Non si discute per aver ragione, ma per capire (cit.).
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PEOPLE ON THE MOVE
Traslocato a https://parliamoneassieme.wordpress.com/
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DELITTO CONTRO LA PERSONA
Una catena di Supermecati ha aperto una sottoscrizione a favore di un'Azienda Sanitaria del Friuli Venezia Giulia in aiuto alle donne vittime di violenza e dei loro figli.
Atto certamente lodevole, da non fare solo in vista del 25 novembre.
Però scrive “[...] La violenza nei confronti delle donne è una violazione dei diritti umani, una discriminazione e un reato. […]”. grassetto nel testo.
Dal 2013 la violenza contro le donne non è solo una violazione dei diritti umani, ma un reato contro la persona, assumendo così un valore molto differente.
Questa non è una critica negativa, ma un modo per far riflettere su come la scelta delle parole e a completezza dell’informazione siano importanti.
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SINODO SULLA FAMIGLIA
E' degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? (1a Timoteo 3:1-6).
L’enfasi è mia ma il testo è di Paolo Apostolo. Com’è che alcuni comandi sono ritenuti ancora attuali e altri sorpassati?
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DI NETIQUETTE E ALTRO ANCORA
Non sono un giornalista, ma ho fatto per molti anni il documentalista (con la elle, non è un errore) e il Web editor in un'azienda di informatica. Mio è l'articolo “In rete, ma con giudizio” del 1985, tempi in cui l'allora Sip mandava in onda lo spot “Mi ami, ma quanti mi ami” e l’analogo “Parliamone bene, per favore” in cui contestavo l'allora presidente della Repubblica Carlo A. Ciampi che in un articolo su Panorama demonizzava la Rete. Inutile rammentare che non sono i mezzi ad essere nocivi, ma l'uso che di essi ciascuno, o una collettività, ne fa.
Con riferimento all'articolo a firma Emiliano Liuzzi sul Fatto quotidiano di ieri, “Allergico alle critiche Montecitorio blocca i “follower” sgraditi”, a trent'anni dalla commercializzazione di internet ci troviamo ancora troppo sovente a parlare di Netiquette, cosa che certamente dobbiamo insegnare alle e agli adolescenti soprattutto in questa epoca di diffusione di smartphone e di relativa facilità ad accedere ai Social Network, ma che tra adulti dovremmo dare per scontata, come la buona educazioni fuori dal Web.
Noto che le linee guida scritte nel comunicato sulla Social Media Policy della Camera dei deputati non fanno una piega, soprattutto quando spiegano la moderazione.
“La Camera dei deputati invita a una conversazione educata, pertinente e rispettosa. Sui canali social della Camera dei deputati tutti possono intervenire per esprimere la propria libera opinione, sempre seguendo le buone regole dell'educazione e del rispetto altrui. Saranno moderati, anche preventivamente, e saranno rimossi tempestivamente commenti e post che violino le condizioni esposte in questo documento Non saranno tollerati insulti, turpiloquio, minacce o atteggiamenti che ledano la dignità delle persone e il decoro delle Istituzioni, i diritti delle minoranze e dei minori, i principi di libertà e uguaglianza”.
“Conversazione educata, pertinente e rispettosa, seguendo le buone regole dell'educazione e del rispetto altrui” mi pare il “minimo sindacale”, quello che una persona direbbe a voce alta davanti a una platea, oltre che scriverlo con una tastiera.
L'account della Camera dei deputati, come quelli della Presidenza della Repubblica, del Senato della Repubblica e altri, è a tutti gli effetti un sito istituzionale e come tale non va sicuramente usato per attacchi personali alle persone che ricoprono queste o alte cariche.
Leggo nell'articolo due cose fuori contesto.
Una è l'accenno all'account Twitter del Presidente del Consiglio, che è gestito anche per comunicazioni che esulano dal suo compito istituzionale. Posso essere d'accordo, perché gli aggiornamenti sulla Fiorentina o della tennista Pennetta non mi interessano come cittadino, ma è fuori contesto in un articolo di accusa contro l'account Twitter della Camera dei deputati.
La seconda riguarda la persona della giornalista Anna Masera, il cui account personale su Twitter seguo, come seguo quello della Camera dei deputati. Che la dottoressa Anna Masera guadagni 650, 6.500 o 65.000 euro è un fatto irrilevante rispetto alla denuncia sul blocco degli accessi fatta dal giornalista, così come è irrilevante la sua aspettativa a La Stampa quando è passata all'incarico presso la Camera dei deputati, salvo che con la legge chiamata “Jobs Act” sia cambiato qualcosa.
Ultima nota. “La Boldrini”. Da blogger scrivo spesso a proposito di questa forma non tanto velata di sessismo linguistico da parte dei giornalisti uomini, che riguarda anche “la Boschi” e altre persone politiche tutte di genere femminile. Non essendo i giornalisti limitati ai 140 caratteri queste espressioni assumono una valenza negativa, perché in italiano non c'è il corrispettivo maschile, se non in ambito letterario (il D'Annunzio, il Manzoni…) o in contesti negativi, i meno giovani rammenteranno “il Vanni”.
Per le persone si usa anteporre il titolo o in assenza di un titolo specifico signora o signore. Bello, a mio parere, sarebbe abolire i titoli come in inglese, (Mr. Obama, quando “President” non è essenziale), ma questa è un'altra storia.
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PREGHIERA, STUDIO, AZIONE
Ho letto Le tenebre e la luce. Il dramma della fede di fronte a Gesù, una raccolta di esercizi spirituali proposti dal biblista Carlo Maria Martini, gesuita, persona che stimo per l'apertura delle sue idee e verso tutti. Ce ne vorrebbero di come lui.
Saltando l'introduzione, molto tecnica, indirizzata ai gesuiti e certamente ostica per chi non conosce il pensiero di Ignazio di Loyola loro fondatore, e alcuni richiami alla figura di intercessione di Maria, tipica della fede cattolica, il libro si presta a una lettura anche da parte di evangelici e protestanti i quali, a differenza dei cattolici, credono nel sacerdozio universale dei credenti. Si può iniziare la lettura da p. 17, (anche se il richiamo agli Esercizi è citato altrove qua e là nel resto del testo).
L'autore esamina l'arresto e il processo di Gesù secondo il vangelo di Giovanni, nei capitoli dal 18 al 21. Partendo dal testo prende in esame le situazioni e le persone e dalle narrazioni evangeliche trae degli spunti per la nostra vita di ogni giorno.
Interessante il suo soffermarsi sulla figura del “discepolo che Gesù amava”, che egli non identifica con l'apostolo Giovanni, un po' meno quella di Maria Maddalena, della quale forse ormai si è già detto tutto.
Segnala come, a differenza dei sinottici, in Giovanni è Gesù a guidare sia l'arresto sia il processo. All'arresto egli infatti dice "Chi cercate?" e "Se cercate me lasciate andare via costoro", spiazzando coloro che si attendevano una resistenza e durante il processo tiene testa a Pilato dominando la scena in modo da far capire che ciò che stava avvenendo era volontà di Dio e non di Roma e con quel famoso interrogativo, ripreso da Edgard Lee Master nell'Antologia di Spoon River, “che cos'è verità?”, a cui Pilato non sa rispondere, ma chi crede sì.
Bello il cambio di prospettiva che l'autore propone dei discepoli riuniti nella sala del cenacolo. Pone se stesso lì in un angolo ad osservarli immaginando i pensieri dei presenti - che non sono scritti nei vangeli - facendo notare, per esempio, che nessuno di essi va a cercare spiegazioni nelle Scritture, come sarebbe stato normale per gli ebrei.
Quanto alle donne, esse sono state le prime testimoni della resurrezione e a loro per prime è stato dato il mandato dell'annuncio. Per gli ebrei la testimonianza delle donne non aveva valore - gli uomini dovevano essere in numero minimo di due - ed è per questo motivo che Pietro e il discepolo che Gesù amava corrono a verificare. Per la stessa ragione Gesù chiamò solo uomini per formare il gruppo dei Dodici, perché avrebbero dovuto essere suoi testimoni, mentre vediamo che molte donne lo seguivano.
Un altro bel libro di Carlo Maria Martini, che io vedo rivolto soprattutto ai giovani, è Conversazioni notturne a Gerusalemme, con Georg Sporschill, del 2008. Tra le altre cose l'autore parla dell'operare assieme tra le diverse confessioni cristiane e della necessità di conoscere l'altro, il buddista, l'ebreo, l'induista, il mussulmano, perché solo con la conoscenza possiamo vivere assieme senza pre-giudizi.
Se solo riuscissimo a mettere in pratica le cose di cui siamo convinti in teoria, metà del lavoro sarebbe fatto, perché leggere e studiare servono a capire, alzarsi ed agire, cominciando dalle famose piccole cose di ogni giorno, servono a dimostrare di aver capito.
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CONVIVENZA
Se solo riuscissimo a mettere in pratica le cose di cui siamo convinti in teoria, metà del lavoro sarebbe fatto, perché leggere e studiare serve a capire, alzarsi ed agire, cominciando dalle famose piccole cose di ogni giorno, serve a dimostrare di aver capito.
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PROVE DI NATALE
Ha senso per il cristiano di oggi ricordare il Natale, soprattutto sapendo che il 25 dicembre non c'entra nulla, perché i Romani erano sufficientemente avveduti per non indire un censimento in inverno, ma è la sostituzione della festa del dio Sole, qualche giorno dopo l'equinozio d'inverno, e più in generale, ha senso condividere le altrui feste religiose?
Sì e no, a seconda delle circostanze, di proposito ho scritto ricordare e non celebrare.
Può aver senso farlo per spiegare ai bambini piccoli cos'è, visto che con tutta probabilità ne avranno già parlato a scuola e forse imparato qualche canzoncina, un po' come gli ebrei spiegavano e spiegano ai bambini cosa significa per loro il rito della Pasqua (Esodo 12:26-27) . Ai più piccoli è bene lasciare le loro innocenti illusioni, Babbo Natale, Befana eccetera (e ai genitori l'illusione che i bambini ci credano :-) ) che se ne andranno di là a qualche anno, con i più grandi in famiglia si può cominciare a spiegare che non ha nessuna importanza sapere il giorno esatto, magari spiegando il controsenso del censimento d'inverno, perché d'inverno anche in Palestina fa freddo, ma la cosa importante è che Gesù sia venuto al mondo e perché è venuto, magari leggendo assieme le narrazioni che ne fanno Luca e Matteo, suscitando le loro domande.
Possiamo cogliere l'occasione per parlarne, a seconda delle convenienze sociali, con i nostri amici e colleghi, ovviamente nel rispetto delle altrui opinioni, e far notare che il 25 dicembre non è una data fissa perché i milanesi, che seguono il rito ambrosiano, e i cristiani ortodossi lo celebrano in altra data, e pure a loro far notare che la data non è importante.
Il natale ormai è una festa essenzialmente consumistica, ed è anche su questo aspetto che possiamo e dobbiamo dire la nostra, con convinzione ed evitando la retorica.
Riscontro una ipocrisia o almeno incoerenza in quei cristiani che dicono di non credere al Natale, non lo celebrano, però il 25 dicembre telefonano per fare gli auguri. Io preferisco un neutro “buone feste”, che copre il periodo dal 25 dicembre a capodanno, sia perché non credo al Natale in quanto festività sia perché non so se ci crede chi riceve il mio augurio.
Certo, non parteciperò alle processioni e agli eventi squisitamente religiosi presenti specialmente nei paesi e nelle piccole città, ma parteciperò alla cerimonia di matrimonio di amici cattolici o ebrei, pur dissociandomi nelle parti essenziali dei loro riti. Anche questo è rispetto per le convinzioni (o presunte tali) altrui.
Non possiamo estraniarci dalla realtà, senza passare per asociali, anche perché da fine novembre al 6 gennaio siamo, soprattutto nelle città e dai media, avvolti in una full immersion di stucchevole pubblicità e di insistenti inviti dalle Onlus a essere più buoni. Io cestino senza aprirle tutte le email di richiesta fondi che ricevo sotto natale nella convinzione che o si è buoni tutto l'anno o è un buonismo di facciata.
Nello stesso tempo in nel quale la Chiesa cattolica celebra il Natale gli ebrei dal 18 al 25 dicembre, festeggiano hanno la “festa delle luci” (hanukkah), o festa della dedicazione, in ricordo della ridedicazione del Tempio, ricordata in Giovanni 10:22, questa sì avvenuta d'inverno (il 25 dicembre). Non la si trova nelle bibbie evangeliche ma in fonti ebraiche extra bibliche tra le quali 1° Maccabei 4:36-61 (per inciso il Concilio di Trento, quello della controriforma ha inserito 1° e 2° Maccabei tra i libri dueterocanonici, quei sette testi scritti in lingua greca che non appartengono al canone ebraico ma si trovano, assieme ad altri sette, in alcuni manoscritti della LXX, che noi chiamiamo apocrifi, e agli ebrei è vietato leggerli).
Quanto ai simboli. Il presepe, con tutto rispetto per Francesco d'Assisi che fu il primo a proporlo lo escludo, per insegnare anche ai bambini che la fede non ha bisogno di rappresentazioni.
L'albero di natale è un simbolo di origine pagana, che niente ha a che fare con il natale, e può essere usato per ornare la casa come elemento estraneo alla natività ma legato al periodo festivo (in un ospedale nel periodo pasquale ho visto un bell’albero di Pasqua, composto da una pianticella con delle uova appese ai rami).
Ben fanno questa volta gli americani e i canadesi che hanno spostato il valore religioso della festa al Ringraziamento (Thanksgiving, in inglese, festa in cui la famiglia si riunisce, e al natale riconoscono solo l'aspetto commerciale). Non dimentichiamo che il Babbo Natale vestito di rosso che conosciamo oggi è un prodotto della Coca Cola.
Più interessante è il discorso dei regali. I regali, di natale, pasqua, matrimonio eccetera, avevano un senso nella società di un tempo, dove le classi sociali, ma anche le disponibilità economiche erano differenti da persona a persona. Le uova di Pasqua hanno origine contadina, e agli sposi si dava una mano a “metter su casa”. Nella nostra società abbiamo ancora bisogno di regali?
Quello dei regali a natale ormai è un obbligo sociale – un po' come la visita ai parenti quando si torna in paese, che se vai da uno si offende l'altro - a cui sempre più persone tendono a sottrarsi, come abbiamo scelto di fare anche noi da molto tempo.
Personalmente, bambini a parte, ritengo che i regali non debbano rispettare date fisse, a parte il compleanno che è una data soggettiva, ma nella coppia e, perché no?, anche verso amici con cui si ha uno stretto rapporto, i regali vadano fatti a sorpresa, senza alcun obbligo di reciprocità, ma solo perché si è visto qualcosa di particolare, non necessariamente costoso, e si è pensato che a quel/la particolare amic* avrebbe fatto piacere riceverla, in una data qualsiasi dove una persona non si aspetta niente di particolare. Con ciò non escludo assolutamente, per non cadere nell'estremo opposto, quelle le ritualità per cui ad un invito a pranzo ci si presenta con un mazzo di fiori per la signora o con una bottiglia di buon vino.
Sulla valenza dei regali un bel saggio è quello scritto dal filoso Theodor W. Adorno in “”Meditazioni sulla vita offesa” e ben riproposto da Barbara Spinelli in quest'articolo. http://www.nazioneindiana.com/2007/12/24/il-dono-senza-perche/
La “mercificazione del regalo”, e uso questo termine pensando a tutto ciò che ai tempi di Adorno non era ancora stato pensato, come per esempio pagare un sovrapprezzo avere la priorità in una fila al museo o ad uno spettacolo, ha raggiunto il suo apice con l'espandersi delle “carte regalo”, come a dire che per me tu vali 25, 50, 100 euro, e poi “veditela tu”. Si può regalare una ricarica telefonica solo ad un/a adolescente, ma verso un adulto è squalificante.
Personalmente io regalo anche i libri usati, perché ciò vuol dire sia che li ho letti sia che conosco i gusti delle persone che li ricevono.
Anche le aziende hanno cominciato a tagliare i regali sia perché molti si trovavano con sei o sette agende sul tavolo. Più di qualche azienda e qualche liber* professionista, nei biglietti di auguri che debbono mandare, anche per una questione di immagine, aggiungono il nome e il numero di c/c di una Onlus alla quale destinare i denari spesi eventualmente per il regalo.
Si dice sempre “basta il pensiero”. Basterebbe pensare a quanta verità c'è dietro questa espressione, che non esclude un regalo fisico, purché di costo contenuto, ma dice soprattutto che a e da una persona a cui si vuol bene prima di esso basta un sorriso, una telefonata, la rassicurazione che quando serve lei c'è, e viceversa.
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TRADIZIONI DIVERSE?
Nei tempi antichi il concetto di diritto d'autore, ho scritto altre volte, era meno restrittivo di ora. Spesso si copiava un passo o un brano senza citarne la fonte, come fece Esopo con un salmo o l'apostolo Paolo con il famoso apologo di Menenio Agrippa. Era una legge non scritta, un accordo sottinteso, per far propagare il sapere di allora.
Il mondo musulmano oggi celebra la festa del sacrificio, in ricordo del sacrificio di Ismaele chiesto dall'Eterno ad Abramo come prova di dedizione.
Particolare non trascurabile è che a essere vittima richiesta in sacrificio fu il figlio Isacco e non Ismaele, che era già stato allontanato assieme alla madre Agar da Abramo su richiesta della moglie Sara.
“Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: "Abramo, Abramo!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò". (Gen. 22:1-2), nell'episodio che i cristiani chiamano Sacrificio d'Isacco e gli ebrei più propriamente Legamento di Isacco, perché il sacrificio non ci fu, ma l'Eterno provvide con ariete.
Amici musulmani, dove avete trovato che Abramo condusse Ismaele e non Isacco al sacrificio?
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EPITETI
Ieri ho citato Ignazio Silone e i suoi cafoni della Marsica. Non ho approfondito ma è plausibile pensare che in dialetto i contadini siano ancora chiamati cosí, come al sud sono chiamati villani. Nell'immaginario collettivo per molto tempo i lavoratori della terra si son portati dietro quella patina di ignorante riassunta nell'adagio "contadino, scarpe grosse e cervello fino". La gran parte di essi, infatti, era analfabeta, i piú fortunati con la terza elementare, capaci di saper apporre la propria firma insicura sotto documenti che certo non sapevano leggere. Molti contadini del sud andarono a combattere sui fronti del Piave e dell'Isonzo senza sapere perché e, nell'Italia dei comuni e dei dialetti, spesso senza poter comunicare con i loro compagni. Per i piú le notizie, ovviamente gonfiate e elaborate, arrivavano con il camion di mercato dal paese, come nel Medioevo con i cantastatorie, oppure con il passaparola. Di certo Roma, la capitale, era un'entità astratta. La svolta arrivò con la televisione, che era un luogo virtuale di aggregazione al bar o in sala parrocchiale, prima con Lascia o raddoppia e poi con Non è mai troppo tardi del maestro Manzi. Adesso assistiamo al triste fenomeno dell’“analfabetismo diritorno”, di persone che dopo tredici anni di scuola non sanno leggere un articolo di giornale o fanno fatica a compilare un modulo. I contadini di ora sono per la maggior parte persone colte, che nulla hanno a che vedere con i contadini del dopoguerra, chi con il diploma dell'Istituto Tecnico Agrario, chi con una laura in agraria, anche perché, con le multinazionali pronte ad imporsi, o fai cosí o vai a vendere i tuoi prodotti al mercato settimanale. Certo, molti si sporcano le mani - nel senso buono -, ma fa parte del loro lavoro, in compenso hanno quel contatto fisico con la terra, quella soddisfazione di veder crescere i prodotti della natura che un bancario o informatico non proveranno mai. Diciamola tutta, i B&B che propongo una settimana in campagna offrono qualcosa di artificiale. Oggi nel parlar comune della lingua italiana cafone e villano hanno perso il significato originale (che però rimane nei dialetti cosí come qualche volta in italiano si usa contadino), e sono usati solo per indicare la persona maleducata. Bisogna solo fare attenzione a non usare questi termini nelle zone di origine,. I cosiddetti false friend, cioè i termini che esprimono un altro significato non esistono solo nelle lingue straniere, ma sono dietro l'angolo anche in italiano!
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DI STUDENTI, MADRI E PADRI
Scrive Ignazio Silone in “Fontamara” che, avendo il conte deviato il fiume ed essendo i mariti impegnati nel loro lavoro di cafoni, a andare a recriminare furono le povere mogli, incerte fin dal principio e lungo la strada su cosa dire.
Dopo aver vinto la resistenza della servitù, che puntualmente diceva che il conte non può ricevere perché “il conte sta mangiando”, tanto da meritarsi il soprannome di “Carlo Magna”, le donne riuscirono a parlargli. Egli le raggirò con un gioco di parole numerico, “Quattro quinti a me, e quattro quinti di quel che rimane a voi”. Le donne se ne tornarono soddisfatte perché la faccenda era stata risolta in modo equo, avendo ciascuna delle parti avuto “quattro quinti”.
Oggi una rappresentanza di genitori va a parlare con il rettore di una scuola in provincia di Roma. “Abbiamo deciso di mandare gli uomini per far vedere che la cosa è seria… tante volte le donne sono sottovalutate, purtroppo”. Quelle donne che hanno fatto rete, hanno consultato leggi e regolamenti, hanno steso il documento, quindi molto diverse dalle mogli dei contadini della Marsica descritte da Ignazio Silone. Ma si sa, i pregiudizi e gli stereotipi di genere sono duri a morire.
Di buono, perché tendo a cercare sempre l'aspetto positivo, c'è che a difendere i diritti dei figli a scuola questa volta sono i padri, contro il luogo comune che vede le mamme a tutela sia dell'infanzia sia delle faccende scolastiche dei figli.
Bravi papà! Certo non vi farete confondere come seppe fare don Carlo Magna. Continuate su questa linea, trovando il tempo, perché volendo lo si trova, di andare a tifare per le vostre figlie e i vostri figli anche nelle competizioni sportive, perché è della vostra assenza in questi momenti che spesso si parla, a ragione o a torto.
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ITALIA CHE VA
Quando una persona che non ti conosce e alla quale avevi chiesto un parere ti risponde dettagliatamente dimostra di aver esaminato attentamente il testo a prescindere dalla firma.
Se poi, non essendoci urgenza, lo fa di sabato dimostra di non anteporre i suoi interessi personali al suo lavoro.
Questa, e non chiacchere, è dimostrazione dell’Italia che va.
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GLI “ALTRI”
Scrivo di Trieste perché è la città che conosco (o mi illudo di conoscere) meglio ma potrebbe essere Lampedusa, con la sua eroica sindaca Giusi Nicolini o dovunque ci sono tensioni dovute – non provocate – ai flussi migratori.
L'altro giorno in settantuno città in Italia tra cui Trieste c'è stata la marcia degli scalzi, in solidarietà a quanti in diverse modalità stanno fuggendo dalle zone di guerra. Siamo in guerra anche noi, certo, ma almeno non ci piovono bombe in testa.
Trieste ha avuto un dopoguerra durato fino al 1954 in un territorio in amministrazione provvisoria anglo-americana, ed è conosciuta, assieme a Gorizia, per la “cortina di ferro” (che a Gorizia, divisa in due tra Gorizia rimasta italiana e Nova Gorica ceduta alla Jugoslavia, ora in Slovenia, era letterale), il confine tra l'occidente libero e il comunismo, anche se la Jugoslavia del Maresciallo Tito non era allineata al blocco sovietico.
Sono troppo giovane per rammentare, ma mia nonna mi parlava spesso dell'occupazione di Trieste, durata quaranta giorni, da parte dell'esercito jugoslavo (soprattutto quando a tavola come tutti i bambini facevo lo schizzinoso).
Mia nonna, italiana, nata alla fine dell'ottocento a Pola, porto militare dell'impero di Austria Ungheria.
Trieste, porto mercantile dell'impero asburgico, con le sue chiese storiche e i suoi diversi cimiteri è sempre stata un laboratorio multi etnico, multi religioso, e multi linguistico nel quale,come ci rammenta Renato Ferrari all'inizio del libro Il gelso dei Fabiani, la borghesia parlava indifferentemente italiano, sloveno, o tedesco, e lo è tuttora con i suoi centri di ricerca riconosciuti a livello mondiale (primo in ordine di tempo l'ICTP fondato nel 1964 dal pakistano Abdus Salam e che ora porta il suo nome).
Certo, non erano sempre rose e fiori. Ci sono stati momenti di forte tensione e anch'io rammento i dispetti di confine tra l'Italia e la Jugoslavia soprattutto negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso.
Dopo la caduta del muro di Berlino ci eravamo illusi che l'Europa fosse cambiata, ora purtroppo dobbiamo constatare che altri muri stanno sorgendo e in fretta.
Con il grande esodo dei 27.000 albanesi in una sola notte da Valona al porto di Brindisi nel 1971 abbiamo capito che il mondo stava cambiando, anche se pochi allora si sarebbero aspettati le migrazioni di questi ultimi anni.
Torniamo a quella Trieste di cui scrivo ma come ho detto potrebbe essere Lampedusa o dove volete voi.
Provo dolore a leggere che in contemporanea alla marcia degli scalzi ci sia stata una rivolta nel rione dove la Prefettura ha individuato un luogo di accoglienza e, notizia di oggi, dell'organizzazione di ronde, forse al limite della legalità, contro queste povere persone che altro non chiedono di fuggire dalla guerra, trovare un lavoro e dare un futuro ai loro figli.
Sono diventati davvero così xenofobi? Credono veramente all'assioma straniero uguale ladro o stupratore? Se così fosse, rammento che il giorno seguente all'ingresso della Slovenia nell'accordo Schengen la prima rapina fu perpetrata da un manipolo di italiani a un distributore oltre confine e non viceversa.
Anni fa, quando mi fu chiesto di rappresentare la componente evangelica, assieme a quelle cattolica e ebraica accanto al rappresentante della comunità slovena in regione nelle scuole medie e superiori per educare i giovani alla convivenza, accettai evidenziando la necessità di invitare anche la minoranza rom alla quale gli organizzatori non avevano pensato.
Non sto dicendo che viviamo momenti facili, né che le tensioni e le proteste non siano comprese nel prezzo, anzi ammiro gli amministratori pubblici che debbono farsene carico giostrandosi nelle pieghe della legge, rimanendo ovviamente nella legalità, né che tra questi ultimi tra gli ultimi ci possa essere una minoranza di sbandati che compiono azioni illegali, ma la gran parte di loro è gente per bene, come quella studentessa albanese che nel 1999 mi fu chiesto di assistere nelle prime pratiche al suo arrivo a Trieste. Andai ad accoglierla davanti alla questura, poi l'accompagnai in un ufficio assicurazioni e all'Università. Sì, era un po' spaesata, ma una settimana dopo in T-shirt e jeans, si presentava come una qualunque diciottenne triestina.
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LETTERA E SPIRITO
“All'alba [Gesù] si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più". (Giovanni 8:2-11)
È uno dei testi più famosi nel vangelo di Giovanni, così celebre che non sarebbe stato necessario riportarlo. Proviamo a sintetizzarlo. Togliamo ciò che Gesù disegnava o scriveva per terra, perché non sappiamo cosa stesse disegnando o scrivendo, forse voleva solo dimostrare il suo disinteresse verso gli scribi e i farisei. Togliamo gli scribi e i farisei spiazzati dalla contro accusa di Gesù i quali, dopo aver probabilmente fatto cadere le pietre che avevano in mano se ne andarono con la coda tra le gambe, Giovanni dice a uno a uno, cominciando dagli anziani fino agli ultimi, e non più come un'unità compatta.
Rimangono Gesù e la donna, che secondo la Legge (Levitico 20:10) avrebbe dovuto essere lapidata, ma alla quale Gesù dice, “Neanch'io ti condanno, va' e d'ora in poi non peccare più”. Si badi che Gesù non le dice che non ha peccato, ma di non peccare più.
Un caso diverso ma simile è quello in cui Giuseppe si accorge della gravidanza di Maria, la sua promessa sposa. All'epoca il fidanzamento era un patto vincolante.
“Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto”. (Matteo 1:18-19).
Non si tratta di un amore cieco tale da indurre Giuseppe a non porsi il problema del rispetto della Legge e, anche, aspetto pratico, di come sarebbe stato considerato lui stesso in una cittadina che oggi chiameremmo borgo come Nazareth di non più di seicento persone, ma fu mosso da quello spirito di giustizia che Matteo ci rammenta chiamandolo “giusto”.
“Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". (Matteo 1:20-21)
La Legge, che in realtà vuol dire insegnamento, era stata data al popolo ebraico come guida, ma questi episodi speculari di due donne, una ignota adultera di Gerusalemme e Maria, adultera presunta, ci fanno capire bene il significato di “il sabato è stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato”.
Lezioni.
1. Quando giudichiamo il nostro prossimo accertiamoci di farlo solo dopo aver fatto cadere la pietra che abbiamo scelto per tener in mano. Fuor di metafora valutiamo le persone per quello che sono, non secondo i nostri pregiudizi.
2. Nelle decisioni importanti, impariamo da Giuseppe a prendere un po' di tempo prima di agire, lasciamo decantare un po' l'argomento. Non avremo una visione, ma con un po' di distacco temporale riusciremo certamente a far prevalere l'amore e la ragione sull'impulso.
3. Ci sono delle volte in cui siamo troppo legalisti e di conseguenza troppo severi anche verso noi stessi. Questo è il senso di “se il nostro cuore i condanna Dio è più grande del nostro cuore”, che leggiamo in 1a Giovanni 3:20.
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ATTUALITÀ
Le Scritture, si sa, non si soffermano sui fatti di cronaca relativi alla sfera sessuale, sia perché essa era ben codificata, sia perché le ragazze e i ragazzi si sposavano relativamente presto rispetto ad ora.
Certo, è raccontato di come il re Davide, invaghitosi di Betsbabea, la moglie di Uria, alla fine mandò questi in battaglia in prima linea per farlo morire e aver campo libero, e della presunzione di innocenza di una giovane se la violenza fosse avvenuta in campagna, perché “forse ha urlato per chiedere aiuto ma nessuno l’ha udita”. C’è un episodio che per il nome della protagonista e per il luogo potremmo benissimo trasportare nella nostra realtà di oggi.
Dina, la figlia che Lia aveva partorita a Giacobbe, uscì a vedere le ragazze del paese. Ma la vide Sichem, figlio di Camor l`Eveo, principe di quel paese, e la rapì, si unì a lei e le fece violenza. (Genesi 34:1-2).
Dina è un nome ancora in uso, di una ragazza che andò al pozzo a coglier l’acqua – era un compito da donna – e si fermò a parlare con le amiche, come avviene ora con le nostre giovani in piazza o nei centri commerciali.
La storia prende una brutta piega quando Dina non torna a casa perché Sichem, il figlio del principe di quel paese 1) la vede 2) la rapisce e 3) si unisce a lei facendole violenza.
Chi vuole può leggere il resto in Genesi 34.
Molto attuale perché è ciò che succede quasi ogni giorno nelle nostre città.
Di un’attualità sconcertante che non può lasciare indifferente nessuno, donna o uomo che sia.
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LAVORO OGGI
Non ci è dato di sapere cosa abbia suscitato in Giacomo questa invettiva, ma ciò che scrive è tremendamente attuale. "A voi ora, o ricchi! Piangete e urlate per le calamità che stanno per venirvi addosso! Le vostre ricchezze sono marcite e le vostre vesti sono tarlate. Il vostro oro e il vostro argento sono arrugginiti, e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori negli ultimi giorni. Ecco, il salario da voi frodato ai lavoratori che hanno mietuto i vostri campi, grida; e le grida di quelli che hanno mietuto sono giunte agli orecchi del Signore degli eserciti. Sulla terra siete vissuti sfarzosamente e nelle baldorie sfrenate; avete impinguato i vostri cuori in tempo di strage. Avete condannato, avete ucciso il giusto. Egli non vi oppone resistenza". Giacomo 5:1-6 NR94).
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Lezioni di vita
“«Grazie», disse il vecchio. Era troppo semplice per chiedersi quando avesse raggiunto l’umiltà. Ma sapeva di averla raggiunta e sapeva che questo non era indecoroso e non comportava la perdita del vero orgoglio”. Ernst Hemingway, Il vecchio e il mare.
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