali V.St.L., in metallo ossidato, così come il lucchetto che lo chiude. Il comodino è stato colonizzato da due terrari, un porta foto rosso contenente uno scatto di coppia con la zia Robyn ( + una polaroid babbana raffigurante Genevieve & la mamma incastrata nella cornice ) e, a rotazione, libri e pergamene di compiti incompleti. Nel cassetto conserva alla rinfusa un set di cappellini a misura di anfibio, la bacchetta, eventuali dolcetti, sticks d'incenso, un'ampolla con dei fagioli, vecchie lettere e un mazzo di tarocchi. 
Abitudini del pg: rispetto all'anno scorso è diventata sfuggente. Non brucia più l'incenso, la sera si infila prestissimo dentro le tende chiuse del baldacchino, di solito per rimanere sveglia fino a tardi con un lùmos acceso, e si alza intorno alle 6am per fare una corsetta mattutina ( quando riesce ) e fiondarsi a colazione puntuale un'ora dopo. Sono degne di nota le sue occupazioni del bagno, di durata biblica. Cerca di non passare troppo tempo in dormitorio, quando non ha nulla da fare — se non è troppo rumorosa — si sposta in sala comune.
Ordine: poco. Il baldacchino rimane ingombro delle coperte sfatte dalla notte, solitamente accartocciate in fondo al materasso e abbandonate così fino al passaggio degli elfi. Il baule, in compenso, viene sempre chiuso e non ci sono mai vestiti sporchi in giro.
Odore: normalmente aleggia solo una fragranza di pulito non troppo appestante e, quando lava i capelli, la nota di fragole di bosco dello shampoo.
Animali: Godrichina, una raganella verde. La si vede spesso e volentieri in compagnia della padrona ( perché costretta, ma non si escludono disperati tentativi di fuga ) e, non di meno, agghindata con capi di vestiario home made e su misura. Quando è sera viene riposta nel suo terrario, cosicché possa abbandonarsi ad un meritatissimo sonno di bellezza. Dal 05.10.79 si è aggiunto anche un giovane camaleonte, anche lui con un terrario dedicato.
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sour-reality · 1 year
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Il primo ricordo che ho di te, è nella culla  quando ancora infante vedevo dalle barre volare i pupazzi,quanto poteva essere divertente lasciarsi sommergere dai peluche morbidi,e lentamente addormentarsi tra le carezze e il calore della casa.
Mi ricordo di te e le storie che mi raccontavi, della Fata Caruba, di flap e flappino i mangiatori di orecchie, del bambino Lucio che grazie alla sua particolare torcia salvò tutti durante la spedizione nel bosco.
Ti raccontavano come una persona forte, sicura, estrosa, un bravo padre, un complice marito, uno stimabile agente penitenziario.
Poi un giorno come il vetro, ti sei spaccato.
La crepa forse si era formata da tempo ma non si vedeva, o almeno fino a quel momento nessuno gli aveva dato tanta importanza.
In fondo chi lo sapeva cosa conteneva quel vaso?
A me non sei mai sembrato un semplice contenitore, nonostante fossi piccola e non avessi possibilità di fare grandi comparazioni.
Eppure tu non eri la semplice natura morta che ora potrei dipingere in un quadro.
Eri più un reperto storico,un anfora antica dalla grande storia.
E fu così che
Scheggiato dall'esperienza, rotto da una società nella quale forse non ti riconoscevi ti sei spaccato..
Tutto ciò che contenevi é fuoriuscito mischiandosi ai frammenti di te che inevitabilmente si sono ricomposti a creare un nuovo oggetto , qualcosa di veramente scomposto, dal tono cubista,  che non si può vedere in un unica direzione ma che va visto da più punti di vista per essere osservato nella sua interezza (se così si può definire).
Per anni mi sono chiesta
Cosa scatena l'accusa nella testa di chi é Vittima di calunnia?
Forse ero affascinata così tanto dai dipinti di Botticelli che quando andai in visita agli Uffizi rimasi folgorata dalla "Claunnia".
Quasi ti rivedevo in mezzo archi,trascinato dalla bellissima protagonista, pettinata e sistemata dall'insidia e dalla frode,al cospetto di Re Mida.
Forse avrei dovuto capirti, cercare di contestualizzare il malessere che sentivi, di darmi una spiegazione logica a ciò che stava accadendo, ma purtroppo non ci sono riuscita.
Le mie risposte avevano il suono vuoto dei ripetuti tentativi d'una pietra focaia,che umida di pianto , generava scintille per un fuoco alimentato di aspro rancore.
Perché io le vedevo quelle sbarre che ti trattenevano,  e notavo il tuo dimenarti, lo sapevo che tu avevi bisogno di vagare libero, di non essere trattenuto da niente
Ma questo era il riflesso dei tuoi occhi, che sempre ti tradisce.
D'aspetto sembravi un uomo tutto d'un pezzo, e il personaggio che avevi creato ti vestiva come seconda pelle.
Cosa nascondevi così segretamente?
Forse la Fantasia, l'estro,la rivalutazione del genio individuale
Tutto ciò che la società aveva represso , tutto ciò che la società aveva etichettato come sbagliato
Tu eri un uomo, e come tale dovevi arruolarti, essere educato alla vita di sforzi e sacrifici rivolti alla famiglia, essere sposato con una donna dalle grandi doti e soprattutto provare solo sentimenti che potessero definirsi virili
Eri sempre stato un ragazzino un po solitario, di certo non il più ricercato dalle donne( non che ti interessasse) , ti eri costruito una radiolina per collegarti  alle varie radio dall'altra parte del mondo, etutte le volte che ne raggiungevi una, ti arrivava la cartolina dal posto con saluti e ringraziamenti per aver ascoltato.
Costruivi insieme a tuo fratello i vostri mondi immaginari , dove il tempo scorreva in modo diverso e tutto diventava paradosso, quasi a sfuggire da quella realtà ,così schematicada essere soffocante.
Però forse crescendo ti sei sentito tanto distante dalla società,hai imparato a mimetizzarti quando dovevi averci a che fare,così nel lavoro ti sei impegnato, ti sei racchiuso nei lati di un quadrato perfetto, coprendo le irregolarità rendendoti conforme a ciò che stavi per vivere.
Alla fine quello era il posto dove eri nato, dove tuo padre prima di te era stato capo, il luogo dove avresti passato otto ore della tua vita per molti molti anni.
Allora hai dedicato tutto te stesso in questo, fino al giorno in cui le persone che definivi famiglia,  ti hanno tradito puntandoti il dito contro.
Per anni ho provato ad immaginare la sensazione che potevi aver sentito il quel momento, ti ho sempre visto come un emarginato, ai confini del mondo, in quel momento ti ho visto precipitare al di là del confine , ti ho visto sparire oltre l'orizzonte, abbandonarci per un po' e riemergendo in un altra forma.
Una forma come dicevo prima, veramente scomposta e irrazionale, espressione di ciò che provavi.
Gli schemi non esistevano più, e anche se la questione si risolse non ci fu mai un vero e proprio ritorno all'ordine.
Giorno dopo giorno, ti sei alimentato di disordine , hai trovato pace nello stato di alterazione,  dell'alcool, delle fantasie erotiche, nell abbandono musicale
Credimi, se ti dico che vorrei dirti
"Immagina di essere ciò che sei"
"E fallo liberamente"
Perché penso di aver capito cosa ha portato il fiume a strabordare..e forse ti preferisco così come un torrente distruttivo ma libero, anzi che  racchiuso nei tuoi argini.
Ma il tuo essere mi manda in confusione, e anche se crescendo impariamo a rimanere in equilibrio so che nel profondo non ho basi bilanciate so che tutto è sempre molto vacillante , e quest'imprevedibilitá forse  genera molta agitazione.
Non mi fa aggiungere nuovi pezzi alla composizione.
Continuo a domandarmi compulisivamente
Riuscirò a finire il dipinto prima che crolli?
La mia intenzione non è mai stata quella di cambiarti
Ma di sperare in un accettazione a cui non sono mai arrivata.
Ti voglio bene
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scorcidipoesia · 2 years
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Riconosco la voce
del sorriso che nuoce
al male che non duole,
il sapere che esi(s)ti
nella poesia che ancora
non ho letto né scritto,
non unico il sentirsi
da lontano, ti tocco
e con le dita sento
il tuo cuore bagnato
e di me dimentico,
ormeggio in fondo al bosco.
Marco Luppi
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