#Casa delle Libertà
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palmiz · 5 months ago
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Se non si familiarizza con il concetto di "vita a debito", tutta ciò che si crede è falsato da mera raffica di menzogne atte a circuire il cittadino facendogli credere che alti principi come la tutela del Pianeta guidino le azioni umane, le decisioni politiche. Così non è ovviamente ed è persino banale spiegarlo. Auto elettrica e casa green sono solo merce venduta da imbonitori per cui politici e giornalisti garantiscono. Così il cittadino crede, crede sempre, come atto di fede per non dover ammettere di non essere mai in grado di maneggiare la verità. Non solo la tassa per entrare in centro: in futuro saranno tassate le colonnine di ricarica (qualora esse prendano piede) per pareggiare il mancato introito delle accise irrinunciabili. Così quelle che di fatto sono restrizioni indirette prendono piede, mettono radici, diventano strutturali. Mobilità ridotta e soldi da sborsare come pegno eterno per riacquistare esigui spazi di libertà che prima erano gratuiti, il tutto sotto l'ombrello della battaglia ideologica di circostanza che ora è il cambiamento climatico e domani chissà: qualcosa ci inventeremo.
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fridagentileschi · 1 year ago
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“Siamo noi, la generazione più felice di sempre.
Siamo noi, gli ormai cinquantenni, i nati tra gli inizi degli anni ’60 e la metà degli anni ’70. La generazione più felice di sempre.
Siamo quelli che erano troppo piccoli per capire la generazione appena prima della nostra, quelli del ’68, della politica e dei movimenti studenteschi. Ancora troppo piccoli per comprendere gli anni di piombo, l’epoca delle brigate rosse e delle stragi nere.
Siamo quelli cresciuti nella libertà assoluta delle estati di quattro mesi, delle lunghe vacanze al mare, del poter giocare ore e ore in strade e cortili, delle prime televisioni a colori e i primi cartoni animati. Delle Big Babol e delle cartoline attaccate alle bici con le mollette da bucato. Delle toppe sui jeans e delle merendine del Mulino Bianco. Dei gelati Eldorado e dei ghiaccioli a 50 lire. Dei Mondiali dell’82 e della formazione dell’Italia a memoria. Di Bearzot e Pertini che giocano a scopa.
Siamo quelli che andavano a scuola con il grembiule e la cartella sulle spalle, e non ci si aspettava da noi nulla che non fosse di fare i compiti e poi di giocare, sbucciarci le ginocchia senza lamentarci e non metterci nei guai. Nessuno voleva che parlassimo l’Inglese a 7 anni o facessimo yoga. Al massimo una volta a settimana in piscina, giusto per imparare a nuotare.
Poi siamo cresciuti, e la nostra adolescenza è arrivata proprio negli anni ’80, con la musica pop, i paninari e il Walkman. Burghy e le spalline imbottite. Madonna e il Live Aid. Delle telefonate alle prime fidanzate con i gettoni dalle cabine e delle discoteche la domenica pomeriggio. Di Top Gun e Springsteen. Dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Delle gite scolastiche in pullman e delle prime vacanze studio all’estero.
E poi c’era l’esame di maturità, e infine il servizio militare, 12 mesi lontano da casa, i capelli rasati e tante amicizie con giusto un po’ di nonnismo. Nel frattempo magari un Inter Rail e infine un lavoro. All’Università ci andavi solo se volevi fare il medico, l’avvocato o l’ingegnere. Che il lavoro c’era per tutti.
Siamo cresciuti nella spensieratezza assoluta, nella ferma convinzione che tutto quello che ci si aspettava da noi era che diventassimo grandi, lavorassimo il giusto, trovassimo una fidanzata e vivessimo la nostra vita. Non abbiamo mai dubitato un istante che non saremmo stati nient’altro che felici.
E, dobbiamo ammetterlo, per quanto il futuro ci sembri difficile, e per quanto questa situazione ci appaia incomprensibile e dolorosa, siamo stati felici. Schifosamente felici. Molto più dei nostri genitori e parecchio più dei nostri figli.
Siamo la generazione più felice di sempre."
Quelli del tempo delle mele
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raccontidialiantis · 5 days ago
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Soltanto colleghi, io e Anna
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Lavoriamo nella stessa azienda da anni entrambi. Io ho più di cinquant'anni e un po’ di… sana pancetta. Anna, il mio capo, ne ha un po’ meno di cinquanta ma è sempre una vera bellezza: piccolina ma con tutte le sue cose a posto e ben soda. Una vera sportiva. In azienda non c'è nessuno che non le sbavi dietro. Malgrado queste differenze, siamo comunque sempre andati molto d'accordo. Tra noi e con gli altri colleghi: battute, frizzi e lazzi quanti ce ne possono stare in una giornata d'impegno costante. Concentrati ogni giorno fianco a fianco, lavorando molto, ma allo stesso tempo stimandoci e aiutandoci reciprocamente. Ognuno poi a casa con la sua famiglia.
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Nell'ambito di cambiamenti di rilievo nella nostra area aziendale di competenza, nell'autunno di due anni fa abbiamo dovuto trasferirci in gruppo in Spagna per un paio di mesi di aggiornamento. Eravamo una decina di colleghi e prendemmo alloggio tutti nella stessa struttura, che offriva stanze attrezzate con cucinino a prezzo conveniente. La sera poi: o tutti al ristorante lì vicino, oppure ci si arrangiava; si comperava qualcosa in rosticceria o al supermercato, quindi si cucinava e mangiava in stanza. Due fili di spaghetti, un petto di pollo, inslata: cose così.
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Un sabato, tutti erano più o meno in giro per la città più vicina, tranne noi due, che avevamo deciso di prenderci una pausa. Comperata un po' di roba, ci siamo trovati quindi a spadellare e mangiare nella sua stanza da soli, io e lei. Dopo una buona cena, a dispetto delle minime condizioni organizzative, un po' di ottimo vino spagnolo, abbiamo fatto due chiacchiere in libertà e un certo grado di antica confidenza ci ha portati a superare la sottile linea di confine che separa la normale amicizia tra colleghi da sentimenti esclusivi di intimità a due.
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Durante una pausa, le ho chiesto a bruciapelo: "Senti un po’: prima che me ne vada a letto, dopo tanti anni, con tutto l'affetto che c'è tra noi due, lontani da casa… me lo dai un bacio?"
"Ma che cazzo dici? Sei scemo?"
"E dai: che ti costa… non lo saprà mai nessuno…"
"Smettila: mi stai imbarazzando e facendo diventare rossa. Ora mi sto arrabbiando. Seriamente…"
"Che scema che sei… sono tristissimo; vabbè: adesso me ne vado."
"No, dai… Con quel muso da bambino deluso... Porca zozza, dai non mi far sentire in colpa… vieni qua… (e mi diede un bacio veloce e leggerissimo sulla bocca)"
"E quello che era? Che siamo: due scolaretti?"
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"Porca troia, stasera… Guarda: basta che la finisci. E mi raccomando: che la cosa resti qui, chiaro?"
Quindi mi gettò le braccia al collo e mi diede un bacio da sballo, succhiandomi la lingua e lavorandosela a lungo.
"Mmmmh… va un po’ meglio…"
"Va un po’ meglio? Cazzo dici: t'ho dato un bacio che avrebbe resuscitato un morto… Mo’ mi incazzo…"
"Ma io per la verità volevo baciarti altro: le tue labbra più private… Quelle in basso…"
"Senti: adesso vai dritto dritto a fare in culo, vai… Stasera propriooo…"
"Va bene, un ultimo disperato tentativo: giuro che se me la fai solo vedere, poi me ne vado nella mia stanza… Cazzo: ci conosciamo da quasi venti anni, che c'è di male a vedersi nudi…"
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"Dai, smettila: adesso veramente non sei più divertente. E togliti dalla faccia quell'espressione da cane bastonato… Mannaggia la zozza… (Fissandomi muta per venti secondi) Guarda: solo perché ti stimo, perché mi hai sempre aiutato in mille maniere… poi però ti levi subito dal cazzo, ok? Che stasera mi stai proprio a far girare i coglioni ad elica… Ti faccio licenziare, sai? Mando un'email al Personale appena esci..." A quel punto, seduta sul letto si tolse le scarpe. Guardandomi fisso negli occhi, si sfilò i sexy-jeans a pelle, poi le mutandine che mi gettò in faccia e infine allargò le sue gambe: bellissime e nude. Un miracolo d'erotismo proprio lì, davanti ai miei occhi sgranati.
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Io allora scesi in ginocchio come se avessi visto la Madonna e mi avvicinai alla sua fica. Ne sentivo l'odore meraviglioso, che era per me un vero e proprio afrodisiaco.
"Aaaah… devo dire che sei proprio stupenda anche qui sotto… sei una strafica, te l'ho sempre detto… sei un vero capolavoro della natura. Sia benedetta tua madre!"
"Seeee: bonasera… Grazie, scemo… Dai… Adesso smamma…"
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Anna aveva le guance rosse come un peperone, mentre si scherniva; ma comunque le si leggeva in viso che era molto lusingata dal mio apprezzamento sincero e che era intrisa di un sottile e sensuale piacere, nel sentirsi così manifestamente desiderata. E non accennava a rivestirsi. Muoveva le gambe a destra e sinistra e così facendo apriva e chiudeva la fica.
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Era un gioco erotico sottilissimo, insolito e bellissimo: per me e per lei. Bellissima, Anna: che ora si trovava in una dimensione nuova, per giunta a fica nuda, esposta e con qualcuno che non era suo marito, un uomo certamente buono, ma che la dava per scontata, come mi aveva confessato più volte. E tutto ciò le piaceva: non avrebbe mai voluto che me ne andassi, ne ero sicuro. Era felice di farsi ammirare la fica e l'ano nudi dal suo collega fraterno e protettivo. Era diventata in quel momento una docile e indifesa peccatrice, ma si sentiva tranquilla e al sicuro, con me; pur trovandosi lontana da casa e dalla sua immagine ufficiale integerrima di moglie e madre di famiglia.
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"Ora per finire la serata in bellezza, posso baciartela rapidamente? Daiiii…. fammelo fare…"
"Noooooo, pazzo! Ma che cazzo dici… non puoi fare sul serio…"
Intanto, allargava un po’ di più le gambe, alzando contemporaneamente il bacino. Avanzava sul bordo del letto fino quasi a cadere, offrendosi chiaramente al mio viso sempre più vicino a quella meraviglia. Ne percepivo l'odore e la vedevo evidentemente umida, palesemente preda del suo desiderio.
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"Guarda, Anna: te le sfioro soltanto e rapidamente con la bocca, queste tue labbra deliziose. Poi mi alzo e me ne vado: giuro… fammelo fare: ti prego… ne ho bisogno, stasera… sono lontano da mia moglie, tu da tuo marito… non puoi farmi morire così: mi struggerò di passione, nel letto…"
"Dai, allora. Uffaaaa… ma tu guarda che cazzo mi tocca fare a me, stasera! Sbrighiamo ‘sta cazzo di faccenda. Vai molto veloce, stronzo…"
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Non me lo sono fatto ripetere e ho immediatamente incollato le labbra alla sua fica, mettendo le mie mani sui suoi fianchi nudi per attirarla e stringermela tutta. E non intendevo sfiorarla romanticamente: ho iniziato direttamente a succhiarla forte e a mangiarla. Non mi sarei staccato da quel vero paradiso in Terra per tutto l'oro del mondo. Lei diceva debolmente:
"Dai, su: ma che cazzo fai… non dobbiamo… adesso staccati e vattene… daiii…. oooooh... maledetta testa di cazzo: eravamo d'accordo… suuu… dai: alzati…. aaaah…
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E sussurrava quelle parole tenendo ben ferma la mia testa contro il suo bacino, che cominciava deliziosamente e sensualmente a muovere. La adoravo letteralmente. Sarei morto, pur di non staccarmi da lei. L'ho odorata, leccata, succhiata e ingoiata per una buona mezz'ora: se la meritava tutta. Giocavo con le sue grandi e piccole labbra; gliele aspiravo forte e le trattenevo, per poi rilassargliele e continuare a leccarla e mangiarla.
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Le infilavo la lingua dentro, la penetravo e guizzavo ovunque. Giocavo con la sua clitoride. In breve, avevo il viso cosparso dei suoi dolcissimi umori ma non riuscivo a saziarmene. Inghiottivo tutto. Respiravo l'aria che sapeva della sua fregna: una vera cura per i polmoni e per l'anima, altro che passeggiata in montagna! Anna mugolava di puro piacere, alzando e abbassando di continuo le anche, pur di farsi leccare dall'alto in basso e in profondità. Mi diceva: “continua, cazzo! Non smettere… si: lecca bene la mia passera e il mio buco del culo. Lo desidero tanto… ooooh, se mi piace... mio marito non me l'ha mai fatto… ma tu d'ora in poi non farmelo mancare mai... ti odioooo… ooooh... bastardo...”
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Venne a più riprese, inondandomi ogni volta il viso di puro miele di donna. Poi non ce la feci più: mi alzai e crollata ormai ogni barriera scopammo nudi come se fossimo marito e moglie che non si vedevano da un anno. Ci conoscevamo troppo, per non desiderarlo entrambi. La stimo moltissimo e quindi con estremo rispetto e impegno le sfondai letteralmente quella piccola fregna stupenda che avevo sempre desiderato. Lei si concedeva tutta e godendo mi diceva: “non dovrà saperlo mai nessuno, mi raccomando… intanto ficcamelo tutto bene dentro… mmmmmh… dai, mettici anche i coglioni…” Le dissi che poteva stare tranquilla: non avrei mai corso il rischio di sputtanare entrambi in azienda e di rovinare due famiglie.
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A quel punto si girò a pancia in sotto, mise un cuscino sotto il bacino che così si sollevò, e allargò le natiche con le mani per offrirmi il culo. Il suo ano, per la magia che solo una donna d'esperienza e innamorata sa fare, si schiuse da solo davanti ai miei occhi stupefatti: era evidente che voleva essere inculata. Quando si dice “ha un culo che parla.” Avevo dato fuoco a un vero vulcano di passione. Volle che le venissi in culo e le sborrai lentamente dentro non so quanti getti! Una dolcissima, insospettabile, nuova puttana era incredibilmente tutta a mia disposizione! Da allora scopiamo almeno una volta a settimana. Non vi dico quanto è brava a succhiarmelo e a ingoiare tutto il mio cazzo! Riesce a farmi venire quando dice lei. Mi è entrata in testa. Sul posto di lavoro massima formalità: nulla di più delle solite battute e assolutamente nessun contatto fisico. Ci bastano gli sguardi di mezzo secondo. E i messaggi di fuoco tramite la nostra chat segreta su Telegram.
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RDA
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susieporta · 10 days ago
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Alberto Sordi ebbe 18 cani, di tutte le razze: li teneva in casa, dormivano sui letti, facevano vita di famiglia. Alla loro morte, li seppelliva nel giardino della sua villa romana. Su ogni sepoltura piantava delle rose a memoria di quelli che lui definiva amici veri e compagni fedeli. Tra Alberto e i cani c’era un rapporto di piena libertà e rispetto tanto è vero che lui li definiva persone.
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diceriadelluntore · 4 months ago
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Storia Di Musica #336 - Neil Young, On the Beach, 1974
I dischi di Agosto avranno come caratteristica che li accumuna la presenza di una spiaggia. Un po' perché è argomento decisivo del periodo agostano, e un po' per l'autoironia che io la spiaggia ad Agosto la vedrò solo di passaggio perché, fortunatamente, è un periodo di grande impegno professionale. La piccola antologia inizia con un disco capolavoro, che è perfetto anche per il titolo ad entrare a far parte di questo piccolo gruppo. Neil Young nel 1974 è ormai un artista pienamente affermato: arrivato dal Canada in California quasi dieci anni prima, nel 1966, attraversa da protagonista la grande stagione del rock californiano, quello legato alla tradizione del folk, che si riafferma dopo la spettacolare, e breve, stagione psichedelica a cavallo tra i due decenni,'60 e '70. Young è protagonista con i Buffalo Springfield, con il più famoso supergruppo degli anni '70, Crosby, Stills, Nash & Young e con la sua parallela attività da solista, che ha inizio nel 1969 quando pubblica il suo prima album a suo nome, Neil Young. È stato anche il fondatore di due gruppi, i Crazy Horse, dall'animo più rock ed elettrico, e gli Stray Gators, più country folk. alternando i due gruppi. Dopo l'uscita dal quartello con David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash, con cui rimane in bellissimi rapporti, nel 1972 pubblica il disco più famoso della stagione folk rock: Harvest (1972) che con le sue canzoni famose ancora oggi ( tra le altre, perle come Heart Of Gold, Old Man, Alabama) diviene un successo mondiale che gli apre definitivamente le porte della fama. Che tra l'altro è un concetto abbastanza distante dallo "Young-pensiero", che ha sempre ritagliato per sé la massima libertà espressiva e creativa. A questo fastidio, si aggiunte un periodo di grandi dolori: le morti per droga di Danny Whitten, il chitarrista dei Crazy Horse, quella del suo roadie più fidato, Bruce Berry, per lo stesso motivo, è un dramma più privato. La sua relazione privata con l'attrice Carrie Snodgress sta giungendo al termine, al figlioletto della coppia, Zeke, viene diagnosticata una forma di paralisi cerebrale. È con questo animo tormento e addolorato che Young scrive in due anni tre dischi che formano la non ufficiale "ditch trilogy", la trilogia del dolore: Time Fades Away (1973), che è il primo allontanamento dalle gioiose armonie folk per un rock più duro, sfilacciato, nervoso e impregnato di cupezza. Il successo è decisamente minore dei precedenti, ma Young non cambia linea e sforna un album ancora più cupo, Tonight's The Night, che in un primo momento la sua casa discografica gli rifiuta: registrato in presa diretta, senza post produzione, è il suono grezzo e cupo di un uomo che sta cercando di trasformare il suo dolore in musica. Verrà pubblicato nel 1975, in mezzo Young registra il disco di oggi, che esce il 16 luglio 1974.
Registrato in moltissimi studi di registrazione, con una caterva di musicisti ad aiutarlo (e ne parleremo tra poco), On The Beach insiste sul dolore e la disperazione ma lascia trasparire una tregua, una speranza. È un disco blues, il canto della tristezza e del dolore per eccellenza, ma che Young puntella di sprazzi di luce, rendendo più distesa e godibile la musica. Eppure è un disco potentissimo, soprattutto per i temi delle canzoni. Walk On ritrova spirito e brio, e See The Sky About To Rain, che risale addirittura come embrione ai tempi di Harvest, solo voce e pionoforte Wurlitzer, quasi sembrano una riappacificazione, ma il resto è ancora rabbioso e dolente. Revolution Blues è la prova: un atto esplicito di accusa contro la società del tempo, con Young che sembra volersi identificare nello psicopatico Charles Manson, con versi rabbiosi quali: «ho sentito che Laurel Canyon è piena di famose star / Ma io le odio peggio dei lebbrosi / e le ucciderò nelle loro auto». I due si conobbero quando Young viveva in una piccola villetta a Topanga Canyon, il Laurel canyon, che una volta era il territorio delle tribù native americane, negli anni '60 era uno dei luoghi della Controcultura losangelina, dove vivevano moltissimi musicsti. Eppure, pur se controversa, la metafora non vuole celebrare la figura di Manson, ma, esorcizzarla attraverso un'identificazione nel senso di colpa collettivo di una società malata. Young diventa nostalgico dell'America rurale in For The Turnstiles, dove compaiono il banjo e il dobro, Vampire Blues è un blues ecologista, tema che sarà sempre al centro delle tematiche di Young, e che ha una curiosità niente male: Tim Drummond "suona" la carta di credito sfregandosela sulla barba di una settimana creando un curioso effetto fruscio. On The Beach, la meravigliosa e dolente ballata da 7 minuti, è una dichiarazione di difficoltà nell'essere una rockstar, esplicitata nel famoso verso «I need a crowd of people, but I can't face them day to day». Motion Pictures (For Carrie) è probabilmente un'amara riflessione sulla sua storia d'amore che sta andando a rotoli e il disco si conclude con i 9, angoscianti e febbrili, minuti di Ambulance Blues, che è una summa del pensiero di Young sulla politica (con i riferimenti alle bugie del presidente Nixon), sulla musica e il suo mondo, persino sui suoi amici Crosby, Stills e Nash, in un periodo dove c'erano insistenti voci di un ritorno a 4. Suonano con lui David Crosby (che suona in Revolution Blues, e si dice impallidì letteralmente nell'ascoltare la famosa e incendiaria strofa, tanto che cercò di persuadere Young a cambiare testo ed iniziò a girare armato per paura che qualche squilibrato facesse come cantato da Young), Graham Nash, e due grandi musicsti della The Band, Rick Danko e Levon Helm, più i Crazy Horse.
Young prese il titolo dell'album da un film, On The Beach di Stanley Kramer del 1959, basato sull'omonimo romanzo di Nevil Shute. Sia il romanzo che il film erano di tipo apocalittico. E in questo senso è da intendere la copertina, leggendaria, che vede Young vestito di giallo di spalle, un ombrellone, le sdraio, la coda di una Cadillac insabbiata e sotto l'ombrellone una copia di un giornale che si riferisce allo scandalo Watergate di Nixon. La scritta del titolo, in pieno eco psichedelico, è di Rick Griffin, il disegnatore ufficiale dei Grateful Dead.
Il disco, pur vendendo meglio del precedente, non ebbe un grande successo, anche perchè la critica lo definì subito un disco "depresso", a cui si aggiungeva la natura quasi anti-commerciale di musica e testi. Tra l'altro, per decenni, il disco fu messo fuori catalogo, e per certi versi fu introvabile, tanto che i vinili degli anni '70 originali valgono oggi una settantina di euro. Questo fece salire l'interesse per il disco fino alle ristampe degli anni '90, ampiamente rivalutato con gli altri due lavori della trilogia del dolore come uno dei momenti più interessanti della ultra decennale carriera di Young. Un disco dolente ma potentissimo. Che non penso sia il migliore da ascoltare in spiaggia.
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occhietti · 5 months ago
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POST IT
📌 Innamorati di una persona che come primo saluto, al mattino usa un "Come stai?". Non perché tu stai male, ma perché per lei la cosa più importante e che tu stia bene.
📌 Innamorati di una persona che ti bacia all’improvviso, senza un motivo, per avere ogni volta l’emozione di un amore che sorprende. Qualcuno che usa gli abbracci invece delle parole quando sei triste, e che invece dei consigli usa il battito del suo cuore per calmarti.
📌 Innamorati di una persona che ti dedica canzoni tutti i giorni, perché ogni canzone gli ricorda te. Per questo tu sei una fragola, una meravigliosa creatura o una bella stronza tutto nello stesso giorno.
📌 Innamorati di una persona che la pensa in modo totalmente opposto a te, ma che ha sempre voglia di ascoltare la tua opinione. Che passi serate intere a spiegarti il suo punto di vista. Che si incazzi in modo esagerato se tu non sei d’accordo, e che vuole fare pace facendo l’amore.
📌 Innamorati una persona che ti prende in giro, una persona che ama ridere più che sorridere.
📌 Innamorati di una persona curiosa, che ama viaggiare e sempre ti ricorderà che casa sua sarà solo dove sono poggiati i tuoi occhi e i tuoi piedi, tutto il resto del mondo fa volume.
📌 Innamorati di una persona che sa isolarsi nella malinconia dei suoi silenzi, che capisce l’importanza di un pianto liberatorio.
📌 Innamorati di una persona che ami la tua libertà, la tua indipendenza e che rispetti le tue scelte. Ma che ogni tanto ti faccia una sfuriata di gelosia, perché in fondo tu sei il suo mondo.
📌 Innamorati di una persona che abbia il miglior odore dell’universo, quello che riconosceresti ovunque, quello unico che solo tu puoi apprezzare. Quell’odore tanto simile alle tue emozioni.
📌 E, alla fine, innamorati di quell’unica anima che potrai mai amare con tutto te stesso. Non accontentarti di un amore mediocre, di un amore che non è amore. Innamorati perché non ne puoi fare a meno, non perché non vuoi stare solo.
- S. LeoNoir
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byronthesecond · 1 month ago
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Camille Claudel
1863 - 1943
Il 19 ottobre 1943, nel manicomio di Montdevergues, si spegneva Camille Claudel, dopo trent'anni di solitudine ed abbandono, aspettando invano la visita della sorella e della madre, alla quale aveva ripetutamente chiesto di essere riaccolta in casa.
" Cara mamma, ho tardato molto a scriverti perché faceva talmente freddo che non riuscivo a reggermi in piedi. Non ho potuto scaldarmi in tutto l’inverno, sono gelata fino alle ossa, spezzata in due dal freddo. (…) Sei ben crudele a rifiutarmi un asilo a Villeneuve. Non farei scandali come tu credi. Sarei troppo felice di riprendere la vita normale per fare qualunque cosa. (…) I manicomi sono fatti apposta per far soffrire, non c’è rimedio, specialmente quando non si vede mai nessuno. È il caso di dire che dovete essere pazzi. Quanto a me, sono così disperata di continuare a vivere qui che non sono più una creatura umana. (…) Non ho fatto quel che ho fatto per finire la mia vita come un numero in una casa di cura, ho meritato qualcosa di diverso."
Camille Claudel, da una lettera dal manicomio di Montdevergues alla madre.
“Tenetevela, ve ne supplico … ha tutti i vizi, non voglio rivederla, ci ha fatto troppo male”, così scrive la madre al direttore del manicomio senza riuscire a perdonarle le sue scelte anticonformiste. In trent'anni di internamento, Camille non ricevette mai una sua visita.
"Mia sorella Camille aveva una bellezza straordinaria, ed inoltre un'energia, un'immaginazione, una volontà del tutto eccezionali. E tutti questi doni superbi non sono serviti a nulla; dopo una vita estremamente dolorosa, è pervenuta a un fallimento completo."
Paul Claudel
§
Sono precipitata in un baratro … Del sogno che fu la mia vita, questo è l’incubo.
"Sono 17 anni che Rodin e i mercanti di oggetti d’arte mi hanno spedita a far penitenza nei manicomi. Dopo essersi impossessati dell’opera di tutta la mia vita…
Il mio povero atelier, qualche povero mobile, qualche utensile che mi ero forgiata io stessa, la mia povera piccola casa eccitavano ancora la loro cupidigia! – L’immaginazione, il sentimento, il nuovo, l’imprevisto che nasce da uno spirito evoluto, tutto questo era loro precluso, a quelle teste murate, a quei cervelli ottusi, eternamente chiusi alla luce, per cui avevano bisogno che qualcuno gliela donasse. E lo ammettevano: “Ci serviamo di una pazza per trovare i nostri soggetti”.
C’è forse qualcuno che nutre almeno un po’ di riconoscenza per chi lo ha nutrito, che sa dare qualche risarcimento a colei che hanno depredata del suo genio? No! Un manicomio! È lo sfruttamento della donna, l’annientamento dell’artista a cui si vuol fare sudare sangue…Mi si rimprovera (crimine spaventoso) di aver vissuto da sola, di passare la mia vita con dei gatti, di avere manie di persecuzione! È a causa di queste accuse che sono incarcerata come un criminale, privata della libertà, privata del cibo, del fuoco e delle comodità più elementari. "
Camille Claudel in una lettera del 1918 al dottore che ha firmato il suo internamento
"Paul, fratello mio, portami fuori da qui… questo non è il mio posto e tu lo sai… Io so che farai di tutto per allontanarti da me, accetterai incarichi all’estero pur di liberarti di me… è così crudele… crudele...Mio caro Paul, devo nascondermi per scriverti e non so come farò a imbucare questa lettera. Perché, renditi conto, Paul, che tua sorella è in prigione. In prigione con delle pazze che urlano incessantemente, fanno smorfie, sono incapaci di articolare parole sensate. Ecco il trattamento che da quasi vent’anni s’infligge a un’innocente. Quando la mamma era in vita non ho mai smesso di implorarla di togliermi di qui, di mettermi in un posto qualsiasi, un ospedale, un convento, ma non in mezzo ai pazzi. Contavo su di te… mi avete trattata come un’appestata. Tu mi dici, Dio ha pietà degli afflitti, Dio è buono… Parliamone del tuo Dio che lascia marcire un’innocente in fondo a un manicomio."
dalle lettere di Camille Claudel al fratello Paul
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curiositasmundi · 2 months ago
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In soli due giorni sono già centinaia le persone uccise in Libano dagli attacchi israeliani. Almeno 500 persone di cui 30 bambini e migliaia i feriti. Alla 79ima Assemblea Generale delle Nazioni Unite in corso a New York il tema è entrato di prepotenza nella discussione. Il padrone di casa, il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, si è rivolto all’Assemblea partendo proprio dal fatto che Gaza sia un “incubo” e che questa situazione non può che portare sempre più caos nella regione. Proprio come sta accadendo ora in Libano. «Dovremmo essere tutti allarmati da questa escalation». Ha continuato ricordando l’abominevole attacco di Hamas del 7 ottobre dello scorso anno, ma aggiungendo che «niente può giustificare questa punizione collettiva al popolo palestinese». Concludendo su un argomento spesso snobbato: l’impunità. Impunità che sembra dilagare per tutti coloro che violano il diritto internazionale, i diritti umani e le sentenze dei tribunali internazionali. Alle parole di Guterres, si sono accompagnate quelle di Josep Borrell. L’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha parlato di situazione estremamente pericolosa e preoccupante all’Assemblea delle Nazioni Unite. «Il mondo non può permettersi che il Libano si trasformi in un’altra Gaza», anche in questo caso sono i civili a pagare tutto il prezzo degli attacchi israeliani in termini di morti e di comunità distrutte. «È il momento di fare qualcosa. Tutti devono fare tutto il possibile per fare tutto questo, al fine di evitare che l’escalation continui in una guerra totale”. Le parole più dure sono state quelle del presidente turco Erdogan. ‘L’alleanza dell’umanità 70 anni fa ha fermato Hitler. Ora deve fermare Netanyahu” ha detto Erdogan intervenendo all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e attaccando ancora Israele e il premier Benjamin Netanyahu. “A causa dei crimini commessi da Israele, Gaza si è trasformata nel più grande cimitero al mondo per donne e bambini”, ma anche il luogo dove ”muoiono i valori morali che l’Occidente dice di difendere”. Di tutt’altro senso sono state le parole del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, all’ONU. Sostenendo che questa guerra in Medio Oriente è stata iniziata da Hamas e Hezbollah, ma che sono stati uccisi migliaia di civili innocenti e che «È il momento che le parti si mettano d’accordo per una soluzione diplomatica». E poi si sono sentite le parole della Presidente del Consiglio italiana Meloni, che negli USA è stata premiata con il Citizen Awards 2024 dall’Atlantic Council (un Think tank statunitense che ha come scopo quello di promuovere la leadership americana e gli accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica). La Meloni ha parlato all’Atlantic Council di come l’Italia sia accanto a chi difende la propria libertà e sovranità, “Non solo perché è giusto farlo, ma perché è nell’interesse dell’Italia e dell’Occidente impedire un futuro nel quale la legge del più forte prevale”. Senza dirlo esplicitamente ha sostenuto così sia la difesa dell’Ucraina, senza sé e senza ma, sia l’aggressione ai “terroristi” che Israele sta compiendo da ormai quasi un anno. Mentre all’Onu si alternano retorica e denunce, ci risuonano ancora nelle orecchie le parole di Marc Botenga, europarlamentare belga di The Left, che in aula a Strasburgo qualche giorno fa aveva chiesto ai suoi colleghi come potessero farsi portabandiera di valori come il diritto internazionale, la democrazia e i diritti umani, mentre l’Unione Europea continua a sostenere Israele. “Parliamoci chiaro, il massacro e il genocidio in corso laggiù sarebbe impossibile senza il sostegno dei paesi e dei governi europei… Perché quando sono i vostri alleati che commettono i crimini a voi va bene? Questa è l’Europa? Questi sono i vostri valori?”.
La guerra in Medio Oriente arriva all’Assemblea dell’ONU. Guterres: “Il Libano non deve diventare un’altra Gaza”
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gregor-samsung · 7 months ago
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“ Tina, nome di battaglia Gabriella, anni diciassette, giovane come tante nella Resistenza. Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità. Nella normalità trovammo la forza per opporci all’orrore, il coraggio, a volte mi viene da dire la nostra beata incoscienza. E così alla morte che ci minacciava, che colpiva le famiglie, gli amici, i paesi, rispondemmo con il desiderio di vita. Bastava aprire la porta di casa per incrociare il crepitare delle armi, le file degli sfollati, imbattersi nella ricerca dei dispersi; partecipare dell’angoscia delle donne in attesa di un ritorno che forse non ci sarebbe stato: ma le macerie erano fuori, non dentro di noi. E se l’unico modo di riprenderci ciò che ci avevano tolto era di imbracciare il fucile, ebbene l’avremmo fatto. Volevamo costruire un mondo migliore non solo per noi, ma per coloro che subivano, che non vedevano, non potevano o non volevano guardare. E se è sempre azzardato decidere per gli altri, temerario arrogarsi il diritto della verità, c’erano le grida di dolore degli innocenti a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio quotidiano alla dignità umana, c’era la nostra assunzione di responsabilità: eravamo pronti a morire battendoci contro il nemico, a morire detestando la morte, a morire per la pace e per la libertà. Vorrei che voi sfogliaste insieme a me l’album di ricordi, con i volti dei miei tanti compagni di grandi e piccole battaglie, fotografie scattate nei giorni della pace ritrovata, quando ci riconoscemmo simili. Mi rivedo, ci rivedo, con i capelli ricci o lunghi, barbe più o meno incolte, vestiti a casaccio, e tuttavia qua e là spuntano una certa gonna più sbarazzina, scarpe basse ma con le calzette colorate, un fermaglio su una ciocca ribelle, la posa ricercata di un ragazzo, e tutti insieme a guardare diritto l’obiettivo, tutti insieme sapendo che il futuro ci apparteneva, tutti insieme: questa era stata la nostra forza, la nostra bellezza. “
Tina Anselmi con Anna Vinci, Storia di una passione politica, prefazione di Dacia Maraini, Chiarelettere (Collana Reverse - Pamphlet, documenti, storie), 2023; pp. 3-4.
Nota: Testo originariamente pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2006 e nel 2016.
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aigiornileggeri · 9 months ago
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Mi ritrovo a 25 anni e l’idea dell’amore come quella dei bambini.
Mi sono ritrovata a parlare con una bambina di amore.
È fidanzata, da un anno, con Francesco.
Prima di lui c’è stato un altro che però è stato rubato dalla sua migliore amica.
Penso che se questo le fosse successo alla mia età si sarebbero strappate i capelli a vicenda e lui ne sarebbe uscito illeso, come succede il 99,9% dei casi. Anche se la colpa non è mai da una sola parte.
Non so perché ora senta la necessità di scrivere quello che mi sta passando per la testa, forse perché ora scrivere a mano non mi basta di più, ho tanto da dire e poca voce per farlo.
Ho sempre preferito scrivere che parlare.
Continuo a scegliere le parole con la stessa accuratezza con cui le mie coetanee scelgono l’outfit (ora ci siamo tutti inglecizzati) che indosseranno per una serata in discoteca.
Io in discoteca non ci sono mai stata, non ho mai fumato una canna, fumo sporadicamente le sigarette, giusto per infliggermi un po’ di dolore.
Dicono che ogni sigaretta fumata accorci la vita di 7 minuti, sto sperimentando la veridicità di questa affermazione.
Non voglio morire.
Sia chiaro.
Quando ci penso ho onestamente paura.
Chiudi gli occhi e tutto finisce.
Non si pensa più.
Le connessioni tra neuroni si fermano.
Niente stimoli.
Niente input.
Niente output.
Tutto tace.
Eppure quante volte aspiriamo nella vita ad un po’ di silenzio?
Sono consapevole che per quanto voglia ciò è impossibile. Almeno da vivi.
Motivo per il quale mi sto quasi abituando all’idea che troverò la pace a cui aspiro una volta morta.
Il discorso sta prendendo decisamente una piega tetra.
Sono una persona abbastanza noiosa.
Non amo il casino.
Mi piacciono le pantofole calde, le coperte, le tisane e i libri.
Non mi piace andare a mangiare fuori, mi piace l’intimità delle mura di casa.
Ma sono consapevole che sono in rotta di collisione con il resto del mondo.
Questo mondo di oggi che deve ostentare tutto.
Ieri sono uscita e c’era un tramonto stupendo a Roma, il volerlo immortalare mi stava quasi distraendo che stavo dimenticando di vivermelo.
E invece l’ho vissuto.
Ho notato ogni piccola sfumatura presente. Nei minimi dettagli.
Io sono così, guardo i dettagli e cerco di leggerli tra le righe.
Sono sempre stata una che ha visto nel piccolo prima di vedere nel grande.
Questa società ci ha abituati ad avere tutto e subito. Pretendiamo di conoscere le persone con lo schiocco delle dita.
PRETENDIAMO.
Non penso ci sia niente di più brutto che pretendere un qualcosa da qualcuno.
È come se lo obbligassimo a fare qualcosa che non vuole per un tornaconto solo nostro.
Ne lede ogni libertà di scelta e di pensiero.
Lo stesso errore si commette quando parlando si dice “io al posto suo…”.
Al posto suo non ci sei.
Al posto suo c’è solo la persona.
Non tu.
Per fortuna o per sfortuna, dipende dai casi, ognuno ha una propria testa e ragiona come meglio crede.
Io ho sempre pensato di ragionare con la testa di una ragazza di 60 anni fa.
Non mi sono mai sentita a mio agio in questa società.
Come un pesce fuori dall’acqua che cerca di tornare al mare.
Non mi sono voluta adeguare alla massa.
Non mi sono mai voluta adeguare a qualcuno.
Per qualcuno.
Rimarrò sola? Non so.
Ho paura? Non so.
Perché le persone cercano di cambiarsi per andare bene a qualcuno?
Capisco lo smussare gli spigoli, ma perché cambiare rinnegando quello che si è?
Io non voglio rinnegare niente di quello che sono.
Qualcuno una volta mi ha detto che siamo la somma delle esperienze che ci sono capitate. Beh, non per vittimismo, ma potrei scrivere un libro per tutte le volte che sono caduta in tutte le maniere in cui una persona può cadere e con la sola forza delle mie braccia mi sia rialzata.
Non penso di avere una vita tragica, ma penso di avere una vita in cui il coraggio le ha fatto da padrona.
Sì, sono coraggiosa.
Questo me lo devo.
In fondo credo che un po’ io mi voglia un po’ di bene, per quanto a volte litighi con me stessa sul perché non riesca a cambiare alcune cose di me che davvero non mi piacciono.
Sono abituata a fare l’elenco dei miei difetti, e non riesco a trovare mai un pregio.
Ecco, coraggiosa è il primo pregio.
Ma tornando al discorso di prima…
Vanno a scuola insieme.
Non si sono visti e neanche sentiti per tutto il periodo dell’estate.
Le ho chiesto allora perché non gli avesse scritto per tutto il periodo e la sua risposta è stata: “Avevo da fare con le amichette.”
Di risposta le ho chiesto se dopo tutto questo tempo lontani era sicura che anche da parte sua ci fosse lo stesso sentimento.
Penso di aver impiantato in lei il seme del dubbio.
Se magari prima ne era convinta, adesso non più.
Eppure 60 anni fa partivano per la guerra, passavano mesi senza vedersi e, se Dio voleva, riuscivano a mandarsi una cartolina ogni tot di tempo.
Ora il dubbio sorge non appena si ha un messaggio non visualizzato.
Maledette spunte blu.
Sorge il dubbio se non si risponde entro un tempo predefinito.
Ed ecco che la vipera del tradimento si insinua nelle nostre menti.
E distrugge tutto.
Con questo non voglio dire che prima non si tradiva, anzi forse era anche più facile tradire prima.
Senza Instagram, senza storie, senza localizzazione, senza messaggistica istantanea, senza chat segrete di Telegram (che ancora non so come funzionino).
Forse c’era una cosa che oggi è difficile trovare: il rispetto.
Ecco, forse ho trovato un altro mio pregio.
La mia famiglia mi ha insegnato a rispettare tutto e tutti.
Non so ammazzare neanche una mosca senza sentirmi in colpa.
Ho imparato il rispetto per ogni forma vivente: animali, piante, persone.
Ho imparato il rispetto per ogni forma non vivente.
Grazie mamma, grazie papà, grazie nonna e grazie zia.
Forse non gliel’ho mai detto.
Prima o poi lo farò.
Loro sono le colonne portanti della casa che sono.
E gliene sarò per sempre grata.
Mi hanno insegnato il senso di sacrificio. E rispettare chi ne fa.
Cerco di mantenere ogni promessa, di renderla reale.
Ma in un mondo che ti fa lo sgambetto più e più volte è difficile, ma continuo ad apprezzare la buona volontà di chi ci prova.
È un mondo malato che sta facendo ammalare anche le persone che ci vivono. Forse gli animali sono gli unici che ne restano illesi.
Quanto può essere cattivo l’essere umano?
Einstein diceva che l’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo inventerebbe mai una trappola per topi.
Siamo davvero così stupidi?
Perché soffriamo di queste manie di grandezza?
Perché questa necessità di prevalere sull’altro e di doverlo sventolare ai quattro venti?
Comunque, continuando il nostro viaggio nella mente di una bambina di 7 anni, dopo aver impiantato in lei il seme del dubbio ho cercato di sistemare la situazione, ormai già distrutta, affermando che in caso contrario avrebbe comunque potuto trovarne un altro. O anche due. Così da avere la riserva.
Lei ha fatto spallucce.
Non penso abbia apprezzato la mia affermazione.
In realtà non l’apprezzo neanche io.
Non nutro grande simpatia per coloro che decidono di intraprendere relazioni parallele. Anzi, direi che (sì, lo so che è brutto da dire), le schifo. E non poco.
Se una persona non ti fa stare bene, bisogna avere il coraggio di lasciarla andare.
Può essere doloroso, ma anche le ferite più dolorose guariscono.
E questo lo so bene, forse daranno un leggero fastidio ogni qualvolta il tempo cambierà.
Ogni qualvolta ti ci soffermerai a pensare.
Mamma dice sempre: “Le cose che non si fanno sono le migliori.”
Ma con quanti punti di domanda ci lasciano?
Quanti finali alternativi si alternano nella mente di una persona?
Sono una persona curiosa.
Ma non nel senso che sia impicciona, mi sono sempre fatta i fatti miei e continuerò a farlo visto che aspiro a campare 100 anni.
Sono spinta da curiosità costruttiva, non mi limito a sapere il fatto in sé, ma mi piace capire, scavare nel profondo. Forse la parola più corretta da usare sarebbe comprendere il perché di una scelta piuttosto che un’altra.
Mi astengo dal dare qualsiasi giudizio.
Mi limito a dare un consiglio, senza aspettarmi che la persona lo segua, anche perché chi è che segue i consigli?
Io sono la prima a non farlo.
Mi piace sbatterci di testa, di faccia, rompermi le ossa, il cuore e l’anima.
Si dice si impari meglio sbagliando e io voglio sbagliare nel modo giusto.
Voglio passare la vita imparando, crescendo, diventando sempre più saggia.
Avrei voluto dire a quella bambina che poi tanto male non è stare soli, conoscersi.
Capire quello che realmente vogliamo.
Quello di cui abbiamo realmente bisogno.
Avrei voluto dirle di non piangere alle ginocchia sbucciate perché il cuore sbucciato quando crescerà farà ancora più male.
Avrei voluto dirle di godersi ogni attimo della sua età.
Avrei voluto dirle di avvicinarsi al mondo dell’amore il più tardi possibile.
Avrei voluto dirle che ha fatto bene a godersi l’estate con le amichette piuttosto che pensare al fidanzato.
Avrei voluto dirle che l’amore se è vero supera ogni ostacolo, ogni distanza, ogni tempo.
Avrei voluto dirle che non deve mai dare nulla per scontato, perché nel momento in cui lo fai tutto perde di valore e non è più come prima.
Non aspettatevi che una persona vi stia accanto per sempre, che vi ami per sempre.
L’amore è un fuoco di paglia, di solito la passione brucia velocemente.
La vera scommessa è alimentarlo.
Vorrei essere brava in questo.
Invece credo che tra le mie mille mila cose da fare non riesca mai ad alimentarlo come si deve, e niente.
Fa la famosa vampa e si spegne.
Azzarderei a dire che quasi a volte l’acqua per spegnerlo sopra l’abbia messa io.
Perché l’amore si identifica con il cuore?
Un muscolo involontario.
Probabilmente perché così come non abbiamo la possibilità di controllare il suo battito non possiamo decidere di chi innamorarci.
Ed ecco lì che capita di innamorarsi di chi probabilmente non avremmo mai detto.
Nel mio caso penso che avrei messo la mano sul fuoco che non sarebbe mai successo, ed invece è successo.
Ho imparato il mai dire mai proprio in questo caso.
E chi l’avrebbe detto che avrei messo le armi per distruggermi in mano a qualcuno.
Mi meraviglio con quanta facilità l’essere umano sia capace di buttare giù tutto quello che costruisce senza nessuna pietà e rimpianto.
Mentre io mi sono ritrovata a dire addio ad una macchina e a dare il benvenuto ad un’altra.
Ho provato il senso di colpa nell’averla quasi tradita per qualcosa di nuovo.
Perché è questo quello che succede nella vita, buttiamo il vecchio per fare spazio al nuovo.
Io sono così legata al vecchio che provo dolore quando lo butto.
Ecco, forse questo invidio a quella bambina, la facilità con cui nel momento in cui il piccolo Francesco deciderà di lasciarla lei troverà qualcun altro e riuscirà a chiudere Francesco in un cassettino della sua memoria che probabilmente non riaprirà mai più.
Io i miei cassetti della memoria li apro e anche spesso.
Maledette domande che attanagliano la mia mente e non la lasciano riposare.
Forse se riuscissi a lasciarmi scivolare tutto addosso sarebbe più facile.
E invece il Padre Eterno ha deciso di farmi cocciuta, testarda e con la necessità di sapere come, quando, dove e perché.
Vorrei poter chiudere tutto a chiave, buttare la chiave in un qualsiasi posto e perderla così da non poter riaprire niente, anche volendo.
Sono masochista.
Non mi taglio, non mi infliggo dolore fisico perché mi basta il dolore dell’anima.
E se per i tagli questi cicatrizzano, non so come possa guarire un’anima mal concia.
Lana Del Rey canta: “Mi amerai lo stesso quando non avrò nient’altro che la mia anima dolorante?”
Mi chiedo se davvero esista qualcuno capace di amare una persona nonostante l’anima che non si regge in piedi.
Ci vuole tanto amore ad amare chi non ci ama.
E ci vuole grande forza di volontà a lasciare andare le persone.
Lasciare andare qualcuno è la più grande forma di generosità.
Come può un rapporto cambiare per “colpa” di una frase sbagliata?
Dicono che la lingua riesca a ferire più di un coltello.
E perché le permettiamo di ferirci?
Sento ancora quel formicolio al cuore quando ripenso ad alcune frasi, che siano belle o brutte.
Nella maggior parte dei casi sono tutte le parole che più mi hanno ferita.
Quelle che più mi hanno fatta sentire inadatta.
Ma non penso di essere inadatta per davvero.
Penso sinceramente che alcune situazioni non vadano con altre.
Ecco di nuovo quella sensazione.
La me di dentro urla, si sta spolmonando. E la me di fuori non riesce a tirare fuori niente.
A volte penso se possa essere liberatorio salire sulla prima montagna e urlare, fino a non avere più aria nei polmoni. Fino ad essere stremati per l’urlo e non per altro.
A volte vorrei farlo.
Poi penso che le persone mi prenderebbero per pazza.
Anche se è mio uso e costume credere che i pazzi stiano fuori e le persone mentalmente stabili siano chiuse nel primo reparto di psichiatria disponibile.
Forse in mezzo a loro troverei la mia pace, chissà.
Vorrei fare un appello a me stessa: smettila di provare a fidarti delle persone.
Sono destinate tutte ad andare via. E tu speri ancora nelle cose irreali.
Chiudi gli occhi e immagini cose che sai anche tu non succederanno mai. E ti addormenti con il cuore un po’ più leggero, perché quello ti da pace.
Perché sono così?
Cos’è che realmente voglio?
O sono solo lo specchio di quello che gli altri vogliono da me?
Vorrei bastare a me stessa.
Essere sicura di me, delle mie capacità, senza il bisogno che qualcuno mi ricordi quanto valga.
Amo stare da sola, e non capisco perché continuo a far entrare persone nella mia vita che la mettono sottosopra.
Inizio ad essere quasi certa di essere masochista.
Sto per prendere il treno.
L’ennesimo.
Quanti treni ho preso, e non ne ho mai perso uno.
Anche quando ero in ritardo.
Sono stata sempre brava a prenderli.
A farli coincidere con altri.
Ad aspettare il meno possibile alle coincidenze.
Non mi è mai piaciuto aspettare.
Non sono una che sta con le mani in mano aspettando che arrivi la manna dal cielo.
Mi sono sempre data da fare, ho organizzato la mia vita in ogni minimo dettaglio e la vita ci ha provato ripetutamente a far saltare ogni mio piano.
A volte ci è riuscita.
A volte no.
Mi chiedo dunque, perché se non riesco ad aspettare un treno che dovrebbe portarmi altrove dovrei riuscire ad aspettare una persona?
Beh, il treno prima o poi arriva e anche se in ritardo a destinazione ci porta.
Ma le persone?
Arrivano?
Tornano?
Riescono a portarti realmente dove vuoi che ti portino?
Non si può decidere dove queste ti porteranno. Bisogna lasciarsi guidare.
E io non sono brava in questo.
Sono stata abituata a guidare, e non riesco a far sì che le persone guidino me.
Eppure io vorrei qualcuno che mi portasse al mare.
Scorrendo la ricerca di Instagram in una di quelle pagine di frasi fatte e depresse ho letto trova qualcuno che ti faccia dimenticare di avere un telefono.
Chissà com’è prendere il treno della vita.
Quello che dicono passi solo una volta.
Quello del hic et nunc, del carpe diem.
Non penso di aver mai colto un’occasione, troppo presa ad organizzarmi la vita che probabilmente mi sono dimenticata di viverla.
Ho messo da parte tutti i sentimenti, cercando di reprimerli.
Li ho messi così schiacciati bene in un cassetto che pensavo di averli sistemati lì a vita.
E invece il cassetto è esploso, lasciando venire fuori tutto quello che credevo di non poter provare.
La depressione.
Se mi avessero detto che un giorno ne avrei sofferto sinceramente gli avrei riso in faccia.
E invece sono qui, a distanza di due anni, con questo mostro dietro le spalle che mi attacca all’improvviso, quando sono più vulnerabile.
E so da me che la spinta per “guarirne” devo darmela da sola, ma le persone che, intorno a me, si limitano a dire: “Dai, su. Muoviti. Se ti fermi è perché sei tu che vuoi stare male” mi istigano sempre di più ad isolarmi.
Mi piace stare sola.
Mi piace l’equilibrio che raggiungo.
Se sto male non devo dar conto a nessuno.
Se sto bene non devo dar conto a nessuno.
Solo a me stessa.
Chissà quale organo ne risente di più.
Il cuore?
Il cervello?
Penso che i miei siano andati entrambi in sovraccarico e il mio esplodere ne è stata semplicemente una conseguenza.
Come se nel cassetto avessi messo più di quanto avrei dovuto e ora non si riesce più a chiudere e tutti i sentimenti repressi siano usciti uno dietro l’altro, sovrapponendosi anche a volte.
Tocco un po’ anche di bipolarismo probabilmente.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che ho riso quando avrei voluto piangere.
Meriterei un oscar come migliore attrice per aver mentito sul mio stato di salute mentale a tutti, compresa la famiglia.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che mentre ridevo pensavo a come sarebbe stato buttarsi dal Canale di Mezzanotte.
Ci sono andata.
Mi sono seduta sul bordo del ponte.
Penso che più di una volta sia stata sul punto di farlo.
Perché non l’ho fatto?
Probabilmente perché io sono ancora qui e posso scegliere di vivere, lei non ha avuto scelta.
E se l’avesse avuta sicuramente avrebbe voluto vivere.
Per cui, mossa da un minimo di lucidità, sono scesa giù e sono tornata a casa, mettendo la maschera perfetta.
Ma non a tutti si può mentire.
E gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Non vedo i miei occhi brillare da un po’.
Chissà se ricapiterà.
E se la nostra vita fosse un libro scritto a penna?
Un cosiddetto manoscritto.
Senza bozza.
Senza margine di correzione, perché si sa, non si può cancellare con la gomma e riscrivere tutto.
Si può solo mettere una linea e andare avanti, fino alla fine del racconto. Fino alla fine del libro.
E lì, dove la penna inizia a incantarsi, arrivano le decisioni prese d’istinto.
Quegli scarabocchi che nessuno riuscirà mai a decifrare, neanche noi.
Perché quelle decisioni prese di pancia sembrano così sensate nel momento in cui le prendiamo mentre con il senno di poi si rivelano dei veri flop?
Perché, a volte, l’istinto prevale sulla ragione, perché autoinfliggersi dolore sperando in qualcosa che sicuramente non capiterà.
La legge di Murphy parla chiaro: se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il danno maggiore sarà la prima a farlo; Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto; lasciate a sé stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio.
E allora mi chiedo, perché si molla la presa in alcune situazioni?
Perché non siamo più così bravi da lottare per quello in cui crediamo?
Perché non mi fido più delle mie sensazioni?
Ho sempre viaggiato con il mio sesto senso.
A volte bene, altre male.
Penso faccia parte del gioco.
Non credo nemmeno si possa pretendere che la vita giri sempre bene, penso sia impossibile vivere una vita senza cadere.
Dovrebbero essere le imperfezioni a rendere le cose perfette.
Il sudore dei sacrifici rende tutto più bello.
Ma ai sacrifici bisogna essere abituati.
E come ci si abitua?
Come può una persona abituarsi alla sofferenza per avere cose belle.
Ma perché si deve soffrire per arrivare al bello?
Per apprezzarlo di più?
E perché non godere delle piccole cose, ma aspettarsi sempre cose plateali?
Perché non compiacersi dei gesti ripetuti, seppur piccoli, ogni giorno, ma riempirsi gli occhi e soprattutto la bocca per un qualcosa che accade una sola volta e per un tempo breve.
Ho rivisto la piccola Giada.
Le ho chiesto di aggiornarmi sulle sue vicende amorose.
Mi sono così appassionata a questa storia d’amore che mi sembra quasi di viverla in prima persona.
Ci siamo sedute a terra.
Ha trovato dietro la tenda del salotto i regoli.
È stato come tornare indietro di quasi 20 anni.
Ricordo l’emozione, quando arrivava il momento dei regoli alle elementari.
La felicità nell’aprire quella scatola che sembrava magica perché quei piccoli rettangoli avrebbero dovuto insegnarmi a contare.
Anche se, diciamocelo sinceramente, tutti li abbiamo usati per costruire la famosa torre.
Apprezzo dei bambini in genere lo stupore davanti alle piccole cose; il trovare il buono e il bello anche nelle piccole cose.
Quelle più insignificanti.
Poi com’è che si diventa così materialisti?
Qual è il preciso istante in cui le piccole cose, anche le più stupide, smettono di bastarci e iniziamo a volere e a pretendere sempre di più?
Ho sempre avuto paura di crescere, di perdere il mio contatto con l’innocenza della tenera età, non essere più considerata la bocca della verità, diventare agli occhi del resto degli adulti una persona che sputa veleno perché dice quello che pensa.
Io non credo di sputare veleno, non penso nemmeno di essere così vipera come mi dipingono. Credo che la verità tendenzialmente faccia paura, fa paura a tutti, anche a me che sembro così dura e tosta.
La verità quando ci viene detta, nuda e cruda, ci spoglia di ogni maschera e ci costringe a guardarci allo specchio, come se fossimo tanti vermi privati di un guscio protettivo.
L’adulto è viscido, e di questo ne sono sempre stata convinta.
Ha sempre secondi fini, non sa bastarsi a sé stesso, cerca perennemente il confronto con altri per sentirsi superiore, non sa competere in modo sano, è cattivo e diventa egoista, egocentrico, cercando di creare una storia in cui risulta essere il protagonista assoluto.
Per non parlare degli adulti nelle relazioni: è un continuo prevalere sull’altro nel 90% dei casi, non si sa più viaggiare l’uno accanto all’altra.
Ho quasi 25 anni e la voglia di provare gli stessi sentimenti di Giada, la voglia che qualcuno provi per me gli stessi sentimenti che prova Giada.
La purezza.
Non perché servo a qualcuno, non mi piace essere sfruttata.
Ho sempre fatto mio il detto: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, ma puntualmente ricevo altro. Ricevo quello che probabilmente se fossi realmente stronza farei alle persone.
Non so sfogarmi, non so buttare giù quello che provo se non scrivendo.
Mi sento così bene quando scrivo.
Non saprei come fermarmi.
Ho tanto da dire, continuo ad avere sempre tanto.
E continuo ancora a meravigliarmi delle mie capacità paragonate a quelle di persone più grandi.
Perché continuo a sottovalutarmi?
Apriamo i regoli, con l’intenzione (ovviamente) di fare la Tour Eiffel.
Iniziamo a mettere da parte tutti i pezzi che ci servono e intanto penso che vorrei essere circondata una vita intera da bambini e animali, dalle anime pure, da chi non fa male a qualcun altro per il puro scopo di goderne; voglio essere circondata da chi se fa male a qualcuno sa chiedere scusa.
Arriva il momento della fatidica domanda, chiederle come fosse andato il ritrovo con Francesco.
Ne ho quasi timore, soprattutto dopo l’ultima chiacchierata, ma i bambini hanno quell’innocenza disarmante contro cui nulla vince.
Il sospiro di sollievo tirato dopo aver saputo che ancora ad oggi stanno insieme è stato rumoroso, tanto da scambiare uno sguardo complice con la mamma.
A distanza di circa un anno io e Giada ci siamo riviste.
Qualcosa è cambiato, io sono cambiata e anche lei.
Se lei è cresciuta in altezza, in bellezza e anche in intelligenza, io sono diventata più vecchia, scorbutica e meno paziente verso ogni genere umano.
Non vedo Giada da un anno e quanto vorrei poter parlarle ancora. Interfacciarmi con lei e con l’ingenuità con cui vede il mondo: senza malizia, senza cattiveria, senza alcun melodramma irrisolvibile.
Mi chiedono spesso perché sia così attirata dai bambini e dagli animali, probabilmente la risposta si trova in questo: non fanno melodrammi e se dovesse accadere la situazione si placa in un tempo così breve da non destare nessuna preoccupazione.
Quanto sarebbe bello tornare piccoli, dove le uniche preoccupazioni sono soltanto i giochi non comprati da mamma e papà, le merende e il pisolino pomeridiano fatto controvoglia.
A ventisette anni il pisolino pomeridiano è quasi diventato un default per me, senza il quale non saprei neanche sopravvivere alle persone che mi sono intorno.
Vorrei tanto sapere di Giada, dei suoi amori, se è riuscita a continuare la sua storia con Francesco, mi piacerebbe dirle che ho trovato probabilmente l’equilibrio a cui aspiravo, ma so che mi guarderebbe interrogativa perché: come lo spieghi l’equilibrio ad una bambina?
Ho paura a dirlo forte, non tutte le persone sono felici se lo sei anche tu, ma ho trovato quella sorta di pace interiore che sembrava non potesse arrivare per me.
Sto per iniziare a fare una cosa che mi piace. Non mi interessa della fatica. Ho scoperto che con le persone giuste accanto sono ancora più forte di quello che credevo. Ho capito chi sì e chi no. Chi mi fa fiorire e chi cerca di estirparmi come un’erbaccia.
Grazie delle delusioni, dei momenti no, dei momenti in piena sbronza, delle scelte sbagliate, dei viaggi in macchina, del mare che calma in inverno e abbronza l’estate. Grazie dell’amore, delle amicizie nate dal nulla, del cuore rotto, dello scudo contro le parole che fanno male. Grazie per le serate a guardare le stelle in balcone con la sigaretta accesa, i lividi addosso per l’equitazione che libera la mente, i lividi dello stress mentale. Grazie per gli addii e le riscoperte di alcune persone. Grazie per il mio essere leggera, saper capire quando essere pesante e quando no, quando farne melodramma e quando no. Grazie perché ho capito quanto valgo, ho capito che non mi accontento di tutti e che chi mi sta accanto lo fa per scelta, per amore e ha rubato un pezzetto del mio cuore e lo custodisce preziosamente. Grazie anche a chi il pezzetto del mio cuore lo ha preso a pugni, a cazzotti e ci ha ballato sopra con la speranza di vedermi a terra strisciare come magari fanno loro. Mari splende anche grazie a voi. Soprattutto grazie a voi.
L’ultima foto non poteva non essere il mio panorama sul mio golfo preferito.
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nusta · 8 months ago
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In questi giorni mi sono concessa un poco di libertà in più e mi sono presa delle ferie. Dico sempre che dovrei farlo più spesso, come per molte delle altre cose che mi fanno stare bene. Tra il dire e il fare, però, bisogna che mi organizzi meglio >_<
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Ho giocato a carte per ore come quando ero piccola, a Macchiavelli (con due C perché a casa mia l'ho sempre chiamato così e quindi ormai è ribattezzato u_u), ho fatto morbide sculture color pastello, ho mangiato cose buone, ho camminato tra piante cariche di foglioline nuove e fiorellini. Avrei voluto rotolarmi nell'erba come F., il cagnolino della mia amica G., ma mi sono trattenuta ^_^
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Ho letto (anche un libro tutto di fila, come mi capita di rado ormai, ma questi di Bianca Pitzorno erano racconti brevi di quelli come le ciliegie, che uno tira l'altro, anche perché le protagoniste erano quelle di Ascolta il mio cuore e quindi ero già affezionata dalla prima pagina, e quella mattina sul balcone si stava proprio bene *_*)
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Ho girovagato per librerie e piccole mostre di illustrazione (avremmo voluto andare alla fiera del libro per ragazzi, ma non siamo riuscite :( sarà per un'altra volta), ho passato del tempo insieme a chi amo e insieme a me stessa e ho ricaricato un poco le energie. Stasera ho anche disegnato, che era da qualche tempo che avevo perso il ritmo, e sulla scia dell'entusiasmo e delle riflessioni su un post sui modi di incanalare l'energia mi sono detta che era proprio il momento di ricominciare u_u
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(P.s. questo è di Anna Kaźmierak, una delle autrici esposte che mi è piaciuta di più - se siete in centro a Bologna passate dalla Salaborsa, dura fino al 5 maggio)
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(questo invece è mio - da un selfie di ieri mattina nel verde *_*)
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Insomma, in questi primi giorni di primavera mi sono sentita come la rosellina che avevo preso un mese fa, che sembrava bruciata dal freddo e dalla mancanza d'acqua e che invece ha messo su le foglioline nuove dopo che l'ho comunque interrata in uno dei vasi in cui avevo spazio. Per i fiori vedremo. Chissà se il quadrifoglio che ha trovato G. porterà anche un poco di fortuna. Intanto ci ha portato un sorriso in quel momento di scoperta fortuita, e forse forse basta questo, in realtà.
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22 notes · View notes
fridagentileschi · 1 year ago
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L’occidente è finito per merito degli occidentali stessi, in gran parte un popolo di rincoglioniti ideologizzati pronti a farsi conquistare. Queste sono invasioni, non c’è altro modo per descrivere la migrazione di migliaia e migliaia di persone di cultura e religione diversa. Questi farabutti sono perfettamente consapevoli che in Italia i criminali sono più tutelati delle persone oneste, quindi la situazione sarà sempre più grave.
L'unica soluzione è rispedire a casa loro tutti quelli che per cultura considerano stupro e omicidio leciti e permessi .
Ma vi rendete conto che da vent'anni a questa parte le libertà di noi italiani soprattutto delle donne e bambini sono sempre più ridotte? Perché nessuno si chiede come mai è pericoloso per i bambini giocare in strada quando fino agli anni 90 era la norma?
Ma davvero questo è arricchimento?
Grazie Europa, grazie ONG e grazie progressisti di sinistra e destra.
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susieporta · 2 months ago
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4 SETTIMANE CHE CAMBIERANNO LA TUA VITA
Quindi, ogni settimana del piano prevede tre compiti da integrare nella tua vita e mantenere per tutto il mese. Idealmente anche più a lungo, ma questo lo decidi tu.
- Settimana 1. Pulizia del corpo e della mente**
Svegliarsi presto, intorno alle 6 del mattino. In questo modo si ottiene del tempo per sé, che durante il giorno manca sempre. Il risultato? Silenzio e tranquillità, puoi occuparti delle tue cose senza distrazioni mentre gli altri dormono. È il momento perfetto per pratiche mattutine, per preparare il corpo a vivere la giornata al 100%. La pigrizia e la mancanza di voglia di alzarsi presto non sono sintomi di stanchezza. Quando la vita risplende di colori, ti alzi con facilità. Oppure... ti alzi con facilità e la vita comincia a risplendere!
Alimentazione leggera. Per i cambiamenti che ci attendono, avremo bisogno di enormi quantità di energia. Attualmente, potrebbe essere impiegata solo per mantenere il corpo in condizioni normali, nonostante gli effetti di alcol, sigarette, cibi pesanti e grassi, dolci, ecc. Ognuno ha la sua lista di debolezze: individua e taglia le tue. Puoi scegliere il tipo di alimentazione che ti sembra più giusta.
Riduci le porzioni e non mangiare abbondantemente prima di dormire. Per il resto, ascolta il tuo corpo o consulta un nutrizionista.
L'importante è non sovraccaricarti con compiti eccessivi per eliminare e digerire tossine. Anzi, facilita al massimo il lavoro del corpo, nutrendolo con cibo sano, leggero e gustoso. Sarai pieno di energia per agire.
Sport. Il tono e la salute del corpo fisico sono condizioni necessarie per la salute spirituale. E il movimento, come sappiamo, è vita. Per risvegliare la vita (e lo spirito) in un corpo stanco, devi muoverti! In qualsiasi modo che ti vada bene. Cerca di muoverti ogni giorno: balla davanti allo specchio prima di andare al lavoro, usa le scale al posto dell’ascensore, fai un allenamento completo in palestra, non importa.
- Settimana 2. Pulizia dello spazio, degli impegni e delle relazioni**
Pulizia dello spazio. Butta via tutto! Ricorda che ogni oggetto in casa non occupa solo spazio, ma anche un po' della tua energia. Anche il più piccolo. Ne vale la pena? Tieni solo ciò che è veramente utile e che ti porta gioia, che ti ispira e che ami.
Pulizia degli impegni. Ricordi da quanto tempo ti riprometti di migliorare il tuo inglese? Quante volte hai promesso di andare a trovare la zia Maria? E quanti punti della lista dei buoni propositi di Capodanno hai rimandato per anni? Ricorda tutte le promesse fatte a te stesso e agli altri. E decidi cosa farne. Hai due opzioni: (1) farlo, (2) cancellarlo per sempre dalla tua lista. Ma se non puoi cancellare la zia Maria, vai subito a trovarla.
Svolgi i compiti anziché portare il peso della responsabilità e dell’insoddisfazione verso te stesso.
Pulizia delle relazioni. Interrompi tutti i rapporti che ti tirano indietro e ti portano depressione. Smetti di frequentare chi ti critica costantemente o chi è sempre insoddisfatto. Taglia con chi non condividi più nulla o con chi non hai niente da imparare. Impara ad andartene e a dire “no”.
Permettiti di essere considerato "ingrato", "maleducato", "pazzo", "stronzo" — se questo è il prezzo della libertà. Eccezione: i genitori. Con loro, credo, bisogna sempre cercare di migliorare il rapporto, per quanto difficile possa essere.
- Settimana 3. Piani, obiettivi e sogni
Scrivi e realizza i piani. Ci è rimasta la lista delle cose da fare dalla settimana precedente. Come ti sembra? Ti dà gioia, entusiasmo e voglia di agire subito? Se no, forse devi cancellare altri punti. O completali e cancellali.
In entrambi i casi, avrai una carica di energia e voglia di vivere. E magari ti verrà voglia di scrivere nuovi obiettivi che ti emozionano davvero. Ricorda ciò che ami o amavi. Pianifica non solo lavoro e denaro, ma anche riposo, tempo con amici e persone care, e tempo per te (questo punto lo dimentichiamo sempre). Scrivi un piano che desideri realizzare, che ti faccia tremare le gambe per l’eccitazione.
Fai della tua vita un libro che ti piacerebbe leggere.
Poi aggiungi al libro scadenze e passi concreti.
Lista delle incredibilità. Uno dei miei esercizi preferiti. Lo pratico ancora, e ogni volta divento più audace (e pensare che sembrava impossibile!). Consiste nel scrivere una lista di sogni che non si avvereranno mai. Sogni così incredibili e irraggiungibili che sembrano impossibili. Parliamo di cose come dominare il mondo o scalare l’Everest (e hai già 89 anni).
Spegni il critico interiore e immagina che tutte le possibilità del mondo siano ai tuoi piedi, pronte a realizzarsi con uno schiocco di dita. Hai tutto il tempo, i soldi, le connessioni, e le abilità di cui hai bisogno. Cosa vorresti?
Pianifica ogni giorno. Ogni sera, scrivi un piano per il giorno successivo. Breve, approssimativo, come preferisci, ma deve esserci. E fallo la sera — è importante. Anche se non lo segui per niente, la tua produttività aumenterà. Garantito!
E non dimenticare di rivedere il piano generale e chiederti: sto andando nella giusta direzione? Verso cosa? Mi sto muovendo davvero? Perché?
- Settimana 4. Espandere i confini
Prova a vivere diversamente. Nelle piccole cose. Vai al lavoro facendo una nuova strada. Entra in un bar sconosciuto o in un negozio molto costoso. Prova un nuovo sport. Fai qualcosa che non hai mai fatto prima.
Ogni giorno, mentre fai le tue cose, chiediti: cosa posso fare in modo diverso proprio ora? Crea l’abitudine di provare cose nuove, allontanandoti gradualmente dalle solite routine.
Esci dalla tua zona di comfort. Ovviamente, se hai fatto tutto quanto detto finora, hai già fatto un bel passo fuori dalla zona di comfort. Ma qui andremo oltre, affronteremo le tue paure. Non solo le guarderemo negli occhi, ma le affronteremo. Hai paura delle altezze? Facciamo paracadutismo. Hai paura del tuo capo? Vai da lui con nuove proposte. Hai paura delle nuove compagnie? Vai a una festa da solo, senza nasconderti dietro una conversazione con amici. Imparerai a gestirti in queste situazioni.
Riposa. Pensavi fosse solo lavoro? No. Riposo obbligatorio fuori casa, senza internet e in solitudine. E fornisci a te stesso un feedback onesto. Cosa è successo? Come è andata? Quali cambiamenti ci sono stati? E come vivere dopo tutto questo?
Quello che ti aspetta a metà di questo percorso (non dico alla fine, perché è una strada infinita) supererà le tue aspettative. Facendo queste (semplicissime!) cose quotidianamente e integrandole nella tua vita, sentirai armonia e potenza, vedrai la luce alla fine del tunnel e il sentiero che ti mostrerà la giusta direzione. Col tempo, quel sentiero diventerà una strada.
Buona Pratica
Luigi Silvestri
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diceriadelluntore · 7 months ago
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Storia Di Musica #325 - Family, Music In A Doll's House, 1968
L'edificio della copertina del disco di oggi è una casa. Ma di quelle delle bambole. È anche, come per una vera casa, un susseguirsi di ambienti legati, di storie. Il disco di oggi è, unanimemente, uno dei più particolari e preziosi dischi degli anni '60 e, aggiungo io, uno dei miei preferiti in assoluto. Tutto inizia a Leicester, inizio anni '60. Roger Chapman, che già ha qualche esperienza in piccoli gruppi, forma i Farinas, con suoi amici del Leicester Art College: Charlie Whitney, che suona la chitarra, Jim King che suona il sassofono, Harry Overnall e Tim Kirchin, quest'ultimo poi sostituito da Ric Grech. Registrano un primo singolo, per la Fontana, dal titolo You'd Better Stp / I Like It Like That del 1964, che ha un piccolissimo successo. Cambiano nome in Roaring Sixties e pubblicano un nuovo singolo, We Love The Pirates, nel 1966. A questo punto cambiano nome in Family, per l'abitudine di fare tutto insieme, e quando Rob Townsend sostituisce Overnall vanno a Londra. Qui in poco tempo si diffonde la notizia che in città c'è un gruppo che mischia in maniera totalmente innovativa blues, folk, jazz, e ha un cantante che ha una voce incredibile, calda, ruvida e trascinante. Nel 1967 pubblicano la loro prima grande canzone Scene Through The Eye Of A Lens, e firmano un contratto per la Reprise, etichetta fondata nel 1960 da Frank Sinatra, che cercava più libertà d'espressione dalla sua etichetta storica, la Capitol Records. Il disco di oggi, che esce nel 1968, fu il primo di una band Inglese distribuito negli Stati Uniti dall'etichetta (che nel 1968 faceva già parte della Warner Bros.).
Music In A Doll's House passerà alla storia già solo per il titolo: infatti uscirà poche settimana prima del disco dei Beatles che John Lennon voleva chiamare con lo stesso titolo (che riprende il famoso testo teatrale di Henrik Ibsen nel 1879). Lennon fregato dall'accaduto decise poi di pubblicare il loro ultimo lavoro, un disco doppio, con la copertina bianca semplice e dal semplice titolo The Beatles (capolavoro immenso della storia della musica). Quello che rende quest'album tra i più enigmatici e inventivi di quegli anni è che fu, all'atto pratico, l'anello di congiunzione storico-musicale per quello che pochi mesi dopo diventerà il progressive. Prodotto da Dave Mason dei Traffic (Inizialmente l'album avrebbe dovuto essere prodotto da Jimmy Miller, ma quest'ultimo era già impegnato nelle registrazioni di un altro capolavoro, Beggars Banquet dei Rolling Stones), il disco sciorina in 15 brani brevi (uno solo sopra i 4 minuti) una varietà incredibile di creatività, la musica della casa di bambole apre ogni volta stanze differenti: blues revival e canti gregoriani nella stessa canzone (la favolosa Old Songs New Songs), sanno giocare con il fascino dolciastro del r&b (Hey Mr Policeman), sanno suonare il miglior beat sound inglese, come i riferimenti a Kinks e Traffic di due gioielli come Me My Friend e la languida Mellowing Grey, passano con disinvoltura al folk rock (Peace Of Mind) senza disprezzare puntatine verso la psichedelia all'epoca nel fiore della sua potenza, con il sitar orientaleggiante di See Through Windows. E come dimenticare i violini e la voce "da brividi" che aprono The Voyage, prima di trasformarsi in un saltellante rock? O lo sgangherato God Save The Queen che chiude la circense 3 X Time? I brani sono intervallati da piccoli intermezzi strumentali, chiamati giustamente Variation: Variation On A Theme of Hey Mr. Policeman, Variation On A Theme Of The Breeze e Variation On A Theme Of Me My Friend. In Old Songs New Songs suonano non accreditati la band di Tubby Hayes, virtuoso del sassofono, e alcuni arrangiamenti per archi furono effettuati dall'allora 18enne Mike Batt, che diventerà in seguito grande produttore e per anni presidente dell'Industria Fonografica Inglese. La band gira a mille, usando strumenti all'epoca innovativi come il Mellotron suonato proprio da Dave Mason, il sassofono tenore e soprano di Jim King, il violino e il violoncello di Ric Grech (il quale l'anno dopo lascerà la band per suonare il basso nei Blind Faith assieme agli ex-Cream Eric Clapton e Ginger Baker e a Steve Winwood, in pausa dal suo progetto principale, i Traffic). Ma la vera bomba è la voce di Roger "Chappo" Chapman, un ruggito blues indimenticabile, dall'animalesca vocalità, che segnerà un'epoca, e farà moltissimi seguaci (Peter Gabriel dei Genesis, che nascevano proprio in quelle settimane, ne prenderà nota).
La carriera della band proseguirà per qualche anno ancora, fino al 1973, con grandi album (tra tutti Family Entertainment, Anyway e Fearless), con una delle copertine più belle degli anni '70 (il vecchio televisore anni '50, sagomato nell'edizione originale di Bandstand del 1972) e la nomea di band degli eccessi, idea questa che venne "prepotentemente" sottolineata dai racconti che una famosa groupie, Jenny Fabian, che nel suo romanzo Groupie non usò molta fantasia per nascondere i nomi dei nostri nel raccontare le pruriginose avventure dei nostri. L’ultimo concerto della Family avvenne al Politecnico di Leicester, il 13 ottobre del 1973, e si racconta che il party post concerto fu altrettanto memorabile. Degno finale di una delle più suggestive e talentuose formazioni musicali di quegli anni.
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abr · 1 year ago
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"...e ognuno deve scegliersi il suo. Il Presidente della Regione Emilia mi risponde così, ma non argomenta su nulla. Ognuno può giudicare. Resto convinto che la mutazione del ruolo della donna nella società sia una delle causa della denatalità e del cambiamento della struttura della famiglia e della educazione dei figli. Continuate cosi #Binaccini, continuate così e scriverete un’altra pagina ridicola della storia".
Bonaccini é davvero due scimmie su tre: non vedo non sento ma lo stesso parlo e sparo cazzata. E non è tra i più ignoranti di là, figurarsi gli altri.
La soluzione non è "donne a casa", è libertà informata, opzioni economiche, azzerare le pressioni sociali dis-umane sinistre, sempre dirette ad oggettivizzare i più deboli e manipolabili - poveri, donne, omo, migranti; corretta informazione sui ruoli biologici - come del resto richiesto ad alta voce per i maschi - ruoli che prima o poi il loro conto psicologico lo presentano, care gattare e dal covid pure canare.
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arcobalengo · 1 month ago
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Il 15 ottobre è per tutti noi una data scolpita nel cranio: il giorno peggiore, dove la benedizione dell'esserci e di essersi potuti incontrare ha avuto la sua massima espressione.
E' giusto ricordare quel giorno come simbolo del buio dell'era moderna, come punto di partenza per una evoluzione ed elevazione anche spirituale, dalle quali si è partiti per disconoscere come realtà tutte le favole urlate e dense di propaganda provenienti dal dualismo destra - sinistra, che per centinaia di anni ha tenuto furbescamente banco distraendo le persone dal problema reale: chi ha vissuto questo periodo col coraggio tipico dei ribelli, porta nell'anima e sulla pelle i segni che ci hanno condotto ad un livello nuovo di consapevolezza, profondo quel che basta per comprendere che gli unici schieramenti mai esistiti sono o "con l'elite" o "contro l'elite".
Le ferite che ci siamo procurati in questo cammino, talvolta bruciano ancora e oggi più che mai sentiamo la necessità di chiarire che NOI NON DIMENTICHIAMO.
Per abbattere il muro eretto fra vaccinati e non vaccinati, fra pro e contro gree pass, occorre ristabilire innanzitutto una linea di rispetto che tenga conto di tutte le sensibilità esistenti senza prevaricarne nessune, e questo non significherà MAI accettare di dimenticare il 15 ottobre.
Ci battiamo per il diritto all'autodeterminazione e qualunque intervento che possa violare anche solo idealmente i confini corporei o spirituali a casa nostra si definisce stupro.
Il trattamento sanitario imposto all'epoca se anche fosse stato efficace contro l'influenza per noi non avrebbe comunque avuto giustizia di essere imposto: il bene personale e individuale, le convinzioni della persona e le sue idee, non possono essere violate e sacrificate in nome di un bene superiore, poiché la libertà è essa stessa IL bene superiore, e perché ogni intervento esterno modifica con prepotenza il percorso che ogni anima deve fare per darsi le risposte ataviche e naturali che l'essere umano si pone da sempre.
Non dimentichiamoci dei bambini, ancora oggi tristemente ostaggio della Legge Lorenzin, esclusi dalla frequenza dei servizi per la prima infanzia e vedono noi, genitori della libera scelta, additati continuamente come autori di epidemie.
Non dimentichiamoli, proprio noi che abbiamo vissuto questa apartheid.
Siccome nulla accade per caso, il 15 ottobre 2024 siamo stati svegliati dalla notizia che il 25 ottobre sull'app IO (la stessa usata per il green pass), saranno disponibili nel wallet o portafoglio digitale la patente, la tessera sanitaria ed eventuale carta europea della disabilità per 50.000 italiani, possibilità che verrà estesa a tutti i cittandini entro il 05/12/2024.
Il fine non è mai stato la vaccinazione: il fine era ed è il green pass, perché a quel test la popolazione ha risposto in massa "presente!", dimostrando all'elite che la paura di perdere quel millimetro di stabilità è in grado di farci sacrificare chilometri di libertà.
Facciamo un appello affinché tutti pretendiamo il diritto ad una vita che ci garantisca gli stessi diritti anche senza smartphone: il punto centrale, il nodo della questione, è proprio questo, ovvero il diritto alla disconnessione e alla non digitalizzasione, mantenendo lo stesso diritto di accesso ai servizi di e per tutte le persone.
Vi salutiamo con delle righe ribelli che siano anche in grado di diffondere speranza:
ci è sempre piaciuto parlare di persone, più che della gente.
Le persone combattono, la gente si arrende.
Le persone insistono, la gente arretra.
Le persone scelgono la strada difficile, quella che non conviene, ma è giusta.
Nulla di quello che facciamo noi attivisti è conveniente: non ci candidiamo, non becchiamo un soldo ( al massimo qualche condanna, ma ormai non ci si fa nemmeno più caso).
Noi siamo persone, siamo quelli che non mollano mai, che non si nascondono e hanno la sfrontatezza di dire e dimostrare a tutti che tutti possono dichiarare guerra all'elite anche senza sovrastrutture.
NOI SIAMO QUELLI CHE MUOIONO IN PIEDI, PERCHE' IN GINOCCHIO LASCIAMO STARE I SERVI.
Concludiamo: una nota la facciamo al DDL 1660. NESSUNO che sia favorevole al green pass e ora si batte contro il ddl 1660, detto anche decreto sicurezza, ha la nostra stima.
Lottare contro alle leggi liberticide sifgnifica recuperare una dimensione di rispetto fra essri umani, al netto della retorica, delle favole pesanti, dell'ideologia dei partiti, della zavorra che opera da sempre per dividere gli oppressi e distrarre dall'oppressore.
Invitiamo tutti quelli che si riconoscono in questo pensiero a collaborare per fermare il ddl 1660 e per attuare i progetti di comunità che non chiedono, ma pretendono con la loro stessa esistenza, un netto cambio di passo verso un mondo diverso.
L.T
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