Tumgik
#1968 L'Espresso
tina-aumont · 4 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Tina Aumont, Luigi “Gigi” Proietti, Carla Cassola and Tinto Brass while filming L’Urlo (Tinto Brass, 1968).
Enhanced photos from Italian newspaper “L’Espresso”, 13th October 1968. Shared by Andrea Montez (thank you very much sweetie 😉 💖
65 notes · View notes
fotopadova · 7 years
Text
Carla Cerati tra fantasia e realtà
di Etta Lisa Basaldella 
 --- Un altro anno sta per finire. Per concludere questo 2017, Gustavo Millozzi mi ha chiesto di poter ripubblicare un’intervista che feci a Carla Cerati nel 1977 nella sua casa di Via Monte Rosa.
Avevo conosciuto Carla alla ‘"Galleria Il Diaframma" in via Brera 10 a Milano: il cenacolo fondato, con grande generosità e lungimiranza, da Lanfranco Colombo, dove tutti noi fotografi ci davamo appuntamento.
Lei era vivace, provocatoria, sensibile, generosa e dura allo stesso tempo, con quegli occhi nocciola a punta di spillo sempre vigili, alla ricerca di vedere oltre e di cogliere "l’attimo fuggente", i tratti del volto segnati e decisi, la frangetta fulva a sparigliare le idee.
E’ stato un incontro di quelli che ti segnano profondamente, ti arricchiscono, dai quali esci con un’energia ed una carica di vita straordinarie, anche se gli argomenti trattati sono stati tra i più scabrosi e drammatici, ma presi in considerazione con il dovuto rispetto!
Ho reincontrato Carla Cerati, questa volta per ritrarla sulla terrazza dell’Hotel Danieli a Venezia, quando fu finalista al ‘Premio Letterario Campiello’. Era allora una fotografa affermata, che si stava facendo strada anche con la scrittura! Il suo libro aveva un taglio autobiografico e mi aveva colpita molto, perché avevo trovato nel suo stile letterario la stessa carica umana che c’era nelle sue immagini! Carla Cerati se ne è andata a solcare altri cieli nel febbraio del 2016. Quanta strada aveva percorso da quando l’avevo conosciuta!
Mi ha molto toccata il sapere che nel suo sito, aveva un blog, nel quale aveva riportato la frase conclusiva della nostra intervista del ’77.
Alla mia domanda: "Cosa provi quando riesci a fare una fotografia proprio come l’avevi pensata?"
Ha risposto: "Un’allegria folle!"….
Lei era così e mi piace riproporvela così com'era …….
Tumblr media
                          ©Etta Lisa Basaldella, Carla Cerati, 1977
-------------
•  Fotografa scrittrice o scrittrice fotografa? 
"L'una e l'altra - afferma Carla Cerati - Sono comunque due attività - ben precise che coesistono, ma non si fondono; é sempre l'osservazione della realtà eseguita in due modi diversi usando due mezzi diversi; la fotografia mi serve per documentare il presente, la parola per recuperare il passato".
Di origine bergamasca, Carla Cerati è cresciuta in una famiglia borghese con tutte le limitazioni che ne possono derivare: il concetto principale è che la donna sta a casa a fare la madre di famiglia, spingendo alla ribellione un carattere come il suo che, dietro ad una figura dell'apparente fragilità, cela una forza d'animo, una testardaggine, una volontà propria di chi, maturata una certa decisione, la porta avanti fino in fondo costi quel che costi.
Tumblr media
© Carla Cerati, Ospedale psichiatrico, 1968 
E nei suoi scritti è raccontato il travaglio della sua metamorfosi personale.
"Il problema base è che la donna vive chiusa in casa e non ha alcun contatto con l'esterno, arriva ad una totale repressione culturale, ad un disinteresse, un'apatia, si sente come a San Vittore dove si sta dentro a quattro pareti e non si sa niente di quello che succede fuori. Ad un certo punto è questione di sopravvivenza, tu capisci che muori, che non senti le cose, non hai più niente da dire e allora te ne vai. Molli tutto e non pigli neanche la valigia".
Nella fotografia Carla documenta la sua analisi sociale della realtà, la sua osservazione dei comportamenti umani, partecipazione come presa di coscienza del momento storico in cui si trova coinvolta a vivere.
" Ho cominciato a fotografare nel '60, la spinta è stata nel cercare una realtà più interessante che non fosse il piccolo mondo che mi stava attorno: i bambini, gli amici. Con una Rollei che mi aveva venduto mio padre, ho avuto l'occasione di fare la fotografia di scena in una commedia di Del Buono per la regia di Enriquez al quale le mie foto sono piaciute e me le ha comperate. Per sei mesi ho frequentato un circolo fotografico, ma non l'ho trovato interessante".
Tumblr media
© Carla Cerati, Ospedale psichiatrico, Firenze 1968 
• Quali sono i limiti, secondo te, di questi circoli che continuano a proliferare?
"I limiti sono nel fatto stesso che considerano la fotografia un hobby, con tutto quello che comporta fare una cosa per hobby: mancanza di spinte reali, dove davanti a delle difficoltà uno si ferma, c'è il lavoro vero che occupa la maggior parte del tempo per cui si possono dedicare solo i sabati e le domeniche, mentre il professionista, se gli chiedono di fare un servizio, nel momento che accetta deve realizzarlo qualsiasi siano le difficoltà che può incontrare. E poi era un hobby costoso, per cui ho pensato che doveva pagarsi da sé. Approfittando del fatto che mia figlia andava a scuola di danza, ho fotografato il saggio finale per la direttrice e con le stesse immagini sono andata da Tumiati che allora era direttore dell'Illustrazione Italiana, ne è rimasto colpito tanto da incaricarmi di fare un'inchiesta sulla scuola. E' stata la mia prima pubblicazione".
Tumblr media
© Carla Cerati, Ospedale psichiatrico, 1968 
E poi da free-lance Carla Cerati ha cominciato a collaborare con Vie Nuove, l'Espresso… parla di queste sue esperienze con tono un po' più annoiato, chissà quante volte è stata costretta a ripetere la sua storia! Questo credo sia uno dei lati negativi della notorietà. Il suo sguardo si riaccende quando le chiedo dell'esperienza che ha fatto con Franco Basaglia a Gorizia.
"Basaglia voleva fare un libro fotografico sulle istituzioni negate. Le cose però andavano troppo per le lunghe perché nelle caserme è difficile entrare, nelle carceri impossibile, allora abbiamo deciso di farlo solo sui manicomi ed è uscito "Morire di classe". A questo punto ho cominciato a considerare la fotografia come operazione di denuncia. Era il '68. Nel '69, con le bombe di Piazza Fontana, ci è arrivata addosso una realtà politica travolgente. Di qui la mia indagine ha preso una direzione ben precisa: la strategia della tensione, i processi politici, le rivolte operaie. Tutti fatti che si potevano smentire con le parole, non con le immagini".
• Il reportage è il genere di fotografia che senti di più. Cosa cerchi nelle persone?
"Quello che non si nota a prima vista, un modo di essere che magari uno maschera dietro un atteggiamento, non so, l'angoscia, la noia, tutta una serie di collegamenti, di legami col mondo esterno che mi piace catturare. Mi diverto o soffro. Nel momento in cui ho fotografato un suicida ho avuto un grosso problema, mi dibattevo con me stessa per decidermi. Pensavo: allora faccio l'avvoltoio, il paparazzo. Quale indiscrezione entrare nella vita privata della gente. Ma uno dice: allora è inutile che faccia questo mestiere. Da un lato non vorresti varcare il limite che ti separa dalla vita degli altri, poi però ti lasci prendere dall'aggressività. Sai, anche nei manicomi c'erano dei malati che non volevano farsi riprendere, era chiaro che facevo una violenza, pur avendo la convinzione di fare una violenza che serviva loro".
• Ti senti realizzata nell'aver scelto questo lavoro?
"Vivere del mestiere che ti piace credo sia il massimo della realizzazione. Comunque mi sento realizzata anche quando scrivo malgrado che finora non è che mi abbia dato da vivere".
Tumblr media
© Carla Cerati, Ospedale psichiatrico. Parma, 1968 
• Ma che tipo di personaggio è il fotografo?
"E' un matto, un matto in libertà. Alle volte penso veramente di essere pazza: l'altra notte alle 5 mi ha preso il raptus di mettermi a stampare dei 50x60, che non dovevo consegnare a nessuno, da dei negativi che avevo lì da tempo e che mi piacevano da morire. Tu capisci, all'improvviso metti delle enormi bacinelle con grande scomodità in una piccola camera oscura. Chissà perché? non potevo farlo l'indomani?!". E' una domanda affermazione che non attende risposta questa. Più che rivolgerla a me, è come se parlasse con se stessa in tono scanzonato. Gesto consueto, meccanico, che inconsciamente dà sicurezza, continua ad accendersi una sigaretta dopo l'altra, puntandomi addosso quel suo sguardo da cerbiatta, si passa una mano sul caschetto di capelli ramati, si liscia la frangia da adolescente che le copre la fronte, sorride di un sorriso dolce di una persona che ha raggiunto un suo equilibrio al di là delle problematiche della vita.
• Cosa provi quando riesci a fare una fotografia proprio come l'avevi pensata?
"Un'allegria folle".
----------------
Questo articolo è stato già pubblicato il 24 marzo 1977 sulla rivista “7 Giorni Veneto”.
---------------
1 note · View note
Text
BASTABUGIE - CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
Ecco la biografia non autorizzata che nel 1998 svelò tutti i retroscena della Comunità di Sant'Egidiodi Sandro Magister
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è dal 16 novembre ministro. Non degli affari esteri, come lui stesso aveva sussurrato qua e là di desiderare, ma pur sempre della cooperazione internazionale, un incarico in rima con l'epiteto di "ONU di Trastevere" applicato ad arte alla sua comunità. [...] Di lui esistono ricche e radiose biografie. Ma ce n'è anche una non autorizzata, mai oggetto di alcuna smentita, la cui lettura è stata sempre proibita ai seguaci di Sant'Egidio. Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt'uno. Quando uscì su "L'Espresso" era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto: SANT'EGIDIO STORY. IL GRANDE BLUFF (Da "L'Espresso" del 9 aprile 1998) Hanno la loro cittadella a Roma Trastevere, in piazza Sant'Egidio, in un ex convento di monache carmelitane con la chiesa. Ma non tengono nessuna targa sul portoncino. Lì a fianco c'è una caffetteria snob, "Pane amore e fantasia", con l'insegna tipo pellicola da cinema e la foto di Gina Lollobrigida, ma non c'è scritto che è della comunità. Anche la loro messa del sabato sera è da qualche tempo clandestina. La dicono a porte chiuse dentro la vicina basilica di Santa Maria, che raggiungono attraverso un labirinto di locali e cortili interni. Perché ormai sia la basilica, sia quasi tutti gli edifici attigui sono loro dominio, compresi i due palazzi antichi sulla piazza grande. In uno c'è un mercatino di cose vecchie e curiose, "La soffitta". Anche di questo non c'è scritto che è della comunità. Sant'Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d'accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all'inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: "Wonderful people", meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene. TRA OPUS DEI E DALAI LAMA Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant'Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l'omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un'istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all'obbedienza. Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta "l'Onu di Trastevere" non è un'organizzazione laica tipo "Médecins sans frontières", ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant'Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni. Sono stati quelli di Sant'Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d'ogni credo. Da allora, Sant'Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l'ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private. Con questi precedenti, Sant'Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell'Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano. IN PRINCIPIO FU CL Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant'Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant'Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l'organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c'è già il nocciolo duro di Sant'Egidio d'oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l'aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant'Egidio. MONACI DEL NUOVO MILLENNIO Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant'Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l'edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d'un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero. Segue la fase monastica. Con una spruzzata d'orientalismo. In vacanza, quelli di Sant'Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un'impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s'immaginano "celibi per il Regno dei cieli" e "monaci nel deserto della città". Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all'insegna dell'"ora et labora", dove il "labora" sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia. LA SCOPERTA DEL SESSO Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell'estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell'eremo di Macereto, un po' tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul "nuovo monachesimo" e prendono il via i primi matrimoni. Resta l'obbedienza assoluta a quello che era di fatto l'abate indiscusso, Riccardi. Il quale, intanto, s'è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l'anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l'interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant'Egidio è tutto un via vai di cardinali d'ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali. La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant'Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c'è una scuola materna, con un'aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell'aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L'idillio tra Giovanni Paolo II e Sant'Egidio sboccia così. L'innamoramento è l'estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più. ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant'Egidio l'ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano. Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant'Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato "che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster", un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan. MARTINI FOLGORATO Altro cardinale protettore di Sant'Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un'altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant'Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all'inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l'etichetta di donna traviata. "La nostra Maria Maddalena", la definivano i suoi censori. IN GUERRA PER LA PACE C'è forte contrasto, in Sant'Egidio, tra il proscenio e il retroscena, tra le attività ´ad extra´ e la comunità ´ad intra´. Prendiamo le iniziative di pace, quelle degli anni Novanta, la fase geopolitica della storia della comunità. Sulla ribalta del mondo, Sant'Egidio si batte indiscutibilmente per la pace e la democrazia. Se una critica le viene fatta, è che sceglie i suoi teatri con fin troppa cura di sé. Sì in Burundi, in Algeria, in Sudan, anche a costo di contrariare le Chiese del luogo. No a Timor Est e nel Chiapas. Questione di concorrenza. Il Nobel per la pace assegnato nel 1996 al vescovo di Timor, Carlos Filipe Ximenes Belo, è stato per Sant'Egidio una doccia gelata. Quanto al Chiapas, tra i candidati rivali al Nobel c'è anche lì un vescovo star, quello di San Cristóbal de las Casas, Samuel Ruiz García. Ma la democrazia vale per quelli di fuori. Dentro la comunità non ce n'è ombra. "Perché anche la Chiesa dev'essere così, non democratica", teorizza con i suoi discepoli Riccardi. La gerarchia interna è rigidissima e in trent'anni di vita della comunità lui solo è sempre stato al comando. Ma rigide sono anche le divisioni per sesso: ai maschi la diplomazia, la geopolitica, il pulpito, la cattedra, l'altare; alle femmine il sociale, le mense, gli anziani, i bambini. E così le divisioni per generazione e per classe. La struttura della comunità di Sant'Egidio ha al culmine il gruppo dei fondatori, oggi tra i 40 e i 50 anni. Sono 120 circa, ma è come se fossero i dodici apostoli: un ´unicum´ cui nessuno può aggiungersi. Poi, in subordine, viene la seconda generazione. Che è a sua volta divisa in due rami: da una parte la Pentecoste, i borghesi, quelli che hanno fatto gli studi; dall'altra la Resurrezione, il popolino, quelli di borgata. Il reclutamento dei giovanissimi è anch'esso separato: per la Pentecoste nei licei, per la Resurrezione nelle scuole professionali di periferia. LE SACRE GERARCHIE La messa del sabato sera, quella del top della comunità, è da sempre una fotografia perfetta delle gerarchie interne. Sull'altare c´è il gruppo dei fondatori, da una parte le donne, dall'altra i maschi, ciascuno al suo posto prefissato. Nella navata ci sono una rappresentanza scelta della Pentecoste più qualche elemento della Resurrezione e gli ospiti di riguardo. Riccardi è alla regia: non solo tiene la predica, ma comanda anche le luci da una piccola consolle. E chi nella comunità cade in disgrazia perde sia il suo ruolo nella messa che il suo posto in chiesa: Claudio Cottatellucci, uno dei capi della prima ora, che per anni aveva avuto l'onore di leggere dall'ambone l'Antico Testamento, si ritrovò di punto in bianco cacciato giù nella navata. La processione d'uscita al termine della messa è anch'essa un rito gerarchico. Tornati i preti in sacrestia, il primo ad alzarsi è Riccardi, seguito in fila indiana dagli altri maschi dell'altare, in ordine d'autorità. Poi ecco Cristina Marazzi, la numero uno delle donne, con le altre dietro in fila. Infine il rompete le righe per quelli della navata. QUINTA COLONNA AL "CORRIERE DELLA SERA" Il terremoto più grosso, al vertice di Sant'Egidio, risale a sei anni fa. Riccardi annunciò che avrebbe lasciato a un altro la presidenza per dedicarsi con più libertà alla cura spirituale della comunità. Ma quando si arrivò al voto nel comitato centrale, la sua indicazione non cadde su Andrea Bartoli, che da sempre era stato il numero due e in gioventù era stato di Riccardi l'amico intimo, ma su Alessandro Zuccari. Di norma l'indicazione di Riccardi è legge. Non si discute, si esegue. Ma quella volta accadde l'inaudito: l'unanimità fu infranta. Zuccari fu eletto, ma anche Bartoli ebbe dei voti. E i suoi sostenitori uscirono allo scoperto: Agostino Giovagnoli, l'intellettuale fine del gruppo, quello a cui spettava tenere le omelie ogni volta che Riccardi era assente; sua moglie Milena, numero due delle donne; Paola Piscitelli, futura compagna dello stesso Bartoli; Roberto Zuccolini, giornalista al "Corriere della Sera", il primo quotidiano italiano. Questa fronda non chiedeva maggior democrazia dentro la comunità: perché quanto a dispotismo, Bartoli aveva fama di terribile maestro dei novizi. Il dissenso era di strategia. Bartoli e i suoi contestavano un chiodo fisso di Riccardi: l'idea che la comunità di Sant'Egidio dovesse restare marcatamente papalina e romana, anche nelle sue filiali estere d'Europa, d'Africa, d'Asia e d'America. Volevano più autonomia per le periferie della comunità. Mentre Riccardi era ed è un accentratore estremo. LA GUERRA DEI DUE ANDREA La guerra tra i due Andrea durò per tutto il 1992, con i fautori di Riccardi che tenevano i loro conciliaboli al Caffè Settimiano, a Trastevere. E alla fine il gruppo antipartito fu sgominato. Bartoli fu spedito in esilio a New York, dove è tuttora. Suo fratello, Marco, fu cacciato dalla filiale di Napoli, di cui era il primo responsabile. Altre filiali a Genova e in Germania, che erano pro Bartoli, furono commissariate. A Giovagnoli furono tolti il pulpito e la cura delle relazioni con l'Asia. Zuccolini invece lo recuperarono: al "Corriere della Sera" era troppo prezioso e il partito di Riccardi ci teneva ad averlo dalla sua. Salirono così di grado, assieme a Zuccari, solo i fedelissimi del fondatore. Sono gli stessi che oggi compongono il gruppo dirigente, ciascuno con le sue mansioni: Marco Impagliazzo, Mario Giro e don Vittorio Ianari si occupano di Islam e mondo arabo, dall'Algeria al Sudan; Roberto Morozzo Della Rocca e don Paglia dei Balcani; don Marco Gnavi e Adriano Roccucci dell'Oriente ortodosso, dalla Serbia alla Russia; don Zuppi dell'Africa; Valeria Martano, moglie di Zuccolini, di Istanbul e dell'Asia; don Ambrogio Spreafico, che è anche diventato rettore della Pontificia Università Urbaniana, degli ebrei; Alberto Quattrucci e Claudio Betti degli annuali meeting interreligiosi sul modello del papa ad Assisi; Gianni La Bella di sponsor e sovvenzioni; Cristina Marazzi, intramontabile numero uno delle donne, di assistenza; Mario Marazziti, suo marito, di pubbliche relazioni. E i preti? Sant'Egidio ne ha oggi una dozzina. Tolti Paglia e Spreafico, venuti da fuori, gli altri sono cresciuti tutti in casa, senza passare per i seminari diocesani. A decidere chi deve diventare prete è la comunità, ossia Riccardi. E a consacrarli basta un vescovo amico, nell'attesa che vescovo lo diventi uno di loro. Paglia è il candidato. Fermo al palo da anni. Se in Vaticano esitano a dare il via libera alla sua ordinazione è perché c'è finora un solo, troppo discusso precedente di comunità con un suo vescovo speciale: l'Opus Dei. Il timore è che Sant'Egidio diventi un'altra Chiesa nella Chiesa. Ma la spunteranno. Quelli di Sant'Egidio sono pochi di numero. Faticano a reclutare nuovi seguaci e subiscono molti abbandoni. Ma si definiscono "la formica capace di imprese grandi con piccoli mezzi". Sono una lobby potente. Condizioneranno il conclave che eleggerà il prossimo papa. Nessun magnate di Chiesa li vuole avere nemici. Riccardi lo dice spesso ai suoi: "Dobbiamo apparire più di quello che siamo. È il nostro miracolo. Il grande bluff".
0 notes
ultimavoce · 7 years
Text
Intervista a Wlodek Goldkorn: "in una situazione di crisi abbiamo bisogno di un capro espiatorio"
I suoi #genitori sono scappati dagli orrori della #SecondaGuerraMondiale : l'ex responsabile culturale de "L'Espresso" ci parla della sua #autobiografia e analizza la situazione contemporanea.
Per molti anni responsabile culturale de «L’Espresso», Wlodek Goldkorn ha lasciato la Polonia, sua terra nativa, nel 1968 e vive a Firenze. Ha scritto numerosi saggi sull’ebraismo e sull’Europa centro-orientale. Goldkorn è co-autore con Rudi Assuntino de Il Guardiano e con Massimo Livi Bacci e Mauro Martini di Civiltà dell’Europa Orientale e del Mediterraneo(Longo Angelo, 2001), nonché, tra i…
View On WordPress
0 notes
tina-aumont · 4 years
Photo
Tumblr media
Luigi “Gigi” Proietti and  Tina Aumont while filming “L’Urlo” (Tinto Brass, 1968).
Enhanced photo from Italian newspaper “L’Espresso”, 24th November 1968.
🌟 Shared by Andrea Montez (thank you very much sweetie 😉 💖) 🌟
27 notes · View notes
tina-aumont · 4 years
Photo
Tumblr media
Tina Aumont in L’ Urlo.
L’ Espresso-1968.
🌟Andrea Montez, thank you very much for this article, Tina looks extremely beautiful in this film!! 💖💖💖 (L’Espresso, 13th October 1968).🌟
20 notes · View notes
tina-aumont · 4 years
Photo
Tumblr media
Tina Aumont in L’ Urlo.
L’ Espresso-1968.
🌟 Andrea Montez, thank you very much for this article, Tina looks extremely beautiful in this film!! 💖💖💖 (L’Espresso, 24th November 1968). 🌟
18 notes · View notes
Text
BASTABUGIE - CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
Ecco la biografia non autorizzata che nel 1998 svelò tutti i retroscena della Comunità di Sant'Egidiodi Sandro Magister
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è dal 16 novembre ministro. Non degli affari esteri, come lui stesso aveva sussurrato qua e là di desiderare, ma pur sempre della cooperazione internazionale, un incarico in rima con l'epiteto di "ONU di Trastevere" applicato ad arte alla sua comunità. [...] Di lui esistono ricche e radiose biografie. Ma ce n'è anche una non autorizzata, mai oggetto di alcuna smentita, la cui lettura è stata sempre proibita ai seguaci di Sant'Egidio. Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt'uno. Quando uscì su "L'Espresso" era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto: SANT'EGIDIO STORY. IL GRANDE BLUFF (Da "L'Espresso" del 9 aprile 1998) Hanno la loro cittadella a Roma Trastevere, in piazza Sant'Egidio, in un ex convento di monache carmelitane con la chiesa. Ma non tengono nessuna targa sul portoncino. Lì a fianco c'è una caffetteria snob, "Pane amore e fantasia", con l'insegna tipo pellicola da cinema e la foto di Gina Lollobrigida, ma non c'è scritto che è della comunità. Anche la loro messa del sabato sera è da qualche tempo clandestina. La dicono a porte chiuse dentro la vicina basilica di Santa Maria, che raggiungono attraverso un labirinto di locali e cortili interni. Perché ormai sia la basilica, sia quasi tutti gli edifici attigui sono loro dominio, compresi i due palazzi antichi sulla piazza grande. In uno c'è un mercatino di cose vecchie e curiose, "La soffitta". Anche di questo non c'è scritto che è della comunità. Sant'Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d'accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all'inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: "Wonderful people", meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene. TRA OPUS DEI E DALAI LAMA Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant'Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l'omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un'istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all'obbedienza. Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta "l'Onu di Trastevere" non è un'organizzazione laica tipo "Médecins sans frontières", ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant'Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni. Sono stati quelli di Sant'Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d'ogni credo. Da allora, Sant'Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l'ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private. Con questi precedenti, Sant'Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell'Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano. IN PRINCIPIO FU CL Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant'Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant'Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l'organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c'è già il nocciolo duro di Sant'Egidio d'oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l'aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant'Egidio. MONACI DEL NUOVO MILLENNIO Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant'Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l'edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d'un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero. Segue la fase monastica. Con una spruzzata d'orientalismo. In vacanza, quelli di Sant'Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un'impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s'immaginano "celibi per il Regno dei cieli" e "monaci nel deserto della città". Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all'insegna dell'"ora et labora", dove il "labora" sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia. LA SCOPERTA DEL SESSO Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell'estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell'eremo di Macereto, un po' tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul "nuovo monachesimo" e prendono il via i primi matrimoni. Resta l'obbedienza assoluta a quello che era di fatto l'abate indiscusso, Riccardi. Il quale, intanto, s'è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l'anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l'interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant'Egidio è tutto un via vai di cardinali d'ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali. La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant'Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c'è una scuola materna, con un'aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell'aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L'idillio tra Giovanni Paolo II e Sant'Egidio sboccia così. L'innamoramento è l'estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più. ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant'Egidio l'ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano. Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant'Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato "che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster", un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan. MARTINI FOLGORATO Altro cardinale protettore di Sant'Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un'altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant'Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all'inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l'etichetta di donna traviata. "La nostra Maria Maddalena", la definivano i suoi censori. IN GUERRA PER LA PACE C'è forte contrasto, in Sant'Egidio, tra il proscenio e il retroscena, tra le attività ´ad extra´ e la comunità ´ad intra´. Prendiamo le iniziative di pace, quelle degli anni Novanta, la fase geopolitica della storia della comunità. Sulla ribalta del mondo, Sant'Egidio si batte indiscutibilmente per la pace e la democrazia. Se una critica le viene fatta, è che sceglie i suoi teatri con fin troppa cura di sé. Sì in Burundi, in Algeria, in Sudan, anche a costo di contrariare le Chiese del luogo. No a Timor Est e nel Chiapas. Questione di concorrenza. Il Nobel per la pace assegnato nel 1996 al vescovo di Timor, Carlos Filipe Ximenes Belo, è stato per Sant'Egidio una doccia gelata. Quanto al Chiapas, tra i candidati rivali al Nobel c'è anche lì un vescovo star, quello di San Cristóbal de las Casas, Samuel Ruiz García. Ma la democrazia vale per quelli di fuori. Dentro la comunità non ce n'è ombra. "Perché anche la Chiesa dev'essere così, non democratica", teorizza con i suoi discepoli Riccardi. La gerarchia interna è rigidissima e in trent'anni di vita della comunità lui solo è sempre stato al comando. Ma rigide sono anche le divisioni per sesso: ai maschi la diplomazia, la geopolitica, il pulpito, la cattedra, l'altare; alle femmine il sociale, le mense, gli anziani, i bambini. E così le divisioni per generazione e per classe. La struttura della comunità di Sant'Egidio ha al culmine il gruppo dei fondatori, oggi tra i 40 e i 50 anni. Sono 120 circa, ma è come se fossero i dodici apostoli: un ´unicum´ cui nessuno può aggiungersi. Poi, in subordine, viene la seconda generazione. Che è a sua volta divisa in due rami: da una parte la Pentecoste, i borghesi, quelli che hanno fatto gli studi; dall'altra la Resurrezione, il popolino, quelli di borgata. Il reclutamento dei giovanissimi è anch'esso separato: per la Pentecoste nei licei, per la Resurrezione nelle scuole professionali di periferia. LE SACRE GERARCHIE La messa del sabato sera, quella del top della comunità, è da sempre una fotografia perfetta delle gerarchie interne. Sull'altare c´è il gruppo dei fondatori, da una parte le donne, dall'altra i maschi, ciascuno al suo posto prefissato. Nella navata ci sono una rappresentanza scelta della Pentecoste più qualche elemento della Resurrezione e gli ospiti di riguardo. Riccardi è alla regia: non solo tiene la predica, ma comanda anche le luci da una piccola consolle. E chi nella comunità cade in disgrazia perde sia il suo ruolo nella messa che il suo posto in chiesa: Claudio Cottatellucci, uno dei capi della prima ora, che per anni aveva avuto l'onore di leggere dall'ambone l'Antico Testamento, si ritrovò di punto in bianco cacciato giù nella navata. La processione d'uscita al termine della messa è anch'essa un rito gerarchico. Tornati i preti in sacrestia, il primo ad alzarsi è Riccardi, seguito in fila indiana dagli altri maschi dell'altare, in ordine d'autorità. Poi ecco Cristina Marazzi, la numero uno delle donne, con le altre dietro in fila. Infine il rompete le righe per quelli della navata. QUINTA COLONNA AL "CORRIERE DELLA SERA" Il terremoto più grosso, al vertice di Sant'Egidio, risale a sei anni fa. Riccardi annunciò che avrebbe lasciato a un altro la presidenza per dedicarsi con più libertà alla cura spirituale della comunità. Ma quando si arrivò al voto nel comitato centrale, la sua indicazione non cadde su Andrea Bartoli, che da sempre era stato il numero due e in gioventù era stato di Riccardi l'amico intimo, ma su Alessandro Zuccari. Di norma l'indicazione di Riccardi è legge. Non si discute, si esegue. Ma quella volta accadde l'inaudito: l'unanimità fu infranta. Zuccari fu eletto, ma anche Bartoli ebbe dei voti. E i suoi sostenitori uscirono allo scoperto: Agostino Giovagnoli, l'intellettuale fine del gruppo, quello a cui spettava tenere le omelie ogni volta che Riccardi era assente; sua moglie Milena, numero due delle donne; Paola Piscitelli, futura compagna dello stesso Bartoli; Roberto Zuccolini, giornalista al "Corriere della Sera", il primo quotidiano italiano. Questa fronda non chiedeva maggior democrazia dentro la comunità: perché quanto a dispotismo, Bartoli aveva fama di terribile maestro dei novizi. Il dissenso era di strategia. Bartoli e i suoi contestavano un chiodo fisso di Riccardi: l'idea che la comunità di Sant'Egidio dovesse restare marcatamente papalina e romana, anche nelle sue filiali estere d'Europa, d'Africa, d'Asia e d'America. Volevano più autonomia per le periferie della comunità. Mentre Riccardi era ed è un accentratore estremo. LA GUERRA DEI DUE ANDREA La guerra tra i due Andrea durò per tutto il 1992, con i fautori di Riccardi che tenevano i loro conciliaboli al Caffè Settimiano, a Trastevere. E alla fine il gruppo antipartito fu sgominato. Bartoli fu spedito in esilio a New York, dove è tuttora. Suo fratello, Marco, fu cacciato dalla filiale di Napoli, di cui era il primo responsabile. Altre filiali a Genova e in Germania, che erano pro Bartoli, furono commissariate. A Giovagnoli furono tolti il pulpito e la cura delle relazioni con l'Asia. Zuccolini invece lo recuperarono: al "Corriere della Sera" era troppo prezioso e il partito di Riccardi ci teneva ad averlo dalla sua. Salirono così di grado, assieme a Zuccari, solo i fedelissimi del fondatore. Sono gli stessi che oggi compongono il gruppo dirigente, ciascuno con le sue mansioni: Marco Impagliazzo, Mario Giro e don Vittorio Ianari si occupano di Islam e mondo arabo, dall'Algeria al Sudan; Roberto Morozzo Della Rocca e don Paglia dei Balcani; don Marco Gnavi e Adriano Roccucci dell'Oriente ortodosso, dalla Serbia alla Russia; don Zuppi dell'Africa; Valeria Martano, moglie di Zuccolini, di Istanbul e dell'Asia; don Ambrogio Spreafico, che è anche diventato rettore della Pontificia Università Urbaniana, degli ebrei; Alberto Quattrucci e Claudio Betti degli annuali meeting interreligiosi sul modello del papa ad Assisi; Gianni La Bella di sponsor e sovvenzioni; Cristina Marazzi, intramontabile numero uno delle donne, di assistenza; Mario Marazziti, suo marito, di pubbliche relazioni. E i preti? Sant'Egidio ne ha oggi una dozzina. Tolti Paglia e Spreafico, venuti da fuori, gli altri sono cresciuti tutti in casa, senza passare per i seminari diocesani. A decidere chi deve diventare prete è la comunità, ossia Riccardi. E a consacrarli basta un vescovo amico, nell'attesa che vescovo lo diventi uno di loro. Paglia è il candidato. Fermo al palo da anni. Se in Vaticano esitano a dare il via libera alla sua ordinazione è perché c'è finora un solo, troppo discusso precedente di comunità con un suo vescovo speciale: l'Opus Dei. Il timore è che Sant'Egidio diventi un'altra Chiesa nella Chiesa. Ma la spunteranno. Quelli di Sant'Egidio sono pochi di numero. Faticano a reclutare nuovi seguaci e subiscono molti abbandoni. Ma si definiscono "la formica capace di imprese grandi con piccoli mezzi". Sono una lobby potente. Condizioneranno il conclave che eleggerà il prossimo papa. Nessun magnate di Chiesa li vuole avere nemici. Riccardi lo dice spesso ai suoi: "Dobbiamo apparire più di quello che siamo. È il nostro miracolo. Il grande bluff".
0 notes
Text
BASTABUGIE - CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
Ecco la biografia non autorizzata che nel 1998 svelò tutti i retroscena della Comunità di Sant'Egidiodi Sandro Magister
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è dal 16 novembre ministro. Non degli affari esteri, come lui stesso aveva sussurrato qua e là di desiderare, ma pur sempre della cooperazione internazionale, un incarico in rima con l'epiteto di "ONU di Trastevere" applicato ad arte alla sua comunità. [...] Di lui esistono ricche e radiose biografie. Ma ce n'è anche una non autorizzata, mai oggetto di alcuna smentita, la cui lettura è stata sempre proibita ai seguaci di Sant'Egidio. Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt'uno. Quando uscì su "L'Espresso" era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto: SANT'EGIDIO STORY. IL GRANDE BLUFF (Da "L'Espresso" del 9 aprile 1998) Hanno la loro cittadella a Roma Trastevere, in piazza Sant'Egidio, in un ex convento di monache carmelitane con la chiesa. Ma non tengono nessuna targa sul portoncino. Lì a fianco c'è una caffetteria snob, "Pane amore e fantasia", con l'insegna tipo pellicola da cinema e la foto di Gina Lollobrigida, ma non c'è scritto che è della comunità. Anche la loro messa del sabato sera è da qualche tempo clandestina. La dicono a porte chiuse dentro la vicina basilica di Santa Maria, che raggiungono attraverso un labirinto di locali e cortili interni. Perché ormai sia la basilica, sia quasi tutti gli edifici attigui sono loro dominio, compresi i due palazzi antichi sulla piazza grande. In uno c'è un mercatino di cose vecchie e curiose, "La soffitta". Anche di questo non c'è scritto che è della comunità. Sant'Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d'accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all'inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: "Wonderful people", meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene. TRA OPUS DEI E DALAI LAMA Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant'Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l'omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un'istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all'obbedienza. Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta "l'Onu di Trastevere" non è un'organizzazione laica tipo "Médecins sans frontières", ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant'Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni. Sono stati quelli di Sant'Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d'ogni credo. Da allora, Sant'Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l'ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private. Con questi precedenti, Sant'Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell'Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano. IN PRINCIPIO FU CL Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant'Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant'Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l'organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c'è già il nocciolo duro di Sant'Egidio d'oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l'aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant'Egidio. MONACI DEL NUOVO MILLENNIO Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant'Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l'edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d'un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero. Segue la fase monastica. Con una spruzzata d'orientalismo. In vacanza, quelli di Sant'Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un'impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s'immaginano "celibi per il Regno dei cieli" e "monaci nel deserto della città". Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all'insegna dell'"ora et labora", dove il "labora" sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia. LA SCOPERTA DEL SESSO Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell'estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell'eremo di Macereto, un po' tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul "nuovo monachesimo" e prendono il via i primi matrimoni. Resta l'obbedienza assoluta a quello che era di fatto l'abate indiscusso, Riccardi. Il quale, intanto, s'è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l'anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l'interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant'Egidio è tutto un via vai di cardinali d'ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali. La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant'Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c'è una scuola materna, con un'aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell'aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L'idillio tra Giovanni Paolo II e Sant'Egidio sboccia così. L'innamoramento è l'estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più. ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant'Egidio l'ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano. Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant'Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato "che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster", un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan. MARTINI FOLGORATO Altro cardinale protettore di Sant'Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un'altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant'Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all'inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l'etichetta di donna traviata. "La nostra Maria Maddalena", la definivano i suoi censori. IN GUERRA PER LA PACE C'è forte contrasto, in Sant'Egidio, tra il proscenio e il retroscena, tra le attività ´ad extra´ e la comunità ´ad intra´. Prendiamo le iniziative di pace, quelle degli anni Novanta, la fase geopolitica della storia della comunità. Sulla ribalta del mondo, Sant'Egidio si batte indiscutibilmente per la pace e la democrazia. Se una critica le viene fatta, è che sceglie i suoi teatri con fin troppa cura di sé. Sì in Burundi, in Algeria, in Sudan, anche a costo di contrariare le Chiese del luogo. No a Timor Est e nel Chiapas. Questione di concorrenza. Il Nobel per la pace assegnato nel 1996 al vescovo di Timor, Carlos Filipe Ximenes Belo, è stato per Sant'Egidio una doccia gelata. Quanto al Chiapas, tra i candidati rivali al Nobel c'è anche lì un vescovo star, quello di San Cristóbal de las Casas, Samuel Ruiz García. Ma la democrazia vale per quelli di fuori. Dentro la comunità non ce n'è ombra. "Perché anche la Chiesa dev'essere così, non democratica", teorizza con i suoi discepoli Riccardi. La gerarchia interna è rigidissima e in trent'anni di vita della comunità lui solo è sempre stato al comando. Ma rigide sono anche le divisioni per sesso: ai maschi la diplomazia, la geopolitica, il pulpito, la cattedra, l'altare; alle femmine il sociale, le mense, gli anziani, i bambini. E così le divisioni per generazione e per classe. La struttura della comunità di Sant'Egidio ha al culmine il gruppo dei fondatori, oggi tra i 40 e i 50 anni. Sono 120 circa, ma è come se fossero i dodici apostoli: un ´unicum´ cui nessuno può aggiungersi. Poi, in subordine, viene la seconda generazione. Che è a sua volta divisa in due rami: da una parte la Pentecoste, i borghesi, quelli che hanno fatto gli studi; dall'altra la Resurrezione, il popolino, quelli di borgata. Il reclutamento dei giovanissimi è anch'esso separato: per la Pentecoste nei licei, per la Resurrezione nelle scuole professionali di periferia. LE SACRE GERARCHIE La messa del sabato sera, quella del top della comunità, è da sempre una fotografia perfetta delle gerarchie interne. Sull'altare c´è il gruppo dei fondatori, da una parte le donne, dall'altra i maschi, ciascuno al suo posto prefissato. Nella navata ci sono una rappresentanza scelta della Pentecoste più qualche elemento della Resurrezione e gli ospiti di riguardo. Riccardi è alla regia: non solo tiene la predica, ma comanda anche le luci da una piccola consolle. E chi nella comunità cade in disgrazia perde sia il suo ruolo nella messa che il suo posto in chiesa: Claudio Cottatellucci, uno dei capi della prima ora, che per anni aveva avuto l'onore di leggere dall'ambone l'Antico Testamento, si ritrovò di punto in bianco cacciato giù nella navata. La processione d'uscita al termine della messa è anch'essa un rito gerarchico. Tornati i preti in sacrestia, il primo ad alzarsi è Riccardi, seguito in fila indiana dagli altri maschi dell'altare, in ordine d'autorità. Poi ecco Cristina Marazzi, la numero uno delle donne, con le altre dietro in fila. Infine il rompete le righe per quelli della navata. QUINTA COLONNA AL "CORRIERE DELLA SERA" Il terremoto più grosso, al vertice di Sant'Egidio, risale a sei anni fa. Riccardi annunciò che avrebbe lasciato a un altro la presidenza per dedicarsi con più libertà alla cura spirituale della comunità. Ma quando si arrivò al voto nel comitato centrale, la sua indicazione non cadde su Andrea Bartoli, che da sempre era stato il numero due e in gioventù era stato di Riccardi l'amico intimo, ma su Alessandro Zuccari. Di norma l'indicazione di Riccardi è legge. Non si discute, si esegue. Ma quella volta accadde l'inaudito: l'unanimità fu infranta. Zuccari fu eletto, ma anche Bartoli ebbe dei voti. E i suoi sostenitori uscirono allo scoperto: Agostino Giovagnoli, l'intellettuale fine del gruppo, quello a cui spettava tenere le omelie ogni volta che Riccardi era assente; sua moglie Milena, numero due delle donne; Paola Piscitelli, futura compagna dello stesso Bartoli; Roberto Zuccolini, giornalista al "Corriere della Sera", il primo quotidiano italiano. Questa fronda non chiedeva maggior democrazia dentro la comunità: perché quanto a dispotismo, Bartoli aveva fama di terribile maestro dei novizi. Il dissenso era di strategia. Bartoli e i suoi contestavano un chiodo fisso di Riccardi: l'idea che la comunità di Sant'Egidio dovesse restare marcatamente papalina e romana, anche nelle sue filiali estere d'Europa, d'Africa, d'Asia e d'America. Volevano più autonomia per le periferie della comunità. Mentre Riccardi era ed è un accentratore estremo. LA GUERRA DEI DUE ANDREA La guerra tra i due Andrea durò per tutto il 1992, con i fautori di Riccardi che tenevano i loro conciliaboli al Caffè Settimiano, a Trastevere. E alla fine il gruppo antipartito fu sgominato. Bartoli fu spedito in esilio a New York, dove è tuttora. Suo fratello, Marco, fu cacciato dalla filiale di Napoli, di cui era il primo responsabile. Altre filiali a Genova e in Germania, che erano pro Bartoli, furono commissariate. A Giovagnoli furono tolti il pulpito e la cura delle relazioni con l'Asia. Zuccolini invece lo recuperarono: al "Corriere della Sera" era troppo prezioso e il partito di Riccardi ci teneva ad averlo dalla sua. Salirono così di grado, assieme a Zuccari, solo i fedelissimi del fondatore. Sono gli stessi che oggi compongono il gruppo dirigente, ciascuno con le sue mansioni: Marco Impagliazzo, Mario Giro e don Vittorio Ianari si occupano di Islam e mondo arabo, dall'Algeria al Sudan; Roberto Morozzo Della Rocca e don Paglia dei Balcani; don Marco Gnavi e Adriano Roccucci dell'Oriente ortodosso, dalla Serbia alla Russia; don Zuppi dell'Africa; Valeria Martano, moglie di Zuccolini, di Istanbul e dell'Asia; don Ambrogio Spreafico, che è anche diventato rettore della Pontificia Università Urbaniana, degli ebrei; Alberto Quattrucci e Claudio Betti degli annuali meeting interreligiosi sul modello del papa ad Assisi; Gianni La Bella di sponsor e sovvenzioni; Cristina Marazzi, intramontabile numero uno delle donne, di assistenza; Mario Marazziti, suo marito, di pubbliche relazioni. E i preti? Sant'Egidio ne ha oggi una dozzina. Tolti Paglia e Spreafico, venuti da fuori, gli altri sono cresciuti tutti in casa, senza passare per i seminari diocesani. A decidere chi deve diventare prete è la comunità, ossia Riccardi. E a consacrarli basta un vescovo amico, nell'attesa che vescovo lo diventi uno di loro. Paglia è il candidato. Fermo al palo da anni. Se in Vaticano esitano a dare il via libera alla sua ordinazione è perché c'è finora un solo, troppo discusso precedente di comunità con un suo vescovo speciale: l'Opus Dei. Il timore è che Sant'Egidio diventi un'altra Chiesa nella Chiesa. Ma la spunteranno. Quelli di Sant'Egidio sono pochi di numero. Faticano a reclutare nuovi seguaci e subiscono molti abbandoni. Ma si definiscono "la formica capace di imprese grandi con piccoli mezzi". Sono una lobby potente. Condizioneranno il conclave che eleggerà il prossimo papa. Nessun magnate di Chiesa li vuole avere nemici. Riccardi lo dice spesso ai suoi: "Dobbiamo apparire più di quello che siamo. È il nostro miracolo. Il grande bluff".
0 notes